VIOLENZA SESSUALE CONSENSO SI PER paura di svegliare i figli (Cass. 4199/24

VIOLENZA SESSUALE CONSENSO SI PER paura di svegliare i figli (Cass. 4199/24

 

“In tema di reati sessuali, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 609-bis cod. pen. non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma che tale volontà risulti coartata dalla condotta dell’agente; né è necessario che l’uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall’ inizio sino al congiungimento, essendo sufficiente che il rapporto non voluto sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta. (Fattispecie in cui la persona offesa, pur piangendo e manifestando il proprio dissenso, non aveva frapposto alcuna opposizione fisica al rapporto sessuale impostole dal proprio convivente, nel timore derivante da un violento colpo infertole dall’ imputato assieme all’intimazione a seguirlo in camera da letto, e nella preoccupazione di non svegliare con le proprie urla i l figlio che dormiva nella stanza attigua)” (Sez. 3, Sentenza n. 16609 del 24/01/2017 Ud. (dep. 04/04/2017 ) Rv. 269631 – 01; vedi anche Sez. 3, Sentenza n. 33049 del 10/05/2017 Ud. (dep. 07/07/2017) Rv. 270643 – 0).

Sussiste violenza sessuale quando il rapporto sessuale è consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta: non si richiede infatti che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma che tale volontà risulti coartata dalla condotta dell’agente; né è necessario che l’uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall’ inizio sino al congiungimento, essendo sufficiente che il rapporto non voluto sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta. 

 

Corte di Cassazione

Sez. III penale, Sent., (data ud. 13/10/2023) 31/01/2024, n. 4199

Dott. SARNO Giulio – Presidente, Dott. SOCCI Angelo Matteo – Relatore

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A. nato a B il (omissis)

avverso la sentenza dei 24/11/2022 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO MATTEO SOCCI;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore VALENTINA MANUALI che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

L’Avv. DT per le parti civili B.B. e C.C., conclude con memoria per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso con condanna alle spese;

l’Avv. SC per la parte civile D.D. ha concluso con memoria chiedendo la conferma della sentenza impugnata con la condanna alle spese per la parte civile.

Svolgimento del processo

  1. Con sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 24 novembre 2022 in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Reggio Calabria del 13 dicembre 2021 è stata rideterminata la pena nei confronti di A.A., con il riconoscimento dell’ ipotesi di cui al terzo comma dell’art. 609 bis cod. pen., in anni 4 e mesi 6 di reclusione, relativamente ai reati di cui agli art. 572 cod. pen. (in danno della moglie B.B. e dei figli D.D., C.C. e E.E.), reato commesso in data anteriore e prossima al 1 agosto 2000, art. 81 e 609 bis, terzo comma, cod. pen. (in danno della moglie B.B., reato commesso in data successiva al 2017 e fino al 1 agosto 2020.
  2. L’ imputato ha proposto ricorso in cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.

2.1. Violazione di legge ( art. 572 cod. pen.); mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in

relazione al reato di maltrattamenti. Le prove utilizzate per la condanna consistono principalmente nelle dichiarazioni della moglie dell’ imputato. Dall’ istruttoria dibattimentale, tuttavia, le condotte compiute dal ricorrente appaiono distanti nel tempo e non suscettibili di costituire una condotta unitaria configurante il delitto di maltrattamenti ai familiari. Lo stesso Tribunale evidenziava l’impossibilità di ricostruire compiutamente gli episodi. La moglie riferiva genericamente di un primo episodio di aggressione nel lontano 1993 – durante la gravidanza -, poi fino al 2010 i comportamenti si sono concretati solo per rimproveri ai bambini in quanto giocavano rumorosamente. Gli ultimo episodi sarebbero del giugno e di agosto 2020 che hanno portato all’allontanamento del ricorrente dalla casa familiare.

Anche i figli hanno riferito genericamente di singoli episodi non significativi.

Del resto, la stessa moglie ha riferito che l’ imputato non ha mai messo in atto nessuna delle minacce; inoltre, dopo l’allontanamento dalla casa il ricorrente non ha mai più dato fastidio ai suoi familiari. Il delitto di maltrattamenti è un reato abituale e non si configura per singoli episodi; gli episodi provati sono al massimo 5 o 6 e non idonei a configurare oggettivamente e soggettivamente il reato di maltrattamenti.

2.2. Violazione di legge (art. 609 bis cod. pen.); mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione al reato di violenza sessuale ai danni della moglie.

La moglie del ricorrente, con una deposizione molto sofferta, non è riuscita a chiarire se il suo rifiuto ai rapporti sessuali con il ricorrente fosse stata comunicata o rimasta al suo interno, senza poter incidere nella volontà dell’ imputato. La donna dichiarava che, dopo le richieste del marito, lei acconsentiva a farlo e di non essere mai stata violentata con forza.

Anche i figli hanno sempre smentito la consumazione di violenze sessuali ai danni della loro madre.

Manca, conseguentemente, la prova della consumazione di rapporti sessuali tra l’ imputato e la moglie con violenza o presenza di un dissenso della persona offesa, manifestato chiaramente.

Ha chiesto pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

  1. Il ricorso è inammissibile.

I motivi sono generici e ripetitivi dell’appello, senza critiche specifiche di legittimità alle motivazioni della sentenza impugnata. Inoltre, il ricorso, articolato in fatto, valutato nel suo complesso, richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione, non consentita in sede di legittimità.

La decisione della Corte di appello (e la sentenza di primo grado, in doppia conforme) contiene ampia e adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del ricorrente, e sulla piena attendibilità della moglie, parte offesa dei reati di violenza sessuale e del reato di maltrattamenti – sia nei riguardi del coniuge sia dei figli -, peraltro con numerosi riscontri alle sue dichiarazioni.

In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 – dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482).

In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’ inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 – dep. 31/03/2015, O., Rv. 262965). In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. (Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 – dep. 28/03/1995, Pischedda ed altri, Rv. 200705).

  1. La Corte di appello (e il Giudice di primo grado), ha con esauriente motivazione, immune da vizi di manifesta illogicità o contraddizioni, dato conto del suo ragionamento che ha portato alla valutazione di attendibilità della parte offesa.

Infatti, in tema di reati sessuali, poiché la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l’attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria. (Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006 – dep. 18/12/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).

Le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’ imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l’ individuazione dell’ iter logico – giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti dì deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa. (Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 – dep. 14/01/2015, Pirajno e altro, Rv. 261730); le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’ imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 – dep. 24/10/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).

4.1. Nel caso in giudizio le analisi delle due decisioni (conformi) sono precise, puntuali e rigorose nell’affrontare l’attendibilità della donna, rilevando come i fatti sono emersi dalle sue dichiarazioni lineari per entrambi i reati in contestazione. Le condotte aggressive e umilianti nei confronti della donna, e dei suoi figli, hanno portato la donna a nascondere oggetti aventi una potenzialità lesiva. Le condotte violente e le minacce con ingiurie dell’ imputato sono state reiterate nel tempo, costantemente, a volte le stesse sono avvenute anche davanti a terzi (la sorella della parte offesa, F.F., e dei figli; e anche davanti ai Carabinieri intervenuti per sedare una lite).

Per i reati di maltrattamento (peraltro neanche contestati in fatto nel ricorso in cassazione, ma solo con un ridimensionamento degli episodi) la sentenza rileva l’attendibilità delle dichiarazioni della donna e dei figli sui numerosi e gravi episodi di violenza (anche con lesioni certificate dal pronto soccorso, con prognosi di giorni 5) sia nei suoi confronti che riguardo ai figli (percosse, ingiurie e minacce reiterate).

4.2. Per le violenze sessuali, si deve rilevare, che la sentenza evidenzia come la donna aveva deciso di dormire separata dal marito, proprio per evitare i rapporti sessuali. Invece, l’ imputato di notte si recava nella sua camera – dove la moglie dormiva con le figlie – e insisteva per dei rapporti sessuali; la donna gli manifestava il suo dissenso ma l’ imputato insisteva e la donna per evitare di farlo adirare e di svegliare i figli acconsentiva ai rapporti sessuali. La donna non urlava in quanto avrebbe coinvolto nei fatti i figli che dormivano.

Del resto, deve confermarsi sul punto la costante giurisprudenza di questa Corte che ritiene sussistente la violenza sessuale quando il rapporto sessuale è consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta: “In tema di reati sessuali, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 609-bis cod. pen. non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma che tale volontà risulti coartata dalla condotta dell’agente; né è necessario che l’uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall’ inizio sino al congiungimento, essendo sufficiente che il rapporto non voluto sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta. (Fattispecie in cui la persona offesa, pur piangendo e manifestando il proprio dissenso, non aveva frapposto alcuna opposizione fisica al rapporto sessuale impostole dal proprio convivente, nel timore derivante da un violento colpo infertole dall’ imputato assieme all’intimazione a seguirlo in camera da letto, e nella preoccupazione di non svegliare con le proprie urla i l figlio che dormiva nella stanza attigua)” (Sez. 3, Sentenza n. 16609 del 24/01/2017 Ud. (dep. 04/04/2017 ) Rv. 269631 – 01; vedi anche Sez. 3, Sentenza n. 33049 del 10/05/2017 Ud. (dep. 07/07/2017) Rv. 270643 – 0).

Su questi aspetti il ricorso, articolato in fatto e in maniera del tutto generica, reitera le motivazioni dell’atto di appello senza confrontarsi con la sentenza impugnata. Sostanzialmente non contiene motivi di legittimità nei confronti delle motivazioni della sentenza impugnata. Ripropone acriticamente dubbi soggettivi, adeguatamente risolti dalle decisioni di merito.

  1. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’ inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell’art. 52 del d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

Condanna, inoltre, l’ imputato alla refusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile D.D. che liquida in complessivi Euro tremilaseicentottantasei, oltre accessori di legge.

Condanna, altresì, l’ imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili B.B. e C.C. ammesse al gratuito patrocinio a spese dello Stato nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Reggio Calabria con separato decreto di pagamento ai sensi degli art. 82 e 83 D.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

Così deciso il 13 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2024.

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