RAPPORTO TRA PAZIENTE E MEDICO STRUTTURA SANITARIA

RAPPORTO TRA PAZIENTE E MEDICO RAPPORTO TRA PAZIENTE E STRUTTURA SANITARIA TRIBUNALE DI RAVENNA

La responsabilità della struttura sanitaria è ormai pacificamente di natura contrattuale ex art. 1218 c.c., come espressamente previsto dalla L. n. 24 del 2017, ed è soggetta pertanto ad un regime probatorio privilegiato ed al termine di prescrizione ordinario decennale

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Responsabilità medica assicurazioni

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Responsabilità civile – responsabilità della struttura sanitaria – controversie – onere della prova

 

La responsabilità della struttura sanitaria è ormai pacificamente di natura contrattuale ex art. 1218 c.c., come espressamente previsto dalla L. n. 24 del 2017, ed è soggetta pertanto ad un regime probatorio privilegiato ed al termine di prescrizione ordinario decennale.

Il contratto di spedalità è un contratto ad effetti protettivi di terzi, quali sono i neonati che la gestante porta in grembo ed il padre che, dunque, sono soggetti pienamente legittimati a chiedere il risarcimento dei danni che si siano determinati in conseguenza di un inadempimento imputabile alla struttura.

In materia di responsabilità medica, nell’ipotesi in cui la struttura si pone, nei confronti del paziente, quale obbligato alla prestazione sanitaria a seguito di un contratto tra il paziente e la stessa, deve ritenersi configurabile una responsabilità contrattuale con tutte le conseguenze che ne derivano in tema di onere della prova, che, per l’effetto, grava sull’istituto stesso e non sul paziente. Il positivo accertamento della responsabilità dell’istituto postula, e si pone come conseguenza dell’accertamento della colpa del medico esecutore dell’attività che si assume illecita, non potendo la responsabilità dell’ente affermarsi in assenza di tale colpa, poiché l’art. 1228 cc (al pari del successivo art. 2049 c.c.) presuppone, comunque, un illecito colpevole dell’autore immediato del danno.

La struttura deve infatti assicurare una prestazione sanitaria immune da deficienze, di modo che risponde ex art. 1228 c.c., solidamente con il medico dei danni prodotti, essendo all’uopo sufficiente che vi sia un potere di direzione e vigilanza dell’ente sull’attività del medico in virtù di un rapporto (anche non necessariamente) di lavoro subordinato.

La responsabilità risarcitoria della struttura sanitaria, per l’inadempimento e/o per l’inesatto adempimento delle prestazioni dovute in base al contratto di spedalità, va inquadrata nella responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c. Fra la struttura sanitaria ed il paziente, per effetto della mera accettazione del paziente, sorge infatti un rapporto di natura contrattuale atipico denominato di “spedalità” o di “assistenza sanitaria”, per effetto del quale la struttura assume l’obbligo di adempiere sia prestazioni principali di carattere strettamente sanitario sia prestazioni secondarie ma sempre funzionali alla presa in carico a scopi di cura – fra cui prestare assistenza al malato, fornire vitto e alloggio in caso di ricovero.La responsabilità della struttura per i danni che si verificano in ambito sanitario è una responsabilità che scaturisce dall’inadempimento e/o dall’inesatto adempimento di una delle varie prestazioni che è direttamente obbligata ad eseguire in base a tale contratto atipico.

Il contratto di spedalità è un contratto a prestazioni corrispettive da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (da parte del paziente, dell’assicuratore ovvero del Servizio Sanitario Nazionale) insorgono, a carico della struttura sanitaria, accanto a quelli di tipo alberghiero (somministrazione di vitto e alloggio), obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico, nonché di apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista del manifestarsi di eventuali complicazioni o emergenze.

Ne deriva che la responsabilità risarcitoria della struttura sanitaria, per l’inadempimento e/o per l’inesatto adempimento delle prestazioni dovute in base al contratto di spedalità, va inquadrata nella responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.e nessun rilievo a tal fine assume il fatto che la struttura (sia essa un ente pubblico o un soggetto di diritto privato) per adempiere le sue prestazioni si avvalga dell’opera di suoi dipendenti o di suoi collaboratori esterni — esercenti professioni sanitarie e personale ausiliario — e che la condotta dannosa sia materialmente tenuta da uno di questi soggetti. Infatti, a norma dell’art. 1228 c.c., il debitore che per adempiere si avvale dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro, sicché neppure rileva la circostanza che il medico che eseguì l’intervento chirurgico fosse o meno inquadrato nell’organizzazione aziendale della casa di cura (ovvero dell’ospedale), né che lo stesso fosse stato scelto dal paziente ovvero fosse di sua fiducia.

Secondo Tribunale di Palermo sulla struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.

Quanto all’onere della prova, è sufficiente per il paziente danneggiato allegare di aver richiesto ed ottenuto un trattamento sanitario, comprovando il peggioramento, in esito ad esso, dello stato di salute, oltre al nesso di causalità tra fatto e danno, mentre incombe sulla parte convenuta, debitrice della prestazione di cura ed assistenza, dimostrare di aver diligentemente e correttamente eseguito la propria prestazione, con conseguente imputabilità dell’evento di danno a fattori esterni ed indipendenti dal proprio operato.

In mancanza di tale rigorosa dimostrazione, opera il criterio del “più probabile che non“, applicando il quale alla struttura ospedaliera possono essere ascritte le evenienze negative conseguite alla prestazione sanitaria incongrua, ove ragionevolmente e logicamente rapportabili ad un caso di malasanità.

La giurisprudenza, in punto di accertamento della responsabilità sotto il profilo della causalità materiale, ha ulteriormente chiarito, in casi del tutto analoghi a quello che occupa, che, ove sia accertata una coesistenza di fattori causativi dell’evento di danno, l’uno di origine naturale, l’altro dovuto ad errore umano, il nesso di causalità tra condotta ed evento di danno o non sussiste, poiché la causa naturale risulta da sola sufficiente a determinare il danno, ovvero, sussiste per intero, dovendo l’interprete tenere conto, in ogni caso, della concausalità naturale al fine della concreta determinazione del quantum del risarcimento.

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Laddove la struttura sanitaria, correttamente evocata in giudizio dal paziente che, instaurando un rapporto contrattuale, si è sottoposto ad un intervento chirurgico all’interno della struttura stessa, sostenga che l’esclusiva responsabilità dell’accaduto non è imputabile a sue mancanze tecnico-organizzative ma esclusivamente alla imperizia del chirurgo che ha eseguito l’operazione, agendo in garanzia impropria e chiedendo di essere tenuta indenne di quanto eventualmente fosse condannata a pagare nei confronti della danneggiata, ed in regresso nei confronti del chirurgo, affinchè, nei rapporti interni si accerti l’esclusiva responsabilità di questi nella causazione del danno, è sul soggetto che agisce in regresso a fronte di una responsabilità solidale che grava l’onere di provare l’esclusiva responsabilità dell’altro soggetto. Non rientra invece nell’onere probatorio del chiamato l’onere di individuare precise cause di responsabilità della clinica in virtù delle quali l’azione di regresso non potesse essere, in tutto o in parte, accolta

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI RAVENNA

SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Letizia De Maria

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 966/2015 promossa da:

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. GI.FR. e dell’avv. RI.CH. ((…)) VIA (…) BOLOGNA; elettivamente domiciliato in STRADA (…) C/O AVV. CH.RI. presso il difensore avv. GI.FR.

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. GI.FR. e dell’avv. RI.CH. ((…)) VIA (…) BOLOGNA; elettivamente domiciliato in STRADA (…) C/O AVV. CH.RI. BOLOGNA presso il difensore avv. GI.FR.

ATTORI

Contro

AZIENDA (…) DELLA ROMAGNA IN PERSONA DEL DIRETTORE P.T. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. GA.AL., elettivamente domiciliato in VIA (…) 48100 RAVENNA presso il difensore avv. GA.AL.

CONVENUTO

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato (…) e (…), in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sulle minori (…), (…) e (…) convenivano in giudizio (…) al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti per effetto della grave lesione cerebrale riportata dalla minore (…) a causa della condotta negligente dei sanitari dell’Ospedale di Luogo nelle ultime fasi della gravidanza.

A fondamento della domanda parti attrice esponevano che la minore risultava affetta da una grave encefalopatia con irrimediabile compromissione cognitiva, tetraparesi spastica, cifoscoliosi, gravissimo deficit visivo, patologie tutte ascrivibili alla inadeguata gestione sanitaria della gravidanza della madre.

In particolare, lamentava parte attrice, si erano verificate alcune omissioni nella gestione della gravidanza gemellare monocoriale, le quali avevano determinato in via esclusiva il danno, tra le quali il mancato counselling con un centro di II o III livello fin dalla presa in carico della paziente al fine di programmare il parto nonché il mancato trasporto in ambulanza fino all’Ospedale di Ferrara (centro di II livello con reparto di Terapia Intensiva Neonatale) allorché in data 25.03.2004 veniva accertata la sofferenza di uno dei due feti.

Tali negligenti omissioni, in tesi, determinavano il danno cerebrale nella piccola (…), ragione per la quale veniva richiesto il risarcimento di tutti i danni patiti dai membri della famiglia nucleare, di seguito identificati e quantificati:

  1. a) Danno biologico permanente dalla stessa patito in percentuale prossima al 100% in capo ad (…) (Euro 1.451.103 con personalizzazione massima);
  2. b) Danno patrimoniale per perdita della capacità lavorativa in capo ad (…) (Euro 287.000);
  3. c) Danno patrimoniale dei genitori per spese di assistenza medica sostenute (Euro 420.000) e da sostenersi in futuro (Euro 208.718);
  4. d) Danno non patrimoniale esistenziale in capo ai genitori ed alle sorelle della piccola (…) a causa dell’inevitabile cambiamento delle abitudini di vita del nucleo familiare (Euro 150.000 ciascuno).

Nel giudizio, così radicato, si costituiva la convenuta (…), chiedendo respingersi la domanda attorea, data l’assenza di ogni profilo di negligenza, imprudenza, imperizia dei sanitari, in ogni caso, per mancanza di nesso di causalità tra eventuali omissioni ed evento di danno, la cui determinazione doveva imputarsi a causa esclusivamente naturale, per insulto ipossico inevitabile occorso alla neonata ancora nel grembo materno ed ipoteticamente correlato ad una chiusura anticipata del dotto arterioso di Bo.

Veniva altresì chiamata in causa l’assicurazione della convenuta (…) LIMITED che si costituiva aderendo alle difese svolte dalla convenuta in punto alla insussistenza di responsabilità medica ed eccependo, inoltre, la inoperatività della polizza per mala fede della propria assicurata, che non accettava di addivenire ad una composizione stragiudiziale della lite mediante versamento agli attori della somma di Euro 400.000 onnicomprensiva, infine, chiedendo, in caso di ritenuta operatività della manleva, l’applicazione della franchigia contrattuale di Euro 500.000, come previsto nella polizza assicurativa.

La causa veniva istruita mediante consulenza tecnica medico – legale eseguita dal dott. (…), con l’ausilio della dott.ssa (…), specialista in Ginecologia ed Ostetricia, che si ritiene di porre alla base della presente decisione poiché esaustiva e fondata su specifiche conoscenze medico – legali.

Il CTU, nel contraddittorio delle parti, rispondeva esaurientemente ai quesiti posti, valutando criticamente i documenti acquisiti e svolgendo un utile esame di fatti di causa, trattamento sanitario e conseguenze per la salute della paziente, raggiungendo conclusioni che vengono fatte proprie e valutate in termini giuridici.

Il fatto storico.

La madre (…), dopo una gravidanza condotta in assenza di complicazioni, accedeva all’Ospedale di Luogo in data 25.03.2004, trovandosi tra la 38 e la 39 settimana di gravidanza, per espletare una ecografia a seguito della quale si rendevano evidenti “versamento ascitico nel feto di sinistra, liquido amniotico ridotto in entrambi i sacchi (c.d. oligoidramnios), ed indice di pulsatilità del feto di destra 0,69 e del feto di sinistra di 1,46”.

L’ecografia, dunque, evidenziava una sofferenza fetale in atto, in particolare nel feto di sinistra, che avrebbe reso necessario un parto cesareo d’urgenza in un centro dotato di Terapia Intensiva Neonatale che l’Ospedale di Luogo non aveva, pertanto, previo contatto con l’Ospedale di Ferrara, la madre veniva inviata con mezzo proprio presso il centro specializzato al fine dell’espletamento del parto.

Le due gemelle nascevano presso l’Ospedale di Ferrara lo stesso giorno alle ore 13.33 e 13.34 tuttavia la prima nata (…) riportava diagnosi di “sindrome ipossico – ischemica da causa intrauterina” ed un connesso grave danno cerebrale comportante una invalidità permanente stimata in misura pari al 90 – 95%.

La C.T.U. evidenziava una serie di criticità nella gestione della gravidanza e del parto da parte dei sanitari dell’Ospedale di Lugo da porsi in correlazione causale con l’evento di danno hic et nunc considerato, in particolare (pag. 41 e 42 relazione peritale in atti):

  1. a) L’omessa richiesta di consulenza con un centro di 2 o 3 livello sin dal momento della presa in carico della paziente, riconducibile al settembre o dicembre 2003, mesi nei quali venivano eseguite ecografie di controllo, trattandosi di consulenza preventiva imposta in casi di gravidanza a rischio al fine di programmazione del timing del parto;
  2. b) L’omesso trasporto in ambulanza della madre allorché in data 25.03.2018 si presentavano le complicazioni della gravidanza.

Non ci si sofferma sulle omissioni documentali della cartella clinica e sul mancato invio della placenta al laboratorio per esame istologico, pur rilevate dal C.T.U., in quanto condotte ritenute non determinanti del danno al neonato.

Dunque la C.T.U. proseguiva escludendo che la causa dell’insulto ipossico potesse essere quella della chiusura anticipata del dotto di Botallo, come individuato dalla convenuta, poiché a tale patologica condizione era associata idrope fetale e non, come nel caso di specie, ascite fetale (pag. 37 relazione peritale in atti), ipotizzando, invece, quale causa probabile dell’ipossia perinatale, una variazione emodinamica a livello delle anastomosi arterovenose placentari che aveva provocato un sovraccarico cardiocircolatorio nella gemella prima nata – variazione avvenuta presumibilmente nel periodo di tempo dal 21.03.2004 al 25.03.2004, poiché la precedente ecografia a data 20.03.2004, colo cinque giorni prima del parto, non aveva presentato anomalie – (pag. 38 relazione peritale in atti).

La C.T.U., pertanto, concludeva che, pur non essendovi nel 2004 le linee guida e buone prassi attualmente vigenti, in base alle quali il parto in gravidanza gemellare monocoriale deve essere eseguito non oltre la 36-37 settimana, l’invio della paziente almeno in data 20.03.2004 al centro di 2 o 3 livello per la programmazione del parto avrebbe “attenuato il danno neurologico, evitando uno stress ipossico eccessivo”. Proseguiva la C.T.U. sostenendo che “certamente, sotto il profilo medico – legale ed applicando un criterio controfattuale come richiesto nel caso di specie, si può affermare che le criticità emerse sia nella fase della gestione della gravidanza sia nell’emergenza – urgenza del 25.03.2004 abbiano ridotto le chances di migliore evoluzione e gestione della complicanza che la gravidanza della signora (…) presentava e che quanto verificatosi in data 25.03.2004 abbia contribuito ad aggravare (fattore concausale) le severe lesioni cerebrali ipossico – ischemiche responsabili della gravissima disabilità di cui la paziente risulta attualmente affetta” (pag. 43 e 46 relazione peritale in atti).

Tali affermazioni saranno fatte proprie dal giudicante e precisata nel paragrafo che segue dedicato all’accertamento della responsabilità della struttura sanitaria nella causazione del danno.

L’accertamento della responsabilità della struttura sanitaria nella gestione della gravidanza.

La responsabilità della struttura sanitaria è ormai pacificamente di natura contrattuale ex art. 1218 c.c., come espressamente previsto dalla L. n. 24 del 2017, ed è soggetta pertanto ad un regime probatorio privilegiato ed al termine di prescrizione ordinario decennale.

Il contratto di spedalità è un contratto ad effetti protettivi di terzi, quali sono i neonati che la gestante porta in grembo ed il padre che, dunque, sono soggetti pienamente legittimati a chiedere il risarcimento dei danni che si siano determinati in conseguenza di un inadempimento imputabile alla struttura.

Quanto all’onere della prova, è sufficiente per il paziente danneggiato allegare di aver richiesto ed ottenuto un trattamento sanitario, comprovando il peggioramento, in esito ad esso, dello stato di salute, oltre al nesso di causalità tra fatto e danno, mentre incombe sulla parte convenuta, debitrice della prestazione di cura ed assistenza, dimostrare di aver diligentemente e correttamente eseguito la propria prestazione, con conseguente imputabilità dell’evento di danno a fattori esterni ed indipendenti dal proprio operato.

In mancanza di tale rigorosa dimostrazione, opera il criterio del “più probabile che non”, applicando il quale alla struttura ospedaliera possono essere ascritte le evenienze negative conseguite alla prestazione sanitaria incongrua, ove ragionevolmente e logicamente rapportabili ad un caso di malasanità.

La giurisprudenza, in punto di accertamento della responsabilità sotto il profilo della causalità materiale, ha ulteriormente chiarito, in casi del tutto analoghi a quello che occupa, che, ove sia accertata una coesistenza di fattori causativi dell’evento di danno, l’uno di origine naturale, l’altro dovuto ad errore umano, il nesso di causalità tra condotta ed evento di danno o non sussiste, poiché la causa naturale risulta da sola sufficiente a determinare il danno, ovvero, sussiste per intero, dovendo l’interprete tenere conto, in ogni caso, della concausalità naturale al fine della concreta determinazione del quantum del risarcimento.

Nel caso di specie, pertanto, spettava alla struttura sanitaria l’onere di dimostrare la diligenza con la quale la prestazione sanitaria veniva resa nei confronti della madre e delle neonate e la conseguente non imputabilità del danno, dovuto a diversa causa fortuita, tuttavia, sugli aspetti di negligenza individuati dalla C.T.U., la convenuta si limitava a replicare:

  1. a) L’inesistenza all’epoca di linee guida che raccomandassero il parto tra la 36 e la 37 settimana, pertanto, anche una consulenza con un centro specializzato non avrebbe determinato la programmazione del parto in epoca antecedente alla manifestazione della complicanza, momento nel quale il travaglio non era iniziato;
  2. b) La diligenza dei sanitari che, avvedutisi della sofferenza fetale in atto in data 25.03.2004, decidevano di inviare la paziente presso un centro specializzato per l’espletamento del parto, per il vantaggio rappresentato dalla presenza della terapia intensiva neonatale;
  3. c) Che il trasporto in ambulanza anziché con mezzo proprio avrebbe consentito un limitato quanto irrilevante risparmio di tempo ed il danno si sarebbe in ogni caso verificato.

La C.T.U., condotta secondo un giudizio prognostico, ex ante ed in concreto, evidenziava però che sarebbe stata opportuna la scelta di mettere in contatto la paziente per la programmazione del parto, se non dal momento della presa in carico mesi prima, almeno in data 20.03.2004, quando ancora l’ecografia non evidenziava anomalie ed in epoca ormai prossima al termine della gravidanza ed alla verificazione dell’insulto ipossico.

La complicanza ed il danno subito dalla neonata si sarebbe, infatti, probabilmente allo stesso modo verificato nei cinque giorni avvenire, ragionevolmente escludendo che, in assenza di linee guida che imponessero l’espletamento del parto in epoca antecedente la 37 settimana, anche il centro specializzato avrebbe programmato il parto entro cinque giorni dall’invio della paziente alla 38 settimana, tuttavia la paziente, presa in carico dal centro maggiormente specializzato, avrebbe beneficiato, in applicazione del medesimo criterio probabilistico, di una migliore gestione della emergenza e di un notevole risparmio di tempo nell’espletamento del parto.

In base a quanto rilevato dalla C.T.U. e sulla basi di nozioni di comune esperienza, può essere quantificato il probabile risparmio di tempo nell’espletamento del parto, in caso di pregressa consulenza e corretta gestione della emergenza, almeno di un’ora.

Considerato, infatti che l’ecografia del 25.03.2004, rivelatrice della anomalia, veniva eseguita alle 9,40 ed il parto espletato alle 13,40, dopo 4 ore; l’abbattimento dei tempi di consulenza con il centro specializzato, richiesta proprio in concomitanza della emergenza, lo spostamento in ambulanza anziché con mezzo proprio, il cesareo di urgenza eseguito entro 40 minuti dall’accesso, come prescritto nelle linee guida (anziché dopo quasi 60 minuti come avvenuto, dato che l’Ospedale di Ferrara non aveva mai avuto in carico prima (…)), sono tutte circostanze che avrebbero fatto risparmiare almeno 20 minuti di tempo ciascuna in modo tale da anticipare il parto di circa 1 ora con probabile attenuazione del danno neurologico della piccola (…).

Viene individuata, dunque, una negligenza causalmente rapportabile all’evento di danno, pur connotato da una genesi multifattoriale, considerato che la tempestività nella risoluzione delle emergenze ginecologiche è fattore essenziale al fine di limitare i danni alla salute della madre e dei feti, come è noto e come è stato apprezzato scientificamente dal C.T.U. secondo il quale “il ritardo nella esecuzione del taglio cesareo in urgenza può avere peggiorato le condizioni fetali neonatali” (pag. 28 relazione peritale in atti).

Ciò premesso, deve essere individuata con criteri equitativi la diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica al fine di ascrivere alla struttura sanitaria, responsabile sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili alla mala gestio, bensì determinate dal caso fortuito, tale essendo la pregressa situazione patologica della neonata (…), esistente già prima della nascita.

I danni risarcibili

  1. a) Danno biologico permanente differenziale di (…).

Premesso che la giurisprudenza da tempo si informa ai principi di integralità e personalizzazione nella liquidazione del danno non patrimoniale, senza duplicazioni risarcitorie, in punto ad invalidità accertata, non vi è motivo per discostarsi dalle valutazioni compiute dal CTU che stima il danno biologico permanente in 90 punti percentuali.

Nel caso di specie, a fronte di un danno biologico complessivo nella misura del 90%, si stima il danno biologico che si sarebbe comunque registrato a fronte di una corretta gestione della emergenza nella misura del 45%, derivandone a causa dell’inesatto adempimento della struttura un danno biologico differenziale del 45%.

Pertanto, questo Tribunale reputa equo e congruo liquidare il danno sulla scorta delle nuove Tabelle di Milano 2018, parametro di riferimento per la liquidazione dei danni da lesioni macropermanenti derivanti anche da attività medico chirurgica ed accolto da questo Tribunale.

La tecnica di liquidazione del danno differenziale consiste nella quantificazione dell’intero danno biologico rilevato e nella successiva sottrazione della entità di danno biologico non riconducibile alla responsabilità della struttura, ciò al fine di una determinazione congrua del danno in concreto risarcibile che tenga conto dell’impianto delle tabelle risarcitorie che prevedono aumenti progressivi del risarcimento per punto d’invalidità crescente.

Si avrà dunque, con applicazione della personalizzazione massima del 25%, avuto riguardo al caso di specie, relativo al danno patito da un neonato oggi invalido al 100% con conseguente impossibilità di attendere in autonomia alle ordinarie abitudini di vita, un danno biologico differenziale risarcibile all’attualità di Euro 877.747.

Tale importo è da reputarsi comprensivo del pretium doloris e dei disagi che la piccola (…) ha dovuto affrontare, da reputarsi afferenti alla vita quotidiana e di relazione per dover adeguarsi alla propria condizione di salute.

Trattandosi di debito di valore, con la sentenza cristallizzato in debito di valuta, sulla somma riconosciuta devono essere corrisposti, anziché interessi compensativi sulla somma devalutata e poi progressivamente rivalutata, come da indicazioni di Cass. S.U. n. 1712/1995, interessi compensativi in misura legale sulla somma già rivalutata a decorrere da una data intermedia tra quella del fatto e la decisione, che si fissa, equitativamente, nel 25.03.2011. La misura di tali interessi è di Euro 71.122, da sommare al capitale di Euro 877.747, per ottenere, infine, la somma di Euro 948.869, la liquidarsi a titolo di danno biologico differenziale, oltre interessi in misura legale dalla sentenza sino al saldo.

  1. b) Danno patrimoniale futuro per perdita della capacità lavorativa generica di (…)

Deve poi essere riconosciuto il danno patrimoniale, in termini di lucro cessante futuro, commisurato alla totale incapacità di produrre reddito, non compreso nel risarcimento del danno biologico che può essere liquidato, in assenza di elementi in ordine alla capacità ed attitudine al lavoro che il danneggiato avrebbe avuto, secondo criteri equitativi.

La perdita della capacità lavorativa generica, nel caso di specie, deve essere risarcita utilizzando il criterio della sommatoria di tutti i redditi che la danneggiata perderà tra il momento della liquidazione e il momento futuro in cui avrebbe comunque cessato il lavoro, e quindi applicando eventualmente al risultato un saggio di sconto poiché la danneggiata percepisce immediatamente redditi che, se fosse rimasta sana, avrebbe riscosso solo tra alcuni anni e trarrebbe vantaggio dal risarcimento immediato se non si eliminasse, attraverso lo sconto, il cd. “montante di anticipazione”.

Tenuto conto del danno biologico permanente che in ogni caso si sarebbe verificato in misura pari al 45%, si stima che la capacità lavorativa generica, in assenza di responsabilità medica, pur non suscettibile di azzeramento, tuttavia avrebbe subito una forte contrazione, rendendo la danneggiata abile a lavori costituenti sì fonte di reddito ma retribuiti in misura inferiore almeno della metà rispetto al reddito medio annuo pro capite di Euro 20.690 come individuato nei dati diffusi dal (…) per l’anno 2016, pertanto, si ritiene equo prendere a parametro per le successive operazioni di calcolo del danno patrimoniale futuro un reddito medio annuo di Euro 10.345.

Il danno risarcibile si otterrà, dunque, moltiplicando il reddito medio annuo di Euro 10.345 per i 15 anni in cui il reddito di lavoro sarà verosimilmente perduto, ovvero dai 20 anni di età della danneggiata (conseguimento del diploma di scuola superiore e presumibile inizio dell’attività lavorativa) ai 35 anni di età (aspettativa media di vita di persone nelle stesse condizioni di salute della danneggiata).

La somma che ne risulta è di Euro 155.175 la quale sarà corrisposta all’esito della presente sentenza nell’anno 2018, nel quale la danneggiata ha raggiunto l’età di 14 anni, pertanto, 6 anni prima del raggiungimento dei 20 anni di età, motivo per il quale viene operata la capitalizzazione anticipata, volta a compensare un danno futuro che si assume costante in un arco di tempo di 6 anni, sulla base di un tasso di sconto del 2,5% in ragione di anno al fine di attualizzare la somma come individuata.

Si avrà, all’esito di tale operazione, la quantificazione di un danno pari ad Euro 133.807, oltre interessi in misura legale dalla sentenza al saldo.

  1. c) Danno patrimoniale per spese mediche sostenute dei genitori (…) e (…).

Parti attrici quantificano e documentano le spese mediche sostenute in Euro 603,06 per l’anno 2007, Euro 5.595,08 per l’anno 2008, Euro 13.566,02 per l’anno 2009, Euro 37.949,26 per l’anno 2010, Euro 22.902,50 per l’anno 2011, Euro 22.712,02 per l’anno 2012, Euro 26.501,45 per l’anno 2013, Euro 23.846,39 per l’anno 2014 per un totale di Euro 208.718,53.

Parte convenuta si limita a contestare genericamente l’importo delle spese sanitarie delle quali viene chiesto il rimborso, non ritenendo sussistente alcuna responsabilità per l’evento di danno, né rileva dal punto di vista giuridico l’affermazione del C.T.U. secondo la quale talune spese relative agli anni 2007, 2008, 2009, 2010 per musicoterapia, psicomotricità, ippoterapia, cure presso il centro di neuroriabilitazione Ad.Me. (viaggi aerei inclusi), prezzo di acquisto dell’automezzo (…) attrezzato per disabili non sono riconducibili a livelli essenziali di assistenza e pertanto escludibili da rimborso.

Non è controverso che tali voci di spesa sostenute dai genitori costituiscano danno patrimoniale quale conseguenza immediata e diretta dell’inesatto adempimento della prestazione sanitaria ai sensi dell’art. 1223 c.c., dunque risarcibili, salva la considerazione che, escluso l’inadempimento, una invalidità vi sarebbe comunque stata e talune spese mediche sarebbero state in ogni caso sostenute, seppur in misura minore.

Appare equo e congro pertanto concedere il rimborso di tali spese nella misura del 50% del totale per l’ammontare di Euro 104.359. Trattandosi di condanna al pagamento di una somma di denaro, quale obbligazione di valuta, sulla stessa risultano dovuti interessi in misura legale decorrenti dalla domanda giudiziale sino al saldo.

  1. d) Danno patrimoniale per spese mediche da sostenersi in futuro dei genitori (…) e (…).

Deve poi essere riconosciuto il danno patrimoniale, in termini di danno emergente futuro, commisurato alla misura delle spese mediche che i genitori dovranno sostenere in futuro, da liquidare anche in questo caso secondo criteri equitativi.

Le spese mediche future, nel caso di specie, devono essere risarcite utilizzando il criterio della moltiplicazione della media annuale delle spese mediche sostenute sino all’anno 2014, pari ad Euro 26.000, per il numero di 25 anni avvenire, a decorrere dal 2015 e tenuto conto della menzionata aspettativa di vita di 35 anni, nei quali saranno necessarie altrettante spese mediche, essendo la condizione della danneggiata completamente stabilizzata e non suscettibile di miglioramenti.

Si avrà, dunque, il risarcimento nella misura di Euro 650.000, apparendo congruo concedere il risarcimento di tali spese nella misura del 50% del totale in ragione della preesistenza, somma ulteriormente ed equitativamente decurtata per l’anticipazione del rimborso della maggioranza delle spese per annualità future, risultando all’esito la cifra di Euro 300.000, oltre interessi in misura legale dalla sentenza al saldo.

Per inciso, si osserva che nella liquidazione del danno patrimoniale consistente nelle spese che la vittima di lesioni personali deve sostenere per l’assistenza domiciliare, il giudice deve detrarre d’ufficio dal credito risarcitorio i benefici spettanti alla vittima a titolo di indennità di accompagnamento ma solo se i presupposti di tale operazione risultino dagli atti (Cass. civ. n. 7774/2016). Nel caso di specie, oltre a non esservi domanda in tal senso di parte convenuta, l’indennità di accompagnamento percepita non risulta in alcun modo quantificata.

  1. e) Danno non patrimoniale in capo ai genitori (…) e (…) ed alle sorelle (…) e (…).

Venendo alla quantificazione del danno esistenziale patito dai genitori e dalle sorelle di (…) esso è suscettibile di risarcimento poiché la lesione del rapporto parentale attinge valori di indubbio rilievo costituzionale.

Tale danno non può che ritenersi presuntivamente provato in ragione della entità delle lesioni patite dalla minore e delle conseguenti difficoltà esistenziali che la presenza di un membro invalido al 100% comporta in un nucleo familiare.

Al fine di attuare la liquidazione equitativa di tale posta di danno vengono presi a riferimento i valori di risarcimento del danno parentale da perdita di congiunto secondo le Tabelle del Tribunale di Milano 2018, abbattuti del 50% sia perché (…) è in vita sia perché, come più volte ribadito, una porzione di invalidità è dovuta alla causa naturale preesistente.

Si avrà, pertanto, in favore dei genitori, la liquidazione di Euro 83.000 ciascuno, già comprensiva di rivalutazione ed interessi compensativi, oltre interessi in misura legale dalla sentenza al saldo.

In favore delle sorelle, invece, si otterrà la liquidazione di Euro 12.000 ciascuna, già comprensiva di rivalutazione ed interessi compensativi, oltre interessi in misura legale dalla sentenza al saldo.

Diritto di (…) ad essere tenuta indenne e manlevata da (…) LIMITED in forza di polizza assicurativa.

La struttura convenuta, responsabile del danno occorso, ha richiesto a sua volta di essere tenuta indenne e manlevata dalla sua personale assicurazione (…) LIMITED in forza di polizza n. (…) in corso di validità alla data del sinistro.

In primo luogo, si osserva che il sinistro ha ad oggetto danno alla salute arrecato da mala gestio del personale sanitario, chiaramente rientrante tra i rischi assicurati dalla polizza stipulata.

Restano da esaminare, dunque, le eccezioni sollevate da (…) LIMITED in ordine all’operatività esclusa o limitata della polizza stipulata.

Si ritiene, in primo luogo, pienamente operativa la polizza di assicurazione nonostante la circostanza prospettata di mancata adesione della assicurata alla definizione di accordo transattivo assicurazione/danneggiati mediante liquidazione di un danno di Euro 400.000 onnicomprensivo, infatti, non vi è prova che la transazione, oltretutto non formalizzata né versata in atti, avrebbe evitato la lite poiché tale somma avrebbe potuto essere trattenuta in acconto del maggior danno richiesto in risarcimento nell’odierno giudizio di merito.

È, poi, certamente applicabile la franchigia contrattuale di Euro 500.000 per sinistro prevista nell’art. 1 della polizza assicurativa.

Le ragioni della decisione includono la già espressa valutazione di superfluità delle istanze istruttorie, che non avrebbero apportato, ove accolte, elementi utili alla decisione, alla quale si è potuti pervenire sulla scorta di quanto già presente e valutabile in atti. Risultano superflue le prove orali sul danno esistenziale, raggiunta in via presuntiva, e le istanze di chiarimenti e di rinnovazione della C.T.U., esaustiva con riferimento ai quesiti posti.

Le spese di lite seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo secondo il (…) n. 55 del 2014, anche nei rapporti tra convenuto e terzo chiamato. Le spese di C.T.U. sono da porsi definitivamente a carico di parte convenuta.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa che reca n.r.g. 966/2015, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

– Accerta la responsabilità di (…) in merito al danno alla salute occorso ad (…) e per l’effetto

– Dichiara tenuta e condanna (…) al pagamento delle seguenti poste risarcitorie:

  1. a) A titolo di danno biologico differenziale la somma di Euro 948.869 in favore di (…); comprensiva di rivalutazione e di interessi legali decorrenti dal 25.03.2011 ad oggi, oltre interessi legali sulla predetta somma dalla pubblicazione della sentenza sino al saldo;
  2. b) A titolo di danno patrimoniale futuro per perdita della capacità lavorativa la somma di Euro 133.807 in favore di (…), oltre interessi legali sulla predetta somma dalla pubblicazione della sentenza sino al saldo;
  3. c) A titolo di danno patrimoniale per spese mediche sostenute la somma di Euro 104.359 in favore di (…) e (…), oltre interessi legali sulla predetta somma dalla domanda sino al saldo;
  4. d) A titolo di danno patrimoniale per spese mediche future la somma di Euro 300.000 in favore di (…) e (…), oltre interessi in misura legale dalla pubblicazione della sentenza al saldo;
  5. e) A titolo di danno non patrimoniale la somma di Euro 83.000 in favore di (…); di Euro 83.000 in favore di (…), di Euro 12.000 in favore di (…); di Euro 12.000 in favore di (…), somme già comprensive di interessi e rivalutazione, oltre interessi in misura legale su tutte le predette somme dalla pubblicazione della sentenza al saldo;

– Condanna (…) al pagamento delle spese di lite in favore di parte attrice che si liquidano in Euro 20.000 per compensi, oltre 15% per spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge; spese di C.T.U. definitivamente a carico di parte convenuta;

– Condanna (…) LIMITED a tenere indenne (…) delle somme come sopra determinate e poste a suo carico, anche in via di regresso, per risarcimento danni e spese di lite, come da termini contrattuali;

– Condanna (…) LIMITED al pagamento in favore di (…) delle spese di lite, che si liquidano, per la chiamata, in Euro 10.000 per compensi, oltre 15% per spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Così deciso in Ravenna il 20 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 22 giugno 2018.

n tema di controlli ecografici sul feto, ai fini della relativa diagnosi morfologica, l’obbligo gravante sulla struttura sanitaria e sullo stesso medico strutturato, che abbia concretamente operato la diagnosi, di informare la paziente, che ad essa si sia rivolta (ed abbia, quindi, concluso con la struttura il c.d. contratto di spedalità), di poter ricorrere a centri di più elevata specializzazione sorge, anzitutto, in ragione dell’esistenza di un presupposto inadempimento, addebitabile unicamente alla struttura sanitaria, di aver assunto la prestazione diagnostica pur non disponendo di attrezzature all’uopo adeguate, così da ingenerare nella paziente l’affidamento che il risultato diagnostico ottenuto (di normalità fetale) sia quello ragionevolmente conseguibile in modo definitivo.

Si tratta di inadempimento legato a deficit organizzativi della struttura sanitaria, la quale, infatti, è obbligata, proprio in base al citato contratto di spedalità, a mettere a disposizione non solo il personale sanitario, ma anche le necessarie attrezzature idonee ed efficienti, della cui inadeguatezza essa struttura, inadempiente ex art. 1218 cod. civ., risponde in modo esclusivo (cfr., tra le tante, Cass., sez. un., 1 luglio 2002, n. 9556; Cass., 26 gennaio 2006, n. 1698), essendo, dunque, esonerato da siffatta specifica responsabilità il medico che, diligentemente e in modo perito secondo le leges artis, sia intervenuto sul paziente (Cass., 11 maggio 2009, n. 10743).

L’inadempimento (da parte della struttura sanitaria) dell’obbligazione da ultimo indicata genera l’ulteriore obbligo informativo anzidetto, che si pone a protezione del paziente e che grava non solo sulla struttura sanitaria, ma, questa volta, anche sul medico operante, il quale, pure se esente da colpa professionale nella fase esecutiva del suo intervento, è comunque tenuto ad avvisare il paziente della inadeguatezza degli strumenti diagnostici, così da non determinare in esso l’insorgere di un incolpevole affidamento sulla sicura bontà dell’esame strumentale.

Ed è proprio in tale prospettiva che questa Corte ha affermato doversi ravvisare la colpa del medico che ometta di attivarsi per il trasferimento di un paziente in una struttura ospedaliera più idonea ove in quella di ricovero non possa essere adeguatamente curato (Cass., 22 ottobre 2014, n. 22338).

Dunque, l’obbligo protettivo di informazione nasce in uno con l’inadempimento, da parte della struttura sanitaria, dell’obbligo di adeguatezza organizzativa in rapporto all’assunzione della prestazione di spedalità in favore del paziente nonostante il deficit organizzativo. Sicché, il principio enunciato dalla decisione del 2011 non impone sempre e comunque alla struttura sanitaria ed al medico strutturato (che abbia correttamente operato in base agli strumenti diagnostici a sua disposizione) di indirizzare la paziente ad un centro ecografico di più elevata specializzazione, ma soltanto ove le apparecchiature tecniche non siano adeguate allo scopo; ossia – nella specie – non fossero tali da fornire una risposta corretta e completa in ordine alla diagnosi morfologica del feto diversamente da altri strumenti ecografici presenti in strutture sanitarie diverse.

Sicché è corretta la decisione del giudice di appello che – al di là dell’erroneo convincimento sulla portata dell’evocato precedente di questa Corte – ha escluso, in linea con i principi sopra enunciati, l’assenza dell’inadempimento (a carico di struttura sanitaria e medici) dell’obbligo di informare la M. sulla presenza di altri centri specializzati e più idonei a rendere una diagnosi di morfologia fetale corretta e completa, giacché era ‘del tutto arbitrario affermare che la difficoltà nella diagnosi dipendesse, quantomeno all’epoca, dalla mancata visione degli arti nella loro interezza e non dalla rudimentale tecnica dei macchinari in quel periodo utilizzabili’ (anno 1986), che, come accertato in base alla espletata c.t.u. collegiale, ‘non consentivano che una scarsa sensibilità (inferiore al 20% in età gestazionale utile all’interruzione della gravidanza’ (p. 13 della sentenza).

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 8 marzo 2016, n.4540 – Pres. Spirito – est. Vincenti

n tema di controlli ecografici sul feto, ai fini della relativa diagnosi morfologica, l’obbligo gravante sulla struttura sanitaria e sullo stesso medico strutturato, che abbia concretamente operato la diagnosi, di informare la paziente, che ad essa si sia rivolta (ed abbia, quindi, concluso con la struttura il c.d. contratto di spedalità), di poter ricorrere a centri di più elevata specializzazione sorge, anzitutto, in ragione dell’esistenza di un presupposto inadempimento, addebitabile unicamente alla struttura sanitaria, di aver assunto la prestazione diagnostica pur non disponendo di attrezzature all’uopo adeguate, così da ingenerare nella paziente l’affidamento che il risultato diagnostico ottenuto (di normalità fetale) sia quello ragionevolmente conseguibile in modo definitivo.

Si tratta di inadempimento legato a deficit organizzativi della struttura sanitaria, la quale, infatti, è obbligata, proprio in base al citato contratto di spedalità, a mettere a disposizione non solo il personale sanitario, ma anche le necessarie attrezzature idonee ed efficienti, della cui inadeguatezza essa struttura, inadempiente ex art. 1218 cod. civ., risponde in modo esclusivo (cfr., tra le tante, Cass., sez. un., 1 luglio 2002, n. 9556; Cass., 26 gennaio 2006, n. 1698), essendo, dunque, esonerato da siffatta specifica responsabilità il medico che, diligentemente e in modo perito secondo le leges artis, sia intervenuto sul paziente (Cass., 11 maggio 2009, n. 10743).

L’inadempimento (da parte della struttura sanitaria) dell’obbligazione da ultimo indicata genera l’ulteriore obbligo informativo anzidetto, che si pone a protezione del paziente e che grava non solo sulla struttura sanitaria, ma, questa volta, anche sul medico operante, il quale, pure se esente da colpa professionale nella fase esecutiva del suo intervento, è comunque tenuto ad avvisare il paziente della inadeguatezza degli strumenti diagnostici, così da non determinare in esso l’insorgere di un incolpevole affidamento sulla sicura bontà dell’esame strumentale.

Ed è proprio in tale prospettiva che questa Corte ha affermato doversi ravvisare la colpa del medico che ometta di attivarsi per il trasferimento di un paziente in una struttura ospedaliera più idonea ove in quella di ricovero non possa essere adeguatamente curato (Cass., 22 ottobre 2014, n. 22338).

Dunque, l’obbligo protettivo di informazione nasce in uno con l’inadempimento, da parte della struttura sanitaria, dell’obbligo di adeguatezza organizzativa in rapporto all’assunzione della prestazione di spedalità in favore del paziente nonostante il deficit organizzativo. Sicché, il principio enunciato dalla decisione del 2011 non impone sempre e comunque alla struttura sanitaria ed al medico strutturato (che abbia correttamente operato in base agli strumenti diagnostici a sua disposizione) di indirizzare la paziente ad un centro ecografico di più elevata specializzazione, ma soltanto ove le apparecchiature tecniche non siano adeguate allo scopo; ossia – nella specie – non fossero tali da fornire una risposta corretta e completa in ordine alla diagnosi morfologica del feto diversamente da altri strumenti ecografici presenti in strutture sanitarie diverse.

Sicché è corretta la decisione del giudice di appello che – al di là dell’erroneo convincimento sulla portata dell’evocato precedente di questa Corte – ha escluso, in linea con i principi sopra enunciati, l’assenza dell’inadempimento (a carico di struttura sanitaria e medici) dell’obbligo di informare la M. sulla presenza di altri centri specializzati e più idonei a rendere una diagnosi di morfologia fetale corretta e completa, giacché era ‘del tutto arbitrario affermare che la difficoltà nella diagnosi dipendesse, quantomeno all’epoca, dalla mancata visione degli arti nella loro interezza e non dalla rudimentale tecnica dei macchinari in quel periodo utilizzabili’ (anno 1986), che, come accertato in base alla espletata c.t.u. collegiale, ‘non consentivano che una scarsa sensibilità (inferiore al 20% in età gestazionale utile all’interruzione della gravidanza’ (p. 13 della sentenza).