AVVOCATO CIVILISTA BOLOGNA : CAPARRA CONFIRMATORIA

AVVOCATO CIVILISTA BOLOGNA : CAPARRA CONFIRMATORIA , RECESSO CORTE APPELLO BOLOGNA

CAPARRA FONDAMENTALE PER IL CONTRATTO COMPRAVENDITA

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BOLOGNA RAVENNA RIMINI CESENA FORLI VEDOVO VEDOVA ESTROMESSI DA EREDITA’ DIRITTI DEI VEDOVI

n tema di ,caparra confirmatoria il principio di cui al comma 2 dell’art. 1385 c.c. (in virtù del quale la parte non inadempiente ha facoltà di recedere dal contratto ritenendo la caparra ricevuta od esigendone il doppio rispetto a quella versata) non è applicabile (come, in effetti, dedotto dai ricorrenti) tutte le volte in cui la parte non inadempiente, anziché recedere dal contratto, si avvalga del rimedio ordinario della risoluzione del negozio, perdendo, in tal caso, la funzione di liquidazione convenzionale anticipata del danno; tuttavia, deve affermarsi (cfr, ad es., Cass. n. 11356 del 2006) che, qualora, anziché recedere dal contratto, la parte non inadempiente si avvalga dei rimedi ordinari della richiesta di adempimento ovvero di risoluzione del negozio (come verificatosi nella specie), la restituzione della caparra è ricollegabile agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venir meno della causa della corresponsione, giacché in tale ipotesi essa perde la suindicata funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria all’importo convenzionalmente stabilito in contratto, e la parte che allega di aver subito il danno, oltre che alla restituzione di quanto prestato in relazione o in esecuzione del contratto, ha diritto anche al risarcimento dell’integrale danno subito, se e nei limiti in cui riesce a provarne l’esistenza e l’ammontare in base alla disciplina generale di cui agli artt. 1453 ss. c.c., salvo che non ne sia stata convenzionalmente predeterminata la misura sotto forma di clausola penale. In altri termini, qualora la parte non inadempiente, invece di recedere dal contratto, manifesti la volontà di optare per l’esercizio del rimedio ordinario della risoluzione del negozio, la restituzione di quanto versato a titolo di caparra è dovuta dalla parte adempiente quale effetto della risoluzione stessa in conseguenza della caducazione della sua causa giustificativa, senza alcuna necessità di specifica prova del danno, essendo il danno stesso (consistente nella perdita della somma capitale versata alla controparte maggiorata degli interessi) “in re ipsa”, mentre la prova richiesta alla parte che abbia scelto il rimedio ordinario della risoluzione del preliminare riguarderà esclusivamente l’eventuale maggior danno subito in conseguenza dell’inadempimento dell’altra parte.

L’INTERESSANTE FATTO:

Il Tribunale di Ravenna, con sentenza n. 1264 del 02.11.15, in accoglimento delle domande proposte da JJ, XX e P(omissis) E(omissis), in qualità di legale rappresentante della Società ‘Alfa’ S.r.l., ha dichiarato risolto il contratto preliminare di compravendita del 12 gennaio 2010 — sostitutivo della precedente proposta irrevocabile di acquisto conclusa il 28 luglio 2008 — con il quale il Sig. YY si era impegnato a vendere loro “..un terreno sito in (omissis) via (omissisrecte : località in provincia di Ravenna ; NdRedattore ], composto da terreno edificabile con destinazione residenziale in fase di approvazione definitiva n. 6 lotti..” per la complessiva somma di 1.000.000,00 euro di cui 300.000,00 euro da versare a titolo di caparra confirmatoria ed i restanti 700.000,00 euro nel momento del rogito notarile e, per l’effetto, ha condannato il Sig. YY alla restituzione delle somme trattenute a titolo di caparra confirmatoria nonché al pagamento a titolo di penale della somma di 50.000,00 euro ciascuno a XX e P(omissis) E(omissis) nella predetta qualità e della somma di 25.000,00 euro a JJ.[wpforms id=”21592″ title=”true” description=”true”]

LE  OSSERVAZIONI DELLA CORTE APPELLO CHE RIFORMA SENTENZA TRIBUNALE RAVENNA

Sul punto occorre solo aggiungere che l’inadempimento dei promissari acquirenti non ha scarsa importanza avuto riguardo all’interesse della controparte, avendo esso riguardato un’obbligazione fondamentale del rapporto sinallagmatico, ossia il pagamento anticipato di una somma deputata alla liquidazione anticipata e forfettaria del danno (per l’eventuale inadempimento) e svolgente funzione di acconto sul prezzo.

DIVISIONE EREDITARIA BOLOGNA AVVOCATO ESPERTO
DIVISIONE EREDITARIA BOLOGNA AVVOCATO ESPERTO
  1. Quanto all’introduzione di nuovi fatti e nuovi documenti tramite la memoria di costituzione di nuovo difensore (del 18 maggio 2018) e le memorie conclusionali di parte appellante, la Corte richiama il disposto dell’art. 345 cpc: le nuove circostanze enunciate ed i nuovi documenti sono pertanto inammissibili.
  2. a) accoglie l’appello proposto dal Sig. YY contro la sentenza del Tribunale di Ravenna, in data 02.11.2015.
  3. b) dichiara in capo al Sig. YY il diritto di recesso dal contratto preliminare del 12.01.2010 con conseguente diritto di trattenere tutte le somme ricevute a titolo di caparra.
  4. in tema di caparra confirmatoria, il principio di cui al comma 2 dell’art. 1385 c.c. (in virtù del quale la parte non inadempiente ha facoltà di recedere dal contratto ritenendo la caparra ricevuta od esigendone il doppio rispetto a quella versata) non è applicabile (come, in effetti, dedotto dai ricorrenti) tutte le volte in cui la parte non inadempiente, anziché recedere dal contratto, si avvalga del rimedio ordinario della risoluzione del negozio, perdendo, in tal caso, la funzione di liquidazione convenzionale anticipata del danno; tuttavia, deve affermarsi (cfr, ad es., Cass. n. 11356 del 2006) che, qualora, anziché recedere dal contratto, la parte non inadempiente si avvalga dei rimedi ordinari della richiesta di adempimento ovvero di risoluzione del negozio (come verificatosi nella specie), la restituzione della caparra è ricollegabile agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venir meno della causa della corresponsione, giacché in tale ipotesi essa perde la suindicata funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria all’importo convenzionalmente stabilito in contratto, e la parte che allega di aver subito il danno, oltre che alla restituzione di quanto prestato in relazione o in esecuzione del contratto, ha diritto anche al risarcimento dell’integrale danno subito, se e nei limiti in cui riesce a provarne l’esistenza e l’ammontare in base alla disciplina generale di cui agli artt. 1453 ss. c.c., salvo che non ne sia stata convenzionalmente predeterminata la misura sotto forma di clausola penale. In altri termini, qualora la parte non inadempiente, invece di recedere dal contratto, manifesti la volontà di optare per l’esercizio del rimedio ordinario della risoluzione del negozio, la restituzione di quanto versato a titolo di caparra è dovuta dalla parte adempiente quale effetto della risoluzione stessa in conseguenza della caducazione della sua causa giustificativa, senza alcuna necessità di specifica prova del danno, essendo il danno stesso (consistente nella perdita della somma capitale versata alla controparte maggiorata degli interessi) “in re ipsa”, mentre la prova richiesta alla parte che abbia scelto il rimedio ordinario della risoluzione del preliminare riguarderà esclusivamente l’eventuale maggior danno subito in conseguenza dell’inadempimento dell’altra parte. Tuttavia, per il caso di previsione cumulativa di caparra e penale nello stesso contratto, tale ulteriore danno sarà automaticamente determinato nel “quantum” previsto a titolo di clausola penale che ha la funzione di limitare il risarcimento del danno nel caso in cui la parte che non è inadempiente preferisca, anziché recedere dal contratto, domandarne la risoluzione (in termini, v. Cass. 28 giugno 2012 n. 10953). A tale principio la corte di merito si è correttamente attenuta nella fattispecie allorquando, nell’interpretare globalmente la menzionata clausola n. 12) del contratto preliminare in discorso, ha adeguatamente rilevato che, nel caso di inadempimento dei promissari acquirenti e di intervenuta risoluzione del contratto, il Pe. (e per lui gli eredi) sarebbe stato tenuto alla restituzione della caparra e di quanto pagato dalle parti inadempienti, salvo trattenere la penale quantificata in una misura corrispondente a quella della caparra stessa, e dunque parametro per la determinazione del danno (e non, quindi, al pagamento sia della caparra sia della penale corrispondente all’intero importo versato dai ricorrenti, provato per l’ammontare di L. 40.000.000). Anche il profilo del motivo relativo alla pretesa vessatorietà della clausola 12) va respinto, considerato che le caparre, clausole penali e similari, con le quali le parti abbiano determinato in via convenzionale anticipata la misura del ristoro economico dovuto, da una parte all’altra, in caso di recesso o inadempimento, non rientrano tra quelle previste dall’art. 1341 c.c., per le quali è richiesta la specifica approvazione. Univoca è a tal riguardo la giurisprudenza di questa corte (v., tra le altre, Cass. 23 gennaio 2004 n. 1168; Cass. 26 ottobre 2004 n. 20744; Cass. 23 dicembre 2004 n. 23965; Cass. 18 marzo 2010 n. 6558), per la quale, per un verso, le disposizioni degli artt. 1341 e 1342 c.c. concernono fattispecie relative alle condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti ed i contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari (predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali), del tutto estranee alla vicenda in esame e, per altro verso, la clausola penale, espressamente prevista dagli artt. 1382 e segg. c.c., non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi di clausole “vessatorie” tassativamente previste dall’art. 1341 c.c..[wpforms id=”21592″ title=”true” description=”true”]

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA

III sezione civile

composta dai Giudici

dott. Roberto Aponte – Presidente

dott. Anna De Cristofaro – Consigliere

dott. Luciano Varotti – Consigliere relatore

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

Nelle cause civili in grado di appello iscritta al n. R.G. 1146/16

proposta da:

YY, rappresentato e difeso dagli avv. Roberto Fabbri del foro di Ravenna e Pierluigi Mainaldi del foro di Bologna, elettivamente domiciliato in Bologna, via Marsala 14 presso lo studio dell’avv. Pierluigi Mainoldi.

– APPELLANTE –

nei confronti di

XXJJ, ‘ALFA SRL, rappresentati e difesi dagli avv. Bagioni Silvia e Gambi Paolo del foro di Ravenna, elettivamente domiciliato in Ravenna, Viale della Lirica n.21

– APPELLATI –

In punto a:

“appello avverso la sentenza n.1264/2015 del Tribunale di Ravenna”

CONCLUSIONI DELLE PARTI

L’appellante chiede e conclude:

Voglia l’Ill.ma Corte di Appello di Bologna, respingere in riforma dell’appellata sentenza le domande di risoluzione del contratto e dichiarare in capo a YY il diritto di recesso dal contratto del 12.01.2010 con conseguente diritto di trattenere tutte le somme ricevute a titolo di caparra.

Con vittoria di spese e compensi professionale di entrambi i gradi di giudizio.“.

Gli appellati chiedono e concludono:

Voglia l’Ill.ma Corte di Appello di Bologna, respinta e disattesa ogni contraria istanza,

in rito, dichiarare l’appello proposto dal Sig. YY inammissibile con ordinanza ex art. 348 bic cpc ovvero con sentenza ex art. 342 cpc;

nel merito, in caso di non accoglimento della suindicata eccezione di inammissibilità, rigettare l’appello proposto siccome infondato in fatto e in diritto e, per l’effetto, confermare la sentenza n.1264/2015 del Tribunale di Ravenna, pubblicata il 02.11.2015 nella causa civile R.G. n.5018/2014.

Con vittoria di spese e compensi professionali del presente giudizio.“.

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Il Tribunale di Ravenna, con sentenza n. 1264 del 02.11.15, in accoglimento delle domande proposte da JJ, XX e P(omissis) E(omissis), in qualità di legale rappresentante della Società ‘Alfa’S.r.l., ha dichiarato risolto il contratto preliminare di compravendita del 12 gennaio 2010 — sostitutivo della precedente proposta irrevocabile di acquisto conclusa il 28 luglio 2008 — con il quale il Sig. YY si era impegnato a vendere loro “..un terreno sito in (omissis) via (omissisrecte : località in provincia di Ravenna ; NdRedattore ], composto da terreno edificabile con destinazione residenziale in fase di approvazione definitiva n. 6 lotti..” per la complessiva somma di 1.000.000,00 euro di cui 300.000,00 euro da versare a titolo di caparra confirmatoria ed i restanti 700.000,00 euro nel momento del rogito notarile e, per l’effetto, ha condannato il Sig. YY alla restituzione delle somme trattenute a titolo di caparra confirmatoria nonché al pagamento a titolo di penale della somma di 50.000,00 euro ciascuno a XX e P(omissis) E(omissis) nella predetta qualità e della somma di 25.000,00 euro a JJ.

1.1 Nel motivare la decisione il Tribunale osservava: 

– che dalla documentazione versata in atti era palese l’inadempimento del Sig. YY agli obblighi assunti con il preliminare 12 gennaio 2010 a fronte dell’avvenuto versamento della somma a titolo di caparra confirmatoria di euro 99.000,00 euro ciascuno da parte dei Sig.ri XX e P(omissis) E(omissis), e di 46.000,00 euro da parte del Sig. JJ atteso che il promittente venditore ha fatto spirare il termine improrogabile per la stipula del contratto definitivo,

– che il pagamento della penale era dovuto in ragione dell’espressa pattuizione contrattuale del punto 8 del preliminare di vendita secondo il quale “..in caso di inadempimento della parte venditrice o in caso di ritardo della consegna la parte venditrice si obbliga ex art. 1382 cc di pagare all’acquirente 150.000,00 euro di penale più la restituzione della caparra..”,

– che il Sig. YY non aveva mai contestato la revoca, da parte dei proprietari dei lotti promessi in vendita, del mandato ad agire in loro nome.

  1. Avverso tale sentenza il Sig. YY ha proposto appello deducendo:

– che il Tribunale non avrebbe “..tenuto conto dell’esistenza di due contratti intervenuti tra le parti e dei relativi pagamenti effettuati dai compratori al YY..” in base ai quali il conteggio delle somme versate raggiungeva l’importo complessivo di 244.000,00 euro, di gran lunga inferiore rispetto alla prevista caparra confirmatoria;

– che era dunque manifesto l’inadempimento dei promittenti acquirenti, il cui comportamento aveva indotto il YY a recedere dal contratto ai sensi dell’art. 1385 n.2 cc, trattenendo le somme percepite a titolo di caparra confirmatoria.

  1. Gli appellati, nel costituirsi in giudizio, hanno chiesto alla Corte di dichiarare inammissibile l’appelloex art. 348 bis cpc ovvero ex art 342 cpc e, in subordine, la conferma integrale del provvedimento oggetto di gravame.
  2. All’udienza del 22.05.2018 la Corte ha trattenuto la causa in decisione sulle conclusioni scritte in epigrafe ed ha assegnato alle parti i termini di legge per il deposito degli scritti difensivi conclusionali.

——<>——

  1. L’appello è fondato e, di conseguenza, merita accoglimento.
  2. Il preliminare del 12 gennaio 2010 prevedeva, infatti, il pagamento di euro 300 mila a titolo di caparra confirmatoria in varie quote, entro il 30 aprile 2010 .
  3. A tale versamento i promissari acquirenti hanno provveduto in misura inferiore, versando al YY euro 249 mila (considerando sia gli importi indicati negli assegnisub docc. n° 3, 4 e 5, pari ad euro 229 mila, sia il danaro asseritamente versato in contante, pari ad euro 20 mila, risultante dagli appunti manoscritti sui documenti predetti).
  4. È dunque incontestabile che siano gli appellanti ad essere per primi incorsi in un inadempimento alle pattuizioni contrattuali, non avendo provveduto a corrispondere al YY l’intera caparra confirmatoria prevista in contratto.
  5. I compratori si difendono sul punto asserendo che gli immobili promessi in vendita sarebbero stati acquistati in modo ridotto e frazionato: anziché acquistare sei lotti, XX e L(omissis) Z(omissis) (originaria parte contrattuale, cui è subentrata ‘Alfa’S.r.l., in virtù della scrittura privata sub doc. 6 degli appellati) avrebbero comprato due immobili ciascuno, mentre JJ (anche lui subentrato ad E(omissis) S(omissis), originaria parte contrattuale) avrebbe acquistato un solo cespite.
  6. Sennonché di tali pattuizioni — evidentemente successive al contratto del 12 gennaio 2010 (in quanto di esse non vi è minima traccia nella scrittura privata) — sono state solo enunciate, ma non provate dai compratori, non essendo presente in atti un solo documento che attesti tale diverso programma negoziale, modificativo del precedente.
  7. Poiché il primo inadempimento è dunque imputabile ai compratori, è priva di rilievo la revoca del mandato a vendere i lotti, comunicata al Sig. YY dai proprietari dell’immobile.
  8. Sul punto occorre solo aggiungere che l’inadempimento dei promissari acquirenti non ha scarsa importanza avuto riguardo all’interesse della controparte, avendo esso riguardato un’obbligazione fondamentale del rapporto sinallagmatico, ossia il pagamento anticipato di una somma deputata alla liquidazione anticipata e forfettaria del danno (per l’eventuale inadempimento) e svolgente funzione di acconto sul prezzo.
  9. Quanto all’introduzione di nuovi fatti e nuovi documenti tramite la memoria di costituzione di nuovo difensore (del 18 maggio 2018) e le memorie conclusionali di parte appellante, la Corte richiama il disposto dell’art. 345 cpc: le nuove circostanze enunciate ed i nuovi documenti sono pertanto inammissibili.
  10. Alla soccombenza degli appellati segue la loro condanna alla rifusione delle spese di lite, per la cui liquidazione — fatta in base al valore della controversia (euro 300 mila) ed al dm n° 55 del 2014 — si rimanda al dispositivo che segue.

P.Q.M.

La Corte, ogni diversa e contraria domanda, eccezione e deduzione respinta:

  1. a) accoglie l’appello proposto dal Sig. YY contro la sentenza del Tribunale di Ravenna, in data 02.11.2015.
  2. b) dichiara in capo al Sig. YY il diritto di recesso dal contratto preliminare del 12.01.2010 con conseguente diritto di trattenere tutte le somme ricevute a titolo di caparra.
  3. c) condanna i Sig.ri XX, JJ e la società ‘Alfa’r.l. a rimborsare all’appellante le spese del grado, che liquida in 9.515,00 euro oltre al rimborso forfettario delle spese in ragione del 15% oltre al cp ed all’iva, se dovuta.

Così deciso in Bologna, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte d’Appello, il 6 novembre 2018.

Il Presidente

Roberto Aponte

Luciano Varotti estensore

Depositata in Cancelleria l’ Pubblicazione dell’ 11 Gennaio 2019

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