risarcimento del danno riflesso ai congiunti AVVOCATO ESPERTO

COME SI VALUTA IL DANNO AI CONGIUNTI? OCCORRE  ATTENZIONE E PRATICA [wpforms id=”21592″ title=”true” description=”true”]

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La morte o la lesione grave  in incidente stradale di un famigliare ha inevitabilmente riflessi assai pesanti sui membri della famiglia che vanno valutati ma soprattutto RISARCITI!

 “il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta” Cass. 11212/2019; Cass. 2788/2019; Cass. 17058/2017). La decisione della corte di merito, in realtà, è errata nella premessa: essa postula, invero, che il danno risarcibile ai congiunti per le lesioni patite dal parente, vittima primaria dell’illecito, sia solo quello consistente nel “totale sconvolgimento delle abitudini di vita”, limitazione che non ha in realtà alcuna ragion d’essere. Dalle lesioni inferte a taluno possono derivare, in astratto, per i congiunti sia una sofferenza d’animo (danno morale) che non produce necessariamente uno sconvolgimento delle abitudini di vita, sia un danno biologico (una malattia), anche essa senza rilevanza alcuna sulle abitudini di vita. Il danno dei congiunti è qui invocato iure proprio. Si parla spesso impropriamente di fanno riflesso, ossia di un danno subito per una lesione inferta non a sè stessi, ma ad altri. In realtà, il danno subito dai congiunti è diretto, non riflesso, ossia è la diretta conseguenza della lesione inferta al parente prossimo, la quale rileva dunque come fatto plurioffensivo, che ha vittime diverse, ma egualmente dirette. Ed anche impropriamente allora, se non per mera esigenza descrittiva, si parla di vittime secondarie. Con la conseguenza che la lesione della persona di taluno può provocare nei congiunti sia una sofferenza d’animo sia una perdita vera e propria di salute, come una incidenza sulle abitudini di vita. Non v’è motivo di ritenere questi pregiudizi soggetti ad una prova più rigorosa degli altri, e dunque insuscettibili di essere dimostrati per presunzioni.

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E tra le presunzioni assume ovviamente rilievo il rapporto di stretta parentela (nella fattispecie, genitori e fratelli) tra la vittima in primis, per cosi dire, ed i suoi congiunti. Il rapporto di stretta parentela esistente fa presumere, secondo un criterio di normalità sociale (ossia ciò che solitamente accade) che genitori e fratelli soffrano per le gravissime permanenti lesioni riportate dal congiunto prossimo. Nè v’è bisogno, come postula la sentenza impugnata, che queste sofferenze si traducano in uno “sconvolgimento delle abitudini di vita”, in quanto si tratta di conseguenze estranee al danno morale, che è piuttosto la soggettiva perturbazione dello stato d’animo, il patema, la sofferenza interiore della vittima, a prescindere dalla circostanza che influisca o meno sulle abitudini di vita. 3.- Il secondo motivo riguarda la vittima primaria.

Quest’ultima si duole del mancato riconoscimento del danno morale e di quello alla capacità lavorativa, e lamenta dunque una erronea interpretazione della regola sulla prova di tali pregiudizi (art. 2697 c.c.). Il motivo è inammissibile. Esso contiene la rivendicazione di due tipi di danno, non riconosciuti dal giudice di merito: quello morale soggettivo, e quello alla capacità lavorativa. Quanto al primo, il giudice di merito ha ritenuto che la sua liquidazione debba farsi, seguendo le tabelle milanesi, nei termini di una personalizzazione del danno biologico, o meglio, attraverso l’aumento di una percentuale di quel danno, a significare il rilievo accordato al danno morale (pagine 12-14). Tuttavia, il ricorrente non allega alcunchè a dimostrazione di aver patito un danno morale. Ossia: contesta in astratto la regola che la corte di merito ritiene applicarsi a quel tipo di danno, ma non allega in concreto elementi che possano giustificare un accertamento di tale pregiudizio. Così che la censura non è rilevante, avendo di mira solo un principio astratto senza alcuna concreta rilevanza quanto alla rivendicazione del ricorrente.

Infondato è invece il motivo quanto al danno alla capacità lavorativa. Si può concordare con la tesi secondo cui la capacità lavorativa generica e una componente del danno biologico (Cass. 17931/2019; contra 12211/2015, che ne fa questione di perdita di chance. Tuttavia, la chance è un danno incerto attuale e non un danno certo futuro). Con la conseguenza che la presenza di postumi macropermanenti non consente di desumere automaticamente, in via presuntiva, la diminuzione della capacità di produrre reddito della vittima, potendo per altro verso integrare un danno da lesione della capacità lavorativa generica il quale, risolvendosi in una menomazione dell’integrità psico-fisica dell’individuo, è risarcibile in seno alla complessiva liquidazione del danno biologico (Cass. 17931/2019

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Circa il risarcimento del danno riflesso ai congiunti

gli orientamenti da ultimo compiutamente sviluppati dalla Suprema Corte (Cass. n. 4186/98 e n. 4852/99)- che debba essere riconosciuto ai prossimi congiunti del macroleso il diritto ai risarcimento del danno riflesso ove si accerti in concreto che questo sia in rapporto di regolarità causale con il fatto illecito. Tale principio era già stato affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 60/91. Nell’occasione la Suprema Corte aveva ritenuto ammissibile,

“sulla base del disposto degli artt. 1223 e 2056 c.c., il risarcimento della lesione dei così detti ‘diritti riflessi’ di cui siano portatori soggetti diversi dalla vittima iniziale del fatto ingiusto altrui”.

La Cassazione ha in particolare sottolineato come il requisito della “consequenzialità immediata e diretta” indicato nell’art. 1223 c.c. quale limite alla risarcibilità del danno, non riguardi tanto la distinzione soggettiva tra vittima iniziale ed altri portatori di diritti lesi di riflesso, quanto “la qualificazione oggettiva del nesso di causalità; nesso che deve presentarsi tale da stringere con un vincolo di stretta lineare derivazione l’evento lesivo lamentato con il fatto doloso o colposo ascritto ad altri”. I danni sopportati da soggetti diversi dalla vittima iniziale del fatto illecito sono, dunque, solo apparentemente mediati, risultando eziologicamente collegati in via diretta ed immediata con il medesimo fatto illecito.

In primo luogo questa Corte ha più volte affermato che il danno morale, pur costituendo un pregiudizio non patrimoniale al pari del danno biologico, non è ricompreso in quest’ultimo e va liquidato a parte, con criterio equitativo che tenga debito conto di tutte le circostanze del caso concreto. È, pertanto, errata la liquidazione in misura pari ad una frazione dell’importo liquidato a titolo di danno biologico, perché tale criterio non rende evidente e controllabile l’iter logico attraverso cui il giudice di merito è pervenuto alla relativa quantificazione, né permette di stabilire se e come abbia tenuto conto della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell’entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d’animo (Cass. civ. Sez. 3, 16 febbraio 2012 n. 2228; Idem, 29 novembre 2011 n. 25222; Idem, 12 dicembre 2008 n. 29191, fra le tante).

Occorre invece provvedere all’integrale riparazione secondo un criterio di personalizzazione del danno, che, escluso ogni semplicistico meccanismo di liquidazione di tipo automatico, tenga conto, pur nell’ambito di criteri predeterminati, delle condizioni personali e soggettive del danneggiato, della gravità delle conseguenze pregiudizievoli e delle particolarità del caso concreto, al fine di valutare in termini il più possibile equilibrati e realistici, l’effettiva entità del danno (Cass. civ. Sez. Lav., 21 aprile 2011 n. 9238. Anche nel caso in cui siano derivate dell’illecito lesioni personali e non la morte, il danno subito dai congiunti deve essere concretamente accertato sulla base di una valutazione complessiva ed equitativa, che tenga conto della peculiare relazione affettiva di ogni danneggiato con la vittima, in relazione alla peculiare situazione familiare, alle abitudini di vita, alla consistenza del nucleo familiare ed alla compromissione che ne sia derivata dal sinistro, e di ogni altra circostanza (Cass. civ. Sez. 3, 5 ottobre 2010 n. 20667). A maggior ragione ciò deve avvenire qualora l’illecito abbia provocato la morte della vittima.

Inoltre, pur se l’importo del risarcimento va quantificato in un’unica somma (come indicato da Cass. civ. S.U. 11 novembre 2008 n. 26972, leading case in materia), il giudice deve dimostrare nella motivazione di avere tenuto conto di tutti gli aspetti che il danno non patrimoniale abbia assunto nel caso concreto, ed in particolare del danno insito nella perdita del rapporto parentale, oltre che delle sofferenze morali transeunti (cfr. Cass. civ. Sez. 3, 28 novembre 2008 n. 28423).

Dalla sentenza impugnata non risulta alcuna motivazione in tal senso.

Non solo, ma la Corte di merito ha quantificato i danni non patrimoniali tramite un doppio automatismo, poiché il danno subito da coniuge, figli e madre della vittima, D.B.A. , è stato calcolato in una percentuale del danno non patrimoniale ipotizzabile a carico di quest’ultima, che a sua volta è stato determinato in una percentuale del danno biologico ad essa riferibile.

Per questa parte la motivazione è non solo insufficiente, ma anche illogica ed antigiuridica, poiché i congiunti della vittima di un illecito – non solo in caso di morte, ma anche in caso di gravi lesioni personali – hanno il diritto di chiedere il risarcimento dei danni non patrimoniali come diritto proprio e personale; non quale mero effetto riflesso del danno subito dalla vittima. Anche nel caso in cui la vittima abbia subito lesioni personali, ai prossimi congiunti spetta il risarcimento del danno non patrimoniale concretamente accertato in relazione ad una particolare relazione affettiva con la vittima, non essendo a ciò ostativo il disposto dell’art. 1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire ‘iure proprio’ contro il responsabile (Cass. civ. 5 ottobre 2010 n. 20667).

Così come i prossimi congiunti hanno legittimazione propria e diretta ad agire in risarcimento dei danni, parimenti hanno diritto a che il danno subito sia quantificato con riferimento alla peculiare e specifica situazione di ognuno; non quale mera percentuale del danno altrui.

La Suprema Corte ha più volte deciso che in caso di morte di una casalinga i congiunti conviventi hanno diritto al risarcimento del danno subito per la perdita delle prestazioni attinenti alla cura ed assistenza dalla stessa fornita, le quali, benché non produttive di reddito, sono valutabili economicamente, o facendo riferimento al criterio del triplo della pensione sociale o ponendo riguardo al reddito di una collaboratrice familiare (con gli opportuni adattamenti per la maggiore ampiezza di compiti esercitati dalla casalinga) (Cass. civ. Sez. 3, 12 settembre 2005 n. 18092; Idem, 24 agosto 2007 n. 17977; Idem,. Ha soggiunto che il diritto al risarcimento spetta anche nei casi in cui la vittima si avvalesse di aiuti o collaboratori domestici, perché comunque i suoi compiti risultano di maggiore ampiezza,. intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d’opera dipendente (Cass. civ. Sez. 3, n. 17977, cit; Idem, 20 luglio 2010 n. 16896).

La motivazione della Corte di appello, secondo cui ‘Non sembra che gli allora attori abbiano dedotto il benché minimo elemento di prova in ordine non soltanto all’attività di casalinga della loro congiunta deceduta, ma anche con riferimento all’attività in concreto dalla stessa esercitata in ambito familiare’ è insufficiente ed incongrua. Quanto alla qualità di casalinga, per mancanza di possibili alternative, trattandosi di donna convivente con la famiglia e non essendo stato affermato da alcuno, né dedotto a prova, che lavorasse fuori casa (caso quest’ultimo in cui la sussistenza di un danno patrimoniale per i congiunti, derivante dalla perdita del relativo reddito, sarebbe stato innegabile e probabilmente maggiore.

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lesioni ed i danni permanenti riportati dalla vittima siano di estrema gravità, i prossimi congiunti subiscano personalmente un pregiudizio

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Non vi è dubbio che, nell’ipotesi in cui le lesioni ed i danni permanenti riportati dalla vittima siano di estrema gravità, i prossimi congiunti subiscano personalmente un pregiudizio in termini di sofferenza che merita congrua riparazione ex art. 2059 c.c. Risulta, altresì, principio ormai consolidato in giurisprudenza (cfr. Corte Costituzionale 372/94) che la condizione di sofferenza che sostanzia il danno morale “in persone predisposte da particolari condizioni (debolezza cardiaca, fragilità nervosa, ecc.) anziché esaurirsi in un paterna d’animo o in uno stato di angoscia transeunte, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente, alle cui conseguenze in termini di perdita di qualità personali, e non semplicemente al pretium doloris in senso stretto, va allora commisurato il risarcimento”. Lo stato di prostrazione e sofferenza- riconducibile al danno morale – può dar luogo in taluni soggetti ad una modificazione peggiorativa del loro stato di salute producendo una vera e propria menomazione psico-fisica – danno biologico – che merita adeguato ristoro ogni volta che venga rigorosamente dimostrato che la lesione subita dal congiunto abbia prodotto – secondo la già citata regola della causalità adeguata – una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 c.c. Nel caso concreto la gravità delle lesioni e dei postumi s – come si è già accennato- indubbiamente tanto rilevante da avere immediati riflessi sulla famiglia. Ivano Tosetto, infatti, in conseguenza delle gravissime lesioni riportate nell’incidente non ha solo perduto la vista dall’occhio sinistro e ridotto le capacità auditive dall’orecchio sinistro, ma ha altresì riportato rilevanti postumi di carattere neurologico che si manifestano in un rallentamento del flusso delle idee e dei processi associativi – tanto da non essere più in grado di svolgere le mansioni di operaio specializzato – difficoltà nella vita di relazione..

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nesso di derivazione automatica fra invalidita’ permanente e danno patrimoniale da lucro cessanteDANNO FAMIGLIARE INCIDENTE MORTALE

Seppure non esista un nesso di derivazione automatica fra invalidita’ permanente e danno patrimoniale da lucro cessante, “poiche’ esso sussiste solo se tale invalidita’ abbia prodotto una riduzione della capacita’ lavorativa specifica” (Cass. n. 10074/2010) e richiede di “essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse – o presumibilmente in futuro avrebbe svolto – un’attivita’ lavorativa produttiva di reddito” (Cass. n. 6291/2003), pare evidente che il dato -incontestato – di una riduzione di quasi il 50% della capacita’ di svolgere qualunque attivita’ lavorativa non consenta di escludere a priori la sussistenza di un danno da lucro cessante e comporti pertanto la necessita’ di verificare se e – in ipotesi – “quale sia stata in concreto la riduzione della capacita’ lavorativa specifica del soggetto leso … tenendo conto della varieta’ di attivita’ o di lavorazioni che il soggetto puo’ essere chiamato a compiere, in riferimento alla situazione lavorativa specifica, ambientale e personale” (Cass. n. 18945/2003).

riconosce anche ai prossimi congiunti di persona che abbia subito lesioni personali a causa di fatto illecito

riconosce anche ai prossimi congiunti di persona che abbia subito lesioni personali a causa di fatto illecito costituente reato la possibilita’ di conseguire “il risarcimento del danno non patrimoniale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell’articolo 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire “iure proprio” contro il responsabile” (Cass. n. 20667/2010; cfr. Cass. n. 7844/2011), ferma restando la necessita’ di allegazione nell’atto introduttivo (Cass. n. 2228/2012) e con liquidazione da effettuare “in via equitativa, in forza di una … valutazione complessiva, potendosi ricorrere a presunzioni sulla base di elementi oggettivi, forniti dal danneggiato, quali le abitudini di vita, la consistenza del nucleo familiare e la compromissione delle esigenze familiari” (Cass. n. 20667/2010; cfr. anche Cass. n. 22909/2012).

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Il consolidato orientamento di legittimita’ che riconosce anche ai prossimi congiunti di persona che abbia subito lesioni personali a causa di fatto illecito costituente reato la possibilita’ di conseguire “il risarcimento del danno non patrimoniale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell’articolo 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire “iure proprio” contro il responsabile” (Cass. n. 20667/2010; cfr. Cass. n. 7844/2011), ferma restando la necessita’ di allegazione nell’atto introduttivo (Cass. n. 2228/2012) e con liquidazione da effettuare “in via equitativa, in forza di una … valutazione complessiva, potendosi ricorrere a presunzioni sulla base di elementi oggettivi, forniti dal danneggiato, quali le abitudini di vita, la consistenza del nucleo familiare e la compromissione delle esigenze familiari” (Cass. n. 20667/2010; cfr. anche Cass. n. 22909/2012).

Al riguardo, si riportano a seguire le considerazioni della Terza Sezione della Corte di Cassazione, che con la sentenza n 7844 del 2011, cassava la pronuncia della Corte d’Appello di Roma, per la parte in cui non riconosceva agli attori, congiunti conviventi di un danneggiato macroleso, il danno morale da essi sofferto: «Anziché rigettare la domanda, argomentando dalla ritenuta carenza di prova in proposito, la corte di merito avrebbe dovuto invero ritenere, in assenza di prova contraria, presuntivamente provato il domandato danno non patrimoniale in questione. A fortiori in considerazione della circostanza che l’odierna ricorrente G. ha non solo allegato ma, giusta quanto emerge dalla motivazione dell’impugnata sentenza, dato in realtà addirittura prova diretta dell’essere la propria sofferenza inferiore (o patema d’animo) nel caso degenerata in termini obiettivamente riscontrabili, e in particolare nella scelta, deponente per un radicale cambiamento di vita, di abbandonare il lavoro per potersi dedicare all’esclusiva cura e assistenza del figlio che ne abbisognava in ragione delle gravi lesioni riportate all’esito del sinistro stradale in argomento».

Il percorso logico con cui, sul finire degli anni Novanta, la Suprema Corte è pervenuta a tale interpretazione, e che successivamente è stato recepito dalla giurisprudenza, come sopra evidenziato, è da ricondursi al già avvenuto superamento nei recentissimi anni precedenti della dicotomia fra danno evento e danno conseguenza, che aveva determinato come risarcibile il danno riflesso in forma di danno biologico psichico ai congiunti del macroleso.

Sostanzialmente, si è ritenuto che l’art. 2059 che disciplina il danno morale, superata la dicotomia fra danno evento e danno conseguenza, non è ostativo alla previsione del riconoscimento anche del danno morale ai congiunti della vittima macrolesa, ritenendo che l’articolo 1223 cc va ricondotto in tale caso ad un profilo interpretativo di semplice regolarità causale, relegando la rigida interpretazione della causalità materiale all’ambito penalistico degli art. 40 e 41 cp.

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