omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali

omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, prevista dall’art. 2, comma 1-bis del d.l. 463 del 1983, convertito in legge n. 683 del 1983,

ANALIZZIAMO CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 20725 depositata il 10 maggio 2018

omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, prevista dall’art. 2, comma 1-bis del d.l. 463 del 1983, convertito in legge n. 683 del 1983,
omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, prevista dall’art. 2, comma 1-bis del d.l. 463 del 1983, convertito in legge n. 683 del 1983,

DOLO

per l’integrazione della fattispecie quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo risulta sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato (per tutte, Sez. U, n. 37425 del 28/3/21013, Favellato, Rv. 255759);

 dolo generico che, peraltro, può essere escluso dal giudice in considerazione del modesto importo delle somme non versate o della discontinuità ed episodicità delle inadempienze riscontrate (per tutte, Sez. 3, n. 3663 dell’8/1/2014, De Michele, Rv. 259097).

Dolo generico che, ancora, è ravvisabile nella consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti (tra le molte, Sez. 3, n. 3705 del 19/12/2013, Casella, Rv. 258056; Sez. 3, n. 13100 del 19/1/2011, Biglia, Rv. 249917); proprio a questo riguardo, infatti, si è sovente sostenuto che il reato sussiste anche quando il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare (tra le molte, Sez. 3, n. 43811 del 10/4/2017, Agozzino, Rv. 271189; Sez. 3, n. 38269 del 25/9/2007, Tafuro, Rv. 237827).

Tutto quanto ribadito, costituisce costante indirizzo di legittimità anche quello per cui, nel reato in esame, l’imputato può invocare la assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto(Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190); occorre, cioè, la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, n. 8352 del 24/6/2014, Schirosi, Rv. 263128; Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013, Mercutello, Rv. 258055).

In effetti, relativamente all’ipotesi delittuosa in esame, sembra pacifico in giurisprudenza che, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo, sia sufficiente il dolo generico, che si esaurisce nella coscienza e volontà da parte del datore di lavoro di omettere o ritardare il versamento delle ritenute, con conseguente irrilevanza di eventuali criticità aziendali (v. ex plurimis, Cass., Sez. III, 10 aprile 2017, n. 43811, Rv. 271189; Cass., Sez. III, 19 gennaio 2011, n. 13100, in Cass. pen., 2012, 3, 1113).

La Suprema Corte ha statuito a più riprese come il reato in oggetto non richieda il dolo specifico e come, pertanto, sia sufficiente il compimento della condotta omissiva nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato (Cass., Sez. III, 18 luglio 2017, n. 39072 in Riv. pen., 2017, 10, 850).

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