Bancarotta fraudolenta – pagamento di imposte e contributi

Bancarotta fraudolenta – Omissione sistematica del pagamento di imposte e contributi – Cagionato fallimento della società – Responsabilità penale – Socio accomandatario e amministratore –

Bancarotta fraudolenta – Omissione sistematica del pagamento di imposte e contributi – Cagionato fallimento della società – Responsabilità penale – Socio accomandatario e amministratore –
Bancarotta fraudolenta – Omissione sistematica del pagamento di imposte e contributi – Cagionato fallimento della società – Responsabilità penale – Socio accomandatario e amministratore –

Analizziamo CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 40100 depositata il 6 settembre 2018

 se è vero che anche il consulente fiscale può essere responsabile, a titolo di concorso, per la violazione tributaria commessa dal cliente, quando, in modo seriale, ossia abituale e ripetitivo, attraverso l’elaborazione e commercializzazione di modelli di evasione, sia stato il consapevole e cosciente ispiratore della frode, anche se di questa ne abbia beneficiato il solo cliente (Sez. 3, n. 1999 del 14/11/2017 – dep. 2018, Addonizio, Rv. 272713), certamente non può esimersi da responsabilità l’imprenditore che abbia posto in essere la frode, specie in totale difetto di allegazione e dimostrazione della propria pretesa estraneità al progetto criminoso ascritto al commercialista.

Il fatto

  1. La Corte di appello di Milano con sentenza del 5/12/2017 ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 16/2/2016, appellata dall’imputato, che aveva ritenuto A.Z. responsabile del reato di bancarotta fraudolenta documentale e di cagionato fallimento tramite operazioni dolose ex artt. 223, comma 1, 216, comma 1, n. 2, 223, comma 2, 219, comma 2, n. 1 legge fall, (capo A) e del reato di cui all’art. 10 quater d.lgs. 10/3/2000 n. 74 (capo B) e l’aveva perciò condannato alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione, previa unificazione dei due reati sotto il vincolo della continuazione e con la concessione delle attenuanti generiche prevalenti, con le pene accessorie di legge.

Con il capo A) era stato imputato allo Z., nella sua qualità di socio accomandatario illimitatamente responsabile e di amministratore della società A.Z.M. di Z. A. & C., dichiarata fallita in data 16/11/2011, di aver sottratto e distrutto libri e scritture contabili della società allo scopo di procurarsi ingiusto profitto e di danneggiare i creditori e comunque di aver tenuto libri e scritture in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, nonché di aver cagionato il fallimento della società con operazioni dolose, in particolare omettendo sistematicamente il pagamento delle obbligazioni tributarie e delle obbligazioni contributive verso gli enti previdenziali con la maturazione di un debito complessivo di € 1.818.914.

Con il capo B) era stato contestato allo Z. di non aver versato l’IVA per l’anno di imposta 2009 entro il termine per il versamento dell’acconto per l’anno successivo, utilizzando in compensazione crediti non spettanti per € 62.005,00.

I MOTIVI DI RICORSO PER CASSAZIONE PENALE

    1. Ha proposto ricorso l’avv. R.G., difensore di fiducia dell’imputato, svolgendo quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo, proposto ex art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione al reato di bancarotta impropria.

Non era sufficiente la commissione di una operazione dolosa in sé, ma era anche necessario che al momento della relativa commissione il fallimento rappresentasse una conseguenza prevedibile ed evitabile in concreto. L’autore della condotta deve essere consapevole della natura dolosa dell’operazione e volerla, e deve rappresentarsi l’evento fallimentare come effetto dell’azione antidoverosa realizzata.

Una crisi di liquidità rappresentava una causa di forza maggiore capace di escludere la volontà del soggetto di omettere il versamento dei tributi dovuti.

La responsabilità penale dell’imputato era stata ravvisata sulla base della mera causazione materiale del fallimento, senza la prova di una sua effettiva volontà di ledere gli interessi dei creditori e della sua consapevolezza che dalla condotta posta in essere potesse scaturire il fallimento.

L’imputato aveva pagato in nero i lavoratori, creditori privilegiati, pur di continuare a lavorare.

Decisivo era risultato il mancato pagamento di un consistente credito di € 200.000 per lavori eseguiti e non pagati presso la Casa di Cura Bellora di Gallarate.

2.2. Con il secondo motivo, proposto ex art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione agli elementi fondanti la responsabilità penale dell’imputato per i reati di cui al capo A).

La valutazione di irrilevanza del pagamento in nero dei lavoratori, espressa dalla Corte era contraddittoria; invece il pagamento di creditori privilegiati era dirimente ai fini della sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato.

Quindi il ricorrente ripete le stesse circostanze già esposte nel contesto del primo motivo. Era mancata la motivazione circa le rappresentate oggettive difficoltà nel recupero dei crediti derivanti dall’attività lavorativa della società.

In relazione alla contestata bancarotta documentale, la teste Veglia, segretaria per tre anni, aveva riferito che le fatture venivano portate da un commercialista esterno. Tutta la documentazione contabile e fiscale in possesso dell’imputato era stata consegnata al curatore.

2.3. Con il terzo motivo, proposto ex art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione all’art. 10 quater d.lgs.74/2000.

Il mancato versamento per illegittima compensazione doveva trovare la sua base della prova del carattere indebito della compensazione stessa.

La documentazione contabile e fiscale era tenuta da consulenti esterni, sicché l’imputato non doveva rispondere del loro operato per mera mancata vigilanza, e la documentazione da lui posseduta era stata consegnata al curatore.

2.4. Con il quarto motivo, proposto ex art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione al capo di imputazione sub B), riprendendo le considerazioni esposte nel precedente motivo.

LA RISPOSTA  DELLA SUPREMA CORTE

 Secondo l’orientamento costante di questa Corte, a cui il Collegio intende garantire continuità, in tema di fallimento determinato da operazioni dolose, non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento fallimentare né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente verso il dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod.pen. né il fatto che l’operazione dolosa contestata abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto (Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu e altro, Rv. 262189; Sez. 5, n. 8413 del 16/10/2013, dep. 2014, Besurga, Rv. 259051; Sez. 5, n. 17690 del 18/2/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a. e altri, Rv. 247316; Sez. 5, n. 19806 del 28/3/2003, Negro ed altri, Rv. 224947).

tecnica di autofinanziamento mediante sistematico ricorso all’omissione del pagamento di imposte e contributi

Un costante orientamento di questa Corte, dedicato alla tecnica di autofinanziamento mediante sistematico ricorso all’omissione del pagamento di imposte e contributi, afferma che in tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, l. fall, possono consistere nel mancato versamento dei contributi previdenziali praticato con carattere di sistematicità (Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016 – dep. 2017, Bottiglieri, Rv. 270046; Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Belleri, Rv. 260492; Sez. 5, n. 12426 del 29/11/2013 – dep. 2014, P.G. e p.c. in proc. Beretta e altri, Rv. 259997).

le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, I. fall.,

attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la «salute» economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale che non discende direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), ma da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato. (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini e altri, Rv. 261684: in applicazione del principio, è stata ritenuta corretta la qualificazione di operazione dolosa data nella sentenza impugnata al protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rendeva prevedibile il conseguente dissesto della società).

Poiché il fallimento determinato da operazioni dolose configura un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a. e altri, Rv. 247315; Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, Lubrina e altri, Rv. 265510).

Il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater, d.lgs. 10/3/2000, n. 74,

 

 richiede, sotto il profilo oggettivo, che il mancato versamento di imposta risulti formalmente «giustificato» da una illegittima compensazione, ex art. 17 d.lgs. 9/7/1997, n. 241, operata tra le somme spettanti all’erario e i crediti vantati dal contribuente, in realtà non spettanti o inesistenti (Sez. 3, n. 15236 del 16/01/2015, Chiarolla, Rv. 26305101)

In ogni caso il ricorrente neppure si confronta con la specifica e dirimente ragione addotta dalla Corte territoriale, basata sulla deposizione del funzionario T. dell’Agenzia delle Entrate, ossia che il credito IVA, asseritamente riveniente dall’anno precedente, opposto in compensazione nel 2009 per € 62.000, era del tutto inesistente, visto che nell’anno precedente (il 2008, quindi) la società non aveva neppure presentato la dichiarazione fiscale.

Il ricorrente aggiunge che la documentazione contabile e fiscale era tenuta da consulenti esterni, sicché l’imputato non doveva rispondere del loro operato per mera mancata vigilanza, e la documentazione da lui posseduta era stata consegnata al curatore.

La responsabilità del commercialista è addotta in modo del tutto generico, senza neppur indicarne il nominativo e prospettare le ragioni dell’esclusiva responsabilità di siffatto, non meglio precisato, consulente e tantomeno le ragioni dell’esonero da responsabilità dell’imputato, che certamente non poteva ignorare, quale legale rappresentante e amministratore della società, di non aver presentato nell’anno precedente la dichiarazione fiscale.

giurisprudenza della Suprema  Corte in tema di reati tributari:

 

 se è vero che anche il consulente fiscale può essere responsabile, a titolo di concorso, per la violazione tributaria commessa dal cliente, quando, in modo seriale, ossia abituale e ripetitivo, attraverso l’elaborazione e commercializzazione di modelli di evasione, sia stato il consapevole e cosciente ispiratore della frode, anche se di questa ne abbia beneficiato il solo cliente (Sez. 3, n. 1999 del 14/11/2017 – dep. 2018, Addonizio, Rv. 272713), certamente non può esimersi da responsabilità l’imprenditore che abbia posto in essere la frode, specie in totale difetto di allegazione e dimostrazione della propria pretesa estraneità al progetto criminoso ascritto al commercialista.

 

INAMMISSIBILITA’ RICORSO :

  1. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile; ne consegue la condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di € 2.000,00= in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere il ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n. 186).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di € 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.

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