IMPUGNAZIONE TESTAMENTO BOLOGNA MILANO VICENZA VENEZIA AVVOCATO

IMPUGNAZIONE TESTAMENTO BOLOGNA MILANO VICENZA VENEZIA AVVOCATO

IMPUGNAZIONE TESTAMENTO BOLOGNA MILANO VICENZA VENEZIA AVVOCATO
IMPUGNAZIONE TESTAMENTO BOLOGNA MILANO VICENZA VENEZIA AVVOCATO

La disposizione testamentaria può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse(1) quando è l’effetto di errore(2) [625 c.c.], di violenza(3) o di dolo(4) [1427 ss. c.c.].

L’errore sul motivo(5) [626 c.c.], sia esso di fatto o di diritto, è causa di annullamento della disposizione testamentaria(6), quando il motivo risulta dal testamento ed è il solo che ha determinato il testatore a disporre [634, 647, 648 c.c.].

L’azione si prescrive in cinque anni(7) dal giorno in cui si è avuta notizia della violenza, del dolo o dell’errore [2652 n. 7, art. 2690 del c.c. n. 4, art. 2948 del c.c.].

In tema di impugnazione di una disposizione testamentaria che si assuma effetto di dolo, per potere configurarne la sussistenza non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, ma occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti che – avuto riguardo all’età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso – siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata. La relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore. Cass. civ. sez. II, 28 febbraio 2018, n. 4653

Il motivo del testamento consiste nella ragione determinante di esso, come quella che domina la volontà del testatore nel momento in cui detta o redige le disposizioni di ultima volontà, cosicché, per potersi parlare di motivo erroneo, tale da rendere inefficace la disposizione, è necessaria la certezza, desumibile dallo stesso testamento, che la volontà del testatore sia stata dominata dalla rappresentazione di un fatto non vero, in modo da doversene dedurre che, se il fatto fosse stato percepito o conosciuto nella sua verità obiettiva, quella disposizione testamentaria non sarebbe stata dettata o redatta. L’apprezzamento del giudice di merito circa l’esistenza o meno del motivo erroneo, dedotto quale causa di annullamento del testamento, è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici ed errori di diritto. Cass. civ. sez. II, 3 dicembre 2010, n. 24637

È viziata la motivazione della sentenza che, nel rigettare la domanda di annullamento del testamento per violenza morale, ometta di tener conto dell’età, del sesso e della condizione del testatore. Cass. civ. sez. II, 24 marzo 1975, n. 1117

Cassazione, ordinanza 9 novembre 2020, n. 25077, sez. VI – 2 civileAVVOCATO-ESPERTO-RESPONSABILITA-ARCHITETTO-2

SUCCESSIONI “MORTIS CAUSA” – SUCCESSIONE TESTAMENTARIA – CAPACITÀ – DI TESTARE – INCAPACITÀ – AZIONE DI ANNULLAMENTO – LEGITTIMAZIONE – Testamento olografo – Interesse del successibile “ex lege” ad impugnarlo – Esistenza di altri successibili – Rilevanza – Condizioni.

L’interesse del successibile “ex lege” ad impugnare il testamento olografo può essere disconosciuto, qualora costui non dia prova dell’inesistenza in vita di altri eredi legittimi di grado poziore in termini di evidente probabilità, ancorché non di oggettiva certezza

A norma dell’art. 457 cod. civ. l’ordinamento ammette due tipi di successione: quella testamentaria e quella legittima. La prima è regolata da un testamento mentre la seconda è disciplinata dalla legge perché manca l’atto di ultima volontà o perché pur esistendo dispone solo di alcuni dei beni ereditabili. I due tipi di successione appaiono dunque tra loro graduati sicché le norme in materia di successione legittima trovano applicazione solo in via residuale.

le norme in materia di successione legittima possono trovare applicazione anche in presenza di un testamento

Dinnanzi all’incertezza ingenerata da un testamento viziato il legislatore offre specifici rimedi. È infatti previsto che la disposizione testamentaria può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse quando è l’effetto di errore, violenza o di dolo (art. 624 cod. civ).

l’atto di ultima volontà potrebbe essere viziato anche per ulteriori e diversi motivi. Il testamento è nullo quando manca l’autografia o la sottoscrizione nel caso di testamento olografo, ovvero manca la redazione per iscritto, da parte del notaio, delle dichiarazioni del testatore o la sottoscrizione dell’uno o dell’altro, nel caso di testamento per atto di notaio.

Per ogni altro difetto di forma il testamento può essere annullato su istanza di chiunque vi ha interesse (art. 606 cod. civ.).

Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Sentenza|22 marzo 2018| n. 7178

Data udienza 18 dicembre 2017

Integrale

Successione mortis causa – Divisione ereditaria – Azione di riduzione – testamento – Azione di nullità – Errore di cui all’art. 624, comma 2, cc – Naturaavvocato-erede-legittimo-9

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 28120/’13) proposto da:

(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), in proprio e quale erede di (OMISSIS), rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. (OMISSIS) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtu’ di procura speciale a margine del controricorso (contenente ricorso incidentale), dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in (OMISSIS);

– controricorrente – ricorrente incidentale –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 593/2013, depositata il 22 aprile 2013 (e non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 18 dicembre 2017 dal Consigliere relatore Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l’inammissibilita’ del ricorso incidentale;

uditi l’Avv. (OMISSIS) (per delega) nell’interesse della ricorrente principale e l’Avv. (OMISSIS) per il controricorrente – ricorrente incidentale.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza non definitiva del 3 luglio 2008, il Tribunale di Firenze, decidendo sulla causa instaurata dalla sig.ra (OMISSIS) nei confronti del germano sig. (OMISSIS) per la divisione dell’eredita’ della loro genitrice (OMISSIS), cosi’ provvedeva:

– accoglieva l’azione di riduzione proposta dall’attrice (nella qualita’ di erede del padre (OMISSIS)), disponendo la riduzione delle disposizioni testamentarie di cui alle schede redatte dalla genitrice (OMISSIS), pubblicate il 13 marzo 2000, nella misura di tre quarti dell’intero asse ereditario;

– dichiarava la nullita’ della divisione di cui alle stesse schede testamentarie;

– riconosceva il diritto della stessa attrice di succedere nella misura della meta’ dell’intero asse relitto della (OMISSIS);

– approvava il rendiconto redatto dal c.t.u. e dichiarava il diritto delle medesima attrice a percepire l’importo di Euro 61.718,29.

Avverso la suddetta sentenza proponeva appello il convenuto (OMISSIS) articolato in complessivi quattro motivi, al quale resisteva l’originaria attrice che, a sua volta, formulava appello incidentale in relazione al rigetto della domanda di declaratoria di inefficacia (od invalidita’) del preteso testamento, oltre che in ordine alla nullita’ della divisione, per effetto della pretermissione del legittimario, con la conseguente devoluzione dell’eredita’ in quote paritarie, deducendo, inoltre, la circostanza dell’intervenuta definizione transattiva della divisione dei cespiti immobiliari, chiedendo di procedersi alla divisione del patrimonio residuo (comprendente beni mobili e denaro) a perfetta meta’.

La Corte di appello di Firenze, con sentenza non definitiva n. 593/2013 (depositata il 22 aprile 2013), in parziale riforma della impugnata sentenza di primo grado, cosi’ decideva:

– accertava e dichiarava che la successione di (OMISSIS) avrebbe dovuto essere devoluta secondo la volonta’ testamentaria della de cuius di cui alle schede testamentarie pubblicate dal notaio (OMISSIS) il 13 marzo 2000, previa riduzione proporzionale per la determinazione della quota legittima di 1/4 dell’eredita’ spettante a (OMISSIS);

– accertava e dichiarava la devoluzione della predetta quota legittima agli eredi di (OMISSIS), e cioe’ a (OMISSIS) e (OMISSIS), ciascuno per meta’;

– disponeva la rimessione della causa sul ruolo per la determinazione della quota legittima e la sua divisione.

A sostegno dell’adottata pronuncia il giudice di secondo grado disattendeva – in primo luogo – l’eccezione pregiudiziale di tardivita’ dell’appello incidentale e respingeva quest’ultimo con riferimento alla domanda di invalidita’ del testamento della (OMISSIS) (sulla cui volonta’ devolutiva dei beni ereditari in favore di entrambi i figli non poteva nutrirsi alcun dubbio). Delibando, poi, sul merito delle censure avanzate dall’appellante principale, premessa l’insussistenza dell’incompatibilita’ della tutela del diritto del legittimario con la divisio inter liberos ex articolo 734 c.c., le accoglieva nella parte in cui il Tribunale di prime cure aveva dichiarato la nullita’ della divisione quale conseguenza della ritenuta fondatezza dell’azione di riduzione e nella parte in cui aveva accertato e dichiarato il diritto della (OMISSIS) di succedere nella meta’ dell’intero asse relitto. La stessa Corte territoriale confermava, poi, la riduzione delle disposizioni testamentarie della (OMISSIS) e, per l’effetto, accertato e dichiarato che la quota spettante al legittimario pretermesso (OMISSIS) era corrispondente ad 1/4, da prelevarsi proporzionalmente dalle quote attribuite ai due eredi testamentari secondo le ritenute valide disposizioni della testatrice, dava atto del venir meno dell’esigenza della formazione dei lotti secondo quote paritarie previste in sentenza e della conseguente necessita’ della formazione di un progetto di assegnazione dal momento che gli eredi risultavano gia’ assegnatari, con effetti reali, dei beni loro attribuiti per testamento. Sulla base di queste disposizioni, la Corte fiorentina disponeva la rimessione della causa sul ruolo per procedere all’anzidetta individuazione dei beni da attribuire al legittimario pretermesso, pari a 1/4 del relictum, da prelevarsi proporzionalmente dalle quote gia’ assegnate agli eredi e con la ridistribuzione di detta quota per meta’, corrispondente ad 1/8 dello stesso relictum in favore di ciascuna parte, nella qualita’ di erede paritario del legittimario in nome del quale era stata esercitata jure successionis l’azione di riduzione.

Avverso la suddetta sentenza (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), articolato in quattro motivi, al quale ha resistito l’intimato (OMISSIS) con controricorso contenente, a sua volta, ricorso incidentale riferito a tre motivi. La ricorrente principale ha formulato anche controricorso al ricorso incidentale avanzato dal (OMISSIS).

I difensori di entrambe le parti hanno anche depositato, rispettivamente, memoria illustrativa ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Con il primo complesso motivo la ricorrente principale – avuto riguardo al rigetto dell’appello incidentale dalla stessa proposto volto ad ottenere la dichiarazione di nullita’ e/o di annullabilita’ del testamento della genitrice (OMISSIS) (sul presupposto della deduzione dell’erroneita’ dell’impugnata sentenza nella parte in cui aveva ritenuto che le schede redatte dalla (OMISSIS) avevano la natura di testamento essendo indubitabile la manifestazione della volonta’ testamentaria della de cuius) – ha denunciato:

– la nullita’ della sentenza di appello per assunta carenza di uno dei requisiti indispensabili ex articolo 132 c.p.c., per il raggiungimento dello scopo ex articolo 156 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

– la nullita’ della stessa sentenza per asserita violazione dell’articolo 115 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

– l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

– la violazione e falsa applicazione dell’articolo 624 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

  1. Con il secondo, articolato, motivo la ricorrente principale ha – con riferimento alla parte della sentenza di appello con la quale era stata ravvisata la validita’ della divisione disposta con le schede testamentarie della (OMISSIS), malgrado non avesse in essa compreso il coniuge legittimario (OMISSIS) (per la cui relativa lesione dei diritti la stessa (OMISSIS) aveva esercitato in via pregiudiziale “ab origine” l’azione di riduzione per il riconoscimento della quota spettantele quale erede del padre, deceduto successivamente senza testamento) – prospettato:

– l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

– la nullita’ dell’impugnata sentenza per asserita violazione dell’articolo 112 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

– l’assunta violazione o falsa applicazione degli articoli 734 e 735 c.c., in ordine all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

  1. Con la terza censura – correlata all’addotta erroneita’ della sentenza di secondo grado nella parte in cui si era pronunciata ultra petita e, comunque, in violazione delle norme sui diritti riservati ai legittimari – la difesa della (OMISSIS) ha inteso denunciare:

– la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

– la violazione o falsa applicazione degli articoli 542, 554, 556, 558 e 735 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

  1. Con la quarta ed ultima doglianza – rivolta alla denuncia dell’omessa pronuncia sull’appello incidentale formulato dalla stessa – la ricorrente principale ha dedotto la nullita’ della sentenza impugnata per violazione dell’articolo 112c.p.c. (in relazione all’articolo 360c.p.c., comma 1, n. 4) e l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia (ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
  2. Con la prima censura del ricorso incidentale la difesa del (OMISSIS) ha – in ordine alla critica della stima dei beni immobili compiuta dal c.t.u. e alla ravvisata necessita’ della sua rielaborazione – prospettato la violazione o falsa applicazione degli articoli115 e 116 c.p.c., (in relazione all’articolo360 c.p.c., comma 1, n. 3) nonche’ l’omessa o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
  3. Con il secondo motivo del ricorso incidentale – riferita alla mancata condivisione dei risultati e del metodo di valutazione dei beni mobili operata dal c.t.u. – sono stati prospettati gli stessi vizi di cui all’appena riportata prima censura.
  4. Con il terzo ed ultimo motivo del ricorso incidentale – riguardante la mancata disposizione del rendiconto a carico della controparte sui beni dalla stessa posseduti sul presupposto della tardivita’ della relativa richiesta – il (OMISSIS) ha inteso far valere la violazione o falsa applicazione degli articoli115 e 116 c.p.c., oltre che dell’articolo723 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, unitamente al vizio di omessa o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
  5. Cominciando, in ordine logico-giuridico, l’esame delle formulate censure con la considerazione del primo motivo del ricorso principale, rileva il collegio che esso deve essere dichiarato in parte inammissibile e in parte infondato.

La doglianza si prospetta, invero, inammissibile nella parte in cui con la stessa risultano denunciati vizi processuali ricondotti all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perche’, con la relativa deduzione, la ricorrente principale ha inteso solamente far valere la supposta violazione di legge attinente alla qualificazione come testamento delle schede redatte dalla (OMISSIS) avuto riguardo all’interpretazione delle disposizioni in esse contenute e all’emergenza di un’effettiva manifestazione di volonta’ testamentaria, in tal senso prospettando anche il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con riferimento a quest’ultimo pure deve pervenirsi ad una pronuncia di inammissibilita’ perche’ – applicandosi, nel caso di specie, la nuova formulazione della relativa previsione normativa come introdotta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lettera b), conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, (sul presupposto che la sentenza impugnata e’ stata pubblicata successivamente all’il settembre 2012, in virtu’ di quanto stabilito dal citato Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 3) – la Corte di appello di Firenze ha – in linea con la giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. Sez. U. n. 8053 e 8054 del 2014 e, da ultimo, Cass. n. 9253/2017) – certamente esaminato la relativa doglianza sul fatto decisivo della controversia riguardante l’asserita invalidita’ del testamento della (OMISSIS), adottando una motivazione sicuramente sufficiente, non omettendola ne’ fornendo una giustificazione argomentativa sul piano logico-giuridico meramente apparente del suo convincimento.

Il prospettato vizio di violazione di legge e’, invece, privo di fondamento.

Infatti, il giudice di appello ha espressamente e logicamente motivato sull’effettivita’ dell’emergenza dal contenuto delle schede testamentarie della univoca volonta’ della testatrice nel rendere le disposizioni ereditarie (riguardanti i beni immobili alla stessa appartenenti) in favore dei due figli, ancorche’ emesse nel convincimento (o, comunque, nell’auspicio) della ritenuta corrispondenza ai loro stessi desideri. Certamente questa finalita’ rafforzativa della volonta’ della de cuius (compendiata nell’espressione dell’incipit “…dedico ai miei due carissimi figli – per testamento il mio avere – come gia’ da loro espresso desiderio nella divisione di: a mia figlia….; a mio figlio…”) non poteva aver determinato il venir meno del presupposto intento pienamente volitivo della testatrice, ne’ puo’ ritenersi che, nel caso di specie, come sostenuto dalla ricorrente principale, si fosse venuta a configurare una ipotesi di “errore sul fatto”, nel senso che la suddetta volonta’ era stata condizionata in modo decisivo dalla rappresentazione di un fatto (da inquadrarsi in senso oggettivo) non vero (cfr. Cass. n. 24637/2010).

Invero, secondo la concorde giurisprudenza di questa Corte (v., anche, Cass. n. 2152/1966 e Cass. 2132/1971), l’errore sul motivo, assunto dall’articolo 624 c.c., comma 2, quale causa di annullamento di disposizioni testamentarie, si identifica in quello che cade sulla realta’ obiettiva e non gia’ sulla valutazione che di essa abbia fatto il testatore, nel suo libero ed insindacabile apprezzamento circa l’importanza e le conseguenze della realta’ stessa, in relazione alle sue personali vedute ed aspirazioni ed ai fini perseguiti nel dettare le sue ultime volonta’ (donde tale soggettiva valutazione della realta’ obiettiva e’ da qualificarsi come giuridicamente irrilevante). Peraltro, l’apprezzamento del giudice del merito circa l’esistenza o meno del motivo erroneo, dedotto quale causa di annullamento del testamento, e’ incensurabile in sede di legittimita’, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici ed errori di diritto, come verificatosi nella fattispecie.

In altri termini, il giudice di appello ha, nella vicenda che ci occupa, legittimamente ritenuto che il contenuto dei testamenti (con cui aveva disposto del suo complessivo patrimonio immobiliare) corrispondesse alla reale volonta’ della testatrice, senza che essi contenessero alcun errore (escludendosi, percio’, la supposta violazione dell’articolo 624 c.c.), inteso nel senso di distorsione della realta’ oggettiva, esprimendo gli stessi soltanto una convinzione maturata dalla (OMISSIS) e legittimamente dalla stessa posta a base delle proprie disposizioni di ultima volonta’.

  1. La seconda, complessa, censura dedotta con il ricorso principale – nei termini prima richiamati – e’, ad avviso del collegio, da dichiarare inammissibile con riguardo alla dedotta violazione ricondotta all’articolo360 c.p.c., comma 1, n. 5, (per le stesse ragioni esposte con riferimento al primo motivo, avendo la Corte territoriale comunque esaminato l’ulteriore fatto decisivo della causa riferito alla contestata validita’ della divisione operata con testamento dalla (OMISSIS)), infondata in relazione al supposto vizio di omessa pronuncia (palesemente insussistente) mentre e’ da ritenersi fondata in ordine alla denunciata violazione degli articoli734 e 735 c.c..

E’ opportuno premettere che l’attuale ricorrente principale, fin dall’originario atto di citazione, aveva richiesto (ribadendo le domande anche in sede di precisazione delle conclusioni) – subordinatamente alla domanda principale di dichiarazione di invalidita’ e/o di inefficacia dei testamenti olografi della (OMISSIS) (come detto rigettata con la sentenza di primo grado e confermata sul punto dalla sentenza d’appello, il cui motivo, riproposto in questa sede, e’ stato respinto per quanto chiarito in ordine alla prima censura) – che venisse, comunque, accertata e dichiarata la nullita’ dei testamenti stessi ai sensi dell’articolo 735 c.c., comma 1, o, comunque, della sola divisione sempre in virtu’ della stessa norma (v. pagg. 6-8 del ricorso) per pretermissione del coniuge legittimario (ancora vivente al momento dell’apertura della successione, ancorche’ deceduto poco tempo dopo). Da cio’ sarebbe derivata la conseguente dichiarazione che allo stesso legittimario pretermesso (poi deceduto) spettava (ai sensi dell’articolo 542 c.c., comma 2) la quota di riserva di 1/4 dell’eredita’ relitta della (OMISSIS) e che, pertanto, a seguito della sopravvenuta morte (“ab intestato”) del padre (marito della (OMISSIS)), previo accertamento che ella era erede legittima del padre per la quota del 50% ed in accoglimento dell’azione di riduzione cumulativamente proposta (quale, appunto, erede di (OMISSIS)), alla medesima avrebbe dovuto essere riconosciuta una quota pari al 50% dell’intero asse relitto dalla madre (OMISSIS).

Le domande formulate in via subordinata venivano accolte con la sentenza di primo grado del Tribunale di Firenze, il quale riteneva fondata l’azione di riduzione proposta dall’attrice in qualita’ di erede del padre successivamente deceduto (provvedendo alle relative riduzioni) e dichiarava la nullita’ della divisione di cui alle impugnate schede testamentarie della (OMISSIS), con il conseguente riconoscimento del diritto della (OMISSIS) a succedere nella misura della meta’ dell’intero asse relitto di (OMISSIS) di cui alle stesse schede testamentarie, provvedendo, inoltre, sull’approvazione del rendiconto.

La Corte di appello di Firenze (la cui sentenza qui impugnata e per come depositata nell’interesse della ricorrente principale nella forma di cui all’articolo 369 c.p.c., comma 2, pur essendo monca della pag. 9, risulta sufficientemente intelligibile ai fini dell’esame del secondo motivo, anche alla stregua del concorde richiamo del relativo contenuto nei rispettivi ricorsi di entrambe le parti in questa fase di legittimita’), adita dal (OMISSIS), pur dando atto che non era stato proposto gravame dal predetto appellante sul punto della decisione di primo grado con cui erano state accertate la lesione dei diritti del legittimario (OMISSIS) e l’ammissibilita’ dell’azione di riduzione esercitata dalla (OMISSIS) quale erede dello stesso legittimario pretermesso (v. pag. 8 della sentenza di appello, donde la formazione dell’acquiescenza su tale questione e il relativo passaggio in giudicato sull’intervenuto accoglimento della inerente domanda), ha riformato la sentenza di primo grado proprio con riferimento alla dichiarazione di nullita’ della divisione quale conseguenza dell’accoglimento dell’azione di riduzione e nella parte in cui aveva accertato e dichiarato il diritto della (OMISSIS) di succedere nella meta’ dell’intero asse relitto.

Cosi’ statuendo, pero’, la Corte territoriale e’ incorsa nella denunciata violazione dell’articolo 734 e, soprattutto, dell’articolo 735 c.c..

Ad avviso del collegio, infatti, risulta erronea la sentenza impugnata nella parte in cui con essa e’ stata riformata la decisione di primo grado, dovendo, invece, pervenirsi – come domandato nell’originaria citazione dalla (OMISSIS) (che non si era, quindi, limitata solo a proporre, in via pregiudiziale, una domanda di riduzione quale erede del padre successivamente deceduto) – alla dichiarazione di nullita’ della divisione operata direttamente dalla testatrice che aveva disposto dei suoi beni pretermettendo il coniuge legittimario.

Cosi’ provvedendo, il giudice di appello e’ incorso, specificamente, nella violazione del primo comma del citato articolo 735 c.c., determinando il mancato riconoscimento, in favore della ricorrente principale, del diritto a succedere nella meta’ (indistinta) dell’intero asse relitto dalla (OMISSIS), stante l’assenza nel testamento “di criteri per la definizione delle quote da assegnare” a ciascuno dei due eredi parti in causa (con totale pretermissione del coniuge legittimario, non istituito formalmente coerede, che aveva legittimato la stessa (OMISSIS) ad agire per la relativa azione di riduzione essendo a sua volta diventata coerede del padre, nelle more deceduto senza testamento), sul presupposto che l’istituzione di eredi testamentari era stata fatta dalla “de cuius” per cespiti immobiliari nominati (in funzione, per l’appunto, divisoria tra i due germani eredi) e non per quote.

Ha, quindi, errato la Corte fiorentina laddove ha ritenuto che la nullita’ della divisione contemplata dall’articolo 735 c.c., comma 1, operi solo nell’ipotesi in cui il testatore abbia espressamente previsto che il legittimario debba essere soddisfatto con beni non compresi nel relictum, ritenendo, invece, esclusa l’operativita’ di siffatta nullita’ nel caso di pretermissione del legittimario dal testamento e dalla divisione, sul presupposto che, in tal caso, la divisione sarebbe idonea a conservare i suoi effetti previa riduzione delle assegnazioni e, quindi, facendo in modo che l’erede pretermesso possa essere soddisfatto con beni provenienti dal relictum, da prelevarsi proporzionalmente da quelli attribuiti agli eredi testamentari.

Cosi’ statuendo, infatti, il giudice di appello ha illegittimamente assoggettato alla stessa disciplina il caso della pretermissione dell’erede legittimario e quello della lesione della quota di legittima che, invece, il legislatore ha voluto mantenere distinti, prevedendo una differenziata disciplina contenuta, rispettivamente, nel primo e nel piu’ volte menzionato articolo 735 c.c., comma 2.

Infatti, in virtu’ del disposto di cui al primo comma di detta norma, in caso di divisione testamentaria con pretermissione del legittimario, la divisione proprio perche’ ne e’ impedita la realizzazione della causa per effetto dell’anomalia funzionale dipendente dalla mancata previsione della partecipazione ad essa di un avente diritto – e’ da ritenersi nulla (v. Cass. n. 2367/1970; Cass. n. 2870/1972 e, in motivazione, anche se solo per obiter, Cass. Sez. U. n. 20644/2004), ragion per cui deve escludersi, in tale ipotesi, la configurabilita’ dell’efficacia reale della c.d. divisici inter liberos (ritenuta, invece, operante dalla Corte di appello toscana), derivando dalla nullita’ della divisione testamentaria il ripristino della comunione ereditaria.

Essendo stata, quindi, nella concreta fattispecie, proficuamente reclamata, in via preliminare, la quota ereditaria riservata al legittimario per mezzo dell’accolta azione di riduzione esperita dalla ricorrente principale quale legittima erede del padre pretermesso (v., per idonei riferimenti, anche Cass. n. 3599/1992 e Cass. n. 3694/2003), il giudice di appello avrebbe dovuto ritenere fondata (come, del resto, aveva rilevato correttamente il giudice di prime cure) la correlata domanda di nullita’ del riparto divisorio cosi’ come operato di sua iniziativa dalla testatrice con attribuzione diretta di distinti cespiti dell’intero patrimonio ereditario immobiliare, concretamente individuati, in favore dei due figli a causa della “preterizione divisoria del legittimario”.

In definitiva, in accoglimento per quanto di ragione (ovvero relativamente alla denuncia violazione di legge sostanziale) del secondo motivo dedotto con il ricorso principale, la sentenza della Corte di appello di Firenze deve essere cassata “in parte qua”, enunciandosi – ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, il principio di diritto secondo cui “deve essere accolta la domanda di nullita’, proposta dal legittimario pretermesso nel testamento (o, in sostituzione del medesimo, da un suo erede, come verificatosi nel caso di specie), della divisione del patrimonio ereditario disposta direttamente dal testatore qualora Io stesso legittimario (o un suo erede agente “iure successionis”), da considerarsi preterito per non essere stato compreso nella divisione, abbia positivamente esperito in via preventiva l’azione di riduzione”.

Alla ritenuta fondatezza di detta censura nei richiamati termini consegue, per derivazione logico-giuridica, la dichiarazione di assorbimento dei residui motivi proposti con il ricorso principale e di tutti quelli avanzati con il ricorso incidentale.

Il giudice di rinvio (che si designa in altra Sezione della Corte di appello di Firenze), oltre a conformarsi al su riportato principio di diritto, provvedera’ anche a regolare le spese della presente fase di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale; accoglie, per quanto di ragione, il secondo motivo dello stesso ricorso principale e dichiarata assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e tutti i motivi del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per la regolazione delle spese della presente fase di legittimita’, ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.

Successione mortis causa – Testamento olografo – Scioglimento della comunione rìereditaria – Collazione – Capacità di intendere e volere del testatore – Onere della prova – Elementi probatori – Ctu – Valutazione del giudice di merito – Criteri

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. PENTA Andrea – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28093-2013 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1069/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 07/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS), proponeva appello avverso la sentenza non definitiva n. 88 del 2007 con la quale il Tribunale di Padova, nel giudizio di primo grado proposto dalle sigg.re (OMISSIS) ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) nei confronti della (OMISSIS), rigettava l’impugnazione del testamento olografo redatto da Sergio (OMISSIS), proposta da (OMISSIS), dichiarava che il de cuius aveva donato, in vita, a (OMISSIS) la complessiva somma di Euro 188.353,31 e, conseguentemente, dichiarava la stessa obbligata a collazionare in sede di divisione ereditaria il suddetto importo, rigettava la domanda delle attrici avente ad oggetto il credito di Lire 145.000.000 nei confronti del padre.

Si costituivano le appellate chiedevano il rigetto del gravame e proponevano appello incidentale per il riconoscimento del credito a loro favore e di cui si e’ gia’ detto.

La Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 1069 del 2013, notificata in data 8 ottobre 2013, rigettava l’appello principale e accoglieva parzialmente l’appello incidentale, assegnava alle sigg.re (OMISSIS) la somma di Lire 145.000.000 con relativi interessi, condannava l’appellante alle spese del giudizio di secondo grado. Secondo la Corte lagunare, l’appello principale andava rigettato perche’ l’appellante, su cui ricadeva il relativo onere, non aveva provato che il de cuius era incapace di intendere e di volere al momento della redazione del testamento. A sua volta, andava accolto l’appello incidentale delle sorelle (OMISSIS), posto che in caso di conto cointestato le somme dovevano essere ritenute sia della moglie che del marito ed, in difetto di prova specifica sulla loro provenienza, spettavano a ciascuno nella misura del 50%.

La cassazione di questa sentenza e’ stata chiesta da (OMISSIS) con ricorso affidato a tre motivi. Le sigg.re (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.= Con il primo motivo di ricorso, la sig.ra (OMISSIS) lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 5. La ricorrente si duole del fatto che la Corte distrettuale non abbia ammesso CTU per effettuare “ora per allora”, sulla scorta della documentazione acquisita e agli atti del processo, l’accertamento sulla capacita’, o meno transeunte del (OMISSIS) al momento in cui dava corso, su pressione delle figlie, al secondo testamento.

1.1.= Il motivo e’ infondatote essenzialmente perche’ la sentenza ha ampiamente chiarito le ragioni, che vanno condivise perche’ coerenti ai dati acquisiti al processo, per le quali ha escluso che il de cuius fosse incapace di intendere e di volere, nel momento cui confezionava il testamento di cui si dice e, ad un tempo, ha anche chiarito le ragioni per le quali escludeva l’ammissibilita’ della CTU “(…) non appare utilmente esperibile una CTU medica postuma per accertarne le condizioni di salute (sul punto sarebbe per altro esplorativa) e la conseguente pretesa incapacita’ a testare”.

La ricorrente, comunque, limitandosi a denunciare la mancata ammissione di una CTU non ha, neppure, spiegato in che modo i dati valutati dalla Corte distrettuale sarebbero stati, con certezza, travolti e/o privati di significato dalla chiesta e non ammessa CTU e/o perche’ quei dati valutati, dalla Corte distrettuale, sarebbero insufficienti a dar prova dell’accertata capacita’ a testatore del (OMISSIS). Senza dire che la consulenza tecnica d’ufficio e’ mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria), sottratta alla disponibilita’ delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego, puo’ anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice (cfr. Cass. n. 9461 del 21/04/2010).

Piuttosto, la Corte distrettuale ha, correttamente, tenuto conto che la documentazione in atti ed, in particolare, la visita effettuata dal prof. (OMISSIS), dava ampia prova della capacita’ a testare del Candbtto. Infatti, come afferma la sentenza impugnata “(….) il giorno del testamento il de cuius e’ stato valutato capace di testare dal professore ordinario di psichiatria (OMISSIS) (…)” E, la sentenza impugnata, aggiunge che la valutazione del prof. (OMISSIS) non meritava di essere smentita “(…) perche’ non era stato, neppure, dedotto in causa che il de cuius fosse affetto da particolari patologie idonee a compromettere, in via permanente, la capacita’ a testare ed in difetto di ulteriore documentazione sanitaria (…).

2.= Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la nullita’ della sentenza ex articolo 360 c.p.c., n. 4 in combinato con l’articolo 132 cod. proc., civ., (motivazione quale elemento essenziale della pronuncia) e l’articolo 624 cod. civ.. La ricorrente si duole che la Corte distrettuale non abbia dato valore alla lettera del 28 giugno 1998 con la quale il de cuius aveva dichiarato “(…) con questa mia annullo ogni cosa scritta contro mia moglie perche’ ho agito sotto la pressione dei miei familiari e sotto l’influsso delle calunnie di (OMISSIS). Dichiaro che ogni cosa intestata a mia moglie e’ di sua legittima proprieta’, compreso il denaro che lei mi ha sempre affidato in buona fede (…)”. Piuttosto: a) la prima locuzione, secondo la ricorrente, certificherebbe quanto accaduto in sede di redazione del testamento impugnato e, cioe’, che il de cuius era stato costretto in forza di pressioni e calunnie e cio’ integrerebbe la prospettiva di cui all’articolo 624 cod. civ.. E, sul punto, la Corte distrettuale non avrebbe motivato o avrebbe dato una motivazione semplicemente apparente. b) la stessa missiva avrebbe un valore confessorio in ordine alla riferibilita’ delle somme gia’ contenute nei conti correnti cointestati al (OMISSIS).

2.1. = Il motivo e’ infondato, essenzialmente, perche’ si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle emergenze istruttorie non proponibile nel giudizio di cassazione se, come nel caso in esame, la valutazione compiuta dalla Corte distrettuale non presenta vizi logici e/o giuridici.

  1. a) Come ha avuto modo di evidenziare la Corte distrettuale “(…) quanto al fatto del testamento impugnato sarebbe viziato ex articolo624 cod. civ.perche’ redatto sotto pressione da parte dei familiari, come sostenuto da parte dell’appellante in base alla lettera sub doc. 11, questa Corte esclude la fondatezza della doglianza perche’ la citata lettera non fa espresso rinvio al testamento in questione e, di conseguenza, ben avrebbe potuto riferirsi ad altre condotte, nella lettera si legge che il (OMISSIS) annullava ogni cosa scritta contro sua moglie perche’ avrebbe agito sotto pressione dei suoi familiari, ma il testamento in questione non e’ stato scritto contro la moglie perche’ la riconosce, comunque, coerede insieme alle figlie, per altro, al momento della redazione del testamento, documento 11 in esame, il testatore poteva revocare espressamente il testamento e sostituirlo con un altro, se avesse voluto farlo, ma non lo ha fatto (…)” Ora, e’ di tutta evidenza che la Corte ha valutato e vagliato le risultanze istruttorie ed e’ pervenuta, secondo ragionevoli considerazioni, non sindacabili in cassazione ad escludere che la lettera di cui si dice identificherebbe un’ipotesi riconducibile alla normativa di cui all’articolo 624 cod. civ..

Senza dire che, come e’ stato gia’ affermato da questa Corte in altra occasione (Cass. n. 14011 del 2008) in tema di impugnazione di una disposizione testamentaria che si assuma affetta di dolo, per potere configurarne la sussistenza non e’ sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, ma occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti, i quali – avuto riguardo all’eta’, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso – siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volonta’, in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata. La relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano, di identificare e ricostruire l’attivita’ captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volonta’ del testatore.

  1. b) Come ha avuto modo di chiarire la Corte distrettuale agli atti non vi era prova per escludere “(…) la presunzione che in caso di conto cointestato le somme dovevano essere ritenute sia della moglie che del marito e, in difetto di prove specifiche sulla loro provenienza spettano a ciascuno nella misura del 50% (…)”. Ora, tale affermazione non sembra sia scalfita dalle osservazioni della ricorrente secondo cui la dichiarazione del de cuius del 29 giugno 1998 dimostrerebbe che il denaro nei conti correnti cointestati era della sig.ra (OMISSIS) e che la cointestazione al sig. (OMISSIS) era avvenuta per lo svolgimento degli affari che lo stesso poneva in essere come procuratore della moglie, perche’ manca un diretto rapporto tra la dichiarazione del (OMISSIS) e l’appartenenza alla (OMISSIS) del denaro versato nel conto corrente cointestato. Infatti, come afferma la stessa Corte distrettuale “(…) parte appellante non indicava neppure i proventi delle vendite immobiliari, ne’ in base a quali fruttuosi investimenti il suo patrimonio sarebbe aumentato fino al valore totale degli importi transitati nei conti cointestati, in sostanza per provare l’esclusiva titolarita’ delle somme dei conti cointestati adduce circostanze assolutamente generiche e prive di riscontro, inidonee a vincere la presunzione di contitolarita’ delle somme esistenti nei conti cointestati (….)”.

3) Con il terzo motivo del ricorso, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme, in particolare gli articoli 752 e 754 cod. civ. in combinato con i principi della compensazione fra debiti e crediti in riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Secondo la ricorrente, posto che il padre era debitore verso le sig.re (OMISSIS) e che tale debito era sussistente al momento dell’apertura della successione e che essendo le sig.re (OMISSIS) coeredi si trovavano nella situazione di creditrice per l’intero, ma, anche, di debitrici in proporzioni delle proprie quote. Pertanto, secondo la ricorrente, sarebbe illegittima l’assegnazione dell’intero credito alle controparti e, comunque, avrebbe dovuto considerare estinto il debito in parte qua, per compensazione.

3.1.= Il motivo e’ infondato.

Invero, gli articoli 752 e 754 c.c. regolano, rispettivamente, la ripartizione dei debiti ereditari tra gli eredi ed il pagamento di tali debiti da parte dei coeredi, con il conseguente diritto di rivalsa del coerede, che ha pagato i creditori, oltre la parte a lui spettante nei confronti degli altri coeredi; tali norme, quindi, disciplinano i rapporti tra coeredi da un lato e creditori del “de cuius” dall’altro, tra i quali ultimi, quindi, non puo’ essere compreso il coerede che vanta un credito nei confronti del “de cuius”. Nondimeno, deve ritenersi che non sussiste alcuna preclusione a far valere detto credito, invece, che in un giudizio autonomo rispetto a quello di scioglimento della comunione ereditaria, nello stesso giudizio divisorio, sussistendo, anzi, ragioni di economia processuale a fondamento di tale assunto; infatti, considerato che nell’ambito del giudizio di divisione si realizza la finalita’ di definire tutti i rapporti di dare ed avere tra i coeredi, sia pure in dipendenza dei rapporti di comunione, deve ritenersi ammissibile definire in tale sede un rapporto obbligatorio che, pur avendo una natura diversa (come appunto il credito del coerede nei confronti della massa ereditaria), trova, comunque, la sua collocazione e la sua tutela nell’ambito della vicenda successoria che ha dato luogo alla comunione ereditaria.

In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex articolo 91 cod. proc. civ. condannata al pagamento delle spese del presente giudizio che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio da atto che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente a rimborsare, a parte controricorrente, le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 7.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori, come per legge, da’ atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

Corte d’Appello|Taranto|Civile|Sentenza|14 febbraio 2014| n. 134

Impugnazione del testamento – Richiesta di annullamento del testamento – Art. 624 c.c. – Risultanze processuali tali da non considerare raggiunta la prova di fatti certi e significativi – Fatti idonei ad integrare raggiri od altre manifestazioni fraudolente – Atti capaci di trarre in inganno il de cuius ed a condizionarne la volontà – Orientamento della volontà verso il compimento di atti cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata – Rigetto della richiesta – Ipotesi ricorrente nella fattispecie – Insufficienza di qualsiasi influenza esercitata sul testatore per mezzo di sollecitazioni, consigli, lusinghe e promesse – Necessità della prova del concorso di mezzi fraudolenti – Mezzi idonei ad ingannare il testatore e ad indurlo a disporre in modo difforme da come avrebbe deciso – Relativa prova pure presuntiva – Prova fondata su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’attività captatoria – Prova della conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI LECCE

– SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO –

SEZIONE CIVILE

composta dai Signori:

1) Dott. Riccardo ALESSANDRINO – Presidente –

2) Dott. Franco MOREA – Consigliere –

3) Dott. Loredana COLELLA – Consigliere REL. –

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 288 del Ruolo Generale delle cause dell’anno 2010, trattata e passata in decisione all’udienza di trattazione del 20/9/2013

TRA

MI.Mi., MI.Lu. e MI.An., rappresentati e difesi dall’avv. Fr.Bl., tutti residenti in S. Vito (Taranto) ed ivi stesso elettivamente domiciliati presso il suo studio legale alla Via(…) in virtù di mandato a margine dell’atto di appello

– APPELLANTI –

E

CA.Fr. e CA.Um.Ma., residenti in Taranto ed ivi elettivamente domiciliati alla via (…), presso e nello studio dell’Avv. Sa.La. dal quale sono rappresentati e difesi giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta

– APPELLATI –

I procuratori delle parti precisano le conclusioni come da verbale dell’udienza di precisazione delle conclusioni del 20/9/2013.

Fatto e diritto

Con sentenza n. 924/2010 del 13.5.2010 il Tribunale di Taranto rigettava le domande proposte da Mi.Mi., Mi.Lu. e Mi.An. nei confronti di Ca.Fr. e Ca.Um.Ma., dirette ad ottenere: l’annullamento ex art. 591 c.c. o in subordine dell’art. 624 c.c., della scheda testamentaria del defunto zio Ca.Um., redatta dal notaio La. il 2.9.97; l’annullamento ex art. 775 c.c. dell’atto di donazione immobiliare tra il de cuius ed il nipote Ca.Fr., redatto dal medesimo notaio il 24.12.97: la dichiarazione di nullità per vizio di forma o per errore e/o dolo tutti gli atti inter vivos intercorsi il 24.12.97 tra il de cuius ed i convenuti; dichiarare nulli detti negozi inter vivos e le disposizioni testamentarie per violazione del divieto di patti commissori; dichiarare che per effetto della valida scheda testamentaria redatta il 30.12.1988 il locale sito in Taranto alla Via (…) si appartiene agli attori; ordinare ai convenuti il rendiconto dei titoli e del denaro giacente in banca o presso l’ufficio postale e provvedere alla sua divisione secondo le disposizioni contenute nel testamento pubblico del 30.12.1988.

Per la parziale riforma di detta sentenza hanno proposto tempestivo appello Mi.Mi., Mi.Lu. e Mi.An. ed hanno chiesto: annullarsi ex art. 591 e 624 c.c. sia la scheda testamentaria di Ca.Um. redatta dal notaio La. il 2.9.97 che ex art. 775 c.c. l’atto di donazione redatto dal notaio La. il 24.12.97 ed avente ad oggetto il locale commerciale sito in Taranto alla Via (…); annullare comunque per dolo tutti gli atti inter vivos conclusi a mezzo del notaio La. il 24.12.97 tra il de cuius Ca.Um. ed i convenuti (rep. 54850, 54851 e 54862); per l’effetto dichiarare che in virtù della scheda testamentaria redatta il 30.12.1988 per notar La. l’immobile sito in Taranto alla Via (…) si appartiene agli appellanti Mi.Mi., Lu. ed An.; vittoria di spese del doppio grado di giudizio o in subordine disporsi la compensazione parziale delle spese e competenze del giudizio di primo grado e ordinarsi la restituzione, in favore degli appellanti, della maggior somma versata in esecuzione della sentenza impugnata; in via istruttoria il rinnovo delle indagini peritali da affidarsi ad uno specialista neurologo e, in subordine, l’audizione del CTU a chiarimenti sullo stadio evolutivo della demenza senile al momento del compimento degli atti impugnati, con riferimento alle obiettività cliniche emerse dalle osservazioni dei medici curanti e degli altri testi di parte attrice sentiti in prime cure.

Si sono costituiti Ca.Fr. e Ca.Um.Ma., chiedendo il rigetto dell’appello con vittoria di spese del secondo grado di giudizio, da distrarsi in favore del difensore antistatario ed opponendosi alla richiesta istruttoria.

All’udienza del 20.9.2013 i procuratori delle parti hanno precisato le conclusioni, come rassegnate a verbale, e la causa è stata ritenuta in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.

Con i motivi di appello si muove censura alle statuizioni della sentenza impugnata: per essersi il tribunale adeguato alle conclusioni del CTU affermando in maniera erronea che la demenza senile di cui soffriva il sig. Ca. fosse allo stato iniziale, non risultando tale affermazione neppure in maniera assoluta dalla CTU e non corretta sotto il profilo tecnico; per difetto di motivazione e contraddittorietà sotto il profilo logico, avendo il tribunale omesso di valutare tutti i dati obiettivi sulle condizioni patologiche del sig. Ca. emerse dagli atti di causa, avendo il neurologo ed il medico curante descritto la sintomatologia; erroneo rigetto della domanda di annullamento degli atti impugnati sotto il profilo della captazione e/o del dolo, non avendo il tribunale dato alcun peso al raggiro cui fu sottoposto il Ca. nel momento in cui gli fu fatto credere di aver venduto al nipote per il prezzo di Lire 202.125.000 l’immobile di cui all’atto del 24.12.97 (rep. 54851), non essendovi traccia del passaggio del denaro ed essendo l’acquirente disoccupato, nonché per il contrasto tra l’atto a titolo oneroso a favore del nipote e la contestuale liberalità e le disposizioni testamentarie di cui hanno beneficiato i convenuti sugli stessi beni, dovendosi la captazione ricavare da presunzioni; che avendo il tribunale accolto l’eccezione di nullità della difesa degli attori per difetto dello ius postulandi del difensore, controparte doveva ritenersi parzialmente soccombente e pertanto le spese processuali andavano compensate ex art. 92 c.p.c. o comunque andavano liquidate in misura proporzionale all’attività difensiva legalmente effettuata.

Le censure inerenti il rigetto delle domande di annullamento della scheda testamentaria del 2.9.97, dell’atto di donazione e degli atti inter vivos del 24.12.97 sono infondate.

Dichiarata, per difetto dello ius postulandi in capo al difensore, la nullità del mandato originario e della successiva attività, anche probatoria, svolta nell’interesse dei convenuti, il tribunale ha ritenuto che l’assunto secondo cui il sig. Ca., affetto da tempo da una grave forma di demenza senile e poi deceduto il 29.8.99, all’epoca del suo secondo testamento pubblico, redatto il 2.9.97, non fosse capace di intendere e di volere, non fosse assistito dal necessario conforto probatorio, all’uopo rifacendosi al consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’incapacità naturale del testatore, determinante l’invalidità del testamento ex art. 591 c.c., non si identifica in una semplice anomalia o alterazione del normale processo di formazione e di estrinsecazione della volontà, ma richiede che a cagione dell’infermità (transitoria o permanente) o di altra causa perturbatrice, il soggetto al momento della redazione dell’atto di ultima volontà fosse assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi, così da versare in condizioni analoghe a quelle che, con il concorso dell’abitualità, legittimano la pronuncia di interdizione (Cass., 9274/2008; 8079/2005; 1444/2003; 15480/2001; 10571/98; 5620/95; 4499/86), ritenendo logico corollario di tanto che la parte interessata sia tenuta a provare in modo serio e rigoroso che il testamento fu redatto in un momento in cui lo stato psichico del disponente fosse tale da sopprimere l’attitudine a determinarsi coscientemente e liberamente. Al riguardo il tribunale ha ritenuto che non fossero emersi elementi probatori inequivoci dell’insanità mentale del de cuius al momento della stesura della scheda testamentaria e dell’atto donativo, atteso che: le deposizioni dei testi di parte attrice costituiscono indici rivelatori dell’insorgenza della psicopatologia negli ultimi anni di vita dell’anziano, ma non autorizzano a ritenere che il Ca. al momento dei negozi fosse assolutamente privo della coscienza del proprio agire poiché, considerate le caratteristiche cliniche della malattia, quali evidenziate dal CTU dott. Bo., le situazioni ed anomalie comportamentali descritte dai testi (confusione, amnesie e disorientamenti), peraltro infarcite di valutazioni ed impressioni personali, aprono il quadro alla sindrome demenziale ma non sono elementi sufficienti per ritenere che nell’anno 1997 il Ca., sebbene anziano ed in precarie condizioni di salute, fosse incapace di intendere e di volere.

Il Tribunale ha altresì rilevato la lacunosità del complessivo quadro probatorio, essendo la denunciata infermità mentale del testatore priva del necessario supporto tecnico-documentale (attestante la sua eziopatogenesi e le sue caratteristiche involutive) utile a fornire elementi obiettivi, certi, sulla storia clinica del soggetto, necessari per il formarsi del serio convincimento sulla sua condizione deficitaria all’epoca degli atti dispositivi, non trovando il quadro degenerativo diagnosticato dal dott. Na. e dal dott. Ro., suoi medici curanti, alcun riscontro testuale, mancando la documentazione medica atta a verificare le patologie sofferte dal paziente, la loro incidenza sulla sfera neuropsichica e quindi il manifestarsi della malattia e la sua concreta evoluzione ingravescente ed ha considerato: che le valutazioni e le conclusioni del dott. Ro., specialista neurologo, sono frutto di osservazioni del paziente compiute a distanza di un anno dal testamento e dalla donazione, avendo questi affermato di aver visitato il Ca. solo due volte (ottobre e dicembre 1998), riscontrando anomalie proprie della sindrome demenziale in stato avanzato ma non avendo nel contempo potuto attestare, per il periodo pregresso, quali fossero le condizioni del paziente, astenendosi dal formulare giudizi in merito; che la capacità di testare per converso risulta avvalorata sia dalla valutazione professionale operata dal notaio rogante (che nel ricevere le dichiarazioni di ultima volontà del testatore e ridurle per iscritto ha potuto vagliarne la lucidità e la capacità di autodeterminazione), sia dal contenuto stesso della scheda testamentaria, le cui disposizioni non appaiono incoerenti o irragionevoli, considerato che il Ca., previa revoca espressa del precedente testamento, ha inteso disporre ex novo di quasi tutto il suo patrimonio, ripartendolo, sia pure in diversa misura, tra i nipoti Mi.- Ca.

Le valutazioni compiute dal tribunale meritano piena condivisione, non risultando acquisita sufficiente prova che al momento della redazione dell’atto il sig. Ca. non fosse in grado di intendere il valore etico e giuridico dell’atto e di prevederne le conseguenze morali, giuridiche ed economiche, né potendo escludersi che avesse la piena capacità di autodeterminarsi, ovverosia che la sua volontà potesse liberamente esprimersi senza sottostare a coartazioni, raggiri, minacce e suggestioni, e ciò sulla scorta delle complessive risultanze processuali e dei principi che regolano la materia.

Al riguardo il CTU dott. Ma.Bo., al fine della valutazione richiestagli sulle capacità intellettive e volitive del Ca. al momento degli atti di disposizione, ha rilevato che la documentazione su cui basarsi per compiere detta valutazione non appare determinante: rispecchiando le considerazioni medico-legali in esse contenute solo un’opinione ed non un dato di fatto obiettivo, essendo la prima certificazione in atti del dott. Ro. risalente al 1.3.99. e cioè a circa 15-18 mesi dai fatti per cui si procede, fotografando detto certificato la situazione del momento e non contenendo elementi storici probativi; che nella relazione del dott. Ro. del 9.12.99, successiva al decesso del sig. Ca. (avvenuto il 29.8.99), si traccia una breve storia clinica del paziente a partire dal 9.10.98, e cioè un anno dopo la redazione del testamento; che l’ultimo documento di natura sanitaria presente è la relazione di parte del dott. Na., medico curante del Ca., nella quale, lungi dal produrre dati testimoniali certi circa lo stato di salute del Ca. al momento degli atti impugnati, esprime un giudizio basato su dati statistici circa l’insorgenza del disordine mentale nei casi di demenza.

Quanto alle caratteristiche della demenza (sindrome caratterizzata dal deterioramento di abilità intellettuali precedentemente acquisite, che interferisce con il comportamento sociale e/o professionale e che con il progredire del deficit comporta ripercussioni sulla globalità delle funzioni psichiche o neurologiche), ha precisato il CTU che il quadro clinico può essere abbastanza vario e viene distinto in tre stadi progressivi (iniziale, intermedio ed avanzato), della durata media di 2-3 anni ciascuno, avendo la malattia un decorso che comincia con semplici disturbi di memoria, minime modificazioni della personalità (come sviluppo di apatia, perdita di spontaneità e silenzioso ritiro dalle relazioni sociali), aggravandosi con il tempo il quadro patologico, passando allo stadio confusionale ed alla demenza vera e propria, sebbene il grado di deterioramento sia ampiamente variabile, con possibili fasi di plateau in cui la malattia sembra arrestarsi, ritenendo detto CTU, sulla scorta di quanto esaminato, che all’epoca dei fatti il sig. Ca. si trovasse in precarie condizioni di salute, ma non essendovi sufficienti elementi per definirlo incapace di intendere di volere, atteso che tale affermazione contenuta nelle certificazioni esibite, sebbene verosimile considerata l’età del soggetto e la patologia sofferta, non può essere considerata vera oltre ogni ragionevole dubbio, perché basata su dati statistici e non corroborata da riscontri obiettivi, non essendovi quindi elementi sufficienti a stabilire che il Ca., all’epoca dei fatti, fosse incapace di intendere di volere. In sede di chiarimenti il CTU ha confermato le proprie valutazioni e, pur ribadendo la compatibilità di quanto riferito dai testimoni con la patologia sofferta dal Ca. (demenza senile), ha evidenziato tuttavia che nelle prime fasi della demenza, prima di arrivare al completo decadimento mentale, vi è un periodo più meno lungo durante il quale le facoltà mentali non sono completamente annullate né lo sono in maniera continuativa, potendo episodi di confusione, amnesie e disorientamenti aprire il quadro della sindrome demenziale ma essere intervallati da periodi di integrità mentale durante i quali il soggetto può essere in grado di autodeterminarsi”.

La rinnovazione della CTU non si ritiene possa portare a diversi risultati, essendo (necessariamente) basata sulle risultanze documentali nonché sulle valutazioni di natura tecnica svolte dai medici curanti, che hanno redatto i pareri medico-legali su richiesta di parte attrice e sono stati sentiti anche come testimoni, spettando invero al giudice la valutazione delle risultanze testimoniali, ed avendo il CTU già esaustivamente fornito i chiarimenti richiestigli in primo grado.

Al riguardo deve poi rilevarsi come non possa trovare ingresso il “parere pro – veritate” a firma del prof. Gi.Me., allegato da parte appellante alla comparsa conclusionale del 12.11.2013, sia pure fatto proprio e sottoscritto dal difensore “quale memoria tecnica”, atteso che la finalità è quella di formulare osservazioni critiche alla CTU, attività ormai preclusa in quanto sottratta al contraddittorio ed al dibattito processuale (Cass., n. 11999/98; n. n. 9517/2002; n. 7335/2013).

Ed invero il riesame delle risultanze processuali compiuto dalla Corte consente di rilevare che le deposizioni dei testi di parte attrice non sono tranquillizzanti circa l’esistenza, in capo al sig. Ca.Um., nel periodo in cui sono stati conclusi gli atti impugnati, di una situazione di totale incapacità di intendere e di volere a causa della patologia di demenza senile da cui era affetto, non potendosi con assoluta certezza risalire all’effettivo grado di evoluzione della malattia in tale momento e conseguentemente ad uno stato talmente grave da dar ritenere insussistente la possibilità di lucidi intervalli.

Basti considerare, al riguardo, che il neurologo dott. Ro. ebbe ad effettuare solo due visite, di cui la prima solo nell’ottobre del 1998 e la seconda due mesi dopo, sicché, mancando documentazione attestante una patologia neurologica risalente ad epoca precedente, deve ragionevolmente ritenersi che fino a quel momento non vi fossero manifestazioni di tale gravità da richiedere l’intervento di uno specialista, avendo peraltro detto dott. Ro., in sede di deposizione testimoniale, dichiarato di non essere in grado di riferire “se precedentemente al 9.10.98 la situazione clinica del Ca. fosse migliore o peggiore”, riferendo altresì che ritenne di diagnosticare una demenza senile, facendo i fattori di rischio pensare ad una origine vascolare, ma che, “considerando retrospettivamente il caso”, non avendo il signor Ca. risposto alla terapia prescrittagli, ipotizzò “trattarsi di una forma degenerativa”, mentre il medico curante dott. Na., che lo ha tenuto in cura per quarant’anni, alla comparsa dei sintomi si era limitato a prescrivergli terapia per ridurre il tasso glicemico e l’ipertensione e per migliorare il circolo cerebrale, avendo lo stesso riferito che il sig. Ca. era seguito dal Centro Diabetico presso l’Ospedale di Taranto e/o la S. Rita, ove veniva seguito da specialisti, e solo negli ultimi due anni era stato seguito da un neurologo, “quando la malattia aveva avuto una involuzione tale da richiedere una cura specialistica”).

La certificazione del dott. Ro. del 1.3.99 attesta lo stato del paziente a quella data e diagnostica una “demenza tipo SDAT”, mentre nella relazione del 9.12.99, nella quale si ricostruisce la condizione del sig. Ca. dalla prima visita del 9.10.98 e l’evoluzione peggiorativa a distanza di due mesi riscontrata da detto specialista, lo stesso conferma la diagnosi di sindrome demenziale, il cui decorso lo faceva “pensare ad una demenza di tipo Alzhaimer, per la quale è descritto un decorso di circa 5-7 anni per giungere ad una perdita completa del contatto con la realtà”, giungendo così il dott. Ro. ad “ipotizzare che il sig. Ca. si trovasse in uno stadio di malattia piuttosto avanzato al momento della visita e che la sua storia clinica avesse avuto inizio da qualche anno”, mentre nella relazione del 13.12.99, successiva al decesso, il dott. Na. attesta un progressivo decadimento delle più importanti funzioni organiche del sig. Ca., con pregiudizio della funzione uditiva, visiva e, negli ultimi anni, di quella cognitiva, esprimendo la valutazione che “una ragionevole interpretazione dei tempi di evoluzione dell’involuzione mentale del C. fa decorrere a circa tre anni or sono la incapacità di provvedere scientemente ai propri interessi”, che l’affezione dominante (tra le patologie da cui era affetto il Ca.) fosse quella relativa alla sfera neuropsichica sicché, “fatta salva l’evoluzione di tipo evolutivo-involutivo di detta infermità” esprimeva il parere “che il Ca. non fosse nel pieno delle proprie facoltà cognitive a far data da circa tre anno or sono”.

Risulta con tutta evidenza che tali valutazioni, come rilevato dal tribunale, restano sganciate da precisi dati che facciano da supporto tecnico-documentale ed attestanti la eziopatogenesi e le caratteristiche involutive della malattia, utili a fornire elementi obiettivi, certi, sulla storia clinica del soggetto.

Neppure le dichiarazioni delle testi escusse su richiesta di parte attrice possono considerarsi dotate di elevato grado di valenza probante al fine di risalire alle reali condizioni del sig. Ca. nel periodo in oggetto.

De.Fe.Co. ha affermato che il sig. Ca. non era in grado di ricordare fatti e persone della sua vita quotidiana, che non la riconosceva, che a volte questi chiamava le sorelle Mi. Con un nome diverso, e cioè con quello delle proprie sorelle, che dette sorelle Mi. ed i nipoti lo aiutavano a lavarsi e a vestirsi e che dopo aver fatto colazione rimaneva seduto in maniera apatica non rispondendo ad alcuna domanda o sollecitazione, confabulando molte volte frasi senza senso, avendo la stessa nel contempo affermato di frequentare la casa per svolgere lavori domestici per tre volte a settimana e che al suo arrivo il signor Ca. stava facendo colazione, venendo prelevato dopo circa mezz’ora, alle ore 8,15 dal nipote che lo conduceva al negozio.

De.Fe.Gi. ha riferito che in occasione delle sue visite il Ca. era seduto con sguardo assente, non vedeva la TV e non partecipava ad alcuna conversazione, non rispondeva alle sue domande, avendo tuttavia affermato di aver frequentato la casa dei signori Mi. con frequenza settimanale e nelle festività, prevalentemente nelle ore del primo pomeriggio, “verso le ore 15,00, orario in cui il Ca. era sempre a letto a dormire” e qualche volta alle ore 20,00.

La teste Ch.An., cugina delle parti e frequentatrice della casa Mi., ha riferito che nel periodo in oggetto lo zio non la riconosceva, confondendola con altre persone, non partecipava ad alcun tipo di conversazione e non era interessato a nulla, era taciturno, confondeva il giorno con la notte essendosi lei interessata per trovargli un assistente notturno, venendo ogni mattina prelevato per andare al negozio e venendo riportato all’ora di pranzo. La predetta ha altresì riferito che siccome i Mi. pranzavano dopo le ore 15,00 e che lei giungeva verso le ore 15,30-16,00, allontanandosi verso le ore 18,00-18,30, trovava lo zio Um. sempre a tavola anziché, come avrebbe preferito, a letto. Ha precisato altresì che lo zio aveva problemi di udito, che lo stesso non era in grado di fare un ragionamento e si limitava rispondere con si o con un no alle domande che gli venivano rivolte e talvolta rispondeva “non ricordo” ed in uno stato di continuo torpore.

Se ne deve ricavare: che il tempo da dette testi trascorso con il signor Ca. era minimo; che all’epoca dei fatti il complessivo stato di malattia non era tale da precludere al signor Ca. di trascorrere le ore del mattino fuori di casa; che sussiste una contraddittorietà tra le dichiarazioni della teste De.Fe.Gi. e quelle della teste Ch. circa le abitudini pomeridiane dello zio Um. Non va inoltre dimenticato che, come emerge dagli atti, il signor Ca. era anche affetto da problemi di udito, patologia compatibile con lo stato di chiusura ed astrazione dal mondo esterno.

Di fronte a tale insufficiente quadro probatorio, del tutto correttamente poi il Tribunale ha vagliato il contenuto del testamento medesimo e gli elementi di valutazione da esso desumibili (Cass., sent. n. 230/2011), deponenti in senso contrario all’assunto di parte attrice. Ovviamente l’insufficienza della prova non può che tradursi nel rigetto della domanda, non potendo nella fattispecie ravvisarsi una situazione di infermità totale e permanente che rendesse il soggetto privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, tale da giustificare un’inversione dell’onere della prova (Cass., sent. n. 652/1991; n. 9508/2005; n. 807/2005; n. 9081/2010; n. 7477/2011).

Anche i motivi di appello con cui si censura la statuizione di insussistenza dei presupposti per l’annullamento dell’atto ex art. 624 c.c. non si ritengono meritevoli di accoglimento.

Premesso che non può trovare in questa sede ingresso ogni questione finalizzata a valutare la sussistenza o meno di indici rivelatori di una simulazione, in quanto non costituente oggetto di specifica domanda né di prova su cui si sia potuto instaurare valido contraddittorio, le risultanze processuali non consentono, come rilevato dal tribunale, di ritenere raggiunta la prova di fatti certi e significativi atti ad integrare raggiri od altre manifestazioni fraudolente idonee a trarre in inganno il de cuius ed a condizionarne la volontà, orientandola verso il compimento di atti cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata, a ciò non potendo bastare, secondo consolidata giurisprudenza, qualsiasi influenza esercitata sul testatore per mezzo di sollecitazioni, consigli, blandizie e promesse, ma essendo necessario raggiungere la prova del concorso di mezzi fraudolenti, che siano da ritenersi idonei ad ingannare il testatore e ad indurlo a disporre in modo difforme da come avrebbe deciso se il suo libero orientamento non fosse stato artificialmente e subdolamente deviato, dovendo la relativa prova, sia pure presuntiva, fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire la attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore (Cass., sent. n. 2122/1991; n. 7689/1999; n. 8047/2001 Sez. 2, Sentenza n. 14011 del 28/05/2008).

Del pari condivisibile è l’affermazione del tribunale secondo cui la circostanza che l’anziano venisse prelevato al mattino dai nipoti Ca., per trascorrere di buon grado la mattinata presso il loro esercizio commerciale, non può di per sé indurre a ritenere provato che detti nipoti ne abbiano coartato la volontà esercitando sullo stesso un’illecita attività di convincimento finalizzata alla modifica delle precedenti disposizioni testamentarie, non potendo neppure la captazione testamentaria ed il dolo contrattuale essere reso palese dai successivi contratti di donazione e compravendita immobiliare del dicembre 1997 (stipulati, secondo la prospettazione di parte attrice, con la finalità di rendere irrevocabile la volontà dello zio) riguardando l’atto di liberalità un cespite immobiliare non compreso nel precedente testamento e non avendo comunque i contratti inter vivos il crisma dell’irretrattabilità degli effetti, essendo impugnabili sotto diversi profili dagli eredi (come poi avvenuto), non potendo quindi da dette iniziative negoziali desumersi l’impiego, ex ante, di mezzi fraudolenti atti a coartare la volontà del testatore.

Neppure la circostanza, dedotta dagli attori, che il raggiro configurante il dolo contrattuale sia consistito nello sfruttare l’instabilità psichica e la suggestionabilità dello zio facendogli credere di continuare a svolgere l’attività di commerciante nell’esercizio di (…) risulta comprovata, non risultando acquisita la prova che il sig. Ca. abbia manifestato un interesse maniacale per l’attività dei nipoti e palesato il convincimento di continuare a svolgere l’attività di commerciante (si vedano al riguardo le dichiarazioni testimoniali del dott. Ro. e di An.Ch.).

Non è pertanto dato ritenere raggiunta la prova che siano stati usati raggiri tali che senza di essi il sig. Ca. non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione dei contratti di vendita, mediante una falsa rappresentazione della realtà tale da provocare nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ex art. 1429 c.c., non essendo sufficiente per l’annullamento del contratto una qualunque influenza psicologica sull’altro contraente ma artifici, raggiri o menzogne che abbiano avuto comunque un’efficienza causale sulla sua determinazione volitiva e quindi sul consenso, dovendo il raggiro o l’inganno aver agito come fattore decisivo e determinante della volontà (Cass., Sez. U, Sent. n. 1955/1996; n. 4409/1999; n. 12424/2006).

Con l’ultimo motivo di appello si dolgono gli appellanti della mancata applicazione dell’art. 92 c.p.c., stante l’accoglimento dell’eccezione di nullità degli atti processuali compiuti dal difensore dei Ca., dovendo a tale riguardo ritenersi parte avversa parzialmente soccombente, essendo state rigettate le avverse deduzioni.

Il motivo non può essere accolto, atteso che: gli attori sono rimasti totalmente soccombenti in merito alle plurime domande proposte; a seguito della pubblicità data alla vicenda del difetto di ius postulandi in capo al soggetto che si era costituito quale difensore dei Ca., la nullità i dell’attività compiuta andava dichiarata d’ufficio; si era costituito in cancelleria il nuovo difensore Avv. Sa.La., partecipando alle successive attività difensive (precisazione delle conclusioni e deposito comparsa conclusionale e di replica, partecipazione alle successive udienze a seguito della rimessione della causa sul ruolo per espletamento di CTU e per richiesta di chiarimenti al CTU, nuova precisazione delle conclusioni e deposito di nuova comparsa conclusionale), sicché tale attività andava remunerata.

Neppure può accogliersi, in quanto inammissibile perché genericamente formulato, il motivo subordinato, secondo cui le spese si sarebbero dovute liquidare “in misura proporzionale all’attività difensiva legalmente compiuta” atteso che non risulta specificato perché ed in quale misura l’importo liquidato in sentenza (Euro 3.428,00, di cui Euro 1.128,00 per diritti ed Euro 2.300,00 per onorario) fosse eccedente l’attività effettivamente espletata da detto difensore, né risultando esplicitati eventuali errori che sarebbero stati commessi dal primo giudice nel liquidare detti importi. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello avverso la sentenza n. 924/2010 del Tribunale di Taranto in data 13.5.2010, proposto da Mi.Mi., Mi.An. e Mi.Lu. nei confronti di Ca.Fr. e Ca.Um.Ma., così provvede:

1) rigetta l’appello e per l’effetto conferma l’impugnata sentenza;

2) condanna l’appellante alla rifusione delle spese di parte appellata per questo grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.960,00, oltre accessori di legge, da distrarsi in favore dell’Avv. Sa.La., dichiaratasi antistataria.

Così deciso in Taranto, 24 gennaio 2014.

Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2014.

Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Sentenza|22 marzo 2018| n. 7178

Successione mortis causa – Divisione ereditaria – Azione di riduzione – testamento – Azione di nullità – Errore di cui all’art. 624, comma 2, cc – Natura

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 28120/’13) proposto da:

(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), in proprio e quale erede di (OMISSIS), rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. (OMISSIS) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtu’ di procura speciale a margine del controricorso (contenente ricorso incidentale), dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in (OMISSIS);

– controricorrente – ricorrente incidentale –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 593/2013, depositata il 22 aprile 2013 (e non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 18 dicembre 2017 dal Consigliere relatore Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l’inammissibilita’ del ricorso incidentale;

uditi l’Avv. (OMISSIS) (per delega) nell’interesse della ricorrente principale e l’Avv. (OMISSIS) per il controricorrente – ricorrente incidentale.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza non definitiva del 3 luglio 2008, il Tribunale di Firenze, decidendo sulla causa instaurata dalla sig.ra (OMISSIS) nei confronti del germano sig. (OMISSIS) per la divisione dell’eredita’ della loro genitrice (OMISSIS), cosi’ provvedeva:

– accoglieva l’azione di riduzione proposta dall’attrice (nella qualita’ di erede del padre (OMISSIS)), disponendo la riduzione delle disposizioni testamentarie di cui alle schede redatte dalla genitrice (OMISSIS), pubblicate il 13 marzo 2000, nella misura di tre quarti dell’intero asse ereditario;

– dichiarava la nullita’ della divisione di cui alle stesse schede testamentarie;

– riconosceva il diritto della stessa attrice di succedere nella misura della meta’ dell’intero asse relitto della (OMISSIS);

– approvava il rendiconto redatto dal c.t.u. e dichiarava il diritto delle medesima attrice a percepire l’importo di Euro 61.718,29.

Avverso la suddetta sentenza proponeva appello il convenuto (OMISSIS) articolato in complessivi quattro motivi, al quale resisteva l’originaria attrice che, a sua volta, formulava appello incidentale in relazione al rigetto della domanda di declaratoria di inefficacia (od invalidita’) del preteso testamento, oltre che in ordine alla nullita’ della divisione, per effetto della pretermissione del legittimario, con la conseguente devoluzione dell’eredita’ in quote paritarie, deducendo, inoltre, la circostanza dell’intervenuta definizione transattiva della divisione dei cespiti immobiliari, chiedendo di procedersi alla divisione del patrimonio residuo (comprendente beni mobili e denaro) a perfetta meta’.

La Corte di appello di Firenze, con sentenza non definitiva n. 593/2013 (depositata il 22 aprile 2013), in parziale riforma della impugnata sentenza di primo grado, cosi’ decideva:

– accertava e dichiarava che la successione di (OMISSIS) avrebbe dovuto essere devoluta secondo la volonta’ testamentaria della de cuius di cui alle schede testamentarie pubblicate dal notaio (OMISSIS) il 13 marzo 2000, previa riduzione proporzionale per la determinazione della quota legittima di 1/4 dell’eredita’ spettante a (OMISSIS);

– accertava e dichiarava la devoluzione della predetta quota legittima agli eredi di (OMISSIS), e cioe’ a (OMISSIS) e (OMISSIS), ciascuno per meta’;

– disponeva la rimessione della causa sul ruolo per la determinazione della quota legittima e la sua divisione.

A sostegno dell’adottata pronuncia il giudice di secondo grado disattendeva – in primo luogo – l’eccezione pregiudiziale di tardivita’ dell’appello incidentale e respingeva quest’ultimo con riferimento alla domanda di invalidita’ del testamento della (OMISSIS) (sulla cui volonta’ devolutiva dei beni ereditari in favore di entrambi i figli non poteva nutrirsi alcun dubbio). Delibando, poi, sul merito delle censure avanzate dall’appellante principale, premessa l’insussistenza dell’incompatibilita’ della tutela del diritto del legittimario con la divisio inter liberos ex articolo 734 c.c., le accoglieva nella parte in cui il Tribunale di prime cure aveva dichiarato la nullita’ della divisione quale conseguenza della ritenuta fondatezza dell’azione di riduzione e nella parte in cui aveva accertato e dichiarato il diritto della (OMISSIS) di succedere nella meta’ dell’intero asse relitto. La stessa Corte territoriale confermava, poi, la riduzione delle disposizioni testamentarie della (OMISSIS) e, per l’effetto, accertato e dichiarato che la quota spettante al legittimario pretermesso (OMISSIS) era corrispondente ad 1/4, da prelevarsi proporzionalmente dalle quote attribuite ai due eredi testamentari secondo le ritenute valide disposizioni della testatrice, dava atto del venir meno dell’esigenza della formazione dei lotti secondo quote paritarie previste in sentenza e della conseguente necessita’ della formazione di un progetto di assegnazione dal momento che gli eredi risultavano gia’ assegnatari, con effetti reali, dei beni loro attribuiti per testamento. Sulla base di queste disposizioni, la Corte fiorentina disponeva la rimessione della causa sul ruolo per procedere all’anzidetta individuazione dei beni da attribuire al legittimario pretermesso, pari a 1/4 del relictum, da prelevarsi proporzionalmente dalle quote gia’ assegnate agli eredi e con la ridistribuzione di detta quota per meta’, corrispondente ad 1/8 dello stesso relictum in favore di ciascuna parte, nella qualita’ di erede paritario del legittimario in nome del quale era stata esercitata jure successionis l’azione di riduzione.

Avverso la suddetta sentenza (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), articolato in quattro motivi, al quale ha resistito l’intimato (OMISSIS) con controricorso contenente, a sua volta, ricorso incidentale riferito a tre motivi. La ricorrente principale ha formulato anche controricorso al ricorso incidentale avanzato dal (OMISSIS).

I difensori di entrambe le parti hanno anche depositato, rispettivamente, memoria illustrativa ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Con il primo complesso motivo la ricorrente principale – avuto riguardo al rigetto dell’appello incidentale dalla stessa proposto volto ad ottenere la dichiarazione di nullita’ e/o di annullabilita’ del testamento della genitrice (OMISSIS) (sul presupposto della deduzione dell’erroneita’ dell’impugnata sentenza nella parte in cui aveva ritenuto che le schede redatte dalla (OMISSIS) avevano la natura di testamento essendo indubitabile la manifestazione della volonta’ testamentaria della de cuius) – ha denunciato:

– la nullita’ della sentenza di appello per assunta carenza di uno dei requisiti indispensabili ex articolo 132 c.p.c., per il raggiungimento dello scopo ex articolo 156 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

– la nullita’ della stessa sentenza per asserita violazione dell’articolo 115 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

– l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

– la violazione e falsa applicazione dell’articolo 624 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

  1. Con il secondo, articolato, motivo la ricorrente principale ha – con riferimento alla parte della sentenza di appello con la quale era stata ravvisata la validita’ della divisione disposta con le schede testamentarie della (OMISSIS), malgrado non avesse in essa compreso il coniuge legittimario (OMISSIS) (per la cui relativa lesione dei diritti la stessa (OMISSIS) aveva esercitato in via pregiudiziale “ab origine” l’azione di riduzione per il riconoscimento della quota spettantele quale erede del padre, deceduto successivamente senza testamento) – prospettato:

– l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

– la nullita’ dell’impugnata sentenza per asserita violazione dell’articolo 112 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

– l’assunta violazione o falsa applicazione degli articoli 734 e 735 c.c., in ordine all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

  1. Con la terza censura – correlata all’addotta erroneita’ della sentenza di secondo grado nella parte in cui si era pronunciata ultra petita e, comunque, in violazione delle norme sui diritti riservati ai legittimari – la difesa della (OMISSIS) ha inteso denunciare:

– la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

– la violazione o falsa applicazione degli articoli 542, 554, 556, 558 e 735 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

  1. Con la quarta ed ultima doglianza – rivolta alla denuncia dell’omessa pronuncia sull’appello incidentale formulato dalla stessa – la ricorrente principale ha dedotto la nullita’ della sentenza impugnata per violazione dell’articolo 112c.p.c. (in relazione all’articolo 360c.p.c., comma 1, n. 4) e l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia (ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
  2. Con la prima censura del ricorso incidentale la difesa del (OMISSIS) ha – in ordine alla critica della stima dei beni immobili compiuta dal c.t.u. e alla ravvisata necessita’ della sua rielaborazione – prospettato la violazione o falsa applicazione degli articoli115 e 116 c.p.c., (in relazione all’articolo360 c.p.c., comma 1, n. 3) nonche’ l’omessa o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
  3. Con il secondo motivo del ricorso incidentale – riferita alla mancata condivisione dei risultati e del metodo di valutazione dei beni mobili operata dal c.t.u. – sono stati prospettati gli stessi vizi di cui all’appena riportata prima censura.
  4. Con il terzo ed ultimo motivo del ricorso incidentale – riguardante la mancata disposizione del rendiconto a carico della controparte sui beni dalla stessa posseduti sul presupposto della tardivita’ della relativa richiesta – il (OMISSIS) ha inteso far valere la violazione o falsa applicazione degli articoli115 e 116 c.p.c., oltre che dell’articolo723 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, unitamente al vizio di omessa o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
  5. Cominciando, in ordine logico-giuridico, l’esame delle formulate censure con la considerazione del primo motivo del ricorso principale, rileva il collegio che esso deve essere dichiarato in parte inammissibile e in parte infondato.

La doglianza si prospetta, invero, inammissibile nella parte in cui con la stessa risultano denunciati vizi processuali ricondotti all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perche’, con la relativa deduzione, la ricorrente principale ha inteso solamente far valere la supposta violazione di legge attinente alla qualificazione come testamento delle schede redatte dalla (OMISSIS) avuto riguardo all’interpretazione delle disposizioni in esse contenute e all’emergenza di un’effettiva manifestazione di volonta’ testamentaria, in tal senso prospettando anche il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con riferimento a quest’ultimo pure deve pervenirsi ad una pronuncia di inammissibilita’ perche’ – applicandosi, nel caso di specie, la nuova formulazione della relativa previsione normativa come introdotta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lettera b), conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, (sul presupposto che la sentenza impugnata e’ stata pubblicata successivamente all’il settembre 2012, in virtu’ di quanto stabilito dal citato Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 3) – la Corte di appello di Firenze ha – in linea con la giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. Sez. U. n. 8053 e 8054 del 2014 e, da ultimo, Cass. n. 9253/2017) – certamente esaminato la relativa doglianza sul fatto decisivo della controversia riguardante l’asserita invalidita’ del testamento della (OMISSIS), adottando una motivazione sicuramente sufficiente, non omettendola ne’ fornendo una giustificazione argomentativa sul piano logico-giuridico meramente apparente del suo convincimento.

Il prospettato vizio di violazione di legge e’, invece, privo di fondamento.

Infatti, il giudice di appello ha espressamente e logicamente motivato sull’effettivita’ dell’emergenza dal contenuto delle schede testamentarie della univoca volonta’ della testatrice nel rendere le disposizioni ereditarie (riguardanti i beni immobili alla stessa appartenenti) in favore dei due figli, ancorche’ emesse nel convincimento (o, comunque, nell’auspicio) della ritenuta corrispondenza ai loro stessi desideri. Certamente questa finalita’ rafforzativa della volonta’ della de cuius (compendiata nell’espressione dell’incipit “…dedico ai miei due carissimi figli – per testamento il mio avere – come gia’ da loro espresso desiderio nella divisione di: a mia figlia….; a mio figlio…”) non poteva aver determinato il venir meno del presupposto intento pienamente volitivo della testatrice, ne’ puo’ ritenersi che, nel caso di specie, come sostenuto dalla ricorrente principale, si fosse venuta a configurare una ipotesi di “errore sul fatto”, nel senso che la suddetta volonta’ era stata condizionata in modo decisivo dalla rappresentazione di un fatto (da inquadrarsi in senso oggettivo) non vero (cfr. Cass. n. 24637/2010).

Invero, secondo la concorde giurisprudenza di questa Corte (v., anche, Cass. n. 2152/1966 e Cass. 2132/1971), l’errore sul motivo, assunto dall’articolo 624 c.c., comma 2, quale causa di annullamento di disposizioni testamentarie, si identifica in quello che cade sulla realta’ obiettiva e non gia’ sulla valutazione che di essa abbia fatto il testatore, nel suo libero ed insindacabile apprezzamento circa l’importanza e le conseguenze della realta’ stessa, in relazione alle sue personali vedute ed aspirazioni ed ai fini perseguiti nel dettare le sue ultime volonta’ (donde tale soggettiva valutazione della realta’ obiettiva e’ da qualificarsi come giuridicamente irrilevante). Peraltro, l’apprezzamento del giudice del merito circa l’esistenza o meno del motivo erroneo, dedotto quale causa di annullamento del testamento, e’ incensurabile in sede di legittimita’, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici ed errori di diritto, come verificatosi nella fattispecie.

In altri termini, il giudice di appello ha, nella vicenda che ci occupa, legittimamente ritenuto che il contenuto dei testamenti (con cui aveva disposto del suo complessivo patrimonio immobiliare) corrispondesse alla reale volonta’ della testatrice, senza che essi contenessero alcun errore (escludendosi, percio’, la supposta violazione dell’articolo 624 c.c.), inteso nel senso di distorsione della realta’ oggettiva, esprimendo gli stessi soltanto una convinzione maturata dalla (OMISSIS) e legittimamente dalla stessa posta a base delle proprie disposizioni di ultima volonta’.

  1. La seconda, complessa, censura dedotta con il ricorso principale – nei termini prima richiamati – e’, ad avviso del collegio, da dichiarare inammissibile con riguardo alla dedotta violazione ricondotta all’articolo360 c.p.c., comma 1, n. 5, (per le stesse ragioni esposte con riferimento al primo motivo, avendo la Corte territoriale comunque esaminato l’ulteriore fatto decisivo della causa riferito alla contestata validita’ della divisione operata con testamento dalla (OMISSIS)), infondata in relazione al supposto vizio di omessa pronuncia (palesemente insussistente) mentre e’ da ritenersi fondata in ordine alla denunciata violazione degli articoli734 e 735 c.c..

E’ opportuno premettere che l’attuale ricorrente principale, fin dall’originario atto di citazione, aveva richiesto (ribadendo le domande anche in sede di precisazione delle conclusioni) – subordinatamente alla domanda principale di dichiarazione di invalidita’ e/o di inefficacia dei testamenti olografi della (OMISSIS) (come detto rigettata con la sentenza di primo grado e confermata sul punto dalla sentenza d’appello, il cui motivo, riproposto in questa sede, e’ stato respinto per quanto chiarito in ordine alla prima censura) – che venisse, comunque, accertata e dichiarata la nullita’ dei testamenti stessi ai sensi dell’articolo 735 c.c., comma 1, o, comunque, della sola divisione sempre in virtu’ della stessa norma (v. pagg. 6-8 del ricorso) per pretermissione del coniuge legittimario (ancora vivente al momento dell’apertura della successione, ancorche’ deceduto poco tempo dopo). Da cio’ sarebbe derivata la conseguente dichiarazione che allo stesso legittimario pretermesso (poi deceduto) spettava (ai sensi dell’articolo 542 c.c., comma 2) la quota di riserva di 1/4 dell’eredita’ relitta della (OMISSIS) e che, pertanto, a seguito della sopravvenuta morte (“ab intestato”) del padre (marito della (OMISSIS)), previo accertamento che ella era erede legittima del padre per la quota del 50% ed in accoglimento dell’azione di riduzione cumulativamente proposta (quale, appunto, erede di (OMISSIS)), alla medesima avrebbe dovuto essere riconosciuta una quota pari al 50% dell’intero asse relitto dalla madre (OMISSIS).

Le domande formulate in via subordinata venivano accolte con la sentenza di primo grado del Tribunale di Firenze, il quale riteneva fondata l’azione di riduzione proposta dall’attrice in qualita’ di erede del padre successivamente deceduto (provvedendo alle relative riduzioni) e dichiarava la nullita’ della divisione di cui alle impugnate schede testamentarie della (OMISSIS), con il conseguente riconoscimento del diritto della (OMISSIS) a succedere nella misura della meta’ dell’intero asse relitto di (OMISSIS) di cui alle stesse schede testamentarie, provvedendo, inoltre, sull’approvazione del rendiconto.

La Corte di appello di Firenze (la cui sentenza qui impugnata e per come depositata nell’interesse della ricorrente principale nella forma di cui all’articolo 369 c.p.c., comma 2, pur essendo monca della pag. 9, risulta sufficientemente intelligibile ai fini dell’esame del secondo motivo, anche alla stregua del concorde richiamo del relativo contenuto nei rispettivi ricorsi di entrambe le parti in questa fase di legittimita’), adita dal (OMISSIS), pur dando atto che non era stato proposto gravame dal predetto appellante sul punto della decisione di primo grado con cui erano state accertate la lesione dei diritti del legittimario (OMISSIS) e l’ammissibilita’ dell’azione di riduzione esercitata dalla (OMISSIS) quale erede dello stesso legittimario pretermesso (v. pag. 8 della sentenza di appello, donde la formazione dell’acquiescenza su tale questione e il relativo passaggio in giudicato sull’intervenuto accoglimento della inerente domanda), ha riformato la sentenza di primo grado proprio con riferimento alla dichiarazione di nullita’ della divisione quale conseguenza dell’accoglimento dell’azione di riduzione e nella parte in cui aveva accertato e dichiarato il diritto della (OMISSIS) di succedere nella meta’ dell’intero asse relitto.

Cosi’ statuendo, pero’, la Corte territoriale e’ incorsa nella denunciata violazione dell’articolo 734 e, soprattutto, dell’articolo 735 c.c..

Ad avviso del collegio, infatti, risulta erronea la sentenza impugnata nella parte in cui con essa e’ stata riformata la decisione di primo grado, dovendo, invece, pervenirsi – come domandato nell’originaria citazione dalla (OMISSIS) (che non si era, quindi, limitata solo a proporre, in via pregiudiziale, una domanda di riduzione quale erede del padre successivamente deceduto) – alla dichiarazione di nullita’ della divisione operata direttamente dalla testatrice che aveva disposto dei suoi beni pretermettendo il coniuge legittimario.

Cosi’ provvedendo, il giudice di appello e’ incorso, specificamente, nella violazione del primo comma del citato articolo 735 c.c., determinando il mancato riconoscimento, in favore della ricorrente principale, del diritto a succedere nella meta’ (indistinta) dell’intero asse relitto dalla (OMISSIS), stante l’assenza nel testamento “di criteri per la definizione delle quote da assegnare” a ciascuno dei due eredi parti in causa (con totale pretermissione del coniuge legittimario, non istituito formalmente coerede, che aveva legittimato la stessa (OMISSIS) ad agire per la relativa azione di riduzione essendo a sua volta diventata coerede del padre, nelle more deceduto senza testamento), sul presupposto che l’istituzione di eredi testamentari era stata fatta dalla “de cuius” per cespiti immobiliari nominati (in funzione, per l’appunto, divisoria tra i due germani eredi) e non per quote.

Ha, quindi, errato la Corte fiorentina laddove ha ritenuto che la nullita’ della divisione contemplata dall’articolo 735 c.c., comma 1, operi solo nell’ipotesi in cui il testatore abbia espressamente previsto che il legittimario debba essere soddisfatto con beni non compresi nel relictum, ritenendo, invece, esclusa l’operativita’ di siffatta nullita’ nel caso di pretermissione del legittimario dal testamento e dalla divisione, sul presupposto che, in tal caso, la divisione sarebbe idonea a conservare i suoi effetti previa riduzione delle assegnazioni e, quindi, facendo in modo che l’erede pretermesso possa essere soddisfatto con beni provenienti dal relictum, da prelevarsi proporzionalmente da quelli attribuiti agli eredi testamentari.

Cosi’ statuendo, infatti, il giudice di appello ha illegittimamente assoggettato alla stessa disciplina il caso della pretermissione dell’erede legittimario e quello della lesione della quota di legittima che, invece, il legislatore ha voluto mantenere distinti, prevedendo una differenziata disciplina contenuta, rispettivamente, nel primo e nel piu’ volte menzionato articolo 735 c.c., comma 2.

Infatti, in virtu’ del disposto di cui al primo comma di detta norma, in caso di divisione testamentaria con pretermissione del legittimario, la divisione proprio perche’ ne e’ impedita la realizzazione della causa per effetto dell’anomalia funzionale dipendente dalla mancata previsione della partecipazione ad essa di un avente diritto – e’ da ritenersi nulla (v. Cass. n. 2367/1970; Cass. n. 2870/1972 e, in motivazione, anche se solo per obiter, Cass. Sez. U. n. 20644/2004), ragion per cui deve escludersi, in tale ipotesi, la configurabilita’ dell’efficacia reale della c.d. divisici inter liberos (ritenuta, invece, operante dalla Corte di appello toscana), derivando dalla nullita’ della divisione testamentaria il ripristino della comunione ereditaria.

Essendo stata, quindi, nella concreta fattispecie, proficuamente reclamata, in via preliminare, la quota ereditaria riservata al legittimario per mezzo dell’accolta azione di riduzione esperita dalla ricorrente principale quale legittima erede del padre pretermesso (v., per idonei riferimenti, anche Cass. n. 3599/1992 e Cass. n. 3694/2003), il giudice di appello avrebbe dovuto ritenere fondata (come, del resto, aveva rilevato correttamente il giudice di prime cure) la correlata domanda di nullita’ del riparto divisorio cosi’ come operato di sua iniziativa dalla testatrice con attribuzione diretta di distinti cespiti dell’intero patrimonio ereditario immobiliare, concretamente individuati, in favore dei due figli a causa della “preterizione divisoria del legittimario”.

In definitiva, in accoglimento per quanto di ragione (ovvero relativamente alla denuncia violazione di legge sostanziale) del secondo motivo dedotto con il ricorso principale, la sentenza della Corte di appello di Firenze deve essere cassata “in parte qua”, enunciandosi – ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, il principio di diritto secondo cui “deve essere accolta la domanda di nullita’, proposta dal legittimario pretermesso nel testamento (o, in sostituzione del medesimo, da un suo erede, come verificatosi nel caso di specie), della divisione del patrimonio ereditario disposta direttamente dal testatore qualora Io stesso legittimario (o un suo erede agente “iure successionis”), da considerarsi preterito per non essere stato compreso nella divisione, abbia positivamente esperito in via preventiva l’azione di riduzione”.

Alla ritenuta fondatezza di detta censura nei richiamati termini consegue, per derivazione logico-giuridica, la dichiarazione di assorbimento dei residui motivi proposti con il ricorso principale e di tutti quelli avanzati con il ricorso incidentale.

Il giudice di rinvio (che si designa in altra Sezione della Corte di appello di Firenze), oltre a conformarsi al su riportato principio di diritto, provvedera’ anche a regolare le spese della presente fase di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale; accoglie, per quanto di ragione, il secondo motivo dello stesso ricorso principale e dichiarata assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e tutti i motivi del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per la regolazione delle spese della presente fase di legittimita’, ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.

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