RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE E CIVILE ARCHITETTO

 

RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE E CIVILE ARCHITETTO

 

AVVOCATO ESPERTO CIVILE

 

 

PENALE  DISCIPLINARE

 

 

 

ARCHITETTI 051 6447838

 

RESPONSABILITA’ DISCIPLINARE ARCHITETTI LA CASSAZIONE:

 

 

La ricorrente sostiene che l’art. 78, comma 3, TUEL sarebbe una norma di stretta interpretazione, sicche’ in tanto sussisterebbe l’obbligo di astensione in quanto si sia in presenza di una correlazione immediata e diretta tra contenuto dell’atto e l’interesse dell’amministratore. Ma questa correlazione nella specie difetterebbe, essendo l’arch. B. sindaco e non assessore del Comune ed avendo provveduto a delegare le competenze in materia di urbanistica, edilizia e lavori pubblici all’assessore. In capo alla ricorrente quale sindaco non sussisteva, con riguardo alla contestata condotta riguardante la sottoscrizione della pratica edilizia, alcuna competenza, nemmeno mediata o di riferimento, in materia di edilizia ed urbanistica, tale da obbligarla all’astensione dall’attivita’ professionale. Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, avuto riguardo alla omessa motivazione in ordine alle contestate violazioni al codice deontologico, nonche’ violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine all’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti. 2.1. – Il secondo ed il terzo motivo – da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione – sono infondati. Quanto alla partecipazione alla fase iniziale del procedimento disciplinare dell’arch. G.P. valgono le considerazioni espresse in sede di scrutinio del primo motivo di ricorso. In relazione all’altro profilo preliminare e formale (con il quale si lamenta che l’incolpazione non sia stata “riportata e/o esplicitata in alcuna parte della decisione avversata”), si tratta di una censura che non tiene conto del fatto che la decisione del Consiglio nazionale indica con chiarezza l’addebito che e’ stato contestato all’arch. B., nelle sue componenti sia fattuali che giuridiche. Nel merito, l’art. 78, comma 3, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il D.Lgs. n. 267 del 2000, prevede che “i componenti la giunta comunale competenti in materia di urbanistica, di edilizia e di lavori pubblici devono astenersi dall’esercitare attivita’ professionale in materia di edilizia privata e pubblica nel territorio da essi amministrato”.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente – Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere – Dott. MANNA Felice – Consigliere – Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere – Dott. FALASCHI Milena – Consigliere – ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: Arch. B.C., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Alberto D. Zanetta, con domicilio eletto in Roma, via Valsavaranche, n. 46 (studio legale Corradi); – ricorrente – contro CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DI NOVARA; PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI NOVARA; – intimati – avverso la decisione del Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori in data 15 giugno 2015. Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 22 giugno 2016 dal Consigliere relatore dott. Alberto Giusti; udito l’Avv. Alberto Zanetta; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo 1. – Il Consiglio dell’ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori di Novara ha irrogato all’arch. B.C. la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per tre mesi, per violazione del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 78 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), e di disposizioni del codice deontologico degli architetti italiani, perche’, quale sindaco del Comune di Gozzano, l’iscritta aveva firmato e presentato una segnalazione certificata di inizio attivita’ (SCIA) presso lo stesso Comune. 2. – Il Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, con decisione depositata il 15 giugno 2015, ha respinto l’impugnazione dell’incolpata. Il Consiglio nazionale ha escluso l’eccezione di nullita’ del procedimento per mancata astensione dell’arch. G.P., sia perche’ non risulta che costui abbia comunque partecipato alla fase deliberativa, sia perche’ la sua posizione non sembra configurare una ipotesi di conflitto di interessi. Secondo il Consiglio nazionale, “il sindaco doveva astenersi dal firmare una SCIA e a nulla rileva la delega agli assessori poiche’ tale delega riguarda semmai la determinazione dell’ente locale su quella SCIA, non gia’ la sua presentazione al Comune da parte di un libero professionista”; e il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 78, comma 3, “e’ norma applicabile al caso di specie, non essendo dubbio che l’obbligo di astensione ivi disciplinato riguardi anche il sindaco”. 3. – Per la cassazione della decisione del Consiglio nazionale l’arch. B. ha proposto ricorso, con atto notificato il 22 luglio 2015, sulla base di cinque motivi. Nessuno degli intimati ha svolto attivita’ difensiva in questa sede. In prossimita’ dell’udienza la ricorrente ha depositato una memoria illustrativa. Motivi della decisione 1. – Con il primo motivo si deduce la nullita’ della decisione e del procedimento per mancata astensione dell’arch. G.P., violazione degli artt. 24 e 25 Cost. e art. 111 Cost., comma 2, per difetto di valida costituzione (D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, e regolamento di disciplina 16 novembre 2012), terzieta’ ed imparzialita’ del giudice con lesione del diritto di difesa, nonche’ violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, per violazione del dovere di motivazione. Preliminarmente la ricorrente deduce che la sanzione e’ stata a lei irrogata dal Consiglio dell’ordine costituito in Commissione di disciplina ai sensi del D.P.R. n. 137 del 2012, art. 8, comma 10, e dell’art. 6, comma 1, delregolamento 16 novembre 2012, quando, secondo la normativa applicabile, l’Ordine era tenuto ad istituire la Commissione di disciplina. Non averlo fatto – ed avere utilizzato la disciplina transitoria – avrebbe comportato che la ricorrente e’ stata privata del suo giudice naturale precostituito per legge. La nullita’ del procedimento deriverebbe inoltre dal fatto che l’arch. G.P., pur non avendo partecipato alla fase deliberativa, si e’ astenuto tardivamente, solo a seguito di eccezione dell’arch. Ga.Pi., primo difensore della ricorrente, ma intanto lo stesso ha curato la documentazione fotografica posta a base dell’esposto, ha partecipato all’elaborazione dell’incolpazione ed stato attivo protagonista dell’istruttoria. Atteso che il Collegio di disciplina e’ un collegio perfetto, la presenza, nella maggior parte delle attivita’ finalizzate alla decisione, dell’arch. G.P. e la sua astensione, su eccezione di parte e solo in fase deliberativa, comprometterebbe la valida costituzione del giudice e la regolarita’ del procedimento, quest’ultimo viziato da quanto svolto dal membro del collegio solo successivamente astenutosi. Vi sarebbero gravi ragioni di convenienza che imponevano l’astensione dell’arch. G., in ragione della contrapposizione politico-elettorale tra questo e la ricorrente. La decisione impugnata non avrebbe svolto alcuna motivazione per escludere l’esistenza di quel conflitto, provato dall’avere l’arch. G. scattato la fotografia allegata all’esposto dell’Associazione Ernesto Regazzoni. Non avrebbe tenuto conto il Consiglio nazionale della dichiarazione di S.S., al quale l’arch. G. riferi’ che era sua ferma volonta’ di adoperarsi perche’ l’arch. B. fosse espulsa dall’Ordine: il che paleserebbe la sussistenza di una grave inimicizia. 1.1. – Il motivo e’ infondato, sotto entrambi i profili. Quanto alla denuncia di invalida costituzione dell’organo che ha irrogato la sanzione disciplinare (il Consiglio territoriale dell’ordine costituito in Commissione di disciplina), occorre precisare che la legittimita’ della costituzione dell’organo disciplinare deriva proprio dalla disposizione regolamentare – il D.P.R. n. 137 del 2012, recante riforma degli ordinamenti professionali, a norma del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 3, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148 – di cui la ricorrente lamenta l’avvenuta violazione. Infatti, il D.P.R. n. 137 del 2012, art. 8 cit., nel dettare disposizioni sul procedimento disciplinare delle professioni regolamentate diverse da quelle sanitarie, ha si’ previsto l’istituzione presso i Consigli dell’ordine territoriali di Consigli di disciplina territoriali cui sono affidati compiti di istruzione e decisione delle questioni disciplinari riguardanti gli iscritti all’albo, con l’incompatibilita’ tra la carica di consigliere dell’ordine e la carica di consigliere del corrispondente consiglio di disciplina; ma ha anche stabilito – al comma 10 – che fino all’insediamento dei nuovi Consigli di disciplina territoriali, “le funzioni disciplinari restano interamente regolate dalle disposizioni vigenti”. Ne consegue che, in applicazione della prevista disciplina transitoria, in attesa della istituzione del Consiglio di disciplina territoriale, le funzioni disciplinari legittimamente sono state esercitate dal Consiglio dell’ordine costituito in Commissione di disciplina, secondo la disciplina vigente. Quanto, poi, alla nullita’ procedimentale derivante dalla partecipazione al procedimento dell’arch. G.P., componente del Consiglio dell’ordine di Novara, ogni questione al riguardo resta superata dal fatto che questi si e’ astenuto nel corso del procedimento e non ha partecipato alla deliberazione con cui, in esito al procedimento disciplinare, e’ stata irrogata la sanzione. La validita’ di questa deliberazione finale – resa da un organo collegiale a composizione variabile che non si presenta come un collegio perfetto (Cass., Sez. 3, 14 aprile 2005, n. 7765), ed in esito ad un procedimento al quale non si estendono in via analogica le disposizioni del codice di procedura penale (Cass., Sez. Un., 7 maggio 1998, n. 4627; Cass., Sez. 3, 7 luglio 2006, n. 15523) – non e’ inficiata dalla partecipazione del componente poi astenutosi alle precedenti attivita’ di apertura del procedimento disciplinare e di formalizzazione dell’incolpazione, ne’ dal fatto che lo stesso fosse presente all’attivita’ istruttoria svolta dal Consiglio dell’ordine. D’altra parte, non si vede come ed in che termini l’avere l’arch. G.P. realizzato l’allegato fotografico della segnalazione iniziale abbia alterato il contraddittorio e le garanzie dell’interessata, che mai ha negato il fatto storico, difendendosi esclusivamente in punto di diritto. 2. – Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 111 Cost. e art. 360 c.p.c., n. 4, avuto riguardo alla valida contestazione dell’incolpazione, alla responsabilita’ deontologica e alla violazione del codice deontologico, violazione dell’art. 111, secondo comma, Cost. per errata applicazione del disposto dell’art. 78, comma 3, TUEL, e violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, per omissione del dovere di motivazione. La ricorrente sostiene che l’art. 78, comma 3, TUEL sarebbe una norma di stretta interpretazione, sicche’ in tanto sussisterebbe l’obbligo di astensione in quanto si sia in presenza di una correlazione immediata e diretta tra contenuto dell’atto e l’interesse dell’amministratore. Ma questa correlazione nella specie difetterebbe, essendo l’arch. B. sindaco e non assessore del Comune ed avendo provveduto a delegare le competenze in materia di urbanistica, edilizia e lavori pubblici all’assessore. In capo alla ricorrente quale sindaco non sussisteva, con riguardo alla contestata condotta riguardante la sottoscrizione della pratica edilizia, alcuna competenza, nemmeno mediata o di riferimento, in materia di edilizia ed urbanistica, tale da obbligarla all’astensione dall’attivita’ professionale. Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, avuto riguardo alla omessa motivazione in ordine alle contestate violazioni al codice deontologico, nonche’ violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine all’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti. 2.1. – Il secondo ed il terzo motivo – da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione – sono infondati. Quanto alla partecipazione alla fase iniziale del procedimento disciplinare dell’arch. G.P. valgono le considerazioni espresse in sede di scrutinio del primo motivo di ricorso. In relazione all’altro profilo preliminare e formale (con il quale si lamenta che l’incolpazione non sia stata “riportata e/o esplicitata in alcuna parte della decisione avversata”), si tratta di una censura che non tiene conto del fatto che la decisione del Consiglio nazionale indica con chiarezza l’addebito che e’ stato contestato all’arch. B., nelle sue componenti sia fattuali che giuridiche. Nel merito, l’art. 78, comma 3, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il D.Lgs. n. 267 del 2000, prevede che “i componenti la giunta comunale competenti in materia di urbanistica, di edilizia e di lavori pubblici devono astenersi dall’esercitare attivita’ professionale in materia di edilizia privata e pubblica nel territorio da essi amministrato”. La citata disposizione contempla un obbligo di astensione dall’esercizio di attivita’ professionali in materia di edilizia privata e pubblica nell’ambito del territorio amministrato, essendo tali attivita’ ritenute incompatibili con la carica pubblica ricoperta. Tale obbligo di astensione – diretto non solo ad evitare che il professionista tragga vantaggio nella sua attivita’ professione dal mandato pubblico rivestito, ma anche a precludere, per ragioni di trasparenza e buon andamento dell’amministrazione dell’ente territoriale, che l’esercizio delle funzioni collegate a tale mandato sia sviato dall’interesse personale dell’amministratore – grava sui “componenti la giunta comunale competenti in materia di urbanistica, di edilizia e di lavori pubblici”. Tra i destinatari dell’obbligo di astensione dall’esercitare attivita’ professionale in materia di edilizia privata e pubblica nel territorio comunale rientrano non solo gli assessori cui siano state conferite deleghe nei settori dell’urbanistica, dell’edilizia e dei lavori pubblici, ma anche lo stesso sindaco, sul quale, come organo responsabile dell’amministrazione del Comune e presidente della giunta comunale, grava l’onere di sovrintendere su tutte le attivita’ del Comune, anche su quelle delegate. Tale interpretazione trova conferma nella stessa lettera della disposizione dell’art. 78, comma 3, del testo unico, il quale, per indicare i destinatari dell’obbligo di astensione, impiega la locuzione “componenti la giunta comunale competenti in materia di urbanistica, di edilizia e di lavori pubblici”, non quella di assessori all’urbanistica, all’edilizia e ai lavori pubblici. Da un punto di vista sistematico, inoltre, occorre considerare che, anche nelle ipotesi in cui si avvalga della facolta’ di delega, il sindaco conserva, in ogni caso, la titolarita’ delle competenze, mantenendo verso il delegato l’assessore – i poteri di direttiva e di vigilanza, oltre a quelli di nomina e di revoca. Va pertanto escluso che, per il fatto di essersi avvalso della facolta’ di delega ad un assessore nella materia urbanistica, edilizia e lavori pubblici, il sindaco possa ritenersi esonerato dall’osservanza dell’obbligo di astensione dall’esercitare, nel territorio da lui amministrato, attivita’ professionale di architetto in materia di edilizia privata e pubblica. Di questo principio ha fatto puntuale applicazione il Consiglio nazionale degli architetti, riconoscendo la responsabilita’ disciplinare dell’arch. B. per avere firmato e presentato una segnalazione certificata di inizio attivita’ (SCIA) presso lo stesso Comune in cui era sindaco. E correttamente il Consiglio nazionale ha ritenuto la condotta dell’iscritta in contrasto anche con le norme del codice deontologico degli architetti, posto che l’architetto e’ tenuto a svolgere la sua attivita’ con lealta’ e correttezza, s rispettare la legge nell’esercizio della professione e nell’organizzazione della sua attivita’ e, in particolare, a curare che le modalita’ con cui svolge il proprio mandato presso le istituzioni siano improntate a non conseguire utilita’ di qualsiasi natura per se’ o per altri (artt. 3, 9 e 21 del codice deontologico ratione temporis applicabile). 3. – Con il quarto mezzo la ricorrente censura violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, avuto riguardo alla omessa motivazione in ordine alla sanzione irrogata, nonche’ violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine all’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti. 3.1. – Il motivo e’ infondato. Il Consiglio nazionale, nel confermare la sanzione della sospensione applicata dal Consiglio dell’ordine territoriale, ha correttamente deciso la questione di diritto sottoposta al suo esame, posto che l’art. 47 del codice deontologico prevede la sanzione della sospensione per ogni infrazione relativa ad incompatibilita’, ed in tale ipotesi ricade la condotta – mancata astensione dall’esercizio di attivita’ professionale incompatibile con il mandato pubblico rivestito – di cui l’arch. B. e’ stata riconosciuta responsabile. 4. – Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., commi 2 e 6, in relazione all’avvenuta acquisizione integrale, rilevante ai fini del decidere, della deposizione resa dinanzi al Consiglio dell’ordine dall’arch. Gu.Fa.. Secondo la ricorrente, la decisione impugnata sarebbe viziata da omessa pronuncia sull’istanza di rinnovazione dell’istruttoria e da omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. 4.1. – Il motivo e’ inammissibile per difetto di specificita’ e decisivita’, perche’ non spiega quale rilevanza ai fini del decidere rivestirebbe l’acquisizione integrale della deposizione dell’arch. Gu.. E anche a volere integrare il motivo con quanto trascritto a pag. 21-22, non si comprende in che termini la specificazione delle pratiche pendenti ovvero l’opinione “liberatoria” del teste possano alterare la decisione resa. 5. – Il ricorso e’ rigettato. Non vi e’ luogo a pronuncia sulle spese, non avendo l’intimato Consiglio dell’ordine svolto attivita’ difensiva in questa sede. 6. – Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 22 giugno 2016. Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2016

 

 

 

FATTO

era da considerarsi consapevole dell’attività professionale svolta dall’architetto S., avuto riguardo alla testimonianza di M.R., alla sentenza penale di patteggiamento emessa nei confronti dell’appellante, all’autorizzazione chiesta dalla stessa M.C. al Comune e dalla stessa impugnata di falso ed, anzi, doveva ritenersi “che tra committenti e professionista fosse stato stipulato un contratto contra legem al fine di perpetrare un abuso, quale l’ampliamento di un manufatto, la demolizione ed il rifacimento di una copertura”; era preclusa, quindi, la richiesta di risoluzione del contratto e di risarcimento del danno da parte di chi versava in illecito ed era superflua ogni decisione sulla querela di falso, risultando da altri elementi la consapevolezza della M. in ordine all’abuso edilizio in questione. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la M. formulando due motivi di ricorso. Resiste con controricorso il S., proponendo, altresì, ricorso incidentale condizionato, in relazione al mancato accoglimento dell’eccezione di difetto di legittimazione della M. ed alla sussistenza dell’obbligo di manleva della compagnia Fondiaria SAI s.p.a.; quest’ultima e la M. resistono con controricorso. Le parti hanno successivamente depositato memorie

DECISIONE

AVVOCATO PER CAUSE CIVILI BOLOGNA

1) violazione o falsa applicazione degli artt.1218 e 2226 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di merito, l’oggetto del contratto concluso col S. era da ritenersi lecito, dovendosi ritenere illecite solo le relative modalità esecutive, configuranti obbligazioni del prestatore d’opera, del cui inadempimento doveva rispondere esclusivamente il S. in quanto il vizio dell’opera, consistente nella qualificazione giuridica dell’intervento edilizio come manutenzione straordinaria, anzichè come ristrutturazione, non era facilmente riconoscibile da essa committente e, in secondo luogo, perchè la firma in calce alla domanda di autorizzazione, a nome ” M.C.”, era apocrifa;

2) violazione dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 92 c.p.c., comma 2 in punto di regolamento delle spese nei confronti della Fondiaria -SAI s.p.a.; erroneamente tali spese erano state poste a carico della M., pur non avendo la stessa proposto domande nei confronti di detta compagnia assicuratrice in relazione al rapporto di garanzia tra questa ed il S..

Il primo motivo del ricorso principale è fondato. Con l’atto di appello la M. lamentava, fra l’altro, che il Tribunale avesse escluso l’inadempimento dell’Arch. S., consistente nell’avere questi rappresentato in progetto l’opera da eseguire in modo difforme dall’affettiva realizzazione, senza considerare che la doglianza investiva anche l’erroneo iter urbanistico seguito dal professionista stesso, per aver egli richiesto l’autorizzazione per la manutenzione straordinaria di un edificio, anzichè quella gratuita per la ristrutturazione.

In particolare, si evidenziava nel motivo di appello che, quand’anche la M. fosse stata al corrente del progetto, doveva ugualmente ravvisarsi la responsabilità del S., posto che la relazione da questi redatta e sottoscritta, al fine di richiedere la dovuta autorizzazione comunale per l’esecuzione dei lavori progettati, facevano riferimento ad opere di manutenzione straordinaria e non, invece, alla diversa ipotesi di ristrutturazione (come correttamente indicata nella successiva relazione per arch. Y., incaricato di portare a termine le opere sottoposte a sequestro), nè tale errore era percepibile da persona “profana” in materia, quale la M..

La Corte di merito si è limitata a respingere tale censura ribadendo le argomentazioni del giudice di prime cure sulla consapevolezza della M. in ordine all’esecuzione dei lavori previsti nel progetto del S., omettendo di considerare che l’istruttoria della pratica amministrativa, diretta ad ottenere la necessaria autorizzazione per l’esecuzione delle opere progettate,rientra nelle competenze del progettista e nell’incarico a lui conferito e che , in ogni caso, la “relazione tecnica sulle opere di manutenzione straordinaria”, in data 16.2.06 (timbro di protocollo n. 4941), descrittiva dello stato dell’immobile da ristrutturare nonchè delle opere da eseguire, risulta sottoscritta dal S. ed ha, evidentemente, carattere strumentale per il rilascio del necessario titolo autorizzativo da parte del Comune di Roma.

Va rammentato al riguardo, in aderenza a quanto affermato dalle S.U. di questa Corte (Cass. n. 15781/2005), che la distinzione tra obbligazioni “di mezzi” e “di risultato” è ininfluente ai fini della valutazione della responsabilità di chi è incaricato di redigere un progetto di ingegneria o architettura in quanto il mancato conseguimento dello scopo pratico avuto di mira dal cliente è, comunque, addebitabile al professionista ove sia conseguenza dei suoi errori che rendano le previsioni progettuali inidonee ad essere attuate.

La Cassazione a S.U.(Cass. n. 577/2008) ha successivamente ribadito il superamento della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, specie nelle ipotesi di prestazione d’opera intellettuale, tenuto conto che un risultato è dovuto in tutte le obbligazioni, richiedendosi in ogni obbligazione la compresenza sia del comportamento del debitore che del risultato, sia pure in proporzione variabile. Ha precisato, inoltre, la S.C. che il comportamento rilevante, nell’ipotesi di azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni cosiddette di comportamento, è quello integrante causa o concausa efficiente del danno e che spetta al debitore dimostrare che tale inadempimento non vi è stato o che, pur esistendo, non è stato, nella fattispecie concreta, causa dell’evento dannoso lamentato. Con riferimento al caso in esame va chiarito che, se è vero che il progetto sino a quando non sia materialmente realizzato, costituisce una fase preparatoria, strumentalmente preordinata alla concreta attuazione dell’opera, è anche vero che, sul piano tecnico e giuridico, il progettista deve assicurare la conformità del progetto alla normativa urbanistica ed individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, così da assicurare la preventiva e corretta soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dell’opera richiesta dal committente (Cfr. Cass. n. 2257/2007; n. 11728/2002 ;

  1. 22487/2004). La scelta, quindi, del titolo autorizzativo all’esecuzione di opere, in relazione al tipo di intervento edilizio progettato, non può automaticamente rientrare nell’accordo illecito fra le parti per porre in essere un abuso edilizio, spettando al professionista effettuare tale scelta in quanto qualificata da una specifica competenza tecnica.

Nella specie non, può, di conseguenza, trovare applicazione l’esimente di cui all’art. 2226 c.c., comma 1, essendo, comunque, irrilevante che la committente M. avesse o meno apposto la propria firma sul progetto redatto dal S. o che la stessa fosse stata falsificata. Tale firma non valeva, infatti, ad escludere in tutto o in parte la responsabilità del S. per l’attività professionale da lui espletata nella fase antecedente alla esecuzione delle opere, rientrando nell’obbligo di diligenza a carico del prestatore di opera professionale, ex art. 1176 c.c., comma 2, sia il risultato finale mirante a soddisfare l’interesse del creditore (committente)e sia i mezzi necessari per realizzarlo, tramite l’adozione di determinate modalità di attuazione che esigono il rispetto delle regole professionali in funzione del raggiungimento del risultato finale.

L’accoglimento del primo motivo di ricorso per il difetto di argomentazioni della Corte territoriale su detto motivo di appello, comporta il riesame, in sede di rinvio, della relativa questione, in conformità dei principi enunciati. Rimane, sul piano logico, assorbito il secondo motivo formulato nel ricorso principale e del secondo motivo dedotto con il ricorso incidentale, con cui il S. chiede, nell’ipotesi di una sua condanna, affermarsi la validità della polizza assicurativa stipulata con la Fondiaria SAI s.p.a. e l’obbligo della stessa di manlevarlo per quanto eventualmente egli fosse condannato a pagare alla M..

Deve, infine, rigettarsi il primo motivo del medesimo ricorso incidentale, relativo al difetto di legittimazione attiva della M., avendo la Corte di appello dichiarato non luogo a provvedere sull’appello subordinato proposto da S.M., una volta rigettato nel merito l’appello proposto da M.C., implicitamente ritenuta assorbita tale eccezione, anche sulla base della richiamata motivazione della sentenza di primo grado in ordine alla sussistenza della prova sul conferimento dell’incarico professionale al S. anche da parte di M.C., come emerso dalle prove testimoniali. Il S., come riportato a pag.

4 della sent. impugnata, in un momento successivo al conferimento dell’incarico professionale di cui alla lettera del 2.8.1995, aveva preteso che la stessa fosse firmata oltre che da M.G., padre di M.C., pure da quest’ultima, quale proprietaria dell’immobile oggetto di detto incarico.

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa deve essere rinviata,anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio,ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

 

 

 

Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-05-2012, n. 8014 Responsabilità civile

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 23.12.1998, M.C. conveniva in giudizio, innanzi alla ex Pretura di Roma L’arch.

S.M. per sentire dichiarare la risoluzione del contratto con lui concluso e per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti per l’inadempimento all’incarico professionale conferitogli per la ristrutturazione dell’immobile sito in (OMISSIS). Assumeva che le opere eseguite sotto la direzione del convenuto erano state sottoposte a sequestro per mancanza di concessione edilizia e di aver appreso, in occasione del giudizio penale a suo carico, che i progetti redatti dal convenuto non corrispondevano alle opere in corso per cui era stata costretta a demolire quelle realizzate e ad eseguire le relative ricostruzioni.

Si costituiva in giudizio il S. eccependo, preliminarmente, la carenza di legittimazione attiva dell’attrice, avendo egli ricevuto l’incarico professionale da M.G..

Con successivo atto di citazione il S. conveniva, innanzi al medesimo Tribunale, la s.p.a. La Fondiaria Assicurazioni (oggi s.p.a.

Fondiaria-SAI) al fine di essere manlevato e garantito da ogni avversa pretesa risarcitoria.

La società assicuratrice, costituitasi in giudizio, eccepiva la non operatività della garanzia assicurativa per violazione, da parte dell’assicurato, della normativa contrattuale. Riunite le cause,con sentenza 20.10.2003, il Tribunale rigettava le domande proposte dalla M.C. nei confronti del S., compensando fra le parti stesse le spese processuali per metà e ponendo la residua metà a carico della M.; condannava, inoltre, quest’ultima, al pagamento delle spese di lite nei confronti della Fondiaria- SAI s.p.a.

Avverso tale decisione la M. proponeva appello cui resisteva, con impugnazione incidentale subordinata il S. e la società assicuratrice.

Con sentenza depositata il 20.7.2010 la Corte di appello di Roma rigettava l’appello, condannando la M. al pagamento delle spese processuali del grado in favore del S. e della Fondiaria Sai S.P.A..

Osservava la Corte di merito che M.C. era da considerarsi consapevole dell’attività professionale svolta dall’architetto S., avuto riguardo alla testimonianza di M.R., alla sentenza penale di patteggiamento emessa nei confronti dell’appellante, all’autorizzazione chiesta dalla stessa M.C. al Comune e dalla stessa impugnata di falso ed, anzi, doveva ritenersi “che tra committenti e professionista fosse stato stipulato un contratto contra legem al fine di perpetrare un abuso, quale l’ampliamento di un manufatto, la demolizione ed il rifacimento di una copertura”; era preclusa, quindi, la richiesta di risoluzione del contratto e di risarcimento del danno da parte di chi versava in illecito ed era superflua ogni decisione sulla querela di falso, risultando da altri elementi la consapevolezza della M. in ordine all’abuso edilizio in questione. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la M. formulando due motivi di ricorso. Resiste con controricorso il S., proponendo, altresì, ricorso incidentale condizionato, in relazione al mancato accoglimento dell’eccezione di difetto di legittimazione della M. ed alla sussistenza dell’obbligo di manleva della compagnia Fondiaria SAI s.p.a.; quest’ultima e la M. resistono con controricorso. Le parti hanno successivamente depositato memorie.

Motivi della decisione

La M. deduce:

1) violazione o falsa applicazione degli artt.1218 e 2226 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di merito, l’oggetto del contratto concluso col S. era da ritenersi lecito, dovendosi ritenere illecite solo le relative modalità esecutive, configuranti obbligazioni del prestatore d’opera, del cui inadempimento doveva rispondere esclusivamente il S. in quanto il vizio dell’opera, consistente nella qualificazione giuridica dell’intervento edilizio come manutenzione straordinaria, anzichè come ristrutturazione, non era facilmente riconoscibile da essa committente e, in secondo luogo, perchè la firma in calce alla domanda di autorizzazione, a nome ” M.C.”, era apocrifa;

2) violazione dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 92 c.p.c., comma 2 in punto di regolamento delle spese nei confronti della Fondiaria -SAI s.p.a.; erroneamente tali spese erano state poste a carico della M., pur non avendo la stessa proposto domande nei confronti di detta compagnia assicuratrice in relazione al rapporto di garanzia tra questa ed il S..

Il primo motivo del ricorso principale è fondato. Con l’atto di appello la M. lamentava, fra l’altro, che il Tribunale avesse escluso l’inadempimento dell’Arch. S., consistente nell’avere questi rappresentato in progetto l’opera da eseguire in modo difforme dall’affettiva realizzazione, senza considerare che la doglianza investiva anche l’erroneo iter urbanistico seguito dal professionista stesso, per aver egli richiesto l’autorizzazione per la manutenzione straordinaria di un edificio, anzichè quella gratuita per la ristrutturazione.

In particolare, si evidenziava nel motivo di appello che, quand’anche la M. fosse stata al corrente del progetto, doveva ugualmente ravvisarsi la responsabilità del S., posto che la relazione da questi redatta e sottoscritta, al fine di richiedere la dovuta autorizzazione comunale per l’esecuzione dei lavori progettati, facevano riferimento ad opere di manutenzione straordinaria e non, invece, alla diversa ipotesi di ristrutturazione (come correttamente indicata nella successiva relazione per arch. Y., incaricato di portare a termine le opere sottoposte a sequestro), nè tale errore era percepibile da persona “profana” in materia, quale la M..

La Corte di merito si è limitata a respingere tale censura ribadendo le argomentazioni del giudice di prime cure sulla consapevolezza della M. in ordine all’esecuzione dei lavori previsti nel progetto del S., omettendo di considerare che l’istruttoria della pratica amministrativa, diretta ad ottenere la necessaria autorizzazione per l’esecuzione delle opere progettate,rientra nelle competenze del progettista e nell’incarico a lui conferito e che , in ogni caso, la “relazione tecnica sulle opere di manutenzione straordinaria”, in data 16.2.06 (timbro di protocollo n. 4941), descrittiva dello stato dell’immobile da ristrutturare nonchè delle opere da eseguire, risulta sottoscritta dal S. ed ha, evidentemente, carattere strumentale per il rilascio del necessario titolo autorizzativo da parte del Comune di Roma.

Va rammentato al riguardo, in aderenza a quanto affermato dalle S.U. di questa Corte (Cass. n. 15781/2005), che la distinzione tra obbligazioni “di mezzi” e “di risultato” è ininfluente ai fini della valutazione della responsabilità di chi è incaricato di redigere un progetto di ingegneria o architettura in quanto il mancato conseguimento dello scopo pratico avuto di mira dal cliente è, comunque, addebitabile al professionista ove sia conseguenza dei suoi errori che rendano le previsioni progettuali inidonee ad essere attuate.

La Cassazione a S.U.(Cass. n. 577/2008) ha successivamente ribadito il superamento della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, specie nelle ipotesi di prestazione d’opera intellettuale, tenuto conto che un risultato è dovuto in tutte le obbligazioni, richiedendosi in ogni obbligazione la compresenza sia del comportamento del debitore che del risultato, sia pure in proporzione variabile. Ha precisato, inoltre, la S.C. che il comportamento rilevante, nell’ipotesi di azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni cosiddette di comportamento, è quello integrante causa o concausa efficiente del danno e che spetta al debitore dimostrare che tale inadempimento non vi è stato o che, pur esistendo, non è stato, nella fattispecie concreta, causa dell’evento dannoso lamentato. Con riferimento al caso in esame va chiarito che, se è vero che il progetto sino a quando non sia materialmente realizzato, costituisce una fase preparatoria, strumentalmente preordinata alla concreta attuazione dell’opera, è anche vero che, sul piano tecnico e giuridico, il progettista deve assicurare la conformità del progetto alla normativa urbanistica ed individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, così da assicurare la preventiva e corretta soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dell’opera richiesta dal committente (Cfr. Cass. n. 2257/2007; n. 11728/2002 ;

  1. 22487/2004). La scelta, quindi, del titolo autorizzativo all’esecuzione di opere, in relazione al tipo di intervento edilizio progettato, non può automaticamente rientrare nell’accordo illecito fra le parti per porre in essere un abuso edilizio, spettando al professionista effettuare tale scelta in quanto qualificata da una specifica competenza tecnica.

Nella specie non, può, di conseguenza, trovare applicazione l’esimente di cui all’art. 2226 c.c., comma 1, essendo, comunque, irrilevante che la committente M. avesse o meno apposto la propria firma sul progetto redatto dal S. o che la stessa fosse stata falsificata. Tale firma non valeva, infatti, ad escludere in tutto o in parte la responsabilità del S. per l’attività professionale da lui espletata nella fase antecedente alla esecuzione delle opere, rientrando nell’obbligo di diligenza a carico del prestatore di opera professionale, ex art. 1176 c.c., comma 2, sia il risultato finale mirante a soddisfare l’interesse del creditore (committente)e sia i mezzi necessari per realizzarlo, tramite l’adozione di determinate modalità di attuazione che esigono il rispetto delle regole professionali in funzione del raggiungimento del risultato finale.

L’accoglimento del primo motivo di ricorso per il difetto di argomentazioni della Corte territoriale su detto motivo di appello, comporta il riesame, in sede di rinvio, della relativa questione, in conformità dei principi enunciati. Rimane, sul piano logico, assorbito il secondo motivo formulato nel ricorso principale e del secondo motivo dedotto con il ricorso incidentale, con cui il S. chiede, nell’ipotesi di una sua condanna, affermarsi la validità della polizza assicurativa stipulata con la Fondiaria SAI s.p.a. e l’obbligo della stessa di manlevarlo per quanto eventualmente egli fosse condannato a pagare alla M..

Deve, infine, rigettarsi il primo motivo del medesimo ricorso incidentale, relativo al difetto di legittimazione attiva della M., avendo la Corte di appello dichiarato non luogo a provvedere sull’appello subordinato proposto da S.M., una volta rigettato nel merito l’appello proposto da M.C., implicitamente ritenuta assorbita tale eccezione, anche sulla base della richiamata motivazione della sentenza di primo grado in ordine alla sussistenza della prova sul conferimento dell’incarico professionale al S. anche da parte di M.C., come emerso dalle prove testimoniali. Il S., come riportato a pag.

4 della sent. impugnata, in un momento successivo al conferimento dell’incarico professionale di cui alla lettera del 2.8.1995, aveva preteso che la stessa fosse firmata oltre che da M.G., padre di M.C., pure da quest’ultima, quale proprietaria dell’immobile oggetto di detto incarico.

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa deve essere rinviata,anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio,ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo del ricorso stesso ed il secondo motivo del ricorso incidentale; rigetta il primo motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.

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