Donne, separazioni e avvocato matrimonialista: cosa c’è da sapere SOLUZIONI SEPARAZIONI BOLOGNA ADESSO

Donne, separazioni e avvocato matrimonialista: cosa c’è da sapere SOLUZIONI SEPARAZIONI BOLOGNA ADESSO

Continuazione tra reati –AVVOCATO penalista BOLOGNA Determinazione della pena da parte del giudice dell’esecuzione – Rispetto del limite stabilito dall’art. 671, co 2 c.p.p. – Somma delle pene inflitte con ciascuna decisione irrevocabile – Applicabilità anche in sede esecutiva del limite del triplo della pena inflitta per la violazione più grave previsto dall’art. 81 c.p. – Esclusione di una disciplina differenziata del reato continuato in sede di cognizione e di esecuzione – Rideterminazione della pena – Annullamento senza rinvio Corte di Cassazione|Sezione U|Penale|Sentenza|8 giugno 2017| n. 28659 La questione di diritto per la quale il ricorso e’ stato rimesso alle Sezioni Unite e’ la seguente: “Se il giudice dell’esecuzione, in caso di riconoscimento della continuazione – ex articolo 671 cod. proc. pen. – tra piu’ violazioni di legge giudicate in distinte decisioni irrevocabili, sia tenuto, in sede di determinazione della pena, al rispetto del limite del triplo della pena inflitta per la violazione piu’ grave (articolo 81 c.p., commi 1 e 2) o se in tale sede trovi applicazione esclusivamente la disposizione di cui all’articolo 671 c.p.p., comma 2, (limite rappresentato dalla somma delle pena inflitte in ciascuna decisione irrevocabile)”.

  1. Le Sezioni Unite ritengono condivisibile la soluzione prospettata dalla Sezione rimettente.
  2. Il primo argomento a favore di essa si trae dall’introduzione nel codice di procedura penale vigente dell’articolo 671c.p.p., introduzione preceduta dalla sentenza della Corte cost. n. 115 del 1987. Tale decisione, ritenendo non praticabile la strada di una pronuncia additiva di incostituzionalita’, in assenza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata e in presenza di un’ampia alternativa di possibili soluzioni adeguatrici, aveva dichiarato l’inammissibilita’ della questione di legittimita’ dell’articolo 81 c.p. (e dell’articolo 90 dell’allora vigente codice di procedura penale del 1930), nella parte in cui non prevedevano l’applicabilita’ dell’istituto della continuazione tra reati meno gravi gia’ giudicati con sentenza irrevocabile e reati piu’ gravi per i quali fosse ancora in corso il giudizio. Non aveva tuttavia mancato di evidenziare come il campo di applicazione del reato continuato fosse indifferente alla fase processuale in cui viene in rilievo, con la conseguenza che la mancata previsione di strumenti per applicare la relativa disciplina, nella ricorrenza delle condizioni in essa previste vale a dire l’aver agito in esecuzione di un unico disegno criminoso -, costituiva violazione del principio di legalita’ della pena (articolo 25 Cost.).

3.1. La Consulta aveva altresi’ affermato che tale mancata previsione era fonte di disomogeneita’ (rilevanti ex articolo 3 Cost.) laddove precludeva l’applicazione dell’istituto, ispirato al favor rei, nel caso, puramente accidentale ed estraneo alla volonta’ del condannato, della trattazione in separati procedimenti, taluni dei quali ancora in corso mentre altri gia’ definiti, di reati espressione di un’unica progettualita’, dovendo anche il principio di intangibilita’ del giudicato essere rettamente inteso come “tendenzialmente a favore dell’imputato”.

3.2. E’ pertanto innegabile che la ratio dell’introduzione dell’articolo 671 c.p.p. nel codice di procedura penale oggi vigente sia da rintracciare nell’esigenza di consentire l’applicazione dell’istituto a prescindere dalla sua “localizzazione processuale” (cosi’ l’ordinanza di rimessione della Prima Sezione), con l’ovvia conseguenza, anche solo per questo, dell’irragionevolezza – e quindi dell’incostituzionalita’ – dell’ipotesi della sottoposizione della disciplina del reato continuato in executivis a criteri di determinazione della pena diversi, e, in ipotesi, piu’ sfavorevoli di quelli previsti in sede di cognizione.

  1. Cio’ premesso, occorre osservare che, dopo le prime, risalenti decisioni di legittimita’ che, condividendo tale impostazione, avevano per cosi’ dire dato per scontato che l’aumento di pena per continuazione fosse soggetto, anche in fase esecutiva, al duplice limite, da un lato, del triplo della pena relativa alla violazione piu’ grave, dall’altro a quello del cumulo materiale delle pene inflitte per tutti i reati, e’ prevalso successivamente l’orientamento secondo il quale l’aumento di pena da effettuare a seguito del riconoscimento della continuazione in sede esecutiva e’ soggetto al solo limite previsto espressamente dall’articolo 671 c.p.p., comma 3, quello, cioe’, della somma delle pene inflitte con le sentenze irrevocabili.
  2. Sono espressione del piu’ risalente orientamento le seguenti pronunce: Sez. 1, n. 2884 del 11/05/1995, Togna, Rv. 201748; Sez. 1, n. 2565 del 08/04/1997, Ruga, Rv. 207702; Sez. 1, n. 1663 del 26/02/1997, Spinelli, Rv. 207692; Sez. 1, n. 5826 del 22/10/1999, dep. 2000, Buonanno, Rv. 214839; Sez. 1, n. 4862 del 06/07/2000, Basile, Rv. 216752 e Sez. 1, n. 32277 del 25/02/2003, Mazza, Rv. 225742.
  3. A partire dai primi anni 2000 si e’ affermato il secondo orientamento, inaugurato dalle sentenze Sez. 1, n. 5959 del 12/12/2001, dep. 2002, Franco, Rv. 221100 e Sez. 1, n. 5637 del 14/12/2001, dep. 2002, Iodice, Rv. 221101, il quale ha stabilito che, in tema di applicazione della continuazione in sede esecutiva, il giudice, nella determinazione della pena, e’ soggetto al limite di cui all’articolo 671 c.p.p., comma 2, (consistente nella somma delle pene inflitte con i provvedimenti considerati), ma non al limite del triplo della pena stabilita per il reato piu’ grave di cui all’articolo 81 c.p., comma 2, trovando applicazione solo la prima delle disposizioni citate, in forza del principio di specialita’ di cui all’articolo 15 c.p., e dovendosi evitare che, raggiunto il limite del triplo per una determinata fattispecie concreta, si determini impunita’ per ulteriori reati riconducibili, in fase esecutiva, al medesimo disegno criminoso.

Al nuovo indirizzo si sono tralaticiamente allineate, senza ulteriori approfondimenti, Sez. 3, n. 12850 del 22/01/2003, Leoncini, Rv. 224367, Sez. 1, n. 3367 del 14/01/2003, Mengoni, Rv. 222866, Sez. 1, n. 24823 del 31/03/2005, Tanzii, Rv. 232000, Sez. 1, n. 39306 del 24/09/2008, Cantori, Rv. 241145, Sez. 1, n. 45256 del 27/09/2013, Costantini, Rv. 257722 e Sez. 2, n. 22561 del 08/05/2014, Do Rosario Lopez, Rv. 259349.

  1. Come gia’ evidenziato, l’argomento su cui fa perno tale ultimo indirizzo e’ costituito dalla sussistenza di un rapporto di concorso apparente tra l’articolo 81 c.p. e l’articolo 671c.p.p., il cui elemento specializzante rispetto alla prima norma sarebbe da rintracciare nel diverso momento processuale di applicazione dell’istituto, la fase esecutiva in luogo di quella di cognizione. La scoperta finalita’ dell’impegno argomentativo e’ tuttavia quella di evitare che, raggiunto il limite del triplo per una determinata fattispecie concreta, si determini l’impunita’ per ulteriori reati riconducibili, in fase esecutiva, al medesimo disegno criminoso.
  2. Entrambi gli argomenti sono stati sottoposti a convincente critica da parte della Sezione rimettente, la quale ha ineccepibilmente osservato che il rapporto di specialita’ e’ configurabile, ai sensi dell’articolo 15 c.p., tra piu’ leggi penali o piu’ disposizioni della medesima legge penale che regolano la stessa materia, con evidente riferimento a fattispecie di diritto sostanziale, e – va aggiunto – tra norme che prevedono per lo stesso fatto una sanzione rispettivamente penale e amministrativa, oppure diverse sanzioni amministrative, ai sensi della L. n. 689 del 1981, articolo 9. Ne discende la difficolta’ concettuale di riconoscere un rapporto di quel tipo tra una norma che prevede un istituto penale sostanziale (l’articolo 81 c.p.) e una norma (l’articolo 671 c.p.p.) che ne prevede l’applicazione in una diversa fase processuale, esulandosi dalle ipotesi di specialita’ appena ricordate.
  3. Ne’ potrebbe ipotizzarsi la voluntas legis di regolare diversamente la continuazione in sede, rispettivamente, di cognizione e di esecuzione, cio’ non essendo in primo luogo autorizzato dall’esegesi dell’articolo 671 citato. Invero la stessa rubrica della norma (“Applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato”) milita a favore della conclusione della volonta’ del legislatore di trasposizione integrale in executivis della disciplina della continuazione dettata dall’articolo 81, commi 1 e 2, a fronte della quale e’ irrilevante il mancato richiamo espresso al limite di pena del triplo di quella relativa alla violazione piu’ grave, essendo tale limite implicito nella previsione della possibilita’ del condannato – o del pubblico ministero – di chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione di quella disciplina, sempreche’ non esclusa dal giudice della cognizione: condizione, quest’ultima, che ulteriormente convince che l’istituto e’ il medesimo, quale che sia il momento, antecedente o successivo al giudicato, della sua applicazione.
  4. Tale approdo non e’ contraddetto dalla previsione, nel comma 2 dell’articolo 671, del limite imposto al giudice dell’esecuzione – che, secondo la giurisprudenza finora maggioritaria, sarebbe l’unico in sede esecutiva – di determinare la pena in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con le sentenze irrevocabili. Invano si pretenderebbe, infatti, di ravvisare in tale disposizione un’inutile replica dell’articolo 81 c.p., comma 3, a fronte, invece, dell’ovvia necessita’ di adattare la previsione di quest’ultima norma secondo cui la pena per il reato continuato, elevabile fino al triplo, non puo’ comunque essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti (i quali regolano il cumulo materiale delle pene in caso di concorso di reati) – alle peculiarita’ della fase esecutiva mediante la previsione, non identica alla precedente e quindi non superfluamente ripetitiva della stessa, che la misura della pena non puo’ essere superiore alla somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza o ciascun decreto.

Nel primo caso, dunque, la pena non deve superare il cumulo materiale delle pene applicabili ai vari reati ritenuti in continuazione, nel secondo non deve essere superiore alla somma delle pene gia’ inflitte; diversita’ di disciplina che tiene opportunamente conto come, da un lato, nel primo caso si tratti di una mera ipotesi di pena applicabile, nel secondo di pene gia’ concretamente applicate. Limite, nell’uno come nell’altro caso, destinato ad operare soltanto se quello del triplo della pena relativa alla violazione piu’ grave si riveli in concreto meno favorevole all’imputato/condannato.

  1. Ne’ contrasta con la tesi qui condivisa il richiamo, nel comma 2-bis dell’articolo 671, alle disposizioni dell’articolo 81, comma 4, che potrebbe ritenersi a sua volta superfluo se in sede esecutiva fosse in toto applicabile la disciplina ex articolo 81 c.p..

Come si e’ gia’ osservato, infatti, l’applicazione della disciplina del reato continuato in executivis comporta la trasposizione in quest’ultima sede dei primi due commi dell’articolo 81 (che prevedono il limite del triplo della pena da infliggere per la violazione piu’ grave), donde l’esigenza di richiamare, a conferma dell’indifferenza della fase processuale di applicazione dell’istituto, la deroga al tetto del triplo – quindi ex professo indicato come applicabile anche in executivis – quando i reati-satellite siano commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99 c.p., comma 4, caso nel quale l’aumento di pena – fermo il solo limite di cui, rispettivamente, all’articolo 81, comma 3 e all’articolo 671, comma 2 – non puo’ essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato piu’ grave.

  1. Si impone un’ulteriore considerazione. Quella prospettata dall’ordinanza di rimessione e’ anche la sola interpretazione che non si espone a dubbi di costituzionalita’, come del resto avvertito dalla Consulta gia’ nel lontano 1987 osservando che il rispetto degli articoli 3 e 25 Cost.comporta che la disciplina legale della pena del reato continuato sia quella di cui all’articolo 81 cod. pen., tanto nel processo di cognizione che in sede esecutiva.
  2. Del pari ispirata all’esigenza di adattamento dell’istituto alle caratteristiche proprie dell’esecuzionee’ la previsione dell’articolo 187 disp. att. cod. proc. pen. (secondo cui il giudice dell’esecuzione deve considerare violazione piu’ grave quella per la quale e’ stata inflitta la pena piu’ grave), parallela a quella dell’articolo 81 c.p., commi 1 e 2, per la quale la violazione con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso della stessa o di diverse violazioni di legge e’ punita con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione piu’ grave. Infatti, mentre nel processo di cognizione l’individuazione della violazione piu’ grave e’ affidata alla valutazione discrezionale, per quanto vincolata, del giudice, nella fase esecutiva essa, pur a fronte alla cedevolezza, pro reo, del giudicato, non puo’ che incontrare il limite della pena piu’ grave gia’ inflitta. Nell’uno come nell’altro caso, quindi, la pena-base e’ sempre quella per la violazione piu’ grave, rispettivamente da determinare o gia’ determinata.
  3. Passando all’esame dell’ulteriore elemento a sostegno dell’opposto indirizzo di legittimita’, e cioe’ lo scopo di evitare che, raggiunto il limite del triplo per una determinata fattispecie concreta, si determini l’impunita’ per ulteriori reati riconducibili, in fase esecutiva, al medesimo disegno criminoso, va osservato che anch’esso e’ stato sottoposto a puntuale verifica critica nell’ordinanza di rimessione per giungere alla condivisibile conclusione che i reati-satellite, individuati dopo il raggiungimento della soglia del triplo, non restano impuniti, dovendo il relativo aumento essere frutto della proporzionale riduzione degli aumenti precedentemente effettuati. Operazione che incombe ovviamente al giudice dell’esecuzione quando riconosca la continuazione di ulteriori reati con quelli per i quali il limite del triplo sia stato gia’ raggiunto, al fine di precisare le frazioni di pena imputabili ai singoli reati-satellite nell’eventualita’ di un successivo scorporo dal totale di talune di esse.

    ammmat1
    addebito separazione -avvocato Bologna
  4. Peraltro, quello del rischio di sacche di sostanziale impunita’ e’ solo apparentemente un problema: da un lato, perche’ non e’ esclusivo dell’applicazione della continuazione in sede esecutiva, ponendosi anche nel caso del riconoscimento della continuazione nel giudizio di cognizione (dove e’ meno avvertibile solo perche’ non sempre vengono indicate le pene che sarebbero irrogabili per ciascun reato singolarmente considerato), in particolare laddove i reati-satellite siano numerosi e di una certa gravita’; dall’altro, perche’ il sistema prevede addirittura forme di correttivi per ovviare al pericolo opposto, quello cioe’ di pene eccessivamente elevate, in contrasto con le finalita’ di rieducazione e di reinserimento sociale.

Ci si riferisce, ad esempio, ai criteri moderatori previsti, rispettivamente, dall’articolo 78 c.p., inteso al temperamento del principio del cumulo materiale delle pene; dall’articolo 66 stesso codice finalizzato a limitare gli aumenti di pena nel caso di concorso di piu’ circostanze aggravanti; o ancora al limite di pena in caso di piu’ circostanze aggravanti tra cui quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o ad effetto speciale (articolo 63 c.p., comma 4). Finalita’ che ispira pure la previsione del limite degli aumenti in caso di conversione delle pene pecuniarie (L. n. 689 del 1981, articolo 103).

  1. Resta tuttavia da sottolineare come il riconoscimento della continuazione in executivis (non diversamente che nel processo di cognizione), debba necessariamente passare attraverso la rigorosa, approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori – quali l’omogeneita’ delle violazioni e del bene protetto, la contiguita’ spazio-temporale, le singole causali, le modalita’ della condotta, la sistematicita’ e le abitudini programmate di vita – del fatto che, al momento della commissione del primo reato della serie, i successivi fossero stati realmente gia’ programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici di cui sopra se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea, di contingenze occasionali, di complicita’ imprevedibili, ovvero di bisogni e necessita’ di ordine contingente, o ancora della tendenza a porre in essere reati della stessa specie o indole in virtu’ di una scelta delinquenziale compatibile con plurime deliberazioni.
  2. Puo’ essere quindi enunciato il seguente principio di diritto:

“Il giudice dell’esecuzione, in caso di riconoscimento della continuazione tra piu’ reati oggetto di distinte sentenze irrevocabili, nel determinare la pena e’ tenuto anche al rispetto del limite del triplo della pena inflitta per la violazione piu’ grave, oltre che del criterio indicato dall’articolo 671 c.p.p., comma 2, rappresentato dalla somma delle pene inflitte con ciascuna decisione irrevocabile”.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Presidente

Dott. ROMIS Vincenzo – Consigliere

Dott. CONTI Giovanni – Consigliere

Dott. LAPALORCIA Graz – rel. Consigliere

Dott. SAVANI Piero – Consigliere

Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Consigliere

Dott. ZAZA Carlo – Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia – Consigliere

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 6/05/2014 della Corte di appello di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal componente Dott. Grazia Lapalorcia;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SPINACI Sante, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

  1. La Corte di appello di Napoli, su istanza di (OMISSIS), ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati di cui alla sentenza di quella stessa Corte in data 13 febbraio 2008 e la sentenza del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, in data 25 settembre 2008, e, ritenuta violazione piu’ grave quella di cui al punto 6 del provvedimento di cumulo-pene 111/2008 della Procura generale della Corte di appello di Napoli (per la quale era stata inflitta la pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 1031,91 di multa), elevata nello stesso provvedimento fino al triplo – e quindi ad anni quattro, mesi sei ed Euro 3098,73 – per continuazione con altri reati (undici le sentenze relative a reati ritenuti avvinti da tale vincolo), ha rideterminato la pena complessiva in anni quattro, mesi otto di reclusione ed Euro 3498,73 di multa (fissando l’aumento per continuazione in mesi due di reclusione ed Euro 400 di multa per i reati oggetto delle due sentenze di cui sopra).
  2. I reati oggetto delle tredici sentenze, commessi nell’arco temporale di circa un anno, attengono alla detenzione e vendita di supporti magnetici riproducenti opere dell’ingegno tutelate dal diritto di autore ex L. n. 633 del 1941.
  3. (OMISSIS), con ricorso per cassazione proposto tramite il difensore, evidenziato che il vincolo della continuazione era gia’ stato in precedenza riconosciuto, tra i reati di cui ad altre undici sentenze, con ordinanza del Tribunale di Napoli, sez. dist. di Pozzuoli, in data 16-26 luglio 2013, la quale aveva applicato l’aumento del triplo della pena irrogata per la violazione piu’ grave, deduce inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 81 c.p., commi 1 e 2, per violazione del limite in esso stabilito, superato nel provvedimento impugnato per effetto dell’applicazione di un ulteriore aumento di pena per ciascuno dei reati di cui alle sentenze rispettivamente della Corte di appello di Napoli e del Tribunale di Napoli, sez. dist. di Pozzuoli, sopra citate.
  4. La Prima Sezione penale, con ordinanza del 17 gennaio 2017, depositata il 15 febbraio 2017, dato atto che la giurisprudenza di legittimita’ maggioritaria, da tempo consolidata, afferma che l’applicazione della disciplina della continuazione in fase esecutiva e’ soggetta al solo limite di pena di cui all’articolo 671 c.p.p., comma 2, e non anche al limite del triplo di cui all’articolo 81 c.p., commi 1 e 2 – sull’assunto che le due predette norme siano in concorso apparente, che la seconda sia speciale rispetto alla prima e che, a diversamente ritenere, si determinerebbero “sacche di impunita’” -, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite ritenendo di dissentire da tale orientamento, e di condividere quello opposto, minoritario e piu’ risalente, secondo cui anche il giudice dell’esecuzione, nell’applicare la continuazione, e’ tenuto al rispetto del limite del triplo della pena relativa alla violazione piu’ grave.
  5. Con decreto del 21 febbraio 2017 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite fissando per la trattazione l’odierna udienza camerale.
  6. Con requisitoria scritta il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso richiamando le ragioni alla base dell’orientamento maggioritario.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. La questione di diritto per la quale il ricorso e’ stato rimesso alle Sezioni Unite e’ la seguente: “Se il giudice dell’esecuzione, in caso di riconoscimento della continuazione – ex articolo 671 cod. proc. pen. – tra piu’ violazioni di legge giudicate in distinte decisioni irrevocabili, sia tenuto, in sede di determinazione della pena, al rispetto del limite del triplo della pena inflitta per la violazione piu’ grave (articolo 81 c.p., commi 1 e 2) o se in tale sede trovi applicazione esclusivamente la disposizione di cui all’articolo 671 c.p.p., comma 2, (limite rappresentato dalla somma delle pena inflitte in ciascuna decisione irrevocabile)”.
  2. Le Sezioni Unite ritengono condivisibile la soluzione prospettata dalla Sezione rimettente.
  3. Il primo argomento a favore di essa si trae dall’introduzione nel codice di procedura penale vigente dell’articolo 671c.p.p., introduzione preceduta dalla sentenza della Corte cost. n. 115 del 1987. Tale decisione, ritenendo non praticabile la strada di una pronuncia additiva di incostituzionalita’, in assenza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata e in presenza di un’ampia alternativa di possibili soluzioni adeguatrici, aveva dichiarato l’inammissibilita’ della questione di legittimita’ dell’articolo 81 c.p. (e dell’articolo 90 dell’allora vigente codice di procedura penale del 1930), nella parte in cui non prevedevano l’applicabilita’ dell’istituto della continuazione tra reati meno gravi gia’ giudicati con sentenza irrevocabile e reati piu’ gravi per i quali fosse ancora in corso il giudizio. Non aveva tuttavia mancato di evidenziare come il campo di applicazione del reato continuato fosse indifferente alla fase processuale in cui viene in rilievo, con la conseguenza che la mancata previsione di strumenti per applicare la relativa disciplina, nella ricorrenza delle condizioni in essa previste vale a dire l’aver agito in esecuzione di un unico disegno criminoso -, costituiva violazione del principio di legalita’ della pena (articolo 25 Cost.).

3.1. La Consulta aveva altresi’ affermato che tale mancata previsione era fonte di disomogeneita’ (rilevanti ex articolo 3 Cost.) laddove precludeva l’applicazione dell’istituto, ispirato al favor rei, nel caso, puramente accidentale ed estraneo alla volonta’ del condannato, della trattazione in separati procedimenti, taluni dei quali ancora in corso mentre altri gia’ definiti, di reati espressione di un’unica progettualita’, dovendo anche il principio di intangibilita’ del giudicato essere rettamente inteso come “tendenzialmente a favore dell’imputato”.

3.2. E’ pertanto innegabile che la ratio dell’introduzione dell’articolo 671 c.p.p. nel codice di procedura penale oggi vigente sia da rintracciare nell’esigenza di consentire l’applicazione dell’istituto a prescindere dalla sua “localizzazione processuale” (cosi’ l’ordinanza di rimessione della Prima Sezione), con l’ovvia conseguenza, anche solo per questo, dell’irragionevolezza – e quindi dell’incostituzionalita’ – dell’ipotesi della sottoposizione della disciplina del reato continuato in executivis a criteri di determinazione della pena diversi, e, in ipotesi, piu’ sfavorevoli di quelli previsti in sede di cognizione.

  1. Cio’ premesso, occorre osservare che, dopo le prime, risalenti decisioni di legittimita’ che, condividendo tale impostazione, avevano per cosi’ dire dato per scontato che l’aumento di pena per continuazione fosse soggetto, anche in fase esecutiva, al duplice limite, da un lato, del triplo della pena relativa alla violazione piu’ grave, dall’altro a quello del cumulo materiale delle pene inflitte per tutti i reati, e’ prevalso successivamente l’orientamento secondo il quale l’aumento di pena da effettuare a seguito del riconoscimento della continuazione in sede esecutiva e’ soggetto al solo limite previsto espressamente dall’articolo 671 c.p.p., comma 3, quello, cioe’, della somma delle pene inflitte con le sentenze irrevocabili.
  2. Sono espressione del piu’ risalente orientamento le seguenti pronunce: Sez. 1, n. 2884 del 11/05/1995, Togna, Rv. 201748; Sez. 1, n. 2565 del 08/04/1997, Ruga, Rv. 207702; Sez. 1, n. 1663 del 26/02/1997, Spinelli, Rv. 207692; Sez. 1, n. 5826 del 22/10/1999, dep. 2000, Buonanno, Rv. 214839; Sez. 1, n. 4862 del 06/07/2000, Basile, Rv. 216752 e Sez. 1, n. 32277 del 25/02/2003, Mazza, Rv. 225742.
  3. A partire dai primi anni 2000 si e’ affermato il secondo orientamento, inaugurato dalle sentenze Sez. 1, n. 5959 del 12/12/2001, dep. 2002, Franco, Rv. 221100 e Sez. 1, n. 5637 del 14/12/2001, dep. 2002, Iodice, Rv. 221101, il quale ha stabilito che, in tema di applicazione della continuazione in sede esecutiva, il giudice, nella determinazione della pena, e’ soggetto al limite di cui all’articolo 671 c.p.p., comma 2, (consistente nella somma delle pene inflitte con i provvedimenti considerati), ma non al limite del triplo della pena stabilita per il reato piu’ grave di cui all’articolo 81 c.p., comma 2, trovando applicazione solo la prima delle disposizioni citate, in forza del principio di specialita’ di cui all’articolo 15 c.p., e dovendosi evitare che, raggiunto il limite del triplo per una determinata fattispecie concreta, si determini impunita’ per ulteriori reati riconducibili, in fase esecutiva, al medesimo disegno criminoso.

Al nuovo indirizzo si sono tralaticiamente allineate, senza ulteriori approfondimenti, Sez. 3, n. 12850 del 22/01/2003, Leoncini, Rv. 224367, Sez. 1, n. 3367 del 14/01/2003, Mengoni, Rv. 222866, Sez. 1, n. 24823 del 31/03/2005, Tanzii, Rv. 232000, Sez. 1, n. 39306 del 24/09/2008, Cantori, Rv. 241145, Sez. 1, n. 45256 del 27/09/2013, Costantini, Rv. 257722 e Sez. 2, n. 22561 del 08/05/2014, Do Rosario Lopez, Rv. 259349.

  1. Come gia’ evidenziato, l’argomento su cui fa perno tale ultimo indirizzo e’ costituito dalla sussistenza di un rapporto di concorso apparente tra l’articolo 81 c.p. e l’articolo 671c.p.p., il cui elemento specializzante rispetto alla prima norma sarebbe da rintracciare nel diverso momento processuale di applicazione dell’istituto, la fase esecutiva in luogo di quella di cognizione. La scoperta finalita’ dell’impegno argomentativo e’ tuttavia quella di evitare che, raggiunto il limite del triplo per una determinata fattispecie concreta, si determini l’impunita’ per ulteriori reati riconducibili, in fase esecutiva, al medesimo disegno criminoso.
  2. Entrambi gli argomenti sono stati sottoposti a convincente critica da parte della Sezione rimettente, la quale ha ineccepibilmente osservato che il rapporto di specialita’ e’ configurabile, ai sensi dell’articolo 15 c.p., tra piu’ leggi penali o piu’ disposizioni della medesima legge penale che regolano la stessa materia, con evidente riferimento a fattispecie di diritto sostanziale, e – va aggiunto – tra norme che prevedono per lo stesso fatto una sanzione rispettivamente penale e amministrativa, oppure diverse sanzioni amministrative, ai sensi della L. n. 689 del 1981, articolo 9. Ne discende la difficolta’ concettuale di riconoscere un rapporto di quel tipo tra una norma che prevede un istituto penale sostanziale (l’articolo 81 c.p.) e una norma (l’articolo 671 c.p.p.) che ne prevede l’applicazione in una diversa fase processuale, esulandosi dalle ipotesi di specialita’ appena ricordate.
  3. Ne’ potrebbe ipotizzarsi la voluntas legis di regolare diversamente la continuazione in sede, rispettivamente, di cognizione e di esecuzione, cio’ non essendo in primo luogo autorizzato dall’esegesi dell’articolo 671 citato. Invero la stessa rubrica della norma (“Applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato”) milita a favore della conclusione della volonta’ del legislatore di trasposizione integrale in executivis della disciplina della continuazione dettata dall’articolo 81, commi 1 e 2, a fronte della quale e’ irrilevante il mancato richiamo espresso al limite di pena del triplo di quella relativa alla violazione piu’ grave, essendo tale limite implicito nella previsione della possibilita’ del condannato – o del pubblico ministero – di chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione di quella disciplina, sempreche’ non esclusa dal giudice della cognizione: condizione, quest’ultima, che ulteriormente convince che l’istituto e’ il medesimo, quale che sia il momento, antecedente o successivo al giudicato, della sua applicazione.
  4. Tale approdo non e’ contraddetto dalla previsione, nel comma 2 dell’articolo 671, del limite imposto al giudice dell’esecuzione – che, secondo la giurisprudenza finora maggioritaria, sarebbe l’unico in sede esecutiva – di determinare la pena in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con le sentenze irrevocabili. Invano si pretenderebbe, infatti, di ravvisare in tale disposizione un’inutile replica dell’articolo 81 c.p., comma 3, a fronte, invece, dell’ovvia necessita’ di adattare la previsione di quest’ultima norma secondo cui la pena per il reato continuato, elevabile fino al triplo, non puo’ comunque essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti (i quali regolano il cumulo materiale delle pene in caso di concorso di reati) – alle peculiarita’ della fase esecutiva mediante la previsione, non identica alla precedente e quindi non superfluamente ripetitiva della stessa, che la misura della pena non puo’ essere superiore alla somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza o ciascun decreto.

Nel primo caso, dunque, la pena non deve superare il cumulo materiale delle pene applicabili ai vari reati ritenuti in continuazione, nel secondo non deve essere superiore alla somma delle pene gia’ inflitte; diversita’ di disciplina che tiene opportunamente conto come, da un lato, nel primo caso si tratti di una mera ipotesi di pena applicabile, nel secondo di pene gia’ concretamente applicate. Limite, nell’uno come nell’altro caso, destinato ad operare soltanto se quello del triplo della pena relativa alla violazione piu’ grave si riveli in concreto meno favorevole all’imputato/condannato.

  1. Ne’ contrasta con la tesi qui condivisa il richiamo, nel comma 2-bis dell’articolo 671, alle disposizioni dell’articolo 81, comma 4, che potrebbe ritenersi a sua volta superfluo se in sede esecutiva fosse in toto applicabile la disciplina ex articolo 81 c.p..

Come si e’ gia’ osservato, infatti, l’applicazione della disciplina del reato continuato in executivis comporta la trasposizione in quest’ultima sede dei primi due commi dell’articolo 81 (che prevedono il limite del triplo della pena da infliggere per la violazione piu’ grave), donde l’esigenza di richiamare, a conferma dell’indifferenza della fase processuale di applicazione dell’istituto, la deroga al tetto del triplo – quindi ex professo indicato come applicabile anche in executivis – quando i reati-satellite siano commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99 c.p., comma 4, caso nel quale l’aumento di pena – fermo il solo limite di cui, rispettivamente, all’articolo 81, comma 3 e all’articolo 671, comma 2 – non puo’ essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato piu’ grave.

  1. Si impone un’ulteriore considerazione. Quella prospettata dall’ordinanza di rimessione e’ anche la sola interpretazione che non si espone a dubbi di costituzionalita’, come del resto avvertito dalla Consulta gia’ nel lontano 1987 osservando che il rispetto degli articoli 3 e 25 Cost.comporta che la disciplina legale della pena del reato continuato sia quella di cui all’articolo 81 cod. pen., tanto nel processo di cognizione che in sede esecutiva.
  2. Del pari ispirata all’esigenza di adattamento dell’istituto alle caratteristiche proprie dell’esecuzione e’ la previsione dell’articolo 187 disp. att. cod. proc. pen. (secondo cui il giudice dell’esecuzione deve considerare violazione piu’ grave quella per la quale e’ stata inflitta la pena piu’ grave), parallela a quella dell’articolo 81 c.p., commi 1 e 2, per la quale la violazione con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso della stessa o di diverse violazioni di legge e’ punita con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione piu’ grave. Infatti, mentre nel processo di cognizione l’individuazione della violazione piu’ grave e’ affidata alla valutazione discrezionale, per quanto vincolata, del giudice, nella fase esecutiva essa, pur a fronte alla cedevolezza, pro reo, del giudicato, non puo’ che incontrare il limite della pena piu’ grave gia’ inflitta. Nell’uno come nell’altro caso, quindi, la pena-base e’ sempre quella per la violazione piu’ grave, rispettivamente da determinare o gia’ determinata.
  3. Passando all’esame dell’ulteriore elemento a sostegno dell’opposto indirizzo di legittimita’, e cioe’ lo scopo di evitare che, raggiunto il limite del triplo per una determinata fattispecie concreta, si determini l’impunita’ per ulteriori reati riconducibili, in fase esecutiva, al medesimo disegno criminoso, va osservato che anch’esso e’ stato sottoposto a puntuale verifica critica nell’ordinanza di rimessione per giungere alla condivisibile conclusione che i reati-satellite, individuati dopo il raggiungimento della soglia del triplo, non restano impuniti, dovendo il relativo aumento essere frutto della proporzionale riduzione degli aumenti precedentemente effettuati. Operazione che incombe ovviamente al giudice dell’esecuzione quando riconosca la continuazione di ulteriori reati con quelli per i quali il limite del triplo sia stato gia’ raggiunto, al fine di precisare le frazioni di pena imputabili ai singoli reati-satellite nell’eventualita’ di un successivo scorporo dal totale di talune di esse.
  4. Peraltro, quello del rischio di sacche di sostanziale impunita’ e’ solo apparentemente un problema: da un lato, perche’ non e’ esclusivo dell’applicazione della continuazione in sede esecutiva, ponendosi anche nel caso del riconoscimento della continuazione nel giudizio di cognizione (dove e’ meno avvertibile solo perche’ non sempre vengono indicate le pene che sarebbero irrogabili per ciascun reato singolarmente considerato), in particolare laddove i reati-satellite siano numerosi e di una certa gravita’; dall’altro, perche’ il sistema prevede addirittura forme di correttivi per ovviare al pericolo opposto, quello cioe’ di pene eccessivamente elevate, in contrasto con le finalita’ di rieducazione e di reinserimento sociale.

Ci si riferisce, ad esempio, ai criteri moderatori previsti, rispettivamente, dall’articolo 78 c.p., inteso al temperamento del principio del cumulo materiale delle pene; dall’articolo 66 stesso codice finalizzato a limitare gli aumenti di pena nel caso di concorso di piu’ circostanze aggravanti; o ancora al limite di pena in caso di piu’ circostanze aggravanti tra cui quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o ad effetto speciale (articolo 63 c.p., comma 4). Finalita’ che ispira pure la previsione del limite degli aumenti in caso di conversione delle pene pecuniarie (L. n. 689 del 1981, articolo 103).

  1. Resta tuttavia da sottolineare come il riconoscimento della continuazione in executivis (non diversamente che nel processo di cognizione), debba necessariamente passare attraverso la rigorosa, approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori – quali l’omogeneita’ delle violazioni e del bene protetto, la contiguita’ spazio-temporale, le singole causali, le modalita’ della condotta, la sistematicita’ e le abitudini programmate di vita – del fatto che, al momento della commissione del primo reato della serie, i successivi fossero stati realmente gia’ programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici di cui sopra se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea, di contingenze occasionali, di complicita’ imprevedibili, ovvero di bisogni e necessita’ di ordine contingente, o ancora della tendenza a porre in essere reati della stessa specie o indole in virtu’ di una scelta delinquenziale compatibile con plurime deliberazioni.
  2. Puo’ essere quindi enunciato il seguente principio di diritto:

“Il giudice dell’esecuzione, in caso di riconoscimento della continuazione tra piu’ reati oggetto di distinte sentenze irrevocabili, nel determinare la pena e’ tenuto anche al rispetto del limite del triplo della pena inflitta per la violazione piu’ grave, oltre che del criterio indicato dall’articolo 671 c.p.p., comma 2, rappresentato dalla somma delle pene inflitte con ciascuna decisione irrevocabile”.

  1. Venendo all’esame del ricorso proposto nell’interesse del (OMISSIS), va osservato che esso, alla stregua di quanto sopra, merita accoglimento.
  2. Occorre premettere che l’ordinanza impugnata, nel riconoscere la continuazione tra i reati di cui alla sentenza della Corte di appello di Napoli in data 13 febbraio 2008 e alla sentenza del Tribunale di Napoli, sez. dist. di Pozzuoli, in data 25 settembre 2008, e nel ritenere violazione piu’ grave quella di cui al punto 6 del provvedimento di cumulo pene 111/2008 della Procura generale di Napoli (pari ad anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 1031,91 di multa), ha implicitamente, e sostanzialmente, riconosciuto la continuazione dei reati oggetto delle due citate sentenze con quelli giudicati con altre undici sentenze, gia’ unificati nel vincolo della continuazione con provvedimento di determinazione pena del Tribunale di Napoli, sez. dist. di Pozzuoli, in data 16-26 luglio 2013, cui si riferisce il citato cumulo.
  3. Poiche’ tale ultimo provvedimento aveva gia’ elevato la pena per la violazione piu’ grave (pari ad anni uno, mesi sei di reclusione ed Euro 1031,91 di multa) fino al triplo, determinandola quindi in anni quattro, mesi sei ed Euro 3098,73, la pena comprensiva dell’aumento per i reati di cui alle ultime due sentenze non avrebbe potuto superare, per le considerazioni sopra svolte, tale tetto, mentre la Corte territoriale l’ha elevata di un mese di reclusione ed Euro 200 di multa per ciascuno di essi, cosi’ quantificandola in anni quattro, mesi otto ed Euro 3498,73.
  4. Alla rideterminazione della pena, conseguente all’annullamento in parte qua del provvedimento, puo’ provvedersi in questa sede ex articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera l), fissandola nella misura di anni quattro, mesi sei di reclusione ed Euro 3098,73 di multa.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente alla pena, che ridetermina in anni quattro, mesi sei di reclusione ed Euro 3098,73 di multa.

 


Parlando del  Diritto di famiglia occore  considerare che il diritto di famiglia  è uno degli ambiti che maggiormente influisce sulla qualità di vita dei nostri assistiti. In questo campo è più che mai necessaria la capacità di mediazione dell’avvocato. 

PROVA INFEDELTA’ E CRISI MATRIMONIO

La prova dell’infedeltà del marito è questione particolarmente importante nel processo di separazione, perché da questa dipende l’addebito a carico di questo della loro separazione.

Ma cosa è l’addebito della separazione? E cosa comporta?

  • la separazione viene addebitata ad uno dei due coniugi quando si accerta che questo ha violato uno dei doveri del matrimonio (in questo caso del dovere di fedeltà) e che tale violazione è stata causa della crisi matrimoniale;
  • il coniuge “responsabile” del fallimento del matrimonio è “punito” con la perdita dell’assegno di mantenimento che altrimenti gli sarebbe spettato e con la perdita dei suoi diritti ereditari nei confronti dell’altro.
  • IMPORTANTE SENTENZA  TRIB MELANO
  • Milano, sez. IX civ., sentenza 1 luglio 2015 (Pres. est. Gloria Servetti)
  • RAPPORTO INVESTIGATIVO – OMESSA CONTESTAZIONE SPECIFICA – VALORE DI PROVA NEL PROCESSO – SUSSISTE – PRINCIPIO DI NON CONTESTAZIONE – ART. 115 C.P.C. (art. 115 cpc)
  • la non contestazione specifica costituisce un comportamento univocamente rilevante, con effetti vincolanti per il giudice, il quale deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale (nella specie: mancata divisione del compendio ereditario prima della proposizione della domanda di condanna degli eredi da parte di chi ritenga di vantare un credito nei confronti del defunto) e deve, perciò, ritenere la circostanza in questione sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo in concreto spiegato espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti» (Cass. civ., sez. VI, ordinanza 21 agosto 2012 n. 14594, Pres. Goldoni, est. Giusti); interpretazione cui ha aderito, peraltro, anche il giudice superiore (v. Corte Appello Milano, sez. IV civ., sentenza 29 giugno 2011, Pres. Fabrizi, est. Marini);
  • OSSERVA IL TRIBUNALE
  • le specifiche cause della crisi relazionale sono state sin dall’atto introduttivo individuate dalla Costagliola nell’inopinata instaurazione da parte del marito di una relazione con persona in seguito precisamente identificata grazie alle espletate indagini investigative e individuata in una giovane straniera con la quale lo stesso si sarebbe, in assenza della moglie, anche intrattenuto nella casa familiare, nonché nella circostanza di avere ella subito percosse ad opera del coniuge nel dicembre 2012;
  • – tale ultimo evento può dirsi adeguatamente documentato alla stregua del prodotto referto del Pronto Soccorso, attestante una prognosi di gg. 6 per “traumatismo della testa, traumatismo lombare, traumatismo di faccia e naso” a seguito di percosse subite da persona nota, nonché dalla pressoché contestuale denuncia presentata dalla Costagliola alla Stazione dei C.C. di .., densa di particolari quanto alla ricostruzione dei fatti e, pertanto, nel suo complesso altamente attendibile
  • FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE
  • PREMESSO, IN FATTO, CHE:
  • – con ricorso depositato in data 17 marzo 2014 … conveniva innanzi al Tribunale il marito .., con il quale aveva contratto matrimonio in … il .. 1979 avendo, quindi, nel 1981 l’unico figlio .., oggi economicamente indipendente, assumendo che la prosecuzione della convivenza coniugale era divenuta impossibile a causa della relazione adulterina instaurata dal coniuge con altra donna, peraltro con modalità altamente offensive perché consumata anche all’interno della casa coniugale, e delle conseguenti violenze cui era stata sottoposta non appena scoperto il tradimento e chieste le dovute spiegazioni, tanto da avere dovuto ricorrere a prestazioni sanitarie presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale … di . per “trauma cranico non commotivo, policontusione mandibolare, contusione lombare”;
  • – chiedeva la ricorrente che la pronunzianda separazione fosse addebitata in via esclusiva al convenuto e che il medesimo fosse condannato al risarcimento dei danni dalla stessa patiti in conseguenza della descritta violazione dell’obbligo di fedeltà;
  • – ritualmente notificato l’atto introduttivo e dal … depositata memoria difensiva, all’udienza tenutasi ex art. 708 c.p.c. in data 19 giugno 2014 comparivano personalmente entrambi i coniugi e il Presidente, senza positivo esito esperito il preliminare tentativo di conciliazione, li autorizzava a vivere separati con obbligo di mutuo rispetto e non assumeva alcun ulteriore provvedimento provvisorio, in difetto di (ammissibili) domande di contenuto economico e dell’incontroversa autonomia raggiunta dall’unico figlio della coppia;
  • – rimessa la causa innanzi al designato Istruttore, le parti provvedevano a depositare i
  • rispettivi atti integrativi e di costituzione e all’udienza dell’11 novembre 2014 instavano
  • per la concessione dei termini di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c.;
  • – concessi i termini in parola, la causa era senz’altro rinviata ad altra data per la precisazione delle conclusioni sia di merito che istruttorie e, a tale ultimo incombente dalle stesse adempiutosi con i contenuti in epigrafe riportati, della decisione è stato infine investito il Tribunale in camera di consiglio alla scadenza dei termini di cui
  • all’art. 190 c.p.c. –
  • RITENUTO, IN DIRITTO, CHE:
  • – la domanda principale proposta dalla ricorrente è fondata e, pertanto, meritevole di positivo apprezzamento;
  • – i coniugi, che hanno contratto matrimonio in … nel .. 1979, hanno ormai da diverso tempo visto tra loro cessare ogni vincolo affettivo e, al tempo stesso, aumentare il livello della conflittualità interpersonale, tanto da avere interrotto la convivenza ancor prima dell’instaurazione del presente giudizio, tentato infruttuosamente una ripresa della vita in comune e, infine, entrambi riconosciuto il fallimento della loro unione;
  • – il negativo esito del tentativo di conciliazione esperito dal Presidente, l’indisponibilità delle parti verso qualsiasi soluzione transattiva della controversia o definizione in termini consensuali nonché il contenuto degli scritti difensivi attestano, al di là di ogni ragionevole dubbio, la produzione di una grave e irreversibile frattura nel loro sodalizio di coppia per essere venuti meno quei presupposti di affetto e condivisione del progetto di vita che rappresentano l’essenza stessa dell’unione matrimoniale;
  • – entrambe le parti hanno in atti del resto riconosciuto di avere verificato la sopravvenuta intollerabilità della loro convivenza e l’insussistenza di margini per una sua ripresa, di guisa che sussistono i presupposti di fatto e di diritto per far luogo a una pronuncia di separazione personale ai sensi e per gli effetti dell’art. 151, primo comma, c.c.;
  • – le specifiche cause della crisi relazionale sono state sin dall’atto introduttivo individuate dalla Costagliola nell’inopinata instaurazione da parte del marito di una relazione con persona in seguito precisamente identificata grazie alle espletate indagini investigative e individuata in una giovane straniera con la quale lo stesso si sarebbe, in assenza della moglie, anche intrattenuto nella casa familiare, nonché nella circostanza di avere ella subito percosse ad opera del coniuge nel dicembre 2012;
  • – tale ultimo evento può dirsi adeguatamente documentato alla stregua del prodotto referto del Pronto Soccorso, attestante una prognosi di gg. 6 per “traumatismo della testa, traumatismo lombare, traumatismo di faccia e naso” a seguito di percosse subite da persona nota, nonché dalla pressoché contestuale denuncia presentata dalla Costagliola alla Stazione dei C.C. di .., densa di particolari quanto alla ricostruzione dei fatti e, pertanto, nel suo complesso altamente attendibile;
  • – che, inoltre, la ricorrente da tale data abbia registrato una profonda alterazione del proprio personale equilibrio risulta dal certificato rilasciato il 13.01.2014 dal medico curante dott. … il quale riporta una diagnosi di depressione reattiva a seguito di problemi familiari e una terapia (in atto proprio dal gennaio 2013) con antidepressivi (…) e ansiolitici (..), supporti farmacologici notoriamente utilizzati per compensare disturbi dell’umore, ansia ed eccessiva emotività;
  • – le risultanze dettagliate delle relazioni investigative effettuate su incarico dell’attrice vedono l’allegazione di cospicuo materiale fotografico nel quale il convenuto compare in compagnia di una figura femminile che, dai tratti somatici, ben potrebbe essere la persona che sin dall’atto introduttivo la … ha indicato come amante del marito;
  • – ben vero quanto da controparte sostenuto, e cioè che le investigazioni in esame debbono ascriversi al novero delle prove atipiche e scritti provenienti da terzi, sì da valere unicamente come presunzioni o argomenti di prova ma altrettanto vero che al riguardo ha la ricorrente formulato capitoli di prova a conferma, senz’altro ammissibili laddove in concreto rilevanti;
  • – tale rilevanza nella specie non sussiste, dal momento che nulla di preciso ha il convenuto contestato in punto di fatto e si è limitato ad osservare che “le relazioni sono state eseguite da Agenzie che non è stato provato siano munite delle necessarie autorizzazioni prefettizie”, con ciò all’evidenza intendendo “spostare” l’attendibilità delle risultanze investigative da un piano sostanziale, cioè di loro aderenza alla realtà fattuale, a un piano meramente formale, quanto a dire di regolarità amministrativa dell’operato svolto;
  • – e proprio in ragione di tale del tutto peculiare rilievo è il Collegio dell’avviso che non abbia il …. affatto contestato in senso tecnico giuridico le produzioni di controparte, con ciò rendendole utilizzabili ai fini della complessiva valutazione del materiale probatorio senza necessità alcuna di conferma testimoniale;
  • – come questo Tribunale ha, infatti, già osservato, «in tanto il rapporto investigativo deve essere oggetto di conferma probatoria mediante escussione testimoniale dei testi di riferimento, in quanto sia stato specificamente contestato dalla controparte (art. 115 c.p.c.), assumendo, altrimenti, un valore pieno di prova documentale» (ex multis: Trib. Milano, 13 maggio 2015, est. Servetti; Trib. Milano, 17 luglio 2013, est. Muscio; Trib. Milano, 8 aprile 2013, est. Buffone);
  • – così pronunciandosi il Tribunale ha inteso aderire all’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte la quale è dell’avviso che, «ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., «la non contestazione specifica costituisce un comportamento univocamente rilevante, con effetti vincolanti per il giudice, il quale deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale (nella specie: mancata divisione del compendio ereditario prima della proposizione della domanda di condanna degli eredi da parte di chi ritenga di vantare un credito nei confronti del defunto) e deve, perciò, ritenere la circostanza in questione sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo in concreto spiegato espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti» (Cass. civ., sez. VI, ordinanza 21 agosto 2012 n. 14594, Pres. Goldoni, est. Giusti); interpretazione cui ha aderito, peraltro, anche il giudice superiore (v. Corte Appello Milano, sez. IV civ., sentenza 29 giugno 2011, Pres. Fabrizi, est. Marini);
  • – beninteso che, come noto, il principio di non contestazione, enucleato nell’art. 115 c.p.c., ha vocazione generale e si applica a ogni fatto introdotto specificamente nel processo, pure là dove sia contenuto in una prova documentale: in altri termini, il documento che sia prodotto in modo completo deve essere contestato specificamente oppure assume il valore di prova (arg. Cass. Civ., 28 maggio 2013 n. 13206);
  • – d’altro canto, il principio di contestazione non incorre in particolari limitazioni nel procedimento civile, poiché «trova fondamento nel carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena, nella generale organizzazione per preclusioni successive, che caratterizza in misura maggiore o minore ogni sistema processuale, nel dovere di lealtà e di probità previsto dall’art.88 c.p.c., e nel generale principio di economia che deve sempre informare il processo, soprattutto alla luce del novellato art. 111 Cost.» (Cass. Civ. n. 25136 del 2009);
  • – a ciò in via ulteriore si aggiunga che l’uniformità cronologica tra le lesioni riportate dalla moglie (rispetto alle quali neppure è stata adombrata l’ipotesi che sia stato un soggetto terzo a produrle) e quanto riferito in sede di denuncia / querela risulta di concludente conforto alla versione prospettata sin dall’atto introduttivo;
  • – la linea difensiva seguita dal …. è volta a sostenere che, indipendentemente dalla sua (pur contestata) violazione dell’obbligo di fedeltà, l’unione coniugale era già da lungo tempo compromessa e ogni positiva comunicazione era tra loro cessata, ma sul punto i capitoli di prova dedotti non appaiono idonei a confortare l’assunto di un matrimonio “già finito” e caratterizzato da reciproca indifferenza e autonomia, bensì solo una realtà, invero assai comune, di una convivenza un po’ appassita e di una crisi che li aveva portati in qualche occasione a stare lontani, per un viaggio o una vacanza, forse proprio allo scopo di verificare la bontà della propria unione;
  • – è, dunque, da escludere che l’eventuale espletamento delle prove orali invocate dal convenuto possano in ipotesi portare al superamento dell’omogeneo materiale probatorio offerto dalla ricorrente, dotato di ben maggiore attendibilità;
  • – la separazione dovrà, di conseguenza, essere in via esclusiva addebitata al marito, ai sensi e per gli effetti dell’art. 151, primo e secondo comma, c.c.;
  • – per quanto attiene alle questioni accessorie è anzitutto opportuno sottolineare come la …. abbia nel proprio atto di costituzione con nuovo difensore in via espressa rinunciato all’originariamente formulata domanda di risarcimento del danno non patrimoniale procuratole dall’indebita condotta maritale, per l’effetto aderendo al consolidato orientamento in più occasioni espresso da questo Tribunale, in sintonia con le indicazioni della giurisprudenza di legittimità;
  • – resta, dunque, il solo profilo dell’assegno di mantenimento rivendicato in via riconvenzionale dal convenuto nell’ammontare di € 2.000,00= mensili, assegno che, in ragione dell’addebito riconosciuto a suo carico, non potrà ai sensi di legge che essere invece qualificato come alimentare:
  • – ciò premesso, non ne ricorrono i presupposti alla luce delle disposizioni di cui agli artt. 433 e ss. c.c., dal momento che non solo il …. risulta avere anche nell’anno 2012 (ultima dichiarazione prodotta, PF 2013) percepito redditi da partecipazione, per la quota del 24%, nell’ammontare di € 13.614,00= ma, anche, è pacifico come i coniugi abbiano in essere rapporti societari, anche se non ben chiariti, relativi a un esercizio commerciale da sempre congiuntamente gestito, sì che ogni eventuale “stato di bisogno” del richiedente potrebbe agevolmente trovare soddisfazione e ristoro in altra e diversa sede, a definizione dei complessi rapporti economici familiari;
  • – le esposte ragioni della decisione e la soccombenza del convenuto comportano la di lui condanna alla rifusione in favore dell’attrice delle spese processuali che, avuto riguardo alla modestia della controversia, al celere sviluppo processuale e all’assenza di attività istruttoria, si liquidano in € 3.000,00= per compensi, oltre a C.U. e accessori tutti nella percentuale di legge.
  • Q. M.
  • Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta, con ricorso deposito il
  • 17 marzo avanzata, 1
  • 2014, da … nei confronti di …., nonché sulla riconvenzionale da quest’ultima nel contraddittorio delle parti e con l’intervento del P.M. così provvede:
  • dichiara la separazione personale dei coniugi … e …, sposatisi in … il .. 1979 (atto trascritto nei Registri dello Stato Civile del Comune di …
  • dichiara la separazione in via esclusiva addebitabile al marito, ex art. 151, secondo comma, c.c.;
  • respinge la domanda di assegno periodico proposta dal convenuto;
  • manda alla Cancelleria di trasmettere, all’avvenuto passaggio in giudicato del capo 1), copia del dispositivo della presente sentenza all’ufficiale dello Stato Civile del Comune di … per le trascrizioni e annotazioni di rito;
  • condanna il convenuto …. .. a rifondere la ricorrente delle spese di lite, liquidate in € 3.000,00= per compensi, oltre C.U., rimborso forfetario, Iva e Cpa nelle percentuali di legge;
  • Così deciso in Milano, in camera di consiglio, il 1° luglio 2015.
  • sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege, ad eccezione dei capi 1) e 2).
  • Il presidente rel. dott. G. Servetti

 

Quando si hanno delle soluzioni che soddisfano le esigenze dei separandi spesso si riesce  ad attenuare il trauma di una famiglia che si divide.

  1. I principali servizi che offre l’avvocato Sergio Armaroli nel settore sono i seguenti:
  2. Negoziazione assistita per la separazione personale dei coniugi;
  3. Separazione personale dei coniugi giudiziale (consensuale e non);
  4. Divorzio giudiziario;
  5. Divorzio breve;
  6. Modifica della condizioni di separazione;
  7. Modifica delle condizioni di divorzio;
  8. Modifica delle condizioni di affidamento di figli minori;
  9. Determinazione delle condizioni di affidamento e mantenimento di figli nati da coppie di fatto;
  10. Accordi di convivenza;
  11. Dichiarazioni di successione;
  12. Rivendicazioni ereditarie;
  13. Riconoscimento giudiziale della paternità o maternità;
  14. Cambio sesso: rettificazione di attribuzione di sesso;
  15. Modifica del cognome.
  • Ci si può separare o si può divorziare in modo consensuale se i coniugi raggiungono un accordo riguardo le condizioni relative all’affidamento dei figli e gli aspetti economici, altrimenti occorre che uno di essi presenti autonomamente un ricorso al Tribunale di competenza instaurando un Giudizio.

MA PERCHE’ SI CHIAMA SEPARAZIONE CONSENSUALE

Il termine consensuale deriva proprio dal fatto perché prevede il consenso espresso di entrambi i coniugi che giungono ad un accordo sulla spartizione dei loro beni in comunione e sull’affidamento dei figli nonché su tutte le possibili questioni connesse alla vita matrimoniale.

Un consenso delle parti che può essere originario se il ricorso è presentato da tutte e due le parti ma può anche essere successivo, nel senso che la separazione può partire come giudiziale (istanza di una sola parte) e poi divenire consensuale successivamente.

Sia la separazione, sia il divorzio iniziati giudizialmente potranno sempre trasformarsi in procedure consensuali ove le parti trovassero un accordo prima dell’emissione della sentenza.

  • Da anni con impegno e risultato mi occupo di diritto di famigliae di tutte le problematiche sottese alla separazione e al divorzio (rapporti patrimoniali tra coniugi, assegnazione della casa coniugale, affidamento e mantenimento dei minori, ecc.).
  • Con grande esperienza ho maturato competenze , che al di là delle mere conoscenze giuridiche, comprendono anche tatto e capacità di ascolto, necessarie per supportare la parte assistita.

Da tenere presente che la separazione non fa venir meno lo status di coniuge ma incide su alcuni obblighi tipici del matrimonio: decade l’obbligo di convivenza e di fedeltà così come la comunione dei beni (se quello era il regime patrimoniale prescelto dai coniugi).
Permangono invece gli obblighi di mantenimento del coniuge, di partecipazione alla gestione della famiglia e di educazione della prole.

 

 

La separazione giudiziale, secondo il codice civile italiano, si può avere su istanza di parte o perché ci sono state delle violazioni degli obblighi matrimoniali da parte di uno dei coniugi o perché ci sono delle circostanze oggettive che rendono non più sostenibile la prosecuzione del rapporto.

  1. Il processo inizia con ricorso al presidente del tribunale, di norma, nel luogo in cui è individuata l’ultima residenza della coppia .
  2. Nel ricorso dovranno essere indicati gli elementi sui quali si fonda la richiesta e la dichiarazione sull’esistenza di prole.
  3. Il Presidente del Tribunale accogliendo il ricorso fissa con decreto la data della udienza di comparizione dei coniugi.
  4. Chi ha presentato il ricorso dovrà provvedere a notificare il decreto all’altro coniuge.
  5. L’udienza di comparizione si svolge dinanzi al solo presidente del tribunale.

All’’udienza di comparizione devono comparire obbligatoriamente e personalmente i coniugi;

Quando all’udienza di comparizione non si presenta il coniuge attore (colui che ha promosso il processo) il presidente dichiara estinto il processo.

Avendo sempre in primo piano gli interessi e la tutela dei miei assistiti, il mio approccio mira, ove possibile, alla risoluzione della crisi e al raggiungimento di un accordo tra le parti, al fine di giungere alla separazione consensuale o al divorzio congiunto.

Tale metodo permette di ottenere una soluzione più rapida senza dover ricorrere all’intervento del tribunale e risulta particolarmente indicato nell’ottica di tutela dei minori coinvolti.

  1. A quale coniuge viene assegnata la casa coniugale in caso di separazione?
  1. Secondo la normativa di riferimento, sia nell’ambito della separazione sia del divorzio, il diritto di abitazione della casa familiare spetta di preferenza al coniuge cui sono affidati i figli o con i quali i figli convivono ed il giudice deve tenere conto dell’assegnazione nei rapporti economici tra i genitori.In tema di assegnazione della casa coniugale, dunque, il titolo per il coniuge ad abitare la casa coniugale è funzionale alla conservazione dell’ambiente domestico e giustificato dall’interesse morale e materiale della prole affidatagli.

    Nel caso non vi siano figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti la casa coniugale non potrà essere assegnata (salvo diversi accordi tra le parti).

UNIONI CIVILI AVVOCATO A BOLOGNA SERGIO ARMAROLI

AVVOCATO A BOLOGNA SERGIO ARMAROLI

presta assistenza anche relativamente alle nuove forme di famiglia riconosciute dall’ordinamento, quali le unioni civili, le coppie di fatto e le coppie conviventi.

L’avvocato Sergio Armaroli le parti sia nel momento della costituzione che dell’eventuale scioglimento del rapporto.

Shares