DANNO RAVENNA RIMINI PARTO RESPONSABILITA’ AUSL CONDANNA

DANNO RAVENNA RIMINI PARTO RESPONSABILITA’ AUSL CONDANNA

La responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente ha natura contrattuale; in tal senso, la L. 24/2017 non ha apportato modifiche al precedente e consolidato orientamento giurisprudenziale, che già inquadrava il rapporto ‘paziente – struttura sanitaria’ come un contratto atipico a prestazioni corrispettive da cui insorgono a carico della struttura, accanto a quelli lato sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze (cfr., ex multis, Cass. 18610/2015).

Il medico o in genere il personale non medico, poiché svolge un’attività a contenuto professionale, è tenuto nell’adempimento delle proprie obbligazioni, non già alla diligenza generica del buon padre di famiglia, bensì a quella più accurata e specifica del debitore qualificato, come prescrive l’art. 1176, 2° comma, c.c.; ciò comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che, nel loro insieme, costituiscono la conoscenza della professione medica (Cass. 4852/1999, 5945/2000, 6386/2001, 3492/2002).

Quanto al grado di colpa, di cui il medico, o il personale sanitario in genere, deve rispondere, il disposto dell’art. 2236 c.c. va interpretato nel senso che la limitazione di responsabilità alle sole ipotesi di dolo e colpa grave non ricorre con riferimento ai danni causati per negligenza o imperizia, ma soltanto per i casi che richiedono di risolvere problemi tecnici di speciale difficoltà (perché trascendono la preparazione media o non sono stati ancora studiati a sufficienza, ovvero dibattuti con riguardo ai metodi da adottare; cfr. Cass., Sez. III, sent. n. 5945 del 10.5.2000; Cass., Sez. III, sent. n. 4852 del 19.5.1999; Cass., Sez. III, sent. n. 11440 del 18.11.1997).

Infine, e soprattutto, consegue alla natura contrattuale della responsabilità la applicazione del relativo regime probatorio, per cui il paziente, creditore della prestazione sanitaria, è tenuto a dimostrare l’esistenza del rapporto contrattuale e a dedurre l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non c’è stato, o che, pur esistendo, non è stato eziologicamente rilevante (cfr. Cass. 21177/2015; Cass. 577/2008; Cass. SS.UU. 13533/2001), in presenza di un evento esterno imprevedibile o inevitabile: a tale convincimento portano infatti sia il dettato dell’art.2697 cc, che distingue tra fatti costitutivi e fatti estintivi dei diritti, sia il principio di vicinanza della prova, che tiene conto della concreta possibilità che le parti del rapporto hanno di dare dimostrazione delle condotte e dei fatti che rientrano nella propria sfera di azione.

MALASANITA’ DaNNo RIsaRCImento OPERAZIONI DI ROUTINE PROVA SUPERAMENTO Attenzione

Dunque, in materia di responsabilità medica contrattuale, si suole dire, sinteticamente, che spetta al paziente di dimostrare il danno subito, costituito dall’insorgenza o dall’aggravamento della patologia, in nesso causale con il trattamento sanitario, mentre il medico, per liberarsi della responsabilità e della conseguente obbligazione risarcitoria, è gravato dell’onere di dare la prova del proprio esatto adempimento, e dell’evento imprevedibile e inevitabile che ha comportato la causazione di quel danno (vedi, tra le altre, Cass., 4928 del 2018, 20904 del 2013, 577 del 2008).

Per meglio comprendere la ripartizione dell’onere della prova, va detto che il nesso di causalità è l’elemento che collega su di un piano esclusivamente oggettivo e secondo una ricostruzione logica (e scientifica) il comportamento dell’autore del fatto astrattamente considerato e l’evento verificatosi; il principio di causalità materiale, che opera anche nell’ambito della responsabilità civile, è infatti definito dagli artt.40 e 41 del codice penale, (salve le differenze circa la regola probatoria probabilistica, o meno, nella indagine sul nesso, di cui si dirà a breve) per cui ogni comportamento antecedente che abbia generato, o anche solo contribuito a generare, l’evento, deve considerarsi “causa materiale” dell’evento stesso, a prescindere da ogni valutazione di prevedibilità soggettiva.

Infatti il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole non esclude il rapporto di causalità “materiale” fra l’azione od omissione e l’evento, eccettuato il caso in cui tali cause sopravvenute siano state da sole sufficienti a determinare l’evento. Ciò significa che, qualora la produzione di un evento dannoso risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, l’autore del fatto illecito risponde, in base ai criteri della causalità materiale, dei danni che ne sono derivati; le concause naturali escludono il nesso causale quando possano dirsi, da sole, sufficienti a determinare l’evento, mentre negli altri casi incidono sulla quantificazione del danno risarcibile.

Va pure considerato che il diritto vivente da più di un decennio ha marcato la differenza tra la regola probatoria del nesso causale nel processo penale e quello civilistico, ritenendo che nel primo debba essere conservata la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (cfr. Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese), mentre nel secondo deve farsi strada la preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non“, stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l’equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti, (così cass. S.U. 576 del 2008, a cui hanno fatto seguito Cass.10741 del 2009, 16123 del 2010, 8430 del 2011, conformi). Anche la Corte di Giustizia CE ha affermato che la causalità in materia civile deve poggiarsi su logiche di tipo probabilistico (CGCE, 13/07/2006, n. 295, e 15/02/2005, n. 12, in tema di tutela della concorrenza).

Con tali premesse, diviene chiara la duplice funzione della documentazione che la struttura sanitaria è tenuta a compilare, riportando i parametri clinici relativi alla condizione del paziente, le diagnosi operate, e le prescrizioni terapeutiche correlate: si tratta infatti di strumenti necessari per consentire la organizzazione della cura, che tuttavia divengono determinanti ex post per consentire anche una valutazione oggettiva della prestazione sanitaria, e indagare con piena cognizione dei fatti le cause di eventuali eventi avversi.

E’ quindi condivisibile appieno l’orientamento giurisprudenziale formatosi, per cui l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido legame causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente quando il professionista abbia posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare la lesione, e l’incompletezza documentale abbia reso impossibile un pieno accertamento del relativo nesso eziologico. (vedi Cass. 12218 del 2015, 27561 del 2017, tra le altre).

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Ciò premesso, quanto ai principi di diritto, e passando all’esame della fattispecie concreta, si osserva che la gravidanza si è svolta senza che siano emersi problemi oggettivamente definiti, (la frase: “durante l’esame ecografico feto-placentare sono stati rilevati dati con possibile significato patologico” riportata nelle ecografie effettuate alla 30^ e 34^ settimana non è stata infatti meglio chiarita); certo è che XX ha manifestato difficoltà fin dal primo minuto dalla nascita, come risulta ampiamente attestato.

La tabella di Apgar rileva infatti che al primo minuto erano insufficienti i parametri della respirazione e del battito cardiaco, il che ha comportato la ventilazione (peraltro per 30 secondi, non 30 minuti, come afferma la difesa attrice) con ambu pediatrico; nella medesima tabella, come si è detto, incompleta e contraddittoria, nulla si dice nell’immediato del tono muscolare e dei riflessi, invece registrati come insufficienti al 5^ minuto; tale dato deve verosimilmente essere retrodatato anche al primo minuto, il che disegna un quadro certamente allarmante.

Certo è che il piccolo è stato trasferito assai rapidamente alla neonatologia dell’Ospedale di Lugo, e che la mancata compilazione e il complessivo contesto non consentono di ritenere attendibile il punteggio di 8 assegnato all’indice Apgar. Purtuttavia proprio per la “normalità” così formalmente assegnata al neonato, non sono stati svolti approfondimenti altrimenti necessari: non è infatti presente una emogasanalisi effettuata precocemente dopo il parto, che possa fornire una valutazione dell’equilibrio acido-base del bambino e quindi dare notizie relative al benessere fetale nella fase pre partum, mentre tale indagine si imponeva, in caso di problemi rilevati nell’adattamento all’ambiente esterno del piccolo.

L’esecuzione di tale esame, infatti, pur non obbligatoria, secondo le linee guida, da parte dei Medici di Lugo in sala operatoria, alla luce della condizione oggettiva, di severa ipotonia, che non può corrispondere al punteggio Apgar attribuito, avrebbe dovuto essere effettuata quanto meno all’arrivo in Pediatria come ha osservato il Ctu.

La cartella del reparto di accettazione evidenzia invero una situazione problematica, …02/08/2003 ore 9,30: “Viene ricoverato in quanto nato da parto cesareo eseguito per presentazione podalica. Alla nascita Apgar 8 al primo minuto e quinto minuto per carenza di tono muscolare e riflessi. Condizioni all’ingresso in reparto discrete. Non si termoregola molto bene“, che trova piena conferma all’atto della dimissione quando si trasferisce presso la Neonatologia di Ferrara per valutare indagini specie sul versante neurologico, osservando che “… presenta fino dalla nascita importante ipotonia generalizzata con pianto flebile e possibili mioclonie agli arti. La TAC cerebrale eseguita presso il nostro nosocomio presentava inoltre segni compatibili con atrofia cerebrale in sede occipito parietale posteriore.”.

La successiva storia clinica è stata ampiamente riportata nella relazione di consulenza, e valutata dal Ctu e dagli ausiliari; va rilevato che proprio la scarsità degli approfondimenti iniziali e la attribuzione dell’indice di Apgar positivo, hanno contribuito ad indurre l’ausiliario del Ctu, dottor De Maria, neonatologo, (secondo cui peraltro il “quadro clinico si è manifestato fin dai primi giorni di vita ed ha avuto il decorso tipico della paralisi cerebrale infantile“) ad escludere una sofferenza ischemica nel travaglio, come componente del danno complessivo: la inaffidabilità dell’indice di Apgar elaborato rende dubbio anche il giudizio così espresso.

Deve farsi dunque applicazione in questo caso dell’orientamento giurisprudenziale formatosi, per cui l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido legame causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente quando il professionista abbia posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare la lesione, e l’incompletezza documentale abbia reso impossibile un pieno accertamento del relativo nesso eziologico. (vedi Cass. 12218 del 2015, 27561 del 2017, tra le altre).

Le patologie che determinano la attuale invalidità di XX, individuate dagli specialisti nelle due componenti, indipendenti, di una paralisi cerebrale infantile e di una lesione midollare cervicale (atrofia focale del midollo cervicale) che complessivamente determinano il danno, e il disturbo motorio di grado rilevante (tetraparesi mista a prevalente espressione distonica) ma con normale livello cognitivo, vanno ricondotte a cause attualmente ignote, perché non positivamente dimostrate.

Certamente la gestione del travaglio e del parto è astrattamente idonea a determinare, in caso di manovre inadeguate degli operatori sanitari, tali patologie, e in particolare la lesione midollare cervicale.

Nel caso di specie, come già detto, non sono positivamente provate condotte inadeguate, nella gestione del travaglio da parte dei sanitari, ma la sussistenza di gravi problemi alla nascita (problemi cardio/respiratori, e grave e perdurante ipotonia), uniti alla incompletezza documentale, e alla mancata trasparenza che ne deriva, comportano, per la regola di giudizio che si applica, la affermazione della responsabilità della struttura sanitaria.

Alla affermazione di responsabilità, (che può pronunciarsi solo nei confronti della Ausl di Romagna, atteso che i sanitari non sono stati convenuti nel giudizio), deve seguire la condanna al risarcimento dei danni, tenuto conto degli esiti della consulenza medico legale disposta a tal fine.

 

 

 Quanto al merito, con il primo motivo si deduce il travisamento della prova: gli appellanti, che chiariscono di non ritenere necessario il rinnovo della Ctu, a loro parere approfondita ed esaustiva, deducono che il primo giudice non ha colto affatto il pensiero del Ctu e non ne ha tratto le conclusioni necessarie, in ordine alla valutazione della responsabilità dei sanitari che hanno trattato la madre e il piccolo nelle fasi del parto: tale motivo impone di ripercorrere i punti salienti della relazione depositata dal Ctu.

La relazione (che “ospita” al suo interno anche i contributi dei tre ausiliari: un neonatologo, un radiologo e un ginecologo, nominati per esaminare la vicenda, particolarmente complessa), fornisce in primo luogo i riferimenti documentali, tratti:

– dalla cartella clinica relativa al ricovero della Sig.ra WW dal 02/08/2003 al 05/08/2003 presso il Reparto di Ostetricia dell’Ospedale di Lugo, e dai documenti strettamente correlati al parto (il partogramma, il diario infermieristico ed ostetrico e le registrazioni cardiotocografica, la compilazione, peraltro incompleta e complessivamente erronea del punteggio di Apgar);

– dalla cartella clinica e i documenti relativi al neonato: il verbale in data 02/08/2003 per la ammissione del piccolo al Reparto di Neonatologia dell’Ospedale di Lugo (RA), in cui tra le altre annotazioni risulta: “… Malattia attuale: viene ricoverato in quanto nato da taglio cesareo alla 37° settimana di gestazione, APGAR 8 al 1° e 5° minuto, ha avuto bisogno di AMBU per bradicardia transitoria di breve durata, inoltre presenta scarsa termoregolazione. Peso kg. 3,205 …”; la Cartella Clinica relativa al ricovero dal 02/08/2003 al 12/08/2003 c/o la Divisione di Neonatologia dell’Ospedale di Lugo, in cui figura: “…02/08/03 ore 9,30: “Viene ricoverato in quanto nato da parto cesareo eseguito per presentazione podalica. Alla nascita Apgar 8 al primo minuto e quinto minuto per carenza di tono muscolare e riflessi. Condizioni all’ingresso in reparto discrete. Non si termoregola molto bene“, TAC encefalo effettuata il 7/08/2003: “L’indagine ha evidenziato spazi liquorali più ampi che di norma in sede occipito – fronto – parietale bilaterale con quadro meritevole di ulteriori accertamenti mediante RM. Non evidenti alterazioni tomodensitometriche dell’encefalo“. 12/08/2003: Si trasferisce presso la Neonatologia di Ferrara per valutare indagini specie sul versante neurologico, osservando che “… presenta fino dalla nascita importante ipotonia generalizzata con pianto flebile e possibili mioclonie agli arti. La TAC cerebrale eseguita presso il nostro nosocomio presentava inoltre segni compatibili con atrofia cerebrale in sede occipito parietale posteriore“.

– dalla cartella clinica relativa a ricovero dal 12/08/2003 al 16/08/2003 presso il Reparto di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale dell’Ospedale S. Anna di Ferrara, in cui viene annotato: Rianimato con Ambu ed ossigenoterapia per 30 secondi. APGAR 8/8, viene ricoverato c/o la Neonatologia … per ipotonia generalizzata e saltuarie crisi di desaturazione. In seguito vengono segnalati ricorrenti e bruschi movimenti di estensione agli AAII (EEG risultato privo di anomalie). Ha eseguito TAC cerebrale che ha mostrato un’area di atrofia cerebrale in occipito parietale posteriore. Ecografia cerebrale: non anomalie.

Il Ctu riferisce la circostanza, documentata e non contestata, che negli anni successivi nel corso dei vari ricoveri in strutture ad elevata competenza (l’Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano), anche specifica nel settore della Neurologia Pediatrica (“Gaslini” di Genova, “Meyer” di Firenze), sono stati effettuati approfonditi accertamenti clinici, laboratoristici e neuroradiologici, che pur non esprimendo una diagnosi certa del quadro neuropatologico presentato dal ragazzo, hanno individuato le manifestazioni di una paralisi cerebrale infantile, e più tardi ricondotto verosimilmente il quadro alla SCIWORA, soprattutto a seguito della risonanza magnetica effettuata durante il ricovero presso la Neurochirurgia dell’Ospedale Meyer, dal 03/02/2010 al 05/02/2010. Quindi riporta i contributi degli ausiliari, tra cui quello del neonatologo dottor De Maria, secondo cui peraltro il “quadro clinico si è manifestato fin dai primi giorni di vita ed ha avuto il decorso tipico della paralisi cerebrale infantile” anche se “le neuroimmagini hanno verosimilmente dimostrato un quadro accessorio alla patologia di base“.

 

 

  1. R.G. 3400/2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO di BOLOGNA

SEZIONE SECONDA CIVILE

La Corte, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:

dott. Giampiero M. Fiore – Presidente

dott. Anna Maria Rossi – Consigliere Relatore

dott. Bianca Maria Gaudioso – Consigliere

in esito alla odierna Camera di Consiglio,

udita la relazione della causa fatta dal Relatore

preso atto delle conclusioni assunte dai procuratori delle parti;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. r.g. 3400/2018 promossa da:

YY (c.f. omissis) e WW (c.f. omissisin proprio e per il figlio minore J, con il patrocinio dell’Avv. Chiara Rinaldi e dell’Avv. Francesca Giardini (c.f. omissis),

XX con il patrocinio dell’Avv. Francesca Giardini (c.f. omissis),

APPELLANTI

contro

AZIENDA UNITA’ SANITARIA DELLA ROMAGNA (omissis), con il patrocinio dell’Avv. Leonardo Bernardini, elettivamente domiciliata in via Flaminia, 187/a Rimini, presso il difensore Avv. Leonardo Bernardini

APPELLATO

RELIANCE NATIONAL INSURANCE COMPANY (EUROPE) LIMITED, (già QBE Insurance (Europe) LTD) con sede in 20 Old Broad Street, Londra rappresentata e difesa dall’Avv. Alberto Batini (c.f. omissis) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Milano, Via Camperio 9

Avverso

“la sentenza 934 del 2018 emessa dal Tribunale di Ravenna”

CONCLUSIONI

Gli appellanti hanno concluso come segue:

Voglia l’I.ll.ma Corte d’Appello di Bologna, ogni contraria domanda, eccezione e difesa disattesa, ritenuto ammissibile il presente appello ex art. 342 c.p.c., riformare integralmente sentenza N. 934/2018 pronunciata nella causa civile rubricata al N. R.G. 1266/2015 dal Tribunale di Ravenna, in persona del Giudice, Dott.ssa De Maria, in data 24.09.2018, pubblicata il 25.09.2018 e notificata lo stesso giorno della pubblicazione, per le ragioni di cui all’atto di appello e, per l’effetto,

– accertare e dichiarare la responsabilità della Azienda Usl della Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, nella sua qualità sopra indicata, nonché dei sanitari che assistettero la Sig.ra WW in data 02/08/2003, in ordine ai gravissimi danni subiti da XX in occasione del sinistro verificatosi in data 02/08/2003, per i motivi in fatto e in diritto di cui in narrativa esposti;

– dichiarare tenuta la Azienda Usl della Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, nella sua qualità sopra indicata, al risarcimento di tutti i danni (patrimoniali e non patrimoniali) subiti e subendi, in conseguenza di quanto accaduto il 02/08/2003, da XX, dai genitori Signori YY e WW, nonché dal fratello J e, per l’effetto, condannarla al pagamento delle seguenti somme:

– a favore di XX: € 297.795,00=, a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali per spese mediche future; € 287.008,02= a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali per perdita del reddito futuro; € 1.430.789,00= a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali, con rivalutazione monetaria e interessi legali dal giorno del sinistro (02/08/2003) fino al soddisfo; ovvero le maggiori o minori somme che saranno ritenute di equità e di giustizia, con rivalutazione monetaria e interessi legali nei termini già precisati;

– a favore di YY e WW € 111.918,00= a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali per spese mediche sostenute; € 150.000,00= ciascuno, a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali, con rivalutazione monetaria e interessi legali dal giorno del sinistro (02/08/2003) fino al soddisfo; ovvero le maggiori minori somme che saranno ritenute di equità e giustizia, con rivalutazione monetaria e interessi legali nei termini già precisati;

– a favore di J € 150.000,00= a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali, con rivalutazione monetaria e interessi legali dal giorno del sinistro (02/08/2003) fino al soddisfo.

Con vittoria di spese e compenso professionale, anche del giudizio di primo grado.

In via istruttoria.

  1. A) Ci si oppone alla richiesta di rinnovazione della CTU formulata dalla chiamata in causa, stante l’esaustività e correttezza dell’elaborato peritale che, diversamente dalle conclusioni a cui è pervenuto il Giudice di primo grado, il quale non ha applicato al caso di specie i principi relativi all’inversione dell’onere della prova in merito alla sussistenza del nesso causale quando la cartella si rivela incompleta, chiarisce come l’impossibilità di giungere all’accertamento in punto di nesso causale va imputata al negligente comportamento tenuto dai sanitari dell’Ospedale di Lugo che si unisce, con pari peso, ovvero con la stessa portata causale, alle ulteriori mancanze relative alla cartella clinica che impediscono anch’essa un accertamento in termini di nesso causale.
  2. B) Si chiede ammettersi prova per testi sui seguenti capitoli:

1) Vero che i Sig.ri WW e YY, a seguito della nascita di XX (02.08.2003), in più occasioni, manifestavano la propria ansia ed il proprio turbamento per lo stato di salute del figlio?

2) Vero che i Sig.ri WW e YY, a seguito della nascita di XX (02.08.2003), in più occasioni, manifestavano la propria ansia ed il proprio turbamento cagionati dal fatto di dover sottoporre il figlio a frequenti ricoveri ospedalieri e visite mediche?

3) Vero che, prima della nascita di XX (02.08.2003), la Sig.ra WW prestava la propria opera professionale presso la Coop. (omissis), con sede a (omissis), (Ravenna), in Via (omissis) nr. (omissis)?

4) Vero che, in seguito alla nascita di XX (02.08.2003), la Sig.ra WW ha cessato di prestare la propria opera professionale presso la Coop. (omissis), per occuparsi del figlio, bisognoso di cure ed assistenza costanti?

5) Vero che, in seguito alla nascita di XX (02.08.2003), il Sig. YY, nei giorni in cui la moglie accompagna XX a visite mediche o a sedute di terapia, si assenta dal lavoro per occuparsi dell’altro figlio, J?

6) Vero che, prima della nascita di XX (02.08.2003), i Sig.ri WW e YY, nei periodi di ferie dal lavoro, erano soliti andare in vacanza fuori dalla città di residenza (omissis), (Ravenna), sia in periodo invernale, che in periodo estivo?

7) Vero che, successivamente alla nascita di XX (02.08.2003), i Sig.ri WW e YY, nei periodi di ferie dal lavoro, restano nella propria città di residenza (omissis), (Ravenna), manifestando la propria impossibilità ad andare in vacanza fuori dalla città, a causa delle condizioni di salute del figlio?

8) Vero che, prima della nascita di XX (02.08.2003), i Sig.ri WW e YY erano soliti, nel tempo libero, recarsi in spiaggia insieme?

9) Vero che, successivamente alla nascita di XX (02.08.2003), i Sig.ri WW e YY si sono recati in spiaggia insieme una sola volta, a causa delle difficoltà legate agli spostamenti (la sola sedia a rotelle di XX pesa circa 70 Kg) e del disagio manifestato da XX?

10) Vero che, prima della nascita di XX (02.08.2003), i Sig.ri WW e YY avevano manifestato la volontà di ripartire l’abitazione sita a (omissis), (Ravenna), in Via (omissis) nr. (omissis), nel senso che i Sig.ri WW e YY avrebbero abitato al piano superiore e la madre del Sig. YY al piano inferiore (per le difficoltà di quest’ultima nel fare le scale)?

11) Vero che, a causa delle condizioni fisiche di XX ( non in grado di deambulare ), i Sig.ri WW e YY hanno vissuto fino a prima della separazione avvenuta nel 2018, al piano inferiore dell’abitazione sita a (omissis), (Ravenna), in Via (omissis) nr. (omissis) insieme alla madre del Sig. YY?

12) Vero che, poiché i Sig.ri WW e YY abitano in campagna (e, dunque, in una zona difficilmente percorribile con la sedia a rotelle), quando XX manifesta la volontà di passare del tempo all’aria aperta, la Sig.ra WW lo deve accompagnare in centro a (omissis), (Ravenna), con la macchina?

13) Vero che XX necessità di assistenza per ogni esigenza della vita quotidiana (lavarsi, andare in bagno, ecc.)?

14) Vero che, durante la notte, XX dorme insieme alla madre, in quanto bisognoso di cure e assistenza costanti?

15) Vero che, posto che XX soffre di disfunzioni vescicali dovute alle gravi condizioni in cui versa sin dalla nascita, la Sig.ra WW deve accompagnarlo in bagno con una frequenza molto elevata durante il giorno?

16) Vero che la sig.ra WW deve procedere, circa ogni due giorni, a praticare a XX lo svuotamento intestinale?

17) Vero che i Sig.ri WW e YY, durante la giornata, dedicano la maggior parte del loro tempo al figlio XX, in quanto bisognoso di cure e assistenza costanti?

18) Vero che J sta attualmente seguendo un percorso di terapia psicologica presso lo Studio della Dr.ssa C. B.?

19) Vero che J ha, in più occasioni, manifestato disagio a causa delle cure e attenzioni costanti che i genitori devono rivolgere al fratello XX, anche adottando comportamenti inusuali per un bambino della sua età, come pretendere che la madre lo accompagni in bagno?

Si indicano, quali testi, su tutti i capitoli di prova:

– M. P., nata a (omissis), (Ravenna), in data (omissis).1970, residente a (omissis), (Ravenna), in Via (omissis) nr. (omissis);

– M. M., nata a (omissis), (Ravenna), in data (omissis).1996, residente a (omissis), (Ravenna), in Via (omissis) nr. (omissis);

– R. M., nato a (omissis), (Forlì-Cesena), in data (omissis).1968, residente a (omissis), (Ravenna), in Via (omissis) nr. (omissis);

– V. M., nato a (omissis), (Ravenna), in data (omissis).1964, residente a (omissis) –fraz.ne (omissis), (Ravenna), in Via (omissis) nr. (omissis).“.

L’appellata Ausl ha concluso come segue:

Piaccia all’Ecc.ma Corte d’Appello di Bologna:

In via principale

respingere l’avverso appello ed ogni istanza ivi contenuta siccome inammissibile e comunque infondato, confermando la Sentenza n. 934/2018 inter partes resa dal Tribunale di Ravenna e pubblicata in data 25.09.2018 quanto al rigetto delle richieste risarcitorie tutte avanzate da parte appellante.

Ancora in via principale ed in accoglimento del qui svolto appello incidentale,

riformare la Sentenza n. 934/2018 in solo punto di regolazione delle spese del giudizio tra questa parte appellante incidentale e la terza chiamata QBE Insurance, procedendo alla loro integrale compensazione.

In subordine

ed in denegata ipotesi di accoglimento dell’appello principale limitare la condanna di Ausl della Romagna nei limiti del giusto e del provato e in ogni caso ed in accoglimento del presente appello incidentale, accertare e dichiarare QBE Insurance tenuta a manlevare Ausl della Romagna dalle conseguenze dell’emananda Sentenza e condannarla quindi al pagamento diretto di quelle somme che dovessero essere riconosciute in favore dei Sigg.ri YY – WW, in proprio e quali esercenti la potestà sui figli minori.

In ogni caso con vittoria di spese, competenze ed onorari di entrambi i gradi di giudizio.“.

La terza chiamata ha precisato le conclusioni come segue:

Voglia l’Ecc. ma Corte d’Appello di Bologna, contrariis rejectis, richiamate tutte le difese e le eccezioni e le richieste, anche istruttorie, già svolte nel corso del primo grado di giudizio da QBE anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 346 c.p.c., riservata ogni ulteriore conclusione, deduzione ed eccezione,

– in via preliminare e/o pregiudiziale di rito:

dichiarare l’inammissibilità/ improcedibilità dell’atto di citazione in appello notificato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 348 bis e ter e 342 c.p.c., con ogni conseguente declaratoria anche in ordine alle spese;

– in via di merito:

respingere integralmente l’impugnazione avversaria in quanto del tutto infondata in fatto ed in diritto e, comunque, non provata, per tutte le ragioni meglio esposte in narrativa, sia con riferimento all’an che al quantum richiesto, e per l’effetto confermare la sentenza: n. 934/2018 del Tribunale di Ravenna, datata 24.09.18 e depositata in data 25.09.2018, nel procedimento R.G. n. 1266/2015, Giudice dott.ssa Letizia De Maria, notificata in data 25.09.2018;

– in subordine:

nella denegata e non creduta ipotesi di riforma dell’impugnata sentenza, e nell’inconcessa ipotesi in cui venga riformata in peius la sentenza oggetto di impugnazione, per effetto dell’appello incidentale, accertare e dichiarare la non operatività della polizza assicurativa QBE n. 012739012008, invocata dall’Assicurata, con riferimento alle richieste risarcitorie avanzate dalla parte attrice per il danno asseritamente subito dal minore J, per le ragioni esposte in narrativa della comparsa di risposta, e in ogni caso la decadenza dell’Assicurata dai diritti ad esso relativi ai sensi di polizza e legge; conseguentemente rigettare la domanda di manleva formulata dall’Assicurata nei confronti della compagnia assicuratrice (oggi Reliance) ed assolvere integralmente la medesima dalle pretese fatte valere dall’Assicurata nei propri confronti;

– in assoluto subordine, nel merito:

nella denegata ipotesi di riconoscimento di responsabilità della Convenuta per i fatti di causa e di condanna anche parziale dell’Assicurata, con rigetto dell’eccezione di carenza di copertura ed inoperatività della garanzia assicurativa, dichiarare l’obbligo di manleva della compagnia assicuratrice (oggi Reliance) esclusivamente nei limiti contrattualmente assunti (ed in particolare entro il limite del massimale per sinistro convenuto in polizza di Euro 5.000.000,00, con la applicazione della franchigia a carico del contraente di € 150.000,00 per ciascun sinistro (e della franchigia aggregata annua di € 2.000.000,00).

Con vittoria di spese, diritti ed onorari, oltre accessori di legge, di entrambi i gradi di giudizio.

In via istruttoria,

si insiste come nelle memorie ex artt. 183 vi° comma nn. 2 e 3 c.p.c. ritualmente e tempestivamente depositate da QBE in prime cure, nonché come da paragrafo 5 della comparsa depositata in atti.

In particolare si chiede l’ammissione delle seguenti prove per testi, previa esibizione della documentazione medica di riferimento anche ove non menzionata nel capitolo e previa espunzione delle parti ritenute valutative:

  1. “Vero che in data 2.08.2003, alle ora 1,30 circa, la Sig.ra WW accedeva al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Lugo e che le veniva diagnosticata in accettazione “rottura prematura di membrana alla 37° settimana”, e veniva programmato il cesareo per la mattina seguente “;
  2. “Vero che la sig.ra WW veniva sottoposta il 2.08.2003, alle ora 1,30, presso l’Ospedale di Lugo ad una prima visita ginecologica-ostetrica di accettazione, che refertava “collo uterino posteriore, conservato e rigido, bocca uterina chiusa, presentazione podalica, rottura bassa delle membrane, BCF (battito cardiaco fetale) percepito, liquido amniotico limpido”;
  3. “Vero che in data 2.08.2003 alle ore 1:40 la sig.ra WW veniva ricoverata e che alle ore 1:45 veniva eseguito un primo controllo cardiotocografico, della durata di circa 40 minuti, sino alle ore 2:25, per la valutazione del benessere fetale, che dava esito normale (frequenza cardiaca fetale 120 battiti per minuto, assenza di decelerazioni, variabilità superiore a 5 battiti per minuto); ed assenza di contrazioni regolari”;
  4. “Dica se la sig.ra WW al momento dell’ingresso al PS era tecnicamente in “travaglio di parto” e se nel corso della visita di cui al capitolo 2 che precede si riscontrarono i seguenti segni obiettivi: constatazione di perdite di muco dai genitali esterni – tappo mucoso; constatazione esplorativa che evidenzia le iniziali modificazioni del collo uterino- dilatazione ed appianamento”;
  5. “Dica se nel caso della sig.ra WW, in base alla situazione risultante dagli esami eseguiti sulla paziente, vi era necessità di un monitoraggio in continuo delle condizioni di benessere fetale mediante CTG o auscultazione periodica del BCF”;
  6. “Vero che durante la notte la paziente rimaneva asintomatica, stazionaria ed era sottoposta a terapia tocolitica (ore 3:00), ed a profilassi antibiotica (ore 4:00), senza che durante tale lasso di tempo fossero segnalate contrazioni uterine o perdite vaginali”;
  7. “Vero che prima di entrare in sala operatoria, alle ore 7:25, veniva eseguito un secondo controllo del tracciato cardiotocografico, della durata di 23 minuti circa, per la valutazione del benessere fetale, che dava esito normale (frequenza cardiaca fetale 140 battiti per minuto, assenza di decelerazioni, variabilità superiore a 5 battiti per minuto); ed assenza di contrazioni regolari”;
  8. “Vero che i due tracciati cardiotocografici eseguiti erano privi di elementi significativi per una sofferenza ipossica del feto, in quanto tali tracciati del benessere fetale erano risultati normali, e il liquido amniotico era limpido senza segni di infezione materno-fetale”;
  9. “Dica se dalle rilevazioni cardiotocografiche registrate emergevano chiari segnali di sofferenza, in particolare scarsa reattività e scarsa variabilità del tracciato”;
  10. “Vero che la Sig.ra WW entrava in Sala Operatoria alle ore 8:30 per il taglio cesareo, alle ore 8:58 veniva estratto un feto di sesso maschile, di gr. 3.205, “vivo e vitale”, con indicazione dell’indice di Apgar al 1° minuto di 8 e al 5° minuto di 8, e alle 9:45 usciva dalla sala operatoria, seguendo poi un normale decorso post-operatorio”;
  11. “Vero che l’esame obiettivo del neonato propendeva per un discreto stato funzionale e che sulla base di tali valutazioni venne compilata la cartella clinica (v. pagine 5, 24 e 34 doc. 1 attori) con l’indicazione dell’indice di Apgar di 8 punti totali sia al 1° che al 5° minuto”;
  12. “Vero che il taglio cesareo venne eseguito secondo tecnica classica e in tempi standard, senza che venissero segnalate complicanze o difformità”;
  13. “Dica se al momento della nascita di XX o negli istanti immediatamente successivi vi sia stata una erronea manipolazione del neonato, o se il piccolo XX abbia subito un trauma di tipo meccanico durante l’intervento cesareo o nei momenti immediatamente successivi”;
  14. “Vero che alle ora 8:58 del 2.8.03 avveniva il trasferimento del neonato presso il reparto di Neonatologia del P.O. di Lugo”;
  15. “Vero che, stante il decorso post-operatorio regolare, la paziente veniva dimessa in data 5.8.03”.

A testi su tutti i capitoli il Dott. P. R., il Dott. A. V., la Dott.ssa C. M., la Dott.ssa Z. L., l’ostetrica T. S. e lo strumentista D.. Tutti i testi presso l’Azienda USL della Romagna, ed anche in controprova su eventuali capitoli avversari, con riserva di indicarne altri in prova contraria sia diretta che indiretta.

Per tali ragioni gli esponenti chiedono, in relazione all’udienza del 01.03.22, fissata per la precisazione delle conclusioni, che la Corte voglia trattenere la causa in decisione, con la concessione alle parti dei termini di legge per il deposito degli atti conclusivi.

Si dichiara di non accettare il contraddittorio su eventuali domande nuove in questa sede o comunque in corso di giudizio formulate dalle controparti.”.

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

Con atto di citazione notificato in data 31/03/2015, YY e WW, in proprio e quali genitori esercenti la potestà sui figli minori XX ed J, convennero in giudizio la Ausl della Romagna, per sentirla condannare al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, subiti e subendi da XX, dai genitori e dal di lui fratello, per quanto occorso in data 02/08/2003, in occasione del parto della Sig.ra WW, presso l’Ospedale Civile di Lugo. Il neonato invero risultò affetto da tetraparesi spastica, patologia ascrivibile alla inadeguata gestione sanitaria della gravidanza, e del parto, con conseguente sofferenza fetale.

Gli attori esposero che quando la sig.ra WW, giunta alla 37^ settimana di gravidanza, si recò presso l’Ospedale di Lugo per rottura spontanea pretermine delle membrane, i sanitari tennero una condotta gravemente omissiva; infatti, entrata in ospedale alle ore 1.40, partorì con taglio cesareo programmato, per presentazione podalica, solo alle successive ore 8.58 con un ritardo che, in presenza di tracciati cardiotocografici non tranquillizzanti, determinò il danno cerebrale, emergendo, peraltro, irregolarità nella tenuta della cartella clinica.

Nel giudizio così radicato, si costituì la Ausl della Romagna, chiedendo in via preliminare di essere autorizzata a chiamare in causa la compagnia di assicurazioni QBE Insurance (Europe) Limited, in ragione della polizza per la responsabilità civile verso terzi e prestatori di lavoro, affinché la manlevasse, nel merito contestando la fondatezza della domanda degli attori.

Autorizzata la chiamata in causa, l’assicurazione della convenuta QBE Insurance Limited si costituì aderendo alle difese svolte dalla convenuta in punto alla insussistenza di responsabilità medica. Eccepì inoltre la inoperatività della polizza per mancata denuncia del sinistro durante il periodo di vigenza, giusta clausola “claims made“, in ogni caso, l’eventuale operatività entro i limiti di massimale e franchigia come da condizioni contrattuali.

La causa venne istruita mediante una articolata consulenza tecnica medico-legale eseguita dalla dott.ssa Ida Storchi, con gli ausiliari Dott. Fabrizio De Maria, Paolo Carpeggiani e Corrado Debbi.

In esito il Tribunale di Ravenna ha respinto la domanda attorea affermando, in estrema sintesi, che in conseguenza degli accertamenti svolti:

  • era indubbio che il piccolo XX, sin dalla nascita, mostrava ipotonia degli arti, insufficienza respiratoria e bradicardia, motivo per cui i sanitari procedettero alla rianimazione con Ambu baby ed ossigeno e trasferirono il neonato in Terapia Intensiva Neonatale;
  • determinante della patologia cerebrale riscontrata fu una causa naturale, non meglio identificabile, per essersi realizzata in epoca prenatale;
  • il collegio dei Ctu aveva ritenuto l’operato dei medici diligente ed adeguato, sia nella fase del parto, attuato praticando il taglio cesareo, opportuno nelle condizioni cliniche che la paziente presentava, sia immediatamente dopo la nascita, nella rianimazione del neonato;
  • non era complessivamente provato (secondo la regola del “più probabile che non“) il nesso di causalità tra condotta dei sanitari ed evento lesivo, non potendo ragionevolmente escludersi che le patologie di XX fossero occorse per cause naturali produttive della sindrome neurologica.

YY e WW, in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale nei confronti dei figli minori, XX ed J, impugnavano tempestivamente la sentenza, notificando la citazione in appello a mezzo PEC all’Azienda Sanitaria e alla assicurazione il 22 ottobre 2018 distinta dal numero 934/2018.

Deducevano, tre motivi, a fondamento della impugnazione, e chiedevano la integrale riforma della prima decisione, con condanna dell’Ausl al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti sia dall’interessato, che dai genitori e dal fratello.

Si è costituita in grado di appello l’Ausl, chiedendo in principalità il rigetto dell’appello, e svolgendo appello incidentale in ordine alla pronuncia sulle spese; in subordine chiedeva contenersi nei limiti del dovuto la condanna, e dichiarare la assicurazione tenuta alla manleva.

Si è costituita anche la Compagnia Assicuratrice, eccependo preliminarmente la inammissibilità della impugnazione, e chiedendone nel merito il rigetto, con conferma della prima decisione; in subordine, chiedeva accertarsi la inoperatività della garanzia.

La causa è stata trattenuta in decisione in grado di appello sulle conclusioni precisate come in epigrafe alla udienza del 2 marzo 2022, dopo il deposito di conclusionali e repliche.

La Corte tuttavia, ritenendo non adeguatamente istruita la causa, l’ha rimessa sul ruolo, per disporre una consulenza volta a valutare il danno alla persona, e le spese che XX avrebbe dovuto sostenere, per cure e assistenza, nel corso della sua vita. Nelle more del giudizio, poi, XX, divenuto maggiorenne, si è costituito in proprio con il patrocinio dell’avv. Francesca Giardini.

Infine, espletata la ctu, affidata alla medesima consulente che era stata incaricata in primo grado, la causa è stata nuovamente trattenuta in decisione, sulle conclusioni precisate come in epigrafe, con assegnazione di termini ridotti per conclusionale.

*

La eccezione di inammissibilità/improcedibilità dell’atto di citazione in appello notificato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 348 bis e ter e 342 c.p.c., sollevata dalla terza chiamata è infondata e deve essere respinta; la Suprema Corte ha affermato, in coerenza con i principi dell’ordinamento processuale, che il vigente art. 342, comma 1, c.p.c va interpretato nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva (la domanda di riforma) una parte argomentativa (i motivi), che contrastino le ragioni addotte dal primo Giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado: in tal senso vedi Cass.18669 del 2020, che ribadisce il principio già affermato da Cass. SS.UU. 27199 del 2017 e dalla successiva giurisprudenza di legittimità e di merito, (ex pluribus, Cass. 13535 del 2018; Corte di Appello Torino, 26.1.2021; Corte di Appello Roma 4.1.2021; Corte di Appello Napoli 26.10.2020; Corte di Appello Milano, 21.7.2020, tutte consultabili nel repertorio di giurisprudenza della banca dati “leggi di italia.it“).

Si tratta di una affermazione pienamente condivisibile atteso che il nostro sistema processuale non è improntato al principio di sacralità delle forme, ma piuttosto attribuisce alle forme un valore funzionale, e quindi definisce tassativamente i casi di nullità per difetto di forma, e considera comunque prevalente l’aspetto sostanziale.

Nel caso di specie l’atto di appello, definisce chiaramente i punti della decisione oggetto di impugnazione, e la riforma che viene richiesta, delineando sia alla Corte sia alle controparti quali sono i temi da esaminare e quali le ragioni fatte valere, organizzati in tre motivi, e l’impugnazione è senz’altro ammissibile.

*1*

Quanto al merito, con il primo motivo si deduce il travisamento della prova: gli appellanti, che chiariscono di non ritenere necessario il rinnovo della Ctu, a loro parere approfondita ed esaustiva, deducono che il primo giudice non ha colto affatto il pensiero del Ctu e non ne ha tratto le conclusioni necessarie, in ordine alla valutazione della responsabilità dei sanitari che hanno trattato la madre e il piccolo nelle fasi del parto: tale motivo impone di ripercorrere i punti salienti della relazione depositata dal Ctu.

La relazione (che “ospita” al suo interno anche i contributi dei tre ausiliari: un neonatologo, un radiologo e un ginecologo, nominati per esaminare la vicenda, particolarmente complessa), fornisce in primo luogo i riferimenti documentali, tratti:

– dalla cartella clinica relativa al ricovero della Sig.ra WW dal 02/08/2003 al 05/08/2003 presso il Reparto di Ostetricia dell’Ospedale di Lugo, e dai documenti strettamente correlati al parto (il partogramma, il diario infermieristico ed ostetrico e le registrazioni cardiotocografica, la compilazione, peraltro incompleta e complessivamente erronea del punteggio di Apgar);

– dalla cartella clinica e i documenti relativi al neonato: il verbale in data 02/08/2003 per la ammissione del piccolo al Reparto di Neonatologia dell’Ospedale di Lugo (RA), in cui tra le altre annotazioni risulta: “… Malattia attuale: viene ricoverato in quanto nato da taglio cesareo alla 37° settimana di gestazione, APGAR 8 al 1° e 5° minuto, ha avuto bisogno di AMBU per bradicardia transitoria di breve durata, inoltre presenta scarsa termoregolazione. Peso kg. 3,205 …”; la Cartella Clinica relativa al ricovero dal 02/08/2003 al 12/08/2003 c/o la Divisione di Neonatologia dell’Ospedale di Lugo, in cui figura: “…02/08/03 ore 9,30: “Viene ricoverato in quanto nato da parto cesareo eseguito per presentazione podalica. Alla nascita Apgar 8 al primo minuto e quinto minuto per carenza di tono muscolare e riflessi. Condizioni all’ingresso in reparto discrete. Non si termoregola molto bene“, TAC encefalo effettuata il 7/08/2003: “L’indagine ha evidenziato spazi liquorali più ampi che di norma in sede occipito – fronto – parietale bilaterale con quadro meritevole di ulteriori accertamenti mediante RM. Non evidenti alterazioni tomodensitometriche dell’encefalo“. 12/08/2003: Si trasferisce presso la Neonatologia di Ferrara per valutare indagini specie sul versante neurologico, osservando che “… presenta fino dalla nascita importante ipotonia generalizzata con pianto flebile e possibili mioclonie agli arti. La TAC cerebrale eseguita presso il nostro nosocomio presentava inoltre segni compatibili con atrofia cerebrale in sede occipito parietale posteriore“.

– dalla cartella clinica relativa a ricovero dal 12/08/2003 al 16/08/2003 presso il Reparto di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale dell’Ospedale S. Anna di Ferrara, in cui viene annotato: Rianimato con Ambu ed ossigenoterapia per 30 secondi. APGAR 8/8, viene ricoverato c/o la Neonatologia … per ipotonia generalizzata e saltuarie crisi di desaturazione. In seguito vengono segnalati ricorrenti e bruschi movimenti di estensione agli AAII (EEG risultato privo di anomalie). Ha eseguito TAC cerebrale che ha mostrato un’area di atrofia cerebrale in occipito parietale posteriore. Ecografia cerebrale: non anomalie.

Il Ctu riferisce la circostanza, documentata e non contestata, che negli anni successivi nel corso dei vari ricoveri in strutture ad elevata competenza (l’Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano), anche specifica nel settore della Neurologia Pediatrica (“Gaslini” di Genova, “Meyer” di Firenze), sono stati effettuati approfonditi accertamenti clinici, laboratoristici e neuroradiologici, che pur non esprimendo una diagnosi certa del quadro neuropatologico presentato dal ragazzo, hanno individuato le manifestazioni di una paralisi cerebrale infantile, e più tardi ricondotto verosimilmente il quadro alla SCIWORA, soprattutto a seguito della risonanza magnetica effettuata durante il ricovero presso la Neurochirurgia dell’Ospedale Meyer, dal 03/02/2010 al 05/02/2010. Quindi riporta i contributi degli ausiliari, tra cui quello del neonatologo dottor De Maria, secondo cui peraltro il “quadro clinico si è manifestato fin dai primi giorni di vita ed ha avuto il decorso tipico della paralisi cerebrale infantile” anche se “le neuroimmagini hanno verosimilmente dimostrato un quadro accessorio alla patologia di base“.

In esito a tutte le valutazioni il Ctu esprime il suo giudizio conclusivo, individuando con elevata probabilità il quadro patologico di riferimento, purtroppo sostanzialmente stabile, “…caratterizzato da tetraparesi mista a prevalente espressione distonica, e atrofia focale del midollo, riferito ad esito di sofferenza perinatale, ma verosimilmente non sufficiente per giustificare completamente il quadro clinico“.

Dunque la causa prima dei disturbi motori di grado rilevante del ragazzo, che ha conservato un normale livello cognitivo, è da individuare in una sofferenza verificatasi nel periodo precedente o immediatamente successivo al parto (tale è il significato del termine “perinatale” n.d.r.) e in particolare nella patologia definita per abbreviazione SCIWORA, ovvero una sindrome neurologica acuta causata da un trauma spinale, non associata a segni radiologici (Spinal Cord Injury Without Radiographic Abnormality). Tuttavia la sintomatologia alla nascita avrebbe portato ad ipotizzare una paralisi cerebrale infantile, e non è stato risolto il dubbio di una duplice componente eziologica, idonea a giustificare le complessive conseguenze.

Ciò premesso, il Ctu ha evidenziato con molta chiarezza una mancanza di diligenza ascrivibile alla struttura sanitaria che ha gestito la fase del parto, con riferimento alla incompleta compilazione della tabella Apgar, tabella idonea a definire rapidamente per grandi linee la condizione del bimbo immediatamente dopo la nascita, e il suo grado di adattamento al mondo extrauterino, tenendo conto di alcuni parametri vitali.

Oltre a rilevare la incompletezza grafica della compilazione, dato oggettivo, il Ctu ha osservato, (condividendo sul punto il parere espresso dall’ausiliario ginecologo) che “a ben vedere il totale che vi compare non solo è scorretto relativamente alle sue modalità di compilazione, ma anche comunque in relazione al numero finale ottenuto (cioè 8) che ben difficilmente può corrispondere al vero, in quanto il neonato ha avuto da subito dopo la nascita problemi di bradicardia transitoria e respirazione (punti 1 e 2 dell’indice di Apgar), tant’è che sono stati utilizzati Ambu baby e ossigeno, e per la concomitante presenza di problemi di termoregolazione, è stato trasferito subito in ambiente pediatrico, dove arrivava alle ore 9,30 (ora di nascita 8,58). Quindi, se si tiene conto dei tempi per l’applicazione e l’utilizzo dell’Ambu e dei tempi tecnici necessari per il trasporto in altra sezione dell’ospedale, si tratta senza dubbio di un trasferimento non certo in “tutta tranquillità”.

Tale mancanza a mio avviso integra in sé un comportamento censurabile inquadrabile sotto l’aspetto della negligenza, in quanto impedisce appunto come già detto, l’accertamento in generale della verità. E su questo si trova concorde la Corte di Cassazione (Terza Sezione Civile, Sentenza 31 marzo 2016, n. 6209) «… l’imperfetta compilazione della cartella clinica non può tradursi in uno svantaggio processuale per il paziente ….».”.

Quindi, rispondendo al secondo e terzo punto del quesito, in cui si chiedeva di accertare eventuali responsabilità dei sanitari che ebbero in cura presso l’Ospedale di Lugo il piccolo, e verificare la sussistenza del nesso causale, tra la condotta tenuta e la patologia riscontrata, il ctu ha ammesso la difficoltà di rispondere, rilevando che:

“…. quale sia stata la reale causa della lesione midollare non è dato saperlo con certezza, in quanto:

-….., rappresenta una patologia relativamente rara, …., viene associata in rari casi a cause antenatali (es. la posizione in utero con iperestensione del capo rappresenta un rischio potenziale di danno midollare).

Cause natali:

– Non sono state descritte nel reperto operatorio particolari complicanze in corso di taglio cesareo, né relativamente all’estrazione del feto, né per le caratteristiche della breccia uterina che possano giustificare tali complicanze.

– Non è presente una emogasanalisi effettuata precocemente dopo il parto, che possa fornire una valutazione dell’equilibrio acido-base del bambino e quindi dare notizie relative al benessere fetale nella fase prepartum. L’esecuzione di tale esame non era peraltro obbligatoria, secondo le linee guida, da parte dei Medici di Lugo in sala operatoria ma, visti i problemi comparsi subito dopo la nascita, poteva almeno essere effettuata all’arrivo in Pediatria (ricordiamolo avvenuto solo 32 minuti dopo il parto).

Nella impossibilità di ricostruire tale nesso, o meglio nel processo di riordino della cascata di eventi che avrebbe potuto portare alla descrizione di tale nesso causale, risulta implicato un errore medico, consistente nella omessa/erronea compilazione della cartella medica del piccolo XX, con riferimento all’indice di Apgar.

Il peso di tale comportamento a mio avviso, vista la particolare complessità del quadro clinico e la gravità del danno, può essere considerato alla pari degli altri elementi identificati per altro non inquadrabili in una specifica colpa medica (ambiguità del referto eco in corso di gravidanza, mancata effettuazione di emogasanalisi, mancanza delle immagini della TC di Ferrara).

La conclusione necessaria è che “il ragazzo ha un problema clinico di paralisi cerebrale infantile, in assenza di deficit cognitivo, da causa sconosciuta, a cui si associa una lesione del midollo a livello cervicale alto.”

Alle cause di tali patologie, rimaste oggettivamente sconosciute possono essersi aggiunte, con effetti modesti, le conseguenze di una sepsi nosocomiale ….. comunque non del tutto banale, atteso il tenore della lettera di dimissione dalla Neonatologia di Lugo.”.

Dunque il Ctu conclude affermando che con i dati acquisiti non è possibile definire un nesso causale positivo tra le condotte descritte in capo ai sanitari e le patologie che condizionano la vita di XX, (paralisi cerebrale infantile e lesione midollare SCIWORA, che con grande probabilità hanno causato i problemi cardio/respiratori e di termoregolazione presentati dal piccolo XX alla nascita), aggiungendo tuttavia che di questa impossibilità debbono ritenersi responsabili anche le numerose carenze documentali, in parte motivate da colpa medica.

Conclusivamente, il primo motivo di impugnazione è fondato, perché il Giudice di primo grado non ha colto, e affrontato in motivazione, il profilo di inadempimento che il Ctu ha chiaramente rilevato, nella condotta dei sanitari.

*2 e 3*

Dei restanti motivi appare opportuna la trattazione congiunta, per la intima connessione e la necessità di valutare, per entrambi, il medesimo compendio istruttorio.

Con il secondo motivo gli appellanti deducono che il primo giudice ha violato l’art. 1218 cc in relazione all’art. 1176 comma 2 c.c. in punto di onere della prova circa l’esatto adempimento della prestazione da parte del personale sanitario. Con il terzo motivo deducono la violazione degli artt. 40 e 41 c.p. e 1223 c.c. in punto di efficienza causale tra le condotte dei sanitari e le lesioni cagionate a XX.

I motivi appaiono fondati, per le ragioni che si vanno brevemente ad esporre.

La responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente ha natura contrattuale; in tal senso, la L. 24/2017 non ha apportato modifiche al precedente e consolidato orientamento giurisprudenziale, che già inquadrava il rapporto ‘paziente – struttura sanitaria’ come un contratto atipico a prestazioni corrispettive da cui insorgono a carico della struttura, accanto a quelli lato sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze (cfr., ex multis, Cass. 18610/2015).

Il medico o in genere il personale non medico, poiché svolge un’attività a contenuto professionale, è tenuto nell’adempimento delle proprie obbligazioni, non già alla diligenza generica del buon padre di famiglia, bensì a quella più accurata e specifica del debitore qualificato, come prescrive l’art. 1176, 2° comma, c.c.; ciò comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che, nel loro insieme, costituiscono la conoscenza della professione medica (Cass. 4852/1999, 5945/2000, 6386/2001, 3492/2002).

Quanto al grado di colpa, di cui il medico, o il personale sanitario in genere, deve rispondere, il disposto dell’art. 2236 c.c. va interpretato nel senso che la limitazione di responsabilità alle sole ipotesi di dolo e colpa grave non ricorre con riferimento ai danni causati per negligenza o imperizia, ma soltanto per i casi che richiedono di risolvere problemi tecnici di speciale difficoltà (perché trascendono la preparazione media o non sono stati ancora studiati a sufficienza, ovvero dibattuti con riguardo ai metodi da adottare; cfr. Cass., Sez. III, sent. n. 5945 del 10.5.2000; Cass., Sez. III, sent. n. 4852 del 19.5.1999; Cass., Sez. III, sent. n. 11440 del 18.11.1997).

Infine, e soprattutto, consegue alla natura contrattuale della responsabilità la applicazione del relativo regime probatorio, per cui il paziente, creditore della prestazione sanitaria, è tenuto a dimostrare l’esistenza del rapporto contrattuale e a dedurre l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non c’è stato, o che, pur esistendo, non è stato eziologicamente rilevante (cfr. Cass. 21177/2015; Cass. 577/2008; Cass. SS.UU. 13533/2001), in presenza di un evento esterno imprevedibile o inevitabile: a tale convincimento portano infatti sia il dettato dell’art.2697 cc, che distingue tra fatti costitutivi e fatti estintivi dei diritti, sia il principio di vicinanza della prova, che tiene conto della concreta possibilità che le parti del rapporto hanno di dare dimostrazione delle condotte e dei fatti che rientrano nella propria sfera di azione.

Dunque, in materia di responsabilità medica contrattuale, si suole dire, sinteticamente, che spetta al paziente di dimostrare il danno subito, costituito dall’insorgenza o dall’aggravamento della patologia, in nesso causale con il trattamento sanitario, mentre il medico, per liberarsi della responsabilità e della conseguente obbligazione risarcitoria, è gravato dell’onere di dare la prova del proprio esatto adempimento, e dell’evento imprevedibile e inevitabile che ha comportato la causazione di quel danno (vedi, tra le altre, Cass., 4928 del 2018, 20904 del 2013, 577 del 2008).

Per meglio comprendere la ripartizione dell’onere della prova, va detto che il nesso di causalità è l’elemento che collega su di un piano esclusivamente oggettivo e secondo una ricostruzione logica (e scientifica) il comportamento dell’autore del fatto astrattamente considerato e l’evento verificatosi; il principio di causalità materiale, che opera anche nell’ambito della responsabilità civile, è infatti definito dagli artt.40 e 41 del codice penale, (salve le differenze circa la regola probatoria probabilistica, o meno, nella indagine sul nesso, di cui si dirà a breve) per cui ogni comportamento antecedente che abbia generato, o anche solo contribuito a generare, l’evento, deve considerarsi “causa materiale” dell’evento stesso, a prescindere da ogni valutazione di prevedibilità soggettiva.

Infatti il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole non esclude il rapporto di causalità “materiale” fra l’azione od omissione e l’evento, eccettuato il caso in cui tali cause sopravvenute siano state da sole sufficienti a determinare l’evento. Ciò significa che, qualora la produzione di un evento dannoso risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, l’autore del fatto illecito risponde, in base ai criteri della causalità materiale, dei danni che ne sono derivati; le concause naturali escludono il nesso causale quando possano dirsi, da sole, sufficienti a determinare l’evento, mentre negli altri casi incidono sulla quantificazione del danno risarcibile.

Va pure considerato che il diritto vivente da più di un decennio ha marcato la differenza tra la regola probatoria del nesso causale nel processo penale e quello civilistico, ritenendo che nel primo debba essere conservata la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (cfr. Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese), mentre nel secondo deve farsi strada la preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non“, stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l’equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti, (così cass. S.U. 576 del 2008, a cui hanno fatto seguito Cass.10741 del 2009, 16123 del 2010, 8430 del 2011, conformi). Anche la Corte di Giustizia CE ha affermato che la causalità in materia civile deve poggiarsi su logiche di tipo probabilistico (CGCE, 13/07/2006, n. 295, e 15/02/2005, n. 12, in tema di tutela della concorrenza).

Con tali premesse, diviene chiara la duplice funzione della documentazione che la struttura sanitaria è tenuta a compilare, riportando i parametri clinici relativi alla condizione del paziente, le diagnosi operate, e le prescrizioni terapeutiche correlate: si tratta infatti di strumenti necessari per consentire la organizzazione della cura, che tuttavia divengono determinanti ex post per consentire anche una valutazione oggettiva della prestazione sanitaria, e indagare con piena cognizione dei fatti le cause di eventuali eventi avversi.

E’ quindi condivisibile appieno l’orientamento giurisprudenziale formatosi, per cui l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido legame causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente quando il professionista abbia posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare la lesione, e l’incompletezza documentale abbia reso impossibile un pieno accertamento del relativo nesso eziologico. (vedi Cass. 12218 del 2015, 27561 del 2017, tra le altre).

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Ciò premesso, quanto ai principi di diritto, e passando all’esame della fattispecie concreta, si osserva che la gravidanza si è svolta senza che siano emersi problemi oggettivamente definiti, (la frase: “durante l’esame ecografico feto-placentare sono stati rilevati dati con possibile significato patologico” riportata nelle ecografie effettuate alla 30^ e 34^ settimana non è stata infatti meglio chiarita); certo è che XX ha manifestato difficoltà fin dal primo minuto dalla nascita, come risulta ampiamente attestato.

La tabella di Apgar rileva infatti che al primo minuto erano insufficienti i parametri della respirazione e del battito cardiaco, il che ha comportato la ventilazione (peraltro per 30 secondi, non 30 minuti, come afferma la difesa attrice) con ambu pediatrico; nella medesima tabella, come si è detto, incompleta e contraddittoria, nulla si dice nell’immediato del tono muscolare e dei riflessi, invece registrati come insufficienti al 5^ minuto; tale dato deve verosimilmente essere retrodatato anche al primo minuto, il che disegna un quadro certamente allarmante.

Certo è che il piccolo è stato trasferito assai rapidamente alla neonatologia dell’Ospedale di Lugo, e che la mancata compilazione e il complessivo contesto non consentono di ritenere attendibile il punteggio di 8 assegnato all’indice Apgar. Purtuttavia proprio per la “normalità” così formalmente assegnata al neonato, non sono stati svolti approfondimenti altrimenti necessari: non è infatti presente una emogasanalisi effettuata precocemente dopo il parto, che possa fornire una valutazione dell’equilibrio acido-base del bambino e quindi dare notizie relative al benessere fetale nella fase pre partum, mentre tale indagine si imponeva, in caso di problemi rilevati nell’adattamento all’ambiente esterno del piccolo.

L’esecuzione di tale esame, infatti, pur non obbligatoria, secondo le linee guida, da parte dei Medici di Lugo in sala operatoria, alla luce della condizione oggettiva, di severa ipotonia, che non può corrispondere al punteggio Apgar attribuito, avrebbe dovuto essere effettuata quanto meno all’arrivo in Pediatria come ha osservato il Ctu.

La cartella del reparto di accettazione evidenzia invero una situazione problematica, …02/08/2003 ore 9,30: “Viene ricoverato in quanto nato da parto cesareo eseguito per presentazione podalica. Alla nascita Apgar 8 al primo minuto e quinto minuto per carenza di tono muscolare e riflessi. Condizioni all’ingresso in reparto discrete. Non si termoregola molto bene“, che trova piena conferma all’atto della dimissione quando si trasferisce presso la Neonatologia di Ferrara per valutare indagini specie sul versante neurologico, osservando che “… presenta fino dalla nascita importante ipotonia generalizzata con pianto flebile e possibili mioclonie agli arti. La TAC cerebrale eseguita presso il nostro nosocomio presentava inoltre segni compatibili con atrofia cerebrale in sede occipito parietale posteriore.”.

La successiva storia clinica è stata ampiamente riportata nella relazione di consulenza, e valutata dal Ctu e dagli ausiliari; va rilevato che proprio la scarsità degli approfondimenti iniziali e la attribuzione dell’indice di Apgar positivo, hanno contribuito ad indurre l’ausiliario del Ctu, dottor De Maria, neonatologo, (secondo cui peraltro il “quadro clinico si è manifestato fin dai primi giorni di vita ed ha avuto il decorso tipico della paralisi cerebrale infantile“) ad escludere una sofferenza ischemica nel travaglio, come componente del danno complessivo: la inaffidabilità dell’indice di Apgar elaborato rende dubbio anche il giudizio così espresso.

Deve farsi dunque applicazione in questo caso dell’orientamento giurisprudenziale formatosi, per cui l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido legame causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente quando il professionista abbia posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare la lesione, e l’incompletezza documentale abbia reso impossibile un pieno accertamento del relativo nesso eziologico. (vedi Cass. 12218 del 2015, 27561 del 2017, tra le altre).

Le patologie che determinano la attuale invalidità di XX, individuate dagli specialisti nelle due componenti, indipendenti, di una paralisi cerebrale infantile e di una lesione midollare cervicale (atrofia focale del midollo cervicale) che complessivamente determinano il danno, e il disturbo motorio di grado rilevante (tetraparesi mista a prevalente espressione distonica) ma con normale livello cognitivo, vanno ricondotte a cause attualmente ignote, perché non positivamente dimostrate.

Certamente la gestione del travaglio e del parto è astrattamente idonea a determinare, in caso di manovre inadeguate degli operatori sanitari, tali patologie, e in particolare la lesione midollare cervicale.

Nel caso di specie, come già detto, non sono positivamente provate condotte inadeguate, nella gestione del travaglio da parte dei sanitari, ma la sussistenza di gravi problemi alla nascita (problemi cardio/respiratori, e grave e perdurante ipotonia), uniti alla incompletezza documentale, e alla mancata trasparenza che ne deriva, comportano, per la regola di giudizio che si applica, la affermazione della responsabilità della struttura sanitaria.

Alla affermazione di responsabilità, (che può pronunciarsi solo nei confronti della Ausl di Romagna, atteso che i sanitari non sono stati convenuti nel giudizio), deve seguire la condanna al risarcimento dei danni, tenuto conto degli esiti della consulenza medico legale disposta a tal fine.

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Ora, il Consulente dopo avere attentamente valutato tutti gli aspetti delle patologie che affliggono XX ha stimato la sua invalidità nel grado dell’85 %, prendendo atto delle tabelle SIMLA, e aggiungendo al grado dell’80 % da queste indicate per la tetraparesi spastica un ulteriore 5 % ascrivibile al dismorfismo vertebrale, che l’assunzione per lungo tempo di posizioni obbligate sta causando a XX.

Il Ctu ha precisato che la patologia comporta saltuarie contrazioni muscolari prolungate e involontarie dolorose, che coinvolgono diversi distretti anatomici; la terapia farmacologica somministrata cerca di controllare tali conseguenze, per quanto possibile; comunque anche il prolungato mantenimento involontario di posture fisse, nonché l’utilizzo durante il giorno di ‘pannolone’ danno origine a dolori e risentimenti ossei nonché cutanei.

Il Ctu ha affermato, e ribadito, che i danni alla salute patiti da XX descritti nella relazione sono riconducibili a due patologie differenti, concorrenti nel definire la condizione finale del ragazzo, ma autonome, e ciascuna di estrema gravità intrinseca; tali patologie possono essere considerate come incidenti ciascuna per il 50% sulle sue attuali condizioni di salute, cosicché la responsabilità della Azienda USL, predicabile per la lesione midollare, comporta, per il principio di causalità, che la condanna vada limitata al risarcimento del danno conseguente all’aggravamento della invalidità specificamente ascrivibile a tale lesione, definito secondo i criteri di liquidazione del danno differenziale.

Definita la invalidità permanente totale dell’85 %, e preso atto dell’insorgenza della patologia dalla nascita, il danno biologico complessivo secondo le tabelle predisposte dall’osservatorio presso il Tribunale di Milano nel 2021 (tabelle che tengono notoriamente conto della aspettativa di vita ordinaria) va liquidato nella somma di €. 1.039.231, (di cui €. 692.821 ascrivibile al biologico, ed 346.410 al danno morale); parte della invalidità, tuttavia, deve ascriversi alla preesistente patologia, e dunque il danno imputabile, secondo il principio di causalità, all’operato dei sanitari della Ausl resistente, va determinato con calcolo differenziale, (detraendo dall’importo totale liquidabile la somma risarcitoria corrispondente ad una invalidità del 42,5 %); così operando la somma effettivamente a carico della Azienda USL e a favore di XX si riduce a complessivi €. 674.956,00, da devalutare alla data della nascita, (€ 533.140,60) e rivalutare, con applicazione degli interessi sulla somma annualmente rivalutata, dalla nascita alla decisione, così pervenendo all’importo di € 973.087,86, alla data della decisione, oltre interessi legali successivi.

Due precisazioni si impongono in ordine alla quantificazione così fatta del danno biologico: in primo luogo la Corte ha ritenuto doveroso riconoscere anche la componente morale del danno (che le ultime tabelle milanesi indicano con voce separata, per aderire all’orientamento più recente della Suprema Corte, secondo cui il danno morale va autonomamente dimostrato, e non consegue automaticamente al danno biologico nella sua componente oggettiva, dinamico-relazionale); nel caso di specie sia il dolore ricorrente che deriva dalle contrazioni spastiche descritte dal ctu, che la consapevolezza della propria condizione da parte di XX configurano sofferenze aggiuntive, non considerate e non risarcite dalla mera invalidità definita in termini percentuali, e vanno come tali ristorate.

In secondo luogo la Corte, pur prendendo atto che sia la Consulente, nella sua relazione, che gli attori fin dalla citazione in primo grado, attribuiscono a XX una ridotta speranza di vita, (che gli attori indicano a pag.24 della prima citazione in 35 anni di età) ha ritenuto di liquidare il danno biologico “a vita intera“, per applicare in tal modo una forma di “personalizzazione” del risarcimento del danno biologico che ristori quella gravità particolare della lesione della integrità fisica, che incide sulla capacità recuperatoria, o stabilizzatrice, della salute, accelerando verosimilmente la morte; si tratta del c.d. “rischio latente“, noto in tema di patologie rilevanti sul piano previdenziale che consiste nella possibilità, oggettiva e non ipotetica, che l’infermità residuata all’infortunio possa improvvisamente degenerare in un futuro tanto prossimo quanto remoto, e differisce dal mero peggioramento dipendente dalla naturale evoluzione dell’infermità.

Così operando si è fatta applicazione del principio affermato da Cass.26118 del 2021, tenendo conto appunto che l’abbreviazione della vita in questo caso è una componente specifica del danno, costituito dal maggior rischio di ingravescenza o morte ante tempus (vedi anche la precedente Cass. 29492 del 2019, e la successiva, conforme, 35416 del 2022).

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Prima di esaminare e liquidare le altre voci di danno, si osserva che a fronte del carattere differenziale del danno biologico ascrivibile a responsabilità sanitaria la Corte è giunta a stimare, sotto il profilo risarcitorio, il danno da aggravamento dell’invalidità permanente, approssimativamente, nella misura dei due terzi del danno complessivo, e di questa proporzione la Corte terrà conto anche per determinare la quota a carico dei resistenti delle altre voci di danno: del danno patrimoniale da esborsi e da mancato guadagno, in favore di XX; del danno da lesione del rapporto parentale, nei confronti dei suoi prossimi congiunti.

Quanto al danno patrimoniale, sia da esborsi che da mancato guadagno, poiché nel nostro ordinamento vige il principio di integralità del risarcimento, il ristoro deve coprire “tutto il danno e nulla più che il danno” (art. 1223 c.c.): occorre quindi tenere conto del danno già definito, per il passato, e del danno futuro, ovvero il danno non ancora maturato nel momento in cui si opera la liquidazione, ma il cui verificarsi è connotato, su base prognostica, con un calcolo di elevata probabilità (secondo la regola del “più probabile che non” che connota la causalità civilistica).

Quanto alle spese mediche, trascorse e future, la consulente, tenuto conto del fatto che il Servizio Sanitario Nazionale offre le cure gratuite a XX, e si fa carico anche degli ausili necessari, ha svolto un minuzioso riscontro degli esborsi sostenuti per terapie riabilitative ed altro, dal 2010 al 2023 (fisio terapia, terapia iperbarica, esercizi terapeutici da praticare in acqua ecc. ..), eliminando molte voci di spesa che non trovavano una giustificazione adeguata, sul piano scientifico, e determinando la somma rimasta a carico della famiglia, per spese che possano ritenersi utili e giustificate, in €. 18.830,00 cosicché i due terzi da porre a carico della appellata risultano di €. 12.500,00 per 13 anni, il che equivale alla somma di circa 1.000,00 euro per ciascun anno; considerata la condizione di forzata immobilità del ragazzo, con tutte le conseguenze che ne derivano anche sul piano osteo articolari, tali cure, di mantenimento, saranno senz’altro necessarie anche in futuro, per tutto l’arco della vita di XX.

La spesa già sostenuta nell’arco temporale indicato va incrementata di rivalutazione e interessi, che si applicano, con criterio equitativo, dalla data intermedia del 1° gennaio 2008; ad oggi la rifusione della quota di spese sostenute da porre a carico della Azienda Usl ammonta ad € 19.625,00, oltre interessi legali successivi.

Quanto alle spese per l’assistenza alla persona, la necessità di assistenza è ben descritta nella Ctu: XX, che ha compiuto venti anni, non riesce a mutare la propria posizione in autonomia, negli spostamenti, anche se con l’uso della carrozzina elettrica e il joystick riesce a gestirsi quanto è necessario per frequentare da remoto la università, seguendo le lezioni al computer; il ragazzo mangia da solo i cibi solidi, mentre ha necessità di aiuto per ingerire i liquidi.

Attesa la sua condizione ha senz’altro necessità di una assistenza continuativa, per la cura della persona e tutte le attività della vita quotidiana; è pur vero che non risultano allegati esborsi effettuati dalla nascita fino ad oggi, né nell’ambito del processo di prime cure, né in questa sede; è anche vero che nei primi anni di vita l’assistenza può essere stata prestata dalla famiglia, divenendo ciò sempre più complesso con la crescita. Per tali ragioni, va riconosciuto il danno da esborso per il futuro.

Tenendo conto degli accordi collettivi per il comparto della sanità privata approvati nel marzo del 2023, la spesa annua per una assistenza alla persona fornita da un operatore socio sanitario (OSS) comprensiva dei contributi si aggira sui 30.000 euro, dai quali vanno detratti 6.000 euro a titolo di indennità di accompagnamento (500 circa al mese) che XX percepisce, essendo invalido civile con indennità. La giurisprudenza è pacifica infatti nel ritenere che «..dall’ammontare del danno subito da un neonato in fattispecie di colpa medica, e consistente nelle spese da sostenere vita natural durante per l’assistenza personale, deve sottrarsi il valore capitalizzato della indennità di accompagnamento che la vittima abbia comunque ottenuto dall’ente pubblico, in conseguenza di quel fatto, essendo tale indennità rivolta a fronteggiare ed a compensare direttamente il medesimo pregiudizio patrimoniale causato dall’illecito, consistente nella necessità di dover retribuire un collaboratore o assistente per le esigenze della vita quotidiana del minore reso disabile per negligenza al parto» (Cass. n. 12567 del 2018). Della somma annua così ottenuta, di €. 24.000, possono essere posti a carico della Azienda convenuta i soli due terzi, ossia 16.000,00 euro all’anno.

Infine, va riconosciuto il danno da perdita patrimoniale da mancato guadagno: secondo la regola del “più probabile che non“, infatti, a causa della sua grave invalidità XX non potrà svolgere alcuna attività lavorativa e, dunque, non riuscirà a produrre reddito, rendendosi necessario il ristoro per tale perdita; trattandosi di un minore, la determinazione è complessa, poiché si proietta nel futuro, rendendo necessaria una valutazione prognostica: gli appellanti indicano come criterio da applicare per definire il reddito verosimilmente perso il triplo della pensione sociale, e tale criterio può senz’altro essere adottato, apparendo prudenziale: il contesto territoriale e familiare in cui il minore è nato, e l’impegno che XX sta mettendo negli studi fanno infatti presumere che in altre condizioni avrebbe certamente raggiunto un reddito almeno pari a tale soglia (che risulta inferiore al reddito nazionale medio annuo).

Dunque, il triplo della pensione sociale per 13 mensilità determina un importo annuo di €.19.628,00, da cui occorre detrarre importo annuo dell’assegno per la invalidità civile, di €.5.022,00 (di €.386,27 x 13 mensilità), cosicché la somma annua persa è di €. 14.606,00, ed i due terzi di tale somma, pari ad €. 9.738,00 vanno posti a carico della convenuta.

Sommando le componenti del danno futuro, (che consistono, per XX in €. 1.000,00 all’anno per spese terapeutiche, €. 16.000,00 per spese di assistenza, €. 9.738,00 per mancato guadagno), si raggiunge un totale annuo di €. 26.738,00: nel caso di specie l’importo complessivo può riconoscersi integralmente per i 15 anni di vita attesa, in considerazione che vista l’età già raggiunta dal ragazzo, non vi è scarto significativo tra vita attesa e vita lavorativa.

Moltiplicando semplicemente la somma per 15 si giunge al risultato di €. 401.000,00; volendo tuttavia svolgere un calcolo il più possibile esatto, in termini finanziari, occorrere applicare un coefficiente di attualizzazione, per trasformare la rendita da versare nei prossimi 15 anni in un capitale da liquidare ad oggi; a tal fine, non possono senz’altro essere utilizzate le tabelle di cui al D.M. 1402/1922, in quanto oggettivamente e definitivamente inadeguate a causa dell’aumento della durata media della vita e della diminuzione del tasso di interessi; in particolare questa sezione della Corte di Appello utilizza abitualmente gli indici di capitalizzazione oggetto dell’incontro di studio del CSM tenutosi a Trani dal 30/6 all’ 1/7/1989 (indicati come attendibili dalla cassazione: si veda da ultimo Cass.453/2020).

Nel caso di specie, anche tenuto conto della peculiarità della liquidazione, che non va commisurata alla durata della vita media, secondo le tavole di mortalità della popolazione a livello nazionale, ma delle concrete e specifiche aspettative di vita di XX, che gli attori definiscono (vedi pag.24 citazione in primo grado) in circa 35 anni, e dunque ad oggi residui 15, si stima equa la determinazione del danno in €. 352.200,00 che risulta dalla applicazione delle tabelle del 1981 (€. 352.139,00 ovvero €. 26.738, x 13,17, il coefficiente attribuito ad un 62 enne, che ha una speranza di vita di 15 anni), con un arrotondamento minimo. Sulla somma, liquidata alla attualità, spettano gli interessi legali, dalla data della pubblicazione al saldo.

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Quanto ai criteri da adottare per il riconoscimento e per la quantificazione del danno non patrimoniale alle vittime riflesse, si rileva che nel caso di specie oggetto della quantificazione non è il danno da morte del prossimo congiunto, e quindi da perdita del rapporto parentale, ma il danno che subiscono i congiunti in conseguenza delle lesioni — in questo caso gravissime — subite dalla vittima principale, tali da recare dolore e pena ai parenti, e da incidere pesantemente sullo relazione nello svolgimento della vita quotidiana.

E’ infatti affermazione consolidata nella giurisprudenza di questa Corte che ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito, lesioni personali gravi, può spettare il risarcimento del danno non patrimoniale, non essendo ostativo il disposto dell’art. 1223 cc, in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, traducendosi in un patema d’animo ed anche in uno sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto prossimo alla vittima primaria.

Si tratta di un danno che non è accertabile con metodi scientifici, ma in base a indizi e presunzioni che, anche da soli possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità (così già Cass. n. 8546 del 2008), in particolare in presenza di un rapporto di stretta parentela con la vittima che fa ritenere, secondo un criterio di normalità sociale, che i familiari soffrano per le gravissime lesioni riportate dal loro prossimo congiunto (Cass. n. 11212 del 2019; Cass. n. 7748 del 2020). Trattandosi di un danno presunto, può essere escluso dalla prova contraria, che tuttavia nella fattispecie non è stata fornita.

Dunque il danno va risarcito, e per la sua liquidazione è preferibile allo stato tenere conto delle recenti tabelle che il Tribunale di Milano ha riformulato (edizione 2022) per dare seguito all’insegnamento della Cassazione, (vedi Cass. n.10579 del 2021; n. 37009 del 2022), dettando criteri di determinazione più stringenti, espressi a punti, così da garantire una maggiore uniformità nelle liquidazioni, a livello nazionale.

In tali tabelle è previsto un punteggio per ognuno dei parametri corrispondenti all’età della vittima primaria e della vittima secondaria, alla convivenza tra le due, alla sopravvivenza di altri congiunti, alla qualità e intensità della specifica relazione affettiva perduta; le circostanze elencate non costituiscono ciascuna un pregiudizio in sé, ma integrano tutte elementi che rivelano — secondo le massime di comune esperienza (vedi Cass. 25164/2020) — l’esistenza e consistenza di una sofferenza soggettiva e di pregiudizi dinamico-relazionali derivanti dalla perdita del parente.

In particolare, le prime quattro circostanze (età della vittima primaria e della vittima secondaria, convivenza tra le due, sopravvivenza di altri congiunti) hanno natura “oggettiva” e quindi possono formare oggetto di prova anche documentale; la qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto è invece di natura “soggettiva” e riguarda sia gli aspetti c.d. “esteriori” del danno da perdita del parente (stravolgimento della vita della vittima secondaria in conseguenza della perdita), sia gli aspetti c.d. “interiori” di tale danno (sofferenza interiore) potendo comunque essere provata anche con presunzioni.

Passando alla determinazione dell’equivalente monetario così si liquida il danno:

  1. i)a YY, che solo per alcuni anni ha convissuto con il figlio, e allo stato non viene citato tra i soggetti che se ne prendono cura (infatti la difesa appellante cita la madre e la nonna, come persone votate alla assistenza, nulla dicendo del padre, che pure ha rilasciato mandato al medesimo difensore) possono essere liquidati 80.000 euro, alla attualità, tenendo conto della somma dei punteggi per età rispettive, (28 e 22) della esistenza di altri due componenti della famiglia, (12) ed aggiungendo 10 punti (su 30) per la intensità della relazione affettiva; l’importo così determinato, di €. 242.280, che si liquiderebbe in caso di morte viene dimezzato, perché il ragazzo non solo non è deceduto, ma ha conservato le facoltà cognitive, il che consente al padre di mantenere un rapporto. La somma di 121.140 euro va ridotta di un terzo, in proporzione all’aggravamento del danno biologico, e quindi, con un minimo arrotondamento si perviene a liquidare 80.000,00 euro;
  2. ii)a WW può essere liquidata la somma richiesta, di 150.000 euro: tenendo conto della somma dei punteggi per età rispettive, (28 e 24), della esistenza di altri due componenti della famiglia, (12) ed aggiungendo 16 punti per la convivenza e 30 punti (su 30) per l’intensità della relazione affettiva dimostrata dalla dedizione assoluta, si determina l’importo di €. 370.150, che si liquiderebbe in caso di morte; l’importo risarcitorio certamente va grandemente ridotto, perché il ragazzo non solo non è deceduto, ma ha conservato le facoltà cognitive, il che consente alla madre di mantenere un rapporto, evidentemente strettissimo e del tutto peculiare; tenendo conto, tuttavia, dello stravolgimento della vita che ne deriva, la riduzione del risarcimento è contenuta e si riconosce a titolo di lesione del rapporto parentale l’importo di €. 225.000,00, che tuttavia solo per due terzi può essere posto a carico della Azienda appellata, in applicazione della causalità per il solo aggravamento.

Conclusivamente, il danno a carico della appellata si liquida nella somma di €. 80.000 a favore di YY, e di €. 150.000,00, a favore di WW, somme da devalutare alla data del fatto, e rivalutare, con interessi sulla somma annualmente rivalutata, dalla data dell’evento al saldo.

Quanto al fratello non ancora nato al momento in cui si è verificato l’evento non sussiste, in difetto dell’attualità della relazione, una presunzione di afflittività: il rapporto di J con il fratello maggiore, infatti fin dal suo sorgere si è modellato sulle menomate condizioni fisiche di questi, e non vi è stata quella “lesione” di un rapporto già formato che è il presupposto della liquidazione del danno.

La domanda di manleva della Azienda nei confronti della assicurazione va accolta: è invero pacifico che all’epoca dei fatti per cui è causa l’Ausl della Romagna era assicurata per la propria responsabilità civile verso terzi, dalla QBE Insurance (Europe) LTD con polizza n. 012739012008 e massimale di € 5.000.000,00; risulta anche che la Compagnia assunse in effetti la gestione del sinistro denunciato dall’Azienda Sanitaria, assegnandogli il numero di riferimento 10RC28112; né può dirsi fondata la eccezione di tardività della denuncia: la prima denuncia del sinistro fu fatta nel 2009 dagli odierni attori nei confronti dell’Azienda USL, e la seconda, del 2013 riguarda il medesimo fatto, anche se ricomprende la pretesa risarcitoria espressa per il minore, il fratello J, (che comunque la Corte non ha accolto); dunque è documentata la tempestiva attivazione delle garanzie assicurative.

In vece della parte originaria la condanna va espressa, per effetto del trasferimento di portafoglio, nei confronti di Reliance National Insurance Company (Europe) Limited. Non vi è spazio per una condanna diretta, in difetto di domanda.

Le spese dei due gradi di giudizio seguono la soccombenza; la assicurazione per contratto è comunque tenuta a farsi carico delle spese di difesa sostenute dal cliente, ex art.1917 cc.

P.Q.M.

La Corte, non definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, in riforma della sentenza 934 del 2018 emessa dal Tribunale di Ravenna

– dichiara la responsabilità della Azienda Usl della Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, in ordine all’aggravamento del danno biologico subito da XX in occasione della nascita in data 02/08/2003;

– dichiara tenuta la Azienda Usl della Romagna al risarcimento di tutti i danni (patrimoniali e non patrimoniali) conseguenti all’aggravamento, in favore sia del diretto interessato, XX, che dei genitori YY e WW, e, per l’effetto, la condanna al pagamento delle seguenti somme, liquidate alla attualità:

– a favore di XX: € 973.087,86 a titolo di risarcimento del danno biologico permanente, €.352.200,00 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale futuro, per spese mediche e di assistenza, e mancato guadagno, oltre interessi sulle predette somme dalla pubblicazione della sentenza al saldo;

– a favore di YY e WW €.19.625,00 a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali per spese mediche sostenute; a favore di YY € 107.364,64, e a favore di WW €.201.308,74 a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali, oltre interessi legali sulle somme indicate, dalla sentenza al saldo;

– dichiara Reliance National Insurance Company (Europe) Limited (subentrata a QBE Insurance) tenuta a manlevare la Ausl della Romagna, e la condanna al rimborso di quanto pagato, anche per le spese del giudizio, dalla azienda in favore dei Sigg.ri YY e WW, detratta la franchigia di 150.000 euro;

– condanna la Ausl della Romagna a rifondere agli attori le spese della lite, che liquida in €.22.000,00 a titolo di compenso, per il primo grado, ed €.20.000,00 per il secondo grado, oltre spese vive, per contributi, e per esborsi in favore del Ctu o del Ctp, Iva e Cpa;

– condanna Reliance National Insurance Company (Europe) Limited) a rifondere alla Ausl della Romagna le spese di lite, che liquida in €.22.000,00 a titolo di compenso, per il primo grado, ed €.20.000,00 per il secondo grado, oltre spese vive, per contributi, e per esborsi in favore del Ctu o del Ctp, Iva e Cpa;

– Bologna, così deciso nella Camera di Consiglio del 10 ottobre 2023

Il Consigliere rel. estensore

dott. Anna Maria Rossi

Il Presidente

dott. Giampiero M. Fiore

Depositata in Cancelleria il \ Pubblicazione del 7 Novembre 2023