Successioni “mortis causa” – Disposizioni generali – Accettazione dell’eredità – Con beneficio di inventario – Liquidazione dell’eredità – Rilascio dei beni ereditari – Nomina del curatore – Effetti –
Conseguenze nei giudizi sulla proprietà dei beni ereditari – Litisconsorzio necessario del curatore e dell’erede – Sussistenza. Chiamato all’eredità – Poteri – Prima dell’accettazione – Resistenza in un giudizio già pendente nei confronti del defunto – Accettazione dell’eredità.
Successioni “mortis causa” – Disposizioni generali – Accettazione dell’eredità – Con beneficio di inventario – Liquidazione dell’eredità –
Il chiamato all’eredità prima dell’accettazione di questa può esercitare – a norma dell’articolo 460 del Cc – le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, nonché «compiere atti conservativi, di vigilanza o di amministrazionetemporanea». è evidente, pertanto, che la resistenza (nella specie, in grado di appello), in un giudizio promosso nei confronti del de cuius al fine di sentire accertare che costui non vantava, nei confronti della controparte un diritto di credito contestato non solo non costituisce esercizio di azione possessoria ma neppure integra atto conservato di vigilanza o di amministrazione temporanea dei beni del defunto, ma vera e propria accettazione tacita dell’eredita. Con la conseguenza, pertanto, che ove l’attore – soccombente abbia impugnato la sentenza nei confronti dell’originario convenuto, deceduto successivamente alla sentenza di primo grado, e l’erede di quest’ultimo si sia costituito in grado di appello quale «chiamato all’eredità», difendendosi nel merito, correttamente il giudice del merito ritiene (anche tenuto presente che in atti successivi alla costituzione lo stesso si era espressamente qualificato erede del defunto) istituito il contraddittorio nei confronti dell’erede del defunto convenuto
Successioni “mortis causa” – Disposizioni generali – Accettazione dell’eredità – Con beneficio di inventario – Liquidazione dell’eredità –
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In tema di successione ereditaria, il rilascio dei beni da parte dell’erede beneficiato, ai sensi dell’art. 507 cod. civ., non comporta il trasferimento della relativa proprietà ai creditori o al curatore nominato ai sensi dell’art. 508 cod. civ., verificandosi un’ipotesi di semplice abbandono, da parte dell’erede stesso, dei poteri di amministrazione e disposizione a lui riconosciuti, con subingresso del curatore quale titolare dell’ufficio di liquidazione. Ne consegue che, nei giudizi in cui si controverta della proprietà dei beni ereditari, è necessaria la partecipazione non soltanto del curatore, ma anche dell’erede beneficiato, risultando “inutiliter data” una sentenza eventualmente pronunciata in sua assenza. L’articolo 703 c.c. prescrive che l’esecutore testamentario deve adoperarsi affinche’ siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volonta’ del defunto, compiendo “tutti gli atti di gestione occorrenti”. A tal fine, salva contraria disposizione del “de cuius”, l’esecutore amministra la massa ereditaria, potendo anche alienare beni dell’eredita’, previa autorizzazione del giudice. Il possesso dei beni dell’eredita’ in capo all’esecutore non puo’ durare piu’ di un anno, prorogabile al massimo per pari durata, a far tempo dalla dichiarazione di accettazione. Gli articoli 707 e 709 c.c. onerano, poi, l’esecutore, di effettuare la consegna, agli aventi diritto, anche spirato l’anno dalla morte del testatore, se la gestione si prolunghi ulteriormente.
In ormai remote, ma ancora del tutto condivisibili, pronunce di questa Corte, si e’ spiegato come l’esecutore testamentario non acquista il possesso dei beni ereditari “ipso jure” con l’accettazione dell’incarico, dovendo richiederlo all’erede.
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Ove, pertanto, egli non sia in grado di entrare nel possesso dei beni ereditari – avvenga cio’ per rifiuto dell’erede di procedere alla consegna dei beni stessi o per altre contestazioni dallo stesso sollevate – non puo’ porsi a carico dell’esecutore l’impossibilita’, dovuta a fatto a lui non imputabile, di esercitare le sue funzioni ed in tal caso il termine di un anno dalla dichiarazione di accettazione, previsto dall’articolo 703 c.c., non potra’ cominciare a decorrere se non dal momento in cui sara’ cessata la causa dell’impedimento (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 995 del 27/01/1995; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1619 del 04/06/1974).
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Deve allora ribadirsi quanto in particolare chiarito in motivazione da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1273 del 23/04/1969, secondo la quale “le funzioni dell’esecutore testamentario non cessano, dopo un anno dall’accettazione della nomina, Tale limitazione temporale e’ posta dalla legge (articolo 703 c.c., comma 3) per il solo possesso dei beni ereditari, non anche per l’amministrazione degli stessi da parte dell’esecutore testamentario,
PENALE EDILIZIA AVVOCATO PENALISTA ESPERTO BOLOGNA serie di commenti a sentenze di avvocato a Bologna Sergio Armaroli per dare una prima idea degli orientamenti di giurisprudenza,si tratta di articoli sulle successioni, sulla separazione e divorzio, e sul danno alla persona da incidente stradale a responsabilita’ medica.
la cui gestione deve durare, salvo contraria volonta’ del testatore, fino a quando non siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volonta’ del defunto (articolo 703 c.c. e articolo 709 c.c., comma 1). A tal fine, la legge non stabilisce alcun termine, appunto perche’ l’esecutore testamentario deve continuare ad amministrare la massa ereditaria (salva contraria volonta’ del testatore) fino a quando le circostanze dei singoli casi lo rendano necessario”. Questo era il senso anche di altre decisioni di questa Corte, che, sotto il profilo processuale, con riguardo alla legittimazione dell’esecutore testamentario a stare in giudizio come attore, convenuto o interveniente, hanno affermato che la sua qualita’ di parte dura finche’ si svolge il processo, quand’anche si superi il termine di un anno fissato dall’articolo 703 c.c. per il solo possesso dei beni della massa ereditaria da parte dell’esecutore medesimo, il quale sara’ tenuto, cessato quel termine e la sua eventuale proroga, a dismettere il possesso dei beni predetti, senza pero’ decadere dall’ufficio (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 929 del 20/04/1964; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 78 del 07/01/1967).
In tema di imposta di successione, il valore delle azioni (o quote) e delle obbligazioni sociali, non quotate in borsa, compresi nell’attivo ereditario va determinato, ai sensi dell’art. 16 del D.Lgs. n. 346 del 1990, facendo riferimento al valore del patrimonio netto dell’ente o società, risultante dall’ultimo bilancio pubblicato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, o – in mancanza di bilancio o inventario – al valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti all’ente o alla società, al netto delle passività (risultanti a norma degli artt. da 21 a 23, escludendo i beni indicati alle lettere h e i dell’art. 12), e aggiungendo l’avviamento. Pertanto, a differenza che nella previsione dell’art. 22, comma secondo, del d.P.R. n. 637 del 1972, previgente, la valutazione di tali beni deve tener conto delle attività e passività (esposte in bilancio o, comunque, risultanti ai sensi degli artt. da 21 a 23), secondo il criterio di valutazione stabilito anche nell’art. 2437 comma primo, cod. civ., senza (come ha anche affermato la Corte Costituzionale nell’ordinanza n. 250 del 2002) che tale disciplina, in relazione al diverso regolamento della valutazione delle partecipazioni di società quotate, possa considerarsi in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza e di capacità contributiva, per la diversità delle situazioni considerate e per la possibilità – concessa anche all’Amministrazione finanziaria – di contestare il mancato rispetto dei criteri legali di redazione del bilancio o dell’inventario.
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