Risarcimento del danno e indennizzo incidente grave e mortale bologna ravenna forli

Risarcimento del danno e indennizzo incidente grave e mortale bologna ravenna forli

Questione complessa  il risarcimento degli eredi negli incidenti mortali ,complesso il calcolo, meglio affidarsi  a un avvocato esperto 
BOLOGNA RAVENNA RIMINI CESENA FORLI VEDOVO VEDOVA ESTROMESSI DA EREDITA’ DIRITTI DEI VEDOVI
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Risarcimento del danno e indennizzo incidente grave e mortale bologna ravenna forli-indennizzo incidente grave mortale

caso di sinistro mortale, che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso), può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofico o catastrofale).

 

Laddove la liquidazione del danno biologico terminale può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea, in relazione al danno cd. catastrofale la natura peculiare del pregiudizio comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro che tenga conto della “enormità” del pregiudizio, giacché tale danno, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità tanto da esitare nella morte.

INCIDENTE-2

Secondo gli approdi giurisprudenziali citati il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. è connotato da tipicità, in quanto risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi di lesione di un interesse costituzionalmente tutelato. La distinzione tra le varie voci di danno (biologico, morale ed esistenziale) adottata dalle su menzionate sentenze gemelle del 2003 e dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 233/2003 deve dunque essere intesa come mera sintesi descrittiva. Il catalogo dei diritti risarcibili non costituisce numero chiuso e la tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell’apertura dell’art. 2 cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all’interprete rinvenire nel complesso sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana. Ne consegue, secondo le parole della Suprema Corte, che “il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale” (C. Cass. n. 26972/2008).
Dalla concezione evolutiva del danno non patrimoniale affermata dalle sentenze di San Martino discendono anche le difficoltà interpretative legate alla corretta qualificazione del danno in caso di morte sopraggiunta dopo un considerevole lasso di tempo dall’evento lesivo. Si è posta infatti in giurisprudenza la questione della corretta qualificazione dei danni derivanti dalla morte che segua dopo un apprezzabile lasso di tempo dall’evento causativo. Sebbene sia sempre stata pacifica in giurisprudenza la risarcibilità iure heriditatis di detto danno (per la prima volta in questo senso C. Cass. S.U. 22 dicembre 1925), vi sono due diversi orientamenti giurisprudenziali per quanto attiene alla qualificazione dello stesso.indennizzo incidente grave mortale

Una parte della giurisprudenza definisce il suddetto danno “biologico terminale” e ritiene che vada liquidato come invalidità assoluta temporanea utilizzando sia un criterio equitativo puro sia le apposite tabelle, in quanto è necessario garantire il massimo grado di personalizzazione in considerazione della entità e intensità del danno (Cass. n. 11169 del 1994, n. 12299 del 1995, n. 4991 del 1996, n. 1704 del 1997, n. 24 del 2002, n. 3728 del 2002, n. 7632 del 2003, n 9620 del 2003, n. 11003 del 2003, n. 18305 del 2003, n. 4754 del 2004, n. 3549 del 2004, n. 1877 del 2006, n. 9959 del 2006, n. 18163 del 2007, n. 21976 del 2007, n. 1072 del 2011).

AltResponsabilità medica assicurazioniro orientamento, invece, qualifica il danno come “catastrofale” attribuendogli natura o di danno morale soggettivo (Cass. n. 28423 del 2008, n. 3357 del 2010, n. 8630 del 2010, n. 13672 del 2010, n. 6754 del 2011, n. 19133 del 2011, n. 7126 del 2013, n. 13537 del 2014) o di danno biologico psichico (Cass. n. 4783 del 2001, n. 3260 del 2007, n. 26972 del 2008, n. 1072 del 2011).
La scarsa rilevanza pratica della qualificazione del danno come catastrofale o biologico terminale risiede nella necessaria personalizzazione del danno in sede di liquidazione, operazione che assume rilevanza tanto maggiore qualora sia necessario quantificare la sofferenza patita nella consapevolezza dell’approssimarsi della propria morte.
indennizzo incidente grave mortale: la Corte ha avuto modo più volte di affermare, infatti, in caso di sinistro mortale, che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso), può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofico o catastrofale).
Il danno derivante dalla da consapevolezza dell’incombere della propria fine è del tutto svincolato da quello più propriamente biologico, e postula una ben diversa valutazione sul piano equitativo, sub specie di una più corretta valutazione della intensissima sofferenza morale della vittima. Cass. n. 811 del 20 gennaio 2015
Tuttavia, essa non ha rispettato i parametri di corretta liquidazione di tale voce di danno, altresì fissati dalla giurisprudenza di questa corte allo scopo di evitare che tale pregiudizio, di breve durata temporale nella vita di una persona, ma percepito nella massima intensità ed altresì di massima gravità nei valori coinvolti, venga liquidato in misura bagatellare, in assoluto inidonea a costituirne un adeguato ristoro, rispettoso dei valori della persona umana.
Come la Corte ha anche di recente ribadito (v. Cass. n. 23183/2014), laddove la liquidazione del danno biologico terminale può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea, in relazione al danno cd. catastrofale la natura peculiare del pregiudizio comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro, che tenga conto della “enormità” del pregiudizio, giacché tale danno, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto da esitare nella morte.
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MORTE DI CASALINGA-indennizzo incidente grave mortale

 

Questa Corte ha più volte deciso che in caso di morte di una casalinga i congiunti conviventi hanno diritto al risarcimento del danno subito per la perdita delle prestazioni attinenti alla cura ed assistenza dalla stessa fornita, le quali, benché non produttive di reddito, sono valutabili economicamente, o facendo riferimento al criterio del triplo della pensione sociale o ponendo riguardo al reddito di una collaboratrice familiare (con gli opportuni adattamenti per la maggiore ampiezza di compiti esercitati dalla casalinga) (Cass. civ. Sez. 3, 12 settembre 2005 n. 18092; Idem, 24 agosto 2007 n. 17977; Idem,. Ha soggiunto che il diritto al risarcimento spetta anche nei casi in cui la vittima si avvalesse di aiuti o collaboratori domestici, perché comunque i suoi compiti risultano di maggiore ampiezza,. intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d’opera dipendente (Cass. civ. Sez. 3, n. 17977, cit; Idem, 20 luglio 2010 n. 16896). La motivazione della Corte di appello, secondo cui ‘Non sembra che gli allora attori abbiano dedotto il benché minimo elemento di prova in ordine non soltanto all’attività di casalinga della loro congiunta deceduta, ma anche con riferimento all’attività in concreto dalla stessa esercitata in ambito familiare’ è insufficiente ed incongrua. Quanto alla qualità di casalinga, per mancanza di possibili alternative, trattandosi di donna convivente con la famiglia e non essendo stato affermato da alcuno, né dedotto a prova, che lavorasse fuori casa (caso quest’ultimo in cui la sussistenza di un danno patrimoniale per i congiunti, derivante dalla perdita del relativo reddito, sarebbe stato innegabile e probabilmente maggiore.

Quanto alla prova delle attività concretamente svolte dalla D.B. , correttamente rilevano i ricorrenti che qui soccorrono le presunzioni, trattandosi di madre di famiglia, con marito, tre figli e una madre anziana, tutti conviventi, e considerato che nessuno dei controinteressati ha dedotto e dimostrato che la vittima passasse le sue giornate a letto. (Per avere un’idea della persona, basti l’annotazione della stessa sentenza impugnata, secondo cui la D.B. è stata investita mentre si recava da una vicina, portando con sé dei pacchi con del pane e una teglia da forno: cfr. pag. 5). Se c’è un caso in cui il ricorso alla prova per presunzioni è da ritenere autorizzato ed auspicabile è per l’appunto quello in esame, salva restando l’esigenza che il danneggiato fornisca la prova specifica del danno nei casi in cui avanzi, in relazione alla morte di una casalinga, pretese di particolare rilievo economico, od inconsuete ed abnormi in relazione a quanto avviene nella normalità dei casi.
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