OPERAZIONE MEDICA SBAGLIATA-OSPEDALE RESPONSABILITA’ -RISARCIMENTO BOLOGNA MALASANITA’-RAVENNA FORLI CESENA

  OPERAZIONE MEDICA SBAGLIATA-

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OSPEDALE RESPONSABILITA’ –

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FATTO

 1La Corte di Appello di Genova, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza di condanna resa dal Tribunale di Savona in data 20.03.2014, nei confronti di A.G., in ordine al delitto di lesioni colpose. Al predetto, in cooperazione colposa con il primo operatore P., si contesta, nella sua qualità di secondo operatore, di avere provocato al paziente B.M. lesioni gravissime; ciò in quanto nel corso di intervento laparoscopico di rimozione di una cisti splenica, veniva erroneamente realizzata una nefrectomia con asportazione del rene sinistro in paziente monorene.

2La Corte territoriale ha rilevato che A. non contesta l’errore del primo chirurgo, che asportò il rene, poichè tratto in inganno dalla calcolosi a stampo che interessava l’organo. Il Collegio ha sottolineato che il profilo di colpa che si rinviene nella condotta dell’imputato è qualificabile come negligenza, per difetto di attenzione nella visione del campo operatorio. Ciò in quanto A. non si accorse del fatto che il primo operatore stava asportando il rene.
DECISUM

3La Corte regolatrice ha da ultimo chiarito che, in tema di colpa professionale, in caso di intervento chirurgico in equipe, il principio per cui ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell’attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenza scientifiche del professionista medio, non opera in relazione alle fasi dell’intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell’affidamento per cui può rispondere dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui (Sez. 4, n. 27314 del 20/04/2017, Puglisi, Rv. 27018901).

4Il principio ora richiamato risulta coerente con l’insegnamento giurisprudenziale in base al quale l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio. L’assunto è stato espresso nel confermare la sentenza di condanna per il reato di omicidio colposo nei confronti, oltre che del ginecologo, anche delle ostetriche, in considerazione del fatto che l’errore commesso dal ginecologo nel trascurare i segnali di sofferenza fetale non esonerava le ostetriche dal dovere di segnalare il peggioramento del tracciato cardiotocografico, in quanto tale attività rientrava nelle competenze di entrambe le figure professionali operanti in equipe (Sez. 4, n. 53315 del 18/10/2016, Paita, Rv. 26967801).[wpforms id=”21592″]

Del resto, le Sezioni Unite hanno chiarito che l’art. 590-sexies cod. pen., prevede una causa di non punibilità applicabile ai fatti inquadrabili nel paradigma dell’art. 589 o di quello dell’art. 590 cod. pen., operante nei soli casi in cui l’esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse. Ai fini di interesse, si osserva in particolare che secondo diritto vivente la suddetta causa di non punibilità non è applicabile ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza, nè in ipotesi di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse (Sez. U, n. 8770 del 21/12/2017, dep. 22/02/2018, Mariotti, Rv. 27217401).

 

 

 

 

 

 

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Sentenza 19 luglio – 4 settembre 2018, n. 39733

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOVERESalvatore –  Presidente-
Dott. FERRANTI Donatella –  Consigliere  –
Dott. MONTAGNI Andrea   –  rel. Consigliere  –
Dott. TORNESI  Daniela Rita  –  Consigliere  –
Dott. BRUNO Mariarosaria  –  Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.G., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 16/10/2017 della CORTE APPELLO di GENOVA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MIGNOLO Olga, che ha concluso chiedendo conclude per il rigetto del ricorso.

E’ presente l’avvocato PRAMPOLINI ALIDA, del foro di SAVONA in difesa di A.G., che chiede l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

  1. La Corte di Appello di Genova, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza di condanna resa dal Tribunale di Savona in data 20.03.2014, nei confronti di A.G., in ordine al delitto di lesioni colpose. Al predetto, in cooperazione colposa con il primo operatore P., si contesta, nella sua qualità di secondo operatore, di avere provocato al paziente B.M. lesioni gravissime; ciò in quanto nel corso di intervento laparoscopico di rimozione di una cisti splenica, veniva erroneamente realizzata una nefrectomia con asportazione del rene sinistro in paziente monorene.

La Corte territoriale ha rilevato che A. non contesta l’errore del primo chirurgo, che asportò il rene, poichè tratto in inganno dalla calcolosi a stampo che interessava l’organo. Il Collegio ha sottolineato che il profilo di colpa che si rinviene nella condotta dell’imputato è qualificabile come negligenza, per difetto di attenzione nella visione del campo operatorio. Ciò in quanto A. non si accorse del fatto che il primo operatore stava asportando il rene.

2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione A.G., a mezzo del difensore.

Con il primo motivo l’esponente denuncia la violazione di legge, in riferimento alla responsabilità di equipe.

La parte rileva che i giudici hanno erroneamente applicato la legge penale in tema di cooperazione nel delitto colposo.

Osserva che A. è stato ritenuto responsabile, unitamente al primario P. che per grave imperizia asportò alla persona offesa l’unico rene che le era rimasto.

A sostegno dell’assunto, il ricorrente si sofferma sui termini di fatto della vicenda clinica. Ribadisce di essere stato convocato, con l’incarico di secondo operatore, dal primario P., per l’intervento chirurgico di cui si tratta, solo il giorno precedente. Osserva che il breve preavviso rispondeva ad una pessima prassi seguita dal P.. L’esponente sottolinea che il giorno dell’intervento venne scelto dal primario per l’intervento sul paziente B.; e che nel frangente non poteva rifiutarsi di collaborare, giacchè il paziente era già stato sedato.

Il ricorrente osserva che l’intervento chirurgico venne eseguito dal primario e che all’ A. era stato assegnato il compito di direzionare la telecamera nelle zone indicategli dal primo operatore. Afferma poi che l’errata recisione del rene avvenne con un gesto chirurgico repentino e non preannunciato. Considera che l’intervento presentava peculiari difficoltà, a causa della difformità anatomica del rene.

Il deducente rileva che non sussiste alcun profilo di colpa a carico del secondo operatore.

Nel ricorso si richiamano quindi arresti giurisprudenziali in tema di legittimo affidamento nell’ambito dell’attività medico chirurgica di equipe. L’esponente osserva che P. ha patteggiato la pena; rileva che all’odierno imputato, il quale ha seguito le linee guida, è stata irrogata la sola multa, evenienza ritenuta indicativa del fatto che i giudici hanno compreso che il reale responsabile è solo il primo operatore; ed afferma che non sussiste alcun nesso di causalità tra la condotta dell’esponente e l’evento lesivo.

Con il secondo motivo viene denunciata l’inosservanza dell’art. 590-sexies cod. pen..

La parte si duole della mancata applicazione della richiamata disposizione da parte della Corte territoriale, posto che A. si è sempre scrupolosamente attenuto alle linee guida adeguate al caso di specie. Evidenzia che in sede di merito non sono state svolte considerazioni sul rispetto o meno delle linee guida. Il ricorrente rileva che sarebbe auspicabile un annullamento con rinvio, finalizzato all’accertamento della sussistenza della richiamata causa di non punibilità, applicabile anche ai fatti pregressi, rispetto alla novella del 2017. Osserva che nel caso le decisioni di condanna sono percepite come accanimento nei confronti della figura del medico, mediante l’estremizzazione del reciproco obbligo di vigilanza che grava sui componenti di una equipe chirurgica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso impone i rilievi che seguono.

2. Il primo motivo non ha pregio.

La Corte regolatrice ha da ultimo chiarito che, in tema di colpa professionale, in caso di intervento chirurgico in equipe, il principio per cui ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell’attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenza scientifiche del professionista medio, non opera in relazione alle fasi dell’intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell’affidamento per cui può rispondere dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui (Sez. 4, n. 27314 del 20/04/2017, Puglisi, Rv. 27018901).

Il principio ora richiamato risulta coerente con l’insegnamento giurisprudenziale in base al quale l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio. L’assunto è stato espresso nel confermare la sentenza di condanna per il reato di omicidio colposo nei confronti, oltre che del ginecologo, anche delle ostetriche, in considerazione del fatto che l’errore commesso dal ginecologo nel trascurare i segnali di sofferenza fetale non esonerava le ostetriche dal dovere di segnalare il peggioramento del tracciato cardiotocografico, in quanto tale attività rientrava nelle competenze di entrambe le figure professionali operanti in equipe (Sez. 4, n. 53315 del 18/10/2016, Paita, Rv. 26967801).

Giova, altresì, ricordare che la Suprema Corte ha affermato che il medico componente della equipe chirurgica in posizione di secondo operatore che non condivide le scelte del primario adottate nel corso dell’intervento operatorio, ha l’obbligo, per esimersi da responsabilità, di manifestare espressamente il proprio dissenso, senza che tuttavia siano necessarie particolari forme di esternazione dello stesso (Sez. 3, n. 43828 del 29/09/2015, Cavone, Rv. 26526001).

2.1. E bene: le conformi valutazioni espresse, nel caso di specie, dai giudici di merito si collocano del tutto coerentemente nell’alveo del richiamato insegnamento.

La Corte di Appello ha premesso che la tecnica laparoscopica utilizzata dagli operatori rendeva dirimente il corretto uso della telecamera, trattandosi dell’unico presidio che consentiva ai medici la visione del campo operatorio.

Ciò posto, il Collegio ha chiarito che all’ A. era stato affidato il compito di manovrare la telecamera; ha precisato che indubbiamente i diversi temi evidenziati dalla difesa dell’odierno imputato, relativi alla perfettibile organizzazione del lavoro, riguardavano unicamente la posizione del primario; e che i profili di colpa ascritti ad A. concernevano unicamente il suo ruolo di secondo operatore, incaricato di manovrare la telecamera.

Tanto chiarito, il Collegio ha sottolineato che il profilo di colpa che si rinviene nella condotta dell’imputato è qualificabile come negligenza, per difetto di attenzione nella visione del campo operatorio, ovvero di imperizia, per incapacità di identificare il rene: ciò in quanto A. non si accorse del fatto che il primo operatore stava procedendo alla asportazione del rene, anzichè della cisti splenica.

Sul punto i giudici hanno richiamato le indicazioni, non contestate dalle parti, rese dal collegio peritale, laddove si è precisato che lo scollamento del rene dalla sua capsula ebbe inizio al 13 minuto e che l’avulsione dell’organo venne completata al 22 minuto. In sentenza si rileva, in particolare: che tra i compiti del secondo chirurgo vi è proprio quello di facilitare la visione e l’esposizione delle strutture anatomiche; che il primario non praticò l’avulsione del rene improvvisamente; e che l’aiuto chirurgo doveva essere ritenuto responsabile dell’esito infausto dell’intervento, essendo venuto meno ai doveri di diligenza o perizia nello svolgimento delle mansioni affidategli.

Sulla scorta di tali insindacabili rilievi, la Corte di Appello ha osservato che l’aiuto chirurgo A. avrebbe dovuto segnalare quanto stava avvenendo. Al riguardo, il Collegio ha precisato che l’aiuto non doveva affatto sostituirsi al primario, ma garantire con la telecamera la visione del campo chirurgico, durante un accesso laparoscopico, come quello in esame. La Corte territoriale ha in particolare considerato che A. ben avrebbe potuto accorgersi di quanto stava avvenendo, nel contesto fattuale sopra descritto; ed ha rilevato che, a fronte dell’errore evidente in cui stava incorrendo il primario, A. aveva colposamente omesso di segnalare cosa stava realmente avvenendo, a causa della negligente disattenzione nella visione del campo operatorio ovvero per un elevato grado di imperizia, che gli aveva impedito di identificare il rene, quale reale organo obiettivo del primo operatore.

Preme allora evidenziare che i giudici di merito, nei termini ora richiamati, hanno apprezzato la sussistenza di profili di colpa per negligenza, riferibili alla condotta dell’aiuto chirurgo che omise di segnalare quanto stava avvenendo, nel corso dell’intervento. Non sfugge che in sentenza si afferma pure che, alternativamente, la condotta del ricorrente può integrare una gravissima colpa per imperizia, posto che nel caso di specie l’uso della tecnica laparoscopica coinvolgeva direttamente l’ A., al quale era stato affidato il compito di garantire con la telecamera la visione del campo chirurgico. Si tratta, peraltro, di un mero artificio retorico, funzionale a lumeggiare l’indice di gravità della accertata negligenza; convince di tanto considerare che i giudici di secondo grado hanno sottolineato che l’avulsione del rene venne realizzata dal primo operatore nell’arco di un significativo arco temporale e non improvvisamente, modalità che avrebbe consentito all’aiuto chirurgo di segnalare quanto stava avvenendo, ove avesse prestato la dovuta attenzione nel visionare costantemente il campo operatorio, ad addome chiuso, mediante la telecamera a lui affidata.

Si osserva, altresì, che la Corte di Appello non ha altrimenti omesso di effettuare un ragionamento di natura controfattuale, su base induttiva, rispetto alla utilità del comportamento alternativo lecito. Il Collegio ha infatti chiarito che ove A. avesse segnalato al primario l’errore evidente in cui stava incorrendo, il primo operatore avrebbe certamente effettuato diverse valutazioni, idonee a scongiurare l’espianto dell’unico rene di cui il malato disponeva.

3. In tali termini si introduce l’esame della questione relativa alla mancata applicazione dell’art. 590-sexies cod. pen., affidata al secondo motivo di ricorso.

Il rilievo non ha pregio.

Come noto, l’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dalla L. 8 marzo 2017, n. 24, art. 6, prevede che qualora l’evento lesivo si sia verificato in ambito sanitario, a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalla linee guida ovvero le buone partiche clinico-assistenziali, sempre che risultino adeguate alle specificità del caso concreto.

E bene: nel caso in esame, i giudici di merito hanno accertato la ricorrenza di profili di colpa per negligenza a carico del secondo operatore dott. A., come sopra si è ampiamente chiarito. Da tanto consegue l’inapplicabilità della novella alla fattispecie per cui è giudizio, che involge profili di colpa estranei dall’ambito applicativo della invocata causa di non punibilità, ex art. 590-sexies cod. pen..

Del resto, le Sezioni Unite hanno chiarito che l’art. 590-sexies cod. pen., prevede una causa di non punibilità applicabile ai fatti inquadrabili nel paradigma dell’art. 589 o di quello dell’art. 590 cod. pen., operante nei soli casi in cui l’esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse. Ai fini di interesse, si osserva in particolare che secondo diritto vivente la suddetta causa di non punibilità non è applicabile ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza, nè in ipotesi di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse (Sez. U, n. 8770 del 21/12/2017, dep. 22/02/2018, Mariotti, Rv. 27217401).

Conclusivamente sul punto, si osserva che la causa di non punibilità introdotta dall’art. 590-sexies cod. pen., di cui la difesa lamenta la mancata applicazione da parte della Corte territoriale, non risulta applicabile al caso di specie per plurime ragioni. Da un lato, sono stati accertati a carico dell’imputato A. profili di colpa per negligenza esecutiva, per disattenzione nell’assolvimento dei compiti assegnati, in seno all’equipe chirurgica, evenienza di per sè ostativa all’operatività del nuovo istituto. Dall’altro, la Corte di Appello ha evidenziato che il grado della colpa doveva ritenersi elevato, circostanza che, come detto, esclude del pari l’operatività della richiamata causa di non punibilità. Per quanto detto, la sentenza impugnata non può essere oggi sindacata per il mancato approfondimento del tema relativo all’osservanza delle raccomandazioni contenute nelle linee guida adeguate al caso di specie, per l’evidenziata ontologica inapplicabilità al caso di giudizio della disciplina di cui all’art. 590-sexies cod. pen..

3.1. Per completezza argomentativa, è appena il caso di rilevare che le Sezioni Unite, con la sentenza sopra citata, hanno pure precisato che, in tema di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, l’abrogato D.L. n. 158 del 2012, art. 3 comma 1, convertito dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, si configura come norma più favorevole rispetto all’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dalla L. n. 24 del 2017, sia in relazione alle condotte connotate da colpa lieve da negligenza o imprudenza, sia in caso di errore determinato da colpa lieve da imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee-guida adeguate al caso concreto (Sez. U, n. 8770 del 21/12/2017, dep. 2018, Mariotti, cit.).

Come si vede, le svolte considerazioni, circa l’elevato grado di colpa per negligenza rinvenibile nella condotta posta in essere dall’odierno imputato, conducono ad apprezzare pure l’inapplicabilità al caso di giudizio della previgente disciplina in materia di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria.

4. In conclusione, si impone il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 19 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2018.

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