IMPUGNAZIONE  TESTAMENTO TREVISO BOLOGNA RAVENNA

 

IMPUGNAZIONE  TESTAMENTO TREVISO BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA  MILANO VICENZA PADOVA, UN AVVOCATO ESPERTO CON STUDIO A BOLOGNA IMPUGNAZIONE  TESTAMENTO 

IMPUGNAZIONE  TESTAMENTO pensate che impugnare un testamento volonta’ del testatore sa una cosa facile vi sbagliate!!

IMPUGNARE UN TESTAMENTO NON E’ UNA COSA FACILE, CI VOGLIONO ELEMENTI SOLIDI MOLTO SOLIDI

L’INCAPACITA’ VA DIMOSTRATA ESISTENTE AL MOMENTO DEL COMPIMENTO DELL’ATTO!!!

Conviene premettere che, per consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, ai fini dell’annullamento del testamento per incapacità di intendere e di volere, ai sensi dell’art. 591, comma 2 n. 3, l’incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche o intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di un’infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi. Peraltro, poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello d’incapacità l’eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo (così Cass. civ. n.12691/2017, cfr., ex plurimis, Cass. civ. 14746/2016, Cass. civ. n. 2239/2016, Cass. civ. n. 19767/2015, Cass. civ. n. 27351/2014, Cass. civ. n. 5527/2014, Cass. civ. n. 24881/20103, Cass. civ. n. 15480/2011, Cass. civ. n. 9081/2010, Cass. civ. n. 8079/2005).

  • Ne deriva che non vale ad integrare incapacità invalidante il testamento, ex art. 591 c.c., un mero generico stato di decadimento cognitivo e/o di alterazione del processo di formazione e di estrinsecazione della volontà, per quanto implicante anomalie comportamentali, non essendo una condizione di tal genere sufficiente a compromettere integralmente la capacità volitiva e critica del testatore. L’incapacità deve avere caratteristiche tali da determinare, ove fosse abituale, la pronuncia di interdizione (Cass. civ. 27351/2014; Cass. civ. 1444/2003) e la prova della stessa, seppur possa essere data con ogni mezzo, e quindi anche per presunzioni, dev’essere fornita in modo preciso e rigoroso.
  • nche a voler prescindere dalle discordanze circa le date in cui i pareri di Urbani sono stati redatti (il primo parere porta la data del 2.11.2009, laddove la visita era stata prenotata per una data posteriore, il 5.11.2009; uno degli altri pareri porta la data del 21.2.2010, che era però una domenica), si ritiene comunque che i pareri stessi non siano decisivi. Anzitutto, si parla di una generica riduzione della capacità di discernere “nettamente” il significato di atti e fatti, ma da ciò non può discendere una declaratoria di assoluta incapacità, potendo solo evincersi un decadimento delle facoltà cognitive, di per sé irrilevante in questa sede.
  • Soprattutto, lo stesso urbani parla di “andamento a scalini caratterizzato da momenti di lucidità alternati allo scadimento fatalmente evolutivo delle funzioni cognitive” (doc. 7 attore): l’attrice stessa ammette quindi che la de cuius non fosse costantemente incapace, ma avesse anche ampi momenti di lucidità; tuttavia, non ha poi fornito la prova puntuale del fatto che il testamento fosse stato redatto in uno dei momenti di incapacità. Dato che la de cuius non era interdetta, deve operare la regola generale per cui si presume lo stato di capacità e deve essere chi impugna il testamento a dimostrare che, nel preciso momento in cui lo stesso fu scritto, l’autore era incapace di comprenderne il significato morale e sociale.
  • Si precisa a tal proposito che la valutazione circa la capacità di comprendere il significato delle proprie azioni va compiuta anche in rapporto al contenuto ed alla complessità dell’atto che viene in considerazione: il testamento è un atto il cui significato di base è particolarmente semplice ed intuitivo, trattandosi di stabilire chi beneficerà delle proprie sostanze dopo la propria morte. Non si richiede, quindi, né un’elevata scolarizzazione, né una piena lucidità mentale, essendo possibile anche per un soggetto con un certo grado di decadimento cognitivo comprendere del tutto il significato dell’atto. Ciò è tanto più vero laddove il testamento impugnato abbia un contenuto minimo e non presenti particolari tecnicismi, come nel caso di specie, in cui la de cuius si è limitata alle seguenti espressioni: “revoco ogni mio precedente testamento e lascio tutti i miei beni in parti uguali a …”.
  • A sostegno della domanda di annullamento per dolo parte attrice afferma che “le odierne convenute … hanno fatto tutto il possibile per accaparrarsi la fiducia della signora An.Am. e far si che revocasse il testamento redatto a favore della nipote Fr.Am.” (v. pagg. 12 e s. comparsa conclusionale); oltre a ciò, l’attrice nota che nel testamento gli eredi istituiti sono elencati uno per riga e che successivamente vi sono quattro righe vuote; vi sarebbe poi “coincidenza numerica tra i soggetti intervenuti nella procedura per la nomina di AdS solo per opporsi alla nomina della signora Fr.Am. e i “buchi” rinvenibili nella scheda testamentaria”; infine, “nella valutazione sulla capacità di autodeterminazione della testatrice” dovrebbero essere valutati “il rapporto tra la signora Fr.Am. e la signora An.Am., il particolare carattere di quest’ultima ed i problemi di salute mentale che la hanno interessata”.
  • La domanda non può trovare accoglimento, non fosse altro perché le stesse allegazioni di parte attrice sono talmente vaghe ed hanno un contenuto talmente generico da non consentire neppure di comprendere in cosa consisterebbero in concreto gli “artifizi e raggiri” asseritamente usati dagli eredi istituiti.
  • Occorre poi ricordare che, per poter ritenere provato il dolo, “non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, ma occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti che – avuto riguardo all’età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso – siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata. La relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore” (Cass. 4653/2018).
  • Nel caso di specie detta prova è mancata. Le richieste di prova testimoniale sono state integralmente rigettate in quanto riguardanti circostanze irrilevanti ai fini del thema decidendum, nonché a causa del contenuto valutativo di molti dei capitoli formulati. Irrilevanti sono le considerazioni fatte dall’attrice a riguardo della struttura del testamento, contenente delle righe vuote e l’istituzione di eredi che poi sono intervenuti in successivi giudizi (si noti che non viene neppure allegata la violenza fisica nella redazione della scheda). Il fatto di “accaparrarsi la fiducia” di una persona non si può considerare attività corrispondente al dolo contrattuale.

Testamento – Revoca del testamento – Vizio della volontà del testatore – Prova del dolo Tribunale|Treviso|Sezione 3|Civile|Sentenza|2 ottobre 2018| n. 1903 IMPUGNAZIONE  TESTAMENTO 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI TREVISO

TERZA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale di Treviso, Terza Sezione civile, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:

dott. Deli Luca presidente

dott.ssa Susanna Menegazzi giudice

dott. Carlo Baggio giudice relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta in data 16.10.2015 al R.G. n. 9485/2015, promossa

da

FR.AM., con il patrocinio dell’avv. IA.TI., con domicilio eletto presso lo studio del difensore in VIA (…) – 31100 TREVISO

attrice

contro

GR.BR., ed altri, tutte con il patrocinio dell’avv. MO.LO., con domicilio eletto presso lo studio del difensore in VIA (…) – 31010 FARRA DI SOLIGO

convenute

Avente per oggetto: Cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Fr.Am. ha col presente giudizio impugnato il testamento olografo della defunta zia An.Am. (datato 3.11.2010, pubblicato dal Notaio G.Ba. in Cornuda (TV) il 12.9.2014), sulla base dei seguenti motivi, gradatamente subordinati:

– incapacità naturale della de cuius;

– difetto di olografia;

– altri difetti di forma;

– dolo degli eredi istituiti.

Le convenute, uniche eredi del testamento a seguito della rinuncia all’eredità da parte del chiamato Lo.Mo., si sono costituite chiedendo il rigetto delle domande attoree.

La causa viene ora in decisione senza l’espletamento di attività istruttoria.

Le domande attoree sono infondate.

Sul difetto di olografia e sui vizi di forma

La censura è palesemente infondata, dato che l’attrice si limita sul punto a dedurre che il testamento contiene quattro righe vuote e che lo stesso sarebbe stato redatto “in momenti diversi”, senza però minimamente mettere in dubbio che l’intero documento sia stato scritto interamente di pugno dalla de cuius.

Non si può quindi ritenere sussistente alcun difetto di olografia.

Non si rilevano neppure vizi di forma di altro tipo, che peraltro neppure l’attrice è stata in grado di individuare con precisione, pur dopo che il giudice aveva rilevato la nullità della domanda ed assegnato termine per l’integrazione della stessa ex art. 164 co. 5 c.p.c.

Sull’incapacità naturale

Giova anzitutto ricordare che “l’incapacità naturaledel testatore postula la esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del “de cuius”, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi; peraltro, poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità” (Cass. ord. 3934/2018). Inoltre, l’incapacità naturale va esclusa nel caso di un minimo decadimento delle facoltà mentali (Cass. 8728/2007) e deve essere stata tale da comportare, se fosse stata abituale, la pronunzia di interdizione (Cass. 1444/2003). Spetta pertanto all’attrice dare prova dell’incapacità della de cuius, secondo il criterio del “più probabile che no”; laddove tale standard probatorio non venga raggiunto (e rimangano quindi dei rilevanti dubbi circa lo presenza di uno stato di incapacità), si dovrà ritenere l’onere non assolto e non si potrà pronunciare l’annullamento del testamento.

Si ritiene che nel presente caso non si sia raggiunta la prova dell’incapacità naturale di An.Am., secondo i criteri appena illustrati.

Gli unici elementi valorizzati dall’attrice sono: i pareri del dott. Urbani, il provvedimento del 13.11.2009 del giudice tutelare (doc. 2 convenuti), la qualità della grafia del testamento, talune incongruenze contenute nelle lettere inviate dalla de cuius, in particolare in quella del 25.10.2009 (doc. 4 convenute).

Anche a voler prescindere dalle discordanze circa le date in cui i pareri di Urbani sono stati redatti (il primo parere porta la data del 2.11.2009, laddove la visita era stata prenotata per una data posteriore, il 5.11.2009; uno degli altri pareri porta la data del 21.2.2010, che era però una domenica), si ritiene comunque che i pareri stessi non siano decisivi. Anzitutto, si parla di una generica riduzione della capacità di discernere “nettamente” il significato di atti e fatti, ma da ciò non può discendere una declaratoria di assoluta incapacità, potendo solo evincersi un decadimento delle facoltà cognitive, di per sé irrilevante in questa sede.

Soprattutto, lo stesso urbani parla di “andamento a scalini caratterizzato da momenti di lucidità alternati allo scadimento fatalmente evolutivo delle funzioni cognitive” (doc. 7 attore): l’attrice stessa ammette quindi che la de cuius non fosse costantemente incapace, ma avesse anche ampi momenti di lucidità; tuttavia, non ha poi fornito la prova puntuale del fatto che il testamento fosse stato redatto in uno dei momenti di incapacità. Dato che la de cuius non era interdetta, deve operare la regola generale per cui si presume lo stato di capacità e deve essere chi impugna il testamento a dimostrare che, nel preciso momento in cui lo stesso fu scritto, l’autore era incapace di comprenderne il significato morale e sociale.

Si precisa a tal proposito che la valutazione circa la capacità di comprendere il significato delle proprie azioni va compiuta anche in rapporto al contenuto ed alla complessità dell’atto che viene in considerazione: il testamento è un atto il cui significato di base è particolarmente semplice ed intuitivo, trattandosi di stabilire chi beneficerà delle proprie sostanze dopo la propria morte. Non si richiede, quindi, né un’elevata scolarizzazione, né una piena lucidità mentale, essendo possibile anche per un soggetto con un certo grado di decadimento cognitivo comprendere del tutto il significato dell’atto. Ciò è tanto più vero laddove il testamento impugnato abbia un contenuto minimo e non presenti particolari tecnicismi, come nel caso di specie, in cui la de cuius si è limitata alle seguenti espressioni: “revoco ogni mio precedente testamento e lascio tutti i miei beni in parti uguali a …”.

È irrilevante il contenuto del provvedimento del 13.11.2009 del giudice tutelare (doc. 2 convenuti): in quella sede il giudice si era limitato a prendere atto di quanto risultante da taluni documenti prodotti dall’allora ricorrente (odierna attrice), ma senza compiere in quel momento alcuna valutazione sulla capacità di An.Am.; il giudice aveva parlato genericamente di “incapacità”, senza tuttavia specificare quale fosse il grado della compromissione delle facoltà mentali della Am.; il fatto che il giudice non avesse ritenuto sussistenti particolari ragioni di urgenza è elemento indicativo di una valutazione in termini di non gravità; il giudice in quel momento non aveva ancora potuto esaminare personalmente la beneficiaria e si era dovuto basare sui soli certificati prodotti dalla ricorrente (gli stessi, redatti da Urbani, di cui si è detto sopra); a conclusione del procedimento per nomina di AdS il medesimo giudice, acquisita ulteriore documentazione e sentita personalmente la beneficiaria, aveva invece ritenuto che An.Am. fosse capace di intendere e volere, come si vedrà meglio infra (v. doc. 6 attori).

Altresì irrilevanti sono le considerazioni, peraltro sviluppate per la prima volta dall’attrice solo con la memoria di replica ex art. 190 c.p.c., circa la qualità della grafia della de cuius, che parte attrice assume essere stata ordinata e chiara nei casi dettatura e confusa ed illeggibile nei casi di scrittura libera. Anzitutto, la questione è irrilevante in tema di accertamento dell’incapacità naturale. Ad ogni buon conto, confrontando il testamento impugnato con le altre scritture (docc. 4 e dal 29 al 33 convenuti) non si rinvengono sostanziali differenze: tutti i documenti sono ordinati, chiari e precisi, soprattutto se si considera l’avanzata età della scrivente. Si deve poi considerare che il testamento è un atto di importanza tale da far presumere che il testatore presti particolare attenzione alla sua redazione e quindi si impegni anche maggiormente ad adottare una grafia quanto più possibile chiara ed ordinata (come d’altronde tutti fanno quando scrivono a mano, variando il livello di attenzione e di cura a seconda delle circostanze, quali destinatario, tipo di documento, lunghezza dello stesso ecc.).

Già le osservazioni appena svolte sarebbero sufficienti al rigetto della domanda. Per di più, vi sono i documenti prodotti in giudizio dai convenuti a smentire l’assunto dell’incapacità naturale della testatrice.

Vi è anzitutto la documentazione medica:

– la scheda di valutazione infermieristica redatta al momento dell’accoglienza in casa di riposo riporta, alla voce “sensorio e comunicazione”, “LINGUAGGIO NORMALE” e “DISORIENTAMENTO NO” (doc. 14);

– la dr.ssa Br.Da., nel compiere la valutazione neuropsicologica in data 26.4.2011 (doc. 15), ha ritenuto che il “decadimento delle funzioni cognitive” fosse solamente “moderato”, non quindi grave.

Si consideri poi la lettera del 25.10.2009 (doc. 4), scritta di pugno dalla de cuius: tale testo manifesta una certa lucidità della stessa nell’analisi dei propri rapporti familiari, delle problematiche legate alla convivenza con Fr., dei propri desideri: il che è sicuramente incompatibile con un totale stato di infermità psichica. Le incongruenze contenute nella lettera, soprattutto quanto alla data della morte delle sorelle, non sono decisive: come si è detto sopra, un certo grado di decadimento mnemonico e cognitivo (del tutto plausibile in una persona di quell’età) non esclude infatti la capacità di comprendere il significato giuridico e sociale dell’atto che si va a compiere, ossia del testamento. Si noti, per completezza, che l’attrice pone in essere delle affermazioni estremamente contraddittorie quanto alla missiva in esame: da un lato sostiene che la stessa sarebbe addirittura indice dell’incapacità di An. (stanti le incongruenze e gli errori di cui si è detto), dall’altro afferma però che la missiva sarebbe stata “eterodiretta”” dai soggetti poi indicati come eredi nel testamento; non si vede tuttavia come le due affermazioni possano conciliarsi.

È infine estremamente rilevante la circostanza per cui già in sede giudiziaria, nell’ambito del procedimento per la nomina di amministratore di sostegno, è stata valutata ed esclusa l’incapacità di intendere e di volere della de cuius:

– all’udienza del 26.1.2010 il giudice aveva esaminato An.Am. e aveva rilevato che: “risponde correttamente alle domande, è orientata nel tempo e nello spazio … dichiara di non voler più stare con la nipote Am.Fr., di voler o tornare a Milano o andare in casa di riposo, in quanto attualmente non va più d’accordo con Fr., per contrasti caratteriali, essendo entrambe con una forte personalità” (doc. 5 convenuti);

– col decreto del 2.2.2010 (doc. 6) il giudice tutelare, “viste le certificazioni mediche prodotte, sentito il beneficiario, vista la documentazione allegata, visti i verbali”, aveva ritenuto sussistente la “sostanziale capacità di intendere e di volere” di An.Am., specificando anzi che si doveva escludere la necessità di ricorrere ad una misura più restrittiva; la nomina dell’AdS è stata infatti disposta non perché la de cuius fosse totalmente incapace, ma in considerazione della consistenza del di lei patrimonio e della semplice necessità, condivisa peraltro dalla stessa beneficiaria, “di essere assistita e/o rappresentata nella gestione” dei propri beni;

– lo stesso AdS non aveva a segnalare alcun rilevante decadimento cognitivo; anzi, dalla relazione da questi depositata il 23.7.2010 (doc. 8) sembra desumersi semmai il contrario: “in data 30.3.2010 la scrivente incontrava la signora Am.An. presso l’abitazione della nipote Fr.Am.: la beneficiaria appariva nel complesso assai vivace e loquace, tranne quando entrava la predetta nipote (…) In data 16.4.2010 l’AdS ha rivisto la signora An.Am. presso l’abitazione di Ce.Mo., sita in Susegana (TV), Via (…), ove la signora adesso vive, trovandola più serena”.

Tutti questi elementi sono tali da far ritenere provato esattamente il contrario di quanto affermato dall’attrice, ossia una sostanziale capacità di intendere e di volere della de cuius. Tali prove devono considerarsi maggiormente attendibili rispetto a quelle valorizzate dall’attrice, in quanto provenienti da fonti diversificate e sicuramente disinteressate (in particolare quanto ai documenti di formazione giudiziale). Soprattutto, appare decisiva la valutazione compiuta dal giudice tutelare dopo aver finanche esaminato personalmente An.Am.

Peraltro, quand’anche non si ritenessero decisive tali prove, comunque l’attrice sarebbe destinata a soccombere, dato che la contraddittorietà della prova non consentirebbe di ritenere dimostrata l’incapacità naturale della de cuius al momento della redazione del testamento (si ricordi che l’onere della prova grava sull’attrice). Neppure potrebbe sul punto supplire un’eventuale CTU (richiesta dall’attrice), dato che il perito dovrebbe pur sempre basarsi su documentazione contraddittoria e non decisiva, senza poter esaminare direttamente la persona (cosa invece fatta dal giudice tutelare).

Per completezza di sottolinea che sono invece assolutamente irrilevanti tutte le altre circostanze, su cui parte attrice si è molto dilungata, relativamente ai rapporti personali e familiari della de cuius e ai soggetti che le hanno prestato assistenza, trattandosi all’evidenza di considerazioni che esulano dalla valutazione circa la sua capacità di intendere e di volere.

Sul vizio della volontà

A sostegno della domanda di annullamento per dolo parte attrice afferma che “le odierne convenute … hanno fatto tutto il possibile per accaparrarsi la fiducia della signora An.Am. e far si che revocasse il testamento redatto a favore della nipote Fr.Am.” (v. pagg. 12 e s. comparsa conclusionale); oltre a ciò, l’attrice nota che nel testamento gli eredi istituiti sono elencati uno per riga e che successivamente vi sono quattro righe vuote; vi sarebbe poi “coincidenza numerica tra i soggetti intervenuti nella procedura per la nomina di AdS solo per opporsi alla nomina della signora Fr.Am. e i “buchi” rinvenibili nella scheda testamentaria”; infine, “nella valutazione sulla capacità di autodeterminazione della testatrice” dovrebbero essere valutati “il rapporto tra la signora Fr.Am. e la signora An.Am., il particolare carattere di quest’ultima ed i problemi di salute mentale che la hanno interessata”.

La domanda non può trovare accoglimento, non fosse altro perché le stesse allegazioni di parte attrice sono talmente vaghe ed hanno un contenuto talmente generico da non consentire neppure di comprendere in cosa consisterebbero in concreto gli “artifizi e raggiri” asseritamente usati dagli eredi istituiti.

Occorre poi ricordare che, per poter ritenere provato il dolo, “non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, ma occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti che – avuto riguardo all’età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso – siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata. La relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore” (Cass. 4653/2018).

Nel caso di specie detta prova è mancata. Le richieste di prova testimoniale sono state integralmente rigettate in quanto riguardanti circostanze irrilevanti ai fini del thema decidendum, nonché a causa del contenuto valutativo di molti dei capitoli formulati. Irrilevanti sono le considerazioni fatte dall’attrice a riguardo della struttura del testamento, contenente delle righe vuote e l’istituzione di eredi che poi sono intervenuti in successivi giudizi (si noti che non viene neppure allegata la violenza fisica nella redazione della scheda). Il fatto di “accaparrarsi la fiducia” di una persona non si può considerare attività corrispondente al dolo contrattuale.

Infine, proprio la considerazione del deteriorarsi dei rapporti con la nipote Fr. nel corso dell’anno precedente la redazione del testamento (fatto dimostrato dalla lettera del 25.10.2009 e comunque nella sostanza non negato dall’attrice) ed il “particolare carattere della de cuius” (descritto come non facile), lungi dal dimostrare il dolo, rendono anzi plausibile la volontà di An.Am. di revocare il precedente testamento e di nominare dei diversi eredi.

Sulle spese

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni ulteriore deduzione disattesa, definitivamente pronunciando,

  1. Rigetta tutte le domande attoree in quanto infondate;
  2. Condanna l’attrice FR.AM. a rifondere alle convenute GR.BR., BE.AM., LE.SA., SO.SA. e NE.SA. le spese legali del presente procedimento, che si liquidano in Euro 8.500,00 per compenso, oltre ad IVA, CPA e rimborso delle spese forfetarie pari al 15% sul compenso ex DM 55/2014.

Così deciso in Treviso l’11 settembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 2 ottobre 2018.