IL PROMOTORE FINANZIARIO PUO’ FALLIRE? PER LA CASSAZIONE SI – AVVOCATO DIFESA ISTANZE FALLIMENTO BOLOGNA MILANO IMOLA RAVENNA FORLI RIMINI

IL PROMOTORE FINANZIARIO PUO’ FALLIRE? PER LA CASSAZIONE SI – AVVOCATO DIFESA ISTANZE FALLIMENTO BOLOGNA MILANO IMOLA RAVENNA FORLI RIMINI

Ai fini della configurabilità dell’esercizio di un’impresa da parte del promotore finanziario (figura disciplinata prima dalla L. n. 1 del 1991, art. 5, poi dal D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 23 e quindi dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31) è irrilevante che quest’ultimo agisca sulla base di un mandato con rappresentanza o senza rappresentanza. Lo stesso, infatti, è definito, dalle disposizioni citate, come colui che esercita professionalmente, in qualità di dipendente, agente o mandatario, l’attività di offerta fuori sede di servizi finanziari; pertanto, affinchè assuma la qualità di imprenditore è sufficiente che svolga la sua attività sulla base di una propria autonoma organizzazione di mezzi e a proprio rischio, considerato che gli altri elementi che caratterizzano l’attività di impresa già sono presenti, per definizione, nell’attività del promotore finanziario, la quale rientra, quando è svolta da un imprenditore, tra le attività ausiliarie previste dall’art. 2195 c.c., n. 5, e costituisce, dunque, impresa commerciale (con conseguente assoggettabilità, tra l’altro, a fallimento) (Sez. 1, Sentenza n. 18135 del 20/12/2002).

I giudici del merito hanno accertato che il ricorrente – abusivamente – raccoglieva fondi per poi investirli in strumenti finanziari ad alto rendimento e hanno correttamente applicato la giurisprudenza di questa Corte (v. sentenza impugnata pag. 7-8).

La relazione, con il decreto di fissazione dell’adunanza, è stata notificata ai difensori e comunicata al pubblico ministero”.

 

FALLIMENTO PROMOTORE FINANZIARIO

 

Ai fini della configurabilità dell’esercizio di un’impresa da parte del promotore finanziario (figura disciplinata prima dalla L. n. 1 del 1991, art. 5, poi dal D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 23 e quindi dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31) è irrilevante che quest’ultimo agisca sulla base di un mandato con rappresentanza o senza rappresentanza. Lo stesso, infatti, è definito, dalle disposizioni citate, come colui che esercita professionalmente, in qualità di dipendente, agente o mandatario, l’attività di offerta fuori sede di servizi finanziari; pertanto, affinchè assuma la qualità di imprenditore è sufficiente che svolga la sua attività sulla base di una propria autonoma organizzazione di mezzi e a proprio rischio, considerato che gli altri elementi che caratterizzano l’attività di impresa già sono presenti, per definizione, nell’attività del promotore finanziario, la quale rientra, quando è svolta da un imprenditore, tra le attività ausiliarie previste dall’art. 2195 c.c., n. 5, e costituisce, dunque, impresa commerciale (con conseguente assoggettabilità, tra l’altro, a fallimento) (Sez. 1, Sentenza n. 18135 del 20/12/2002).

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI CIVILE

Ordinanza 29 novembre – 18 dicembre 2012, n. 23384

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

Ordinanza

sul ricorso 5529/2011 proposto da:

P.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA PIEDILUCO 9, presso lo studio dell’avvocato DI GRAVIO PAOLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO MARINO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M.L., M.L., B.C., M.

M., M.F., A.C., FALLIMENTO P.

A., A.V., MI.FR., L.

D., Z.C., P.E., B.J.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 152/2010 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA del 17.11.09, depositata il 18/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/11/2012 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PIERFELICE

PRATIS che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p.1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore: “1.- P.A. ha proposto ricorso per cassazione – affidato a tre motivi contro la sentenza della Corte di appello di L’Aquila che ha confermato la sentenza dichiarativa di fallimento emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Sulmona in quanto aveva professionalmente svolto in forma organizzata attività di intermediazione finanziaria, in maniera irregolare e in violazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 11; non aveva dimostrato l’affettiva cessazione dell’attività da oltre un anno nè aveva provato di avere comunicato ai creditori istanti tale eventuale cessazione;

sussistevano, oltre allo stato di insolvenza, i requisiti di cui alla L. Fall., art. 1, di cui l’appellante non aveva provato la mancanza, risultando, peraltro, positivamente accertato un ammontare di debiti superiore a Euro 500.000,00. Gli intimati non hanno svolto difese.

2.- Il ricorso può essere deciso in camera di consiglio perchè proposto per motivi manifestamente infondati o inammissibili.

2.1.- La corte di merito ha correttamente applicato il principio per il quale ai sensi della L. Fall., art. 10, comma 2, come modificato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, anche per gli imprenditori mai iscritti nel registro sussiste la possibilità di dimostrare la data di conoscenza da parte dei terzi della effettiva cessazione dell’attività, restando pur sempre necessario, in difetto di forme di pubblicità legale, contemperare l’affidamento dei terzi e la necessità di dare stabilità ai rapporti giuridici e di evitare di lasciare sine die aperta la possibilità di dichiarazione di fallimento di una impresa in realtà cessata (Sez. 6-1, Ordinanza n. 15428 del 13/07/2011).

Con il primo motivo il ricorrente non ha specificamente impugnato tale ratio decidendi non avendo neppure dedotto di avere dimostrato o chiesto di provare di avere reso nota la cessazione dell’attività ai terzi. La corte di merito ha accertato che i creditori mai hanno dichiarato nelle istanze di fallimento di avere appreso della cessazione nel 2004 sebbene di avere appreso in tale anno della illecita attività svolta dal P..

Non sussiste, dunque, la denunciata violazione della L. Fall., art. 10.

2.2.- Il secondo motivo è inammissibile perchè, ai fini della dichiarazione di fallimento, è sufficiente la mancanza di uno solo dei requisiti di cui alla L. Fall., art. 1, e il ricorrente non ha neppure genericamente impugnato l’accertamento in ordine all’ammontare dei debiti.

2.3.- Il terzo motivo – con il quale il ricorrente denuncia violazione della L. Fall., artt. 1 e art. 2082 c.c. – è manifestamente infondato, nella parte in cui non è inammissibile perchè con esso sono formulate censure in fatto.

Ai fini della configurabilità dell’esercizio di un’impresa da parte del promotore finanziario (figura disciplinata prima dalla L. n. 1 del 1991, art. 5, poi dal D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 23 e quindi dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31) è irrilevante che quest’ultimo agisca sulla base di un mandato con rappresentanza o senza rappresentanza. Lo stesso, infatti, è definito, dalle disposizioni citate, come colui che esercita professionalmente, in qualità di dipendente, agente o mandatario, l’attività di offerta fuori sede di servizi finanziari; pertanto, affinchè assuma la qualità di imprenditore è sufficiente che svolga la sua attività sulla base di una propria autonoma organizzazione di mezzi e a proprio rischio, considerato che gli altri elementi che caratterizzano l’attività di impresa già sono presenti, per definizione, nell’attività del promotore finanziario, la quale rientra, quando è svolta da un imprenditore, tra le attività ausiliarie previste dall’art. 2195 c.c., n. 5, e costituisce, dunque, impresa commerciale (con conseguente assoggettabilità, tra l’altro, a fallimento) (Sez. 1, Sentenza n. 18135 del 20/12/2002).

I giudici del merito hanno accertato che il ricorrente – abusivamente – raccoglieva fondi per poi investirli in strumenti finanziari ad alto rendimento e hanno correttamente applicato la giurisprudenza di questa Corte (v. sentenza impugnata pag. 7-8).

La relazione, con il decreto di fissazione dell’adunanza, è stata notificata ai difensori e comunicata al pubblico ministero”.

p.2.- Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono al rigetto del ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 novembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2012.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI CIVILE

Ordinanza 29 novembre – 18 dicembre 2012, n. 23384

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

Ordinanza 

sul ricorso 5529/2011 proposto da:

P.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA PIEDILUCO 9, presso lo studio dell’avvocato DI GRAVIO PAOLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO MARINO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M.L., M.L., B.C., M.

M., M.F., A.C., FALLIMENTO P.

A., A.V., MI.FR., L.

D., Z.C., P.E., B.J.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 152/2010 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA del 17.11.09, depositata il 18/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/11/2012 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PIERFELICE

PRATIS che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p.1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore: “1.- P.A. ha proposto ricorso per cassazione – affidato a tre motivi contro la sentenza della Corte di appello di L’Aquila che ha confermato la sentenza dichiarativa di fallimento emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Sulmona in quanto aveva professionalmente svolto in forma organizzata attività di intermediazione finanziaria, in maniera irregolare e in violazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 11; non aveva dimostrato l’affettiva cessazione dell’attività da oltre un anno nè aveva provato di avere comunicato ai creditori istanti tale eventuale cessazione;

sussistevano, oltre allo stato di insolvenza, i requisiti di cui alla L. Fall., art. 1, di cui l’appellante non aveva provato la mancanza, risultando, peraltro, positivamente accertato un ammontare di debiti superiore a Euro 500.000,00. Gli intimati non hanno svolto difese.

2.- Il ricorso può essere deciso in camera di consiglio perchè proposto per motivi manifestamente infondati o inammissibili.

2.1.- La corte di merito ha correttamente applicato il principio per il quale ai sensi della L. Fall., art. 10, comma 2, come modificato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, anche per gli imprenditori mai iscritti nel registro sussiste la possibilità di dimostrare la data di conoscenza da parte dei terzi della effettiva cessazione dell’attività, restando pur sempre necessario, in difetto di forme di pubblicità legale, contemperare l’affidamento dei terzi e la necessità di dare stabilità ai rapporti giuridici e di evitare di lasciare sine die aperta la possibilità di dichiarazione di fallimento di una impresa in realtà cessata (Sez. 6-1, Ordinanza n. 15428 del 13/07/2011).

Con il primo motivo il ricorrente non ha specificamente impugnato tale ratio decidendi non avendo neppure dedotto di avere dimostrato o chiesto di provare di avere reso nota la cessazione dell’attività ai terzi. La corte di merito ha accertato che i creditori mai hanno dichiarato nelle istanze di fallimento di avere appreso della cessazione nel 2004 sebbene di avere appreso in tale anno della illecita attività svolta dal P..

Non sussiste, dunque, la denunciata violazione della L. Fall., art. 10.

2.2.- Il secondo motivo è inammissibile perchè, ai fini della dichiarazione di fallimento, è sufficiente la mancanza di uno solo dei requisiti di cui alla L. Fall., art. 1, e il ricorrente non ha neppure genericamente impugnato l’accertamento in ordine all’ammontare dei debiti.

2.3.- Il terzo motivo – con il quale il ricorrente denuncia violazione della L. Fall., artt. 1 e art. 2082 c.c. – è manifestamente infondato, nella parte in cui non è inammissibile perchè con esso sono formulate censure in fatto.

Ai fini della configurabilità dell’esercizio di un’impresa da parte del promotore finanziario (figura disciplinata prima dalla L. n. 1 del 1991, art. 5, poi dal D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 23 e quindi dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31) è irrilevante che quest’ultimo agisca sulla base di un mandato con rappresentanza o senza rappresentanza. Lo stesso, infatti, è definito, dalle disposizioni citate, come colui che esercita professionalmente, in qualità di dipendente, agente o mandatario, l’attività di offerta fuori sede di servizi finanziari; pertanto, affinchè assuma la qualità di imprenditore è sufficiente che svolga la sua attività sulla base di una propria autonoma organizzazione di mezzi e a proprio rischio, considerato che gli altri elementi che caratterizzano l’attività di impresa già sono presenti, per definizione, nell’attività del promotore finanziario, la quale rientra, quando è svolta da un imprenditore, tra le attività ausiliarie previste dall’art. 2195 c.c., n. 5, e costituisce, dunque, impresa commerciale (con conseguente assoggettabilità, tra l’altro, a fallimento) (Sez. 1, Sentenza n. 18135 del 20/12/2002).

I giudici del merito hanno accertato che il ricorrente – abusivamente – raccoglieva fondi per poi investirli in strumenti finanziari ad alto rendimento e hanno correttamente applicato la giurisprudenza di questa Corte (v. sentenza impugnata pag. 7-8).

La relazione, con il decreto di fissazione dell’adunanza, è stata notificata ai difensori e comunicata al pubblico ministero”.

p.2.- Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono al rigetto del ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 novembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2012.

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