DIVISIONI EREDITARIE, EREDI TESTAMENTI SENTENZE ULTIME ROVIGO

DIVISIONI EREDITARIE, EREDI TESTAMENTI SENTENZE ULTIME ROVIGO

CHIAMA SUBITO PRENDI APPUNTAMENTO AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA SUCCESSIONI EREDI TESTAMENTI

051 6447838 AVVOCATO SERGIO ARMAROLI

Ai sensi della normativa di cui all’ art. 1102 c.c., l’uso diretto del bene comune da parte di un comproprietario, deve intendersi come l’attuazione del diritto dominicale, salvo l’obbligo di questi di non alterare la destinazione economica del bene e di non impedire agli altri condividenti l’eguale e diretto uso ovvero di trarre dal bene i frutti civili. Sicché, il semplice godimento esclusivo del bene ad opera di uno dei comproprietari, in via di principio, non assume l’idoneità a produrre un qualche pregiudizio in danno degli altri comproprietari, e, ancor meno, in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo. Con la conseguenza, che colui che utilizza in via esclusiva il bene comune non è, tenuto a corrispondere alcunché al comproprietario pro indiviso che rimanga inerte e/o, a maggior ragione se, abbia consentito, in modo certo ed inequivoco, detto uso esclusivo. Piuttosto, l’occupante del bene (il comproprietario che gode in modo esclusivo) è tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili traibili dal godimento indiretto dell’immobile solo se il comproprietario abbia manifestato l’intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e non gli è stato consentito, per la ragione assorbente di non aver potuto godere al pari degli altri del bene comune.

Tribunale Rovigo, 21/07/2008

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SUCCESSIONE › Testamento

Pare condivisibile la giurisprudenza di legittimità secondo cui, nell’interpretazione di un testamento, occorre individuare l’intenzione del de cuius considerando congiuntamente l’elemento letterale e quello logico, fermo restando il “primario criterio ermeneutico della letteralità”.

 

Tribunale Rovigo, Sentenza, 02/07/2020

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In tema di successioni, la reintegrazione della quota di legittima, conseguente all’esercizio dell’azione di riduzione, deve essere effettuata con beni in natura, salvi i casi eccezionalmente previsti per il caso della riduzione dei legati e delle donazioni aventi a oggetto beni immobili. In quest’ultima ipotesi, infatti, si deve anzitutto verificare se si possa procedere a un frazionamento materiale dell’immobile oggetto di donazione o di legato, al fine di ricavare una porzione idonea a soddisfare la quota di legittima; in mancanza, qualora il legatario o il donatario abbiano nell’immobile una eccedenza maggiore del quarto della porzione disponibile, l’immobile si deve lasciare per intero nell’eredità, salvo il diritto del legatario o del donatario di conseguire il valore della porzione disponibile; qualora il legatario o il donatario abbiano nell’immobile una eccedenza inferiore al quarto, il legatario o il donatario possono ritenere tutto l’immobile compensando in danaro i legittimari.

Tribunale Rovigo, Sentenza, 27/02/2020

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Ai sensi della normativa di cui all’ art. 1102 c.c., l’uso diretto del bene comune da parte di un comproprietario, deve intendersi come l’attuazione del diritto dominicale, salvo l’obbligo di questi di non alterare la destinazione economica del bene e di non impedire agli altri condividenti l’eguale e diretto uso ovvero di trarre dal bene i frutti civili. Sicché, il semplice godimento esclusivo del bene ad opera di uno dei comproprietari, in via di principio, non assume l’idoneità a produrre un qualche pregiudizio in danno degli altri comproprietari, e, ancor meno, in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo. Con la conseguenza, che colui che utilizza in via esclusiva il bene comune non è, tenuto a corrispondere alcunché al comproprietario pro indiviso che rimanga inerte e/o, a maggior ragione se, abbia consentito, in modo certo ed inequivoco, detto uso esclusivo. Piuttosto, l’occupante del bene (il comproprietario che gode in modo esclusivo) è tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili traibili dal godimento indiretto dell’immobile solo se il comproprietario abbia manifestato l’intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e non gli è stato consentito, per la ragione assorbente di non aver potuto godere al pari degli altri del bene comune.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROVIGO

SEZIONE CIVILE

composto dai magistrati:

dr.ssa Pierangela Congiu – Presidente est.

  1. Pier Francesco Bazzega – Giudice

dr.ssa Federica Abiuso – Giudice

ha pronunciato la presente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1875/2017 promossa da:

G.R. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. MANFRINI MICHELE, elettivamente domiciliato in Adria, Corso Vittorio Emanuele II n.99, presso lo studio dell’Avv. Luca Azzano Cantarutti;

E.R. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. MANFRINI MICHELE, elettivamente domiciliato in Adria, Corso Vittorio Emanuele II n.99, presso lo studio dell’Avv. Luca Azzano Cantarutti;

R.R. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. MANFRINI MICHELE, elettivamente domiciliato in Adria, Corso Vittorio Emanuele II n.99, presso lo studio dell’Avv. Luca Azzano Cantarutti;

ATTORI

contro

G.R. (C.F.(…)), con il patrocinio dell’avv. CERUTI GIANLUIGI, elettivamente domiciliato in VIA ALL’ARA N.8 ROVIGO presso il difensore avv. CERUTI GIANLUIGI;

L.R. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. CERUTI GIANLUIGI, elettivamente domiciliato in VIA ALL’ARA N.8 ROVIGO presso il difensore avv. CERUTI GIANLUIGI;

E.R. (C.F. (…)), CONTUMACE;

C.R. (C.F. (…)), CONTUMACE;

L.R. (C.F. (…)), CONTUMACE;

CONVENUTI

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Premesso che

Con atto di citazione ritualmente notificato alle convenute R.G. e R.L., sorelle del de cuius D.R., e a R.E., R.C. e R.L., figlie di R.L., fratello premorto del de cuius, gli attori E.R., G.R. e R.R., figli di R.G., fratello premorto del de cuius, esponevano e deducevano che:

– in data 18.2.2017 mancava ai vivi il signor D.R. nato a S. B. (R.) il (…) (doc.1 parte attrice), fratello del padre premorto degli attori, R.G.;

– D.R. non aveva né moglie né figli ed aveva disposto delle proprie sostanze a mezzo testamento olografo, redatto in data 14.10.2012 (doc.2 parte attrice), nominando propri eredi universali i nipoti ed odierni attori, R.G., E. e R.;

– il predetto testamento veniva pubblicato per atto del Notaio S.D. di R., in data (…) di Rep. (…), registrato a R. il (…), contenente dichiarazione di accettazione dell’eredità (doc.3); l’atto veniva trascritto in data 14.3.2017;

– gli attori venivano successivamente a conoscenza che le zie (sorelle del de cuius), signore R.G., nata a S. B. (R.) il (…) e R.L. (detta G.), nata a S. B. (R.), il (…), erano in possesso di una scheda testamentaria, apparentemente riconducibile allo zio D., portante la data del 28.11.2014 (doc.4), nonché di una dichiarazione di revoca delle precedenti disposizioni testamentarie, datata 23.11.2014 (doc.5); atti che le stesse pubblicavano, per atto del Notaio E.G.B. di R. del (…) di Rep.(…), registrato a Rovigo in data 3.4.2017 (doc. 6);

– il de cuius all’epoca della presunta redazione dei suddetti atti ( scheda testamentaria del 28.11.2014 e revoca del 23.11.2014) era sicuramente incapace di intendere e di volere a causa delle patologie invalidanti che lo affliggevano;

– ciò emergeva dalla documentazione sanitaria allegata all’atto introduttivo ed, in particolare, dall’ultimo Responso specialistico del 18.11.2014 del Centro per il Decadimento Cognitivo (doc.17), ove veniva riscontrata nel sig. D.R. una demenza di Alzheimer di grado medio elevato con associata componente vascolare e si suggeriva la necessità di un’assistenza continua;

– la revoca delle precedenti disposizioni testamentarie vergata dal R.D. il 23.11.2014, in ogni caso, era invalida o inefficacia, posto che, per espressa disposizione dell’art. 680 c.c., la revocazione può essere effettuata solo con un nuovo testamento o con un atto ricevuto da Notaio alla presenza di due testimoni in cui il testatore personalmente manifesti la propria volontà di revocare, in tutto o in parte, la disposizione anteriore e che nel caso in esame, invece, la revoca era intervenuta attraverso una scrittura del testatore che non risultava essere inserita in una nuova scheda testamentaria;

– pertanto, gli attori avevano interesse ad impugnare il cennato testamento e la revoca delle precedenti disposizioni testamentarie rilasciate dal de cuius in data 14 ottobre 2012.

Su tali presupposti, parte attrice adiva il Tribunale per ottenere l’accoglimento delle seguenti conclusioni:

” ACCERTARE che R.D. al momento della redazione della scheda testamentaria 28.11.14 e della dichiarazione di revoca del 23.11.2014, alle quali è stata data pubblicazione con atto del Notaio E.G.B. di R. del (…) di Rep. (…), era affetto da incapacità di intendere e di volere e, per l’effetto,

DICHIARARE in applicazione di quanto disposto dall’art. 591 comma 2 n.3 c.c., l’annullamento e/o comunque l’inefficacia del testamento 28.11.2014 e della dichiarazione di revoca del 23.11.2014, quest’ultima anche per il mancato rispetto delle forme previste dall’art. 680 c.c.”.

Con comparsa di costituzione e risposta del 30.10.2017 si costituivano in giudizio le convenute G.R. e L.R., sorelle del de cuius, eccependo la mancata dimostrazione da parte degli attori del fatto che il sig. D.R. all’epoca della redazione delle schede testamentarie per cui è causa fosse privo in modo assoluto della capacità di determinarsi coscientemente e liberamente e rilevando che, contrariamente a quanto sostenuto da parte attrice, dalla documentazione in atti, risultava che all’epoca della redazione degli atti impugnati dalla controparte D.R. si trovava nelle piene facoltà mentali, per cui aveva espresso consapevolmente la propria volontà testamentaria.

Concludevano per il rigetto delle domande attoree in quanto infondate in fatto ed in diritto.

Le altre convenute (R.E., R.C. e R.L.) non si costituivano e venivano dichiarate contumaci.

La causa veniva istruita con produzione documentale.

Rilevato che

Preliminarmente si rigettano le istanze istruttorie formulate da parte attrice per le stesse ragioni indicate nell’ordinanza emessa in data 15 aprile 2019, il cui contenuto integralmente si richiama. In particolare, i capitoli di prova indicati da parte attrice nella memoria ex art. 183, comma 6, n.2, c.p.c. si reputano inammissibili poiché genericamente formulati (capitoli di prova n.ri 1,3,4,6,8), in quanto non collocati sotto il profilo cronologico, mentre gli ulteriori capitoli di prova (n.ri 2,5,7,9) si reputano irrilevanti ai fini della decisione. Infatti, le prove orali articolate dagli attori non hanno ad oggetto la capacità di intendere e di volere, nonché la capacità di autodeterminarsi del testatore D.R. con specifico riguardo al momento temporale nel quale sono state redatte la schede testamentarie di cui si tratta.

La causa è stata adeguatamente istruita e si reputa matura per la decisione.

La domanda attorea è rimasta sfornita di prova, per cui va necessariamente respinta.

È insegnamento costante della Suprema Corte che l’annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore postula l’esistenza, non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova – a carico di chi agisce – che, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, il soggetto fosse privo, in modo assoluto, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, a cagione di una infermità transitoria o permanente ovvero di altra causa perturbatrice (cfr. Cass. Civ., II, 15 aprile 2010, N. 9081Cass. Civ., II, 18 aprile 2005, N. 8079Cass. Civ., II, 30.1.2003, N. 1444Cass. Civ., II, 10.7.1986, N. 4499).

Dal momento che lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a colui che impugna dimostrare l’incapacità assoluta del de cuius al momento della redazione del testamento, salvo che il testatore risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso è compito di chi vuole avvalersi del testamento dimostrare che esso fu redatto in un momento di lucido intervallo (cfr. Cass. Civ., II, 29.10.2008, N. 26002).

Nel caso di specie, l’onere probatorio gravava sicuramente sulla parte attrice, poiché, come si dirà in seguito, non vi è un’incapacità permanente, oltre che totale, del testatore.

Spettava, dunque, all’istante provare che, al momento della redazione del testamento, il de cuius versava in uno stato di incapacità naturale assoluta.

Tuttavia, l’onus probandi non è stato assolto.

Innanzitutto, la prova dell’incapacità assoluta del testatore non è nella documentazione medica versata in atti, che dà, solo, conto di un’affezione da decadimento neurocognitivo riconducibile al morbo di Alzheimer con associata componente cerebrovascolare a partire dall’anno 2012, con un episodio di ictus cerebrale ischemico nell’agosto 2014.

La patologia da cui era affetto il de cuius, tuttavia, non implica, tout court, incapacità naturale assoluta.

Tanto è vero che, a proposito delle condizioni del testatore al momento della manifestazione della volontà testamentaria, dalla documentazione sanitaria prodotta da parte attrice emerge che il de cuius nel 2014 presentava uno stato di demenza con compromissione delle performances cognitive ed intellettive di grado moderato severo, con ridotta capacità di giudizio e ragionamento, disorientamento spazio temporale e quindi non nel pieno delle proprie facoltà mentali di intendere e di volere.

È evidente che altro è non esser nel pieno delle proprie facoltà mentali, altro è l’incapacità naturale assoluta, che, sola, può giustificare l’annullamento del negozio di ultima volontà.

Dunque, la documentazione medica allegata al fascicolo attoreo non depone per la fondatezza della domanda attorea, tanto più che le conclusioni del consulente di parte poggiano su deduzioni e valutazioni che non trovano in atti riscontri oggettivi e che risultano smentite dalla documentazione medica prodotta dalla stessa parte attrice, relativa al periodo più prossimo alle dichiarazioni testamentarie di cui si discute.

In particolare, si richiama la cartella clinica rilasciata dall’Ospedale di Trecenta a seguito del ricovero di D.R. nel mese di agosto 2014, dove viene diagnosticata la patologia dell’Alzheimer dalla quale era affetto il de cuis ,da cui risulta che il degente si trovava in uno stato mentale “lucido”e in uno stato di coscienza “vigile” (doc. 14 parte attrice). Risulta, infatti, che durante il periodo di ricovero dell’agosto 2014, in cui il de cuius si trovava nella fase acuta di un ictus cerebrale (poi regredito), lo stato di coscienza fu sempre descritto vigile nei resoconti infermieristici e nel referto della visita neurologica e lo stato mentale lucido nelle scale di Norton del 2 agosto, del 10 agosto e del 14 agosto. Lo stesso quadro relativo ad una persona vigile, parzialmente orientata e collaborante risulta registrato dal medico di Guardia medica dell’Ulss 18 in occasione della sua visita domiciliare del 15/9/2014 (doc. 16 parte attrice).

Ancora, il responso medico del 18 novembre 2014 (doc. 17 parte attrice ) attesta un miglioramento del quadro psicologico delle performance mentali rispetto al precedente controllo eseguito il 27 febbraio 2014 (vedi doc. 11 parte attrice). Invero i dati clinici del test del MMSE – che erano di 10.7/30 nel mese di febbraio, sono stati stimati in 14.4/30.

Emerge insomma che, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte attrice, proprio nel periodo più vicino a quello in cui sono state redatte le schede testamentarie impugnate, il disturbo da decadimento neurocognitivo di cui era affetto D.R. era nella fase di minore gravità.

Inoltre, depongono a favore della capacità di intendere e di volere da parte del sig. D.R. le operazioni poste in essere dallo stesso presso l’ufficio postale di Lendinara nel gennaio 2015 (“Richiesta emissione di Vaglia Postale Circolare” e stipula di una polizza assicurativa con Crédit Agricol Vita denominata “Tariffa n. 245 – Assicurazione vita intera a premio unico e premi integrativi con rivalutazione annuale del capitale assicurato” – vedi docc. 8 e 9 convenute), ovvero circa un mese e mezzo dopo la redazione degli atti impugnati, la cui esistenza e congruità, sotto il profilo della bontà, misura e vantaggiosità, non sono mai state contestate dalla parte attrice.

Né vi sono elementi da cui desumere una gestione non oculata del patrimonio da parte de cuius all’epoca della redazione delle schede testamentarie del novembre 2014 o del fatto che i suoi familiari ed, in particolare, gli attori non avessero fiducia nelle sue capacità di gestione, come emerge anche dalla mancata attivazione da parte degli stessi di alcuna misura di protezione in considerazione delle condizioni psicofisiche in cui versava il sig. D.R..

Per completezza, mette conto rilevare che, ai fini dell’accertamento sulla sussistenza o meno della capacità di intendere e di volere del de cuius, il giudice del merito non può ignorare il contenuto del testamento e gli elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serietà, normalità e coerenza delle relative disposizioni, nonché ai sentimenti ed ai fini che risultano averle ispirate (cfr. Cass. Civ., II, 5.1.2011, N. 230).

Nel caso in esame, il de cuius ha manifestato la propria volontà testamentaria senza incorrere in contraddittorietà né in illogicità.

Egli ha espresso la propria volontà in termini coerenti – quantomeno sul piano logico -, nominando ed istituendo eredi universali di tutti i suoi beni tutti i suoi fratelli (e sorelle).

Né si reputa decisiva ai fini della rigorosa prova dell’assoluta incapacità del testatore la circostanza relativa all’ avvenuta nomina, quali propri eredi, dei fratelli G. e L. già deceduti da diversi anni, da cui, invece, si ricava la precisa volontà del de cuius di lasciare i propri beni a quella parte della famiglia costituita dai primi parenti in linea collaterale, ovvero a tutti i suoi fratelli e sorelle. Da tale disposizione, insomma, emerge l’intenzione del testatore di ricordare i suoi fratelli come parte di quel ramo della famiglia (gli stretti collaterali), a cui ha inteso lasciare i propri beni, compiendo in tal modo la precisa scelta di estendere la platea dei suoi eredi rispetto a quanto fatto con il primo testamento dell’ottobre 2012. Con tale atto infatti, il de cuius aveva nominato come suoi eredi universali solo i figli del fratello premorto G.R. (odierni attori); mentre con il successivo testamento del novembre 2014 ha deciso di lasciare i suoi beni anche a tutti gli altri suoi fratelli e sorelle e, quindi, ai loro rispettivi discendenti.

Ancora, infondata si reputa la contestazione di parte attrice circa l’asserita invalidità ed inefficacia, ai sensi dell’art. 680 c.c., della dichiarazione di revoca datata 23.11.2014 (doc. 5 parte attrice) delle precedenti disposizioni testamentarie vergate di pugno dal defunto D.R., con la quale lo stesso testatore, tra l’altro, ha scritto espressamente: “Revoco ogni mio precedente testamento”.

Infatti, come correttamente rilevato dalla difesa delle convenute costituite, la revoca espressa dell’atto di ultima volontà può essere valida ed efficace, ai sensi dell’art. 680 c.c., non solo con un atto ricevuto da notaio alla presenza di due testimoni, ma anche con una dichiarazione di volontà unilaterale e non recettizia diretta a togliere efficacia a disposizioni testamentarie del revocante con la quale lo stesso de cuius, nel testamento posteriore, ha usato la seguente espressione: “revoco ogni mia precedente disposizione testamentaria” (vedi Cass. civ., sez. II, 9.10.2013, n. 22983Cass. civ., sez. II, 20.03.1986 n.1964).

L’interpretazione letterale della norma, che parla di nuovo testamento senza alcuna ulteriore indicazione, induce a ritenere che la revoca possa essere contenuta indifferentemente in un testamento olografo, pubblico o segreto o, anche, in un testamento speciale, purché siano presenti le particolari circostanze che lo giustificano (artt. 609 ss. c.c.). Deve, peraltro, trattarsi di un testamento posteriore, non potendosi ritenere capace di produrre l’effetto di revoca un testamento avente pari data, nei quali l’eventuale inconciliabilità delle disposizioni conduce all’elisione reciproca.

È stato , tuttavia, precisato come sia sufficiente che il nuovo testamento sia composto dalla sola clausola revocatoria, poiché la norma richiede esclusivamente che la revoca espressa sia contenuta in un atto a forma testamentaria. Si deve ammettere, infatti, la piena efficacia della sola clausola revocatoria in nome del principio della piena libertà di revoca, precisandosi peraltro la necessità di valutare se la clausola stessa risponda effettivamente all’intento revocatorio del testatore.

Va, peraltro, rilevato come diverse siano le conseguenze a seconda che il nuovo testamento revochi in tutto o in parte le disposizioni anteriori: nel primo caso, si avrà l’apertura della successione legittima; nel secondo, il testamento anteriore manterrà la sua piena efficacia rispetto alle disposizioni non revocate.

Nello stesso senso è orientata la giurisprudenza che, nell’indicare la possibile forma della revoca espressa, precisa che essa può essere manifestata con un testamento posteriore, anche privo di ulteriori disposizioni patrimoniali ( Cass., sent. 1964/1986). La revoca può effettuarsi con un nuovo testamento, mediante una dichiarazione di volontà unilaterale e non recettizia, diretta a togliere, in tutto o in parte, efficacia giuridica a precedenti disposizioni testamentarie dello stesso revocante; ne consegue che, a tal fine, non può essere considerata come una formula di stile l’espressione “revoco ogni mia precedente disposizione testamentaria” contenuta nel testamento posteriore (Cass., sent. 22983/2013).

Nel caso in esame, il de cuius , prima, con la dichiarazione del 23 novembre 2014 ha revocato il precedente testamento olografo che aveva inizialmente disposto a favore degli attori e, successivamente, ha redatto nuovo testamento in data 28 novembre 2014, nominando come eredi le sorelle G. e G. e i fratelli G. e L..

Non vi sono quindi ragioni per ritenere invalida la scheda testamentaria del 23 novembre 2014 contenente la sola clausola revocatoria delle precedenti disposizioni di ultima volontà ( 14 ottobre 2012).

Le risultanze sin qui esaminate depongono, chiaramente, per l’infondatezza e, quindi, per la reiezione della domanda attorea.

Di conseguenza, alla luce di tutte le considerazioni che precedono, va respinta la domanda attorea.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri stabiliti nel D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore indeterminato della causa, della sua natura e complessità.

Nei confronti delle convenute non costituite (R.E., R.C. e R.L.) vanno dichiarate irripetibili le spese di lite anticipate dall’attrice.

P.Q.M.

Il Tribunale di Rovigo, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione respinta:

– respinge le domande attoree;

– condanna E.R., G.R. e R.R., in solido tra loro, a pagare in favore di R.G. e R.L. le spese di lite che liquida in Euro 13.430,00 per compenso, oltre il 15% del compenso per spese forfettarie, C.P.A. e I.V.A., ed Euro 102,26 per spese documentate;

– dichiara irripetibili le spese di lite anticipate dall’attrice nei confronti delle convenute non costituite.

Conclusione

Così deciso in Rovigo nella camera di consiglio del 29 giugno 2021.

Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2021.

 

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