DANNO ESTETICO CATASTROFICO GRAVISSIMO COSA FARE? BOLOGNA VICENZA

DANNO ESTETICO CATASTROFICO GRAVISSIMO COSA FARE? BOLOGNA VICENZA

Quando ad un intervento di chirurgia estetica segua un inestetismo più grave di quello che si mirava ad eliminare o attenuare, la responsabilità del medico per il danno derivatone è conseguente all’accertamento che il paziente non sia stato adeguatamente informato di tale possibile esito, ancorché l’intervento risulti correttamente eseguito. Infatti, con la chirurgia estetica, il paziente insegue un risultato non declinabile in termini di tutela della salute, ciò che fa presumere come il consenso all’intervento non sarebbe stato prestato se egli fosse stato compiutamente informato dei relativi rischi, senza che sia necessario accertare quali

CHIAMA CHIEDI UN APPUNTAMENTO 051 6447838

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

DECIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Damiano Spera

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 7440/2018 promossa da:

  1. S.P.A. (C.F. (…)), rappresentata e difesa dall’avvocato PASETTO LEONARDO,

ATTRICE

contro

  1. – U.C.I. (C.F. (…)), rappresentato e difeso dall’avvocato MARTINI FILIPPO

A.A.Z., CONTUMACE

CONVENUTI

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. Con ricorso ex art. 702-bisc.p.c. ritualmente proposto, la G. S.p.a. formulava azione di rivalsa ex art. 1916c.c. nei confronti di A.A.Z. e dell’U.C.I., per sentire condannare quest’ultimo al rimborso della somma di Euro 801.248,00, oltre interessi e rivalutazione, complessivamente liquidata in relazione al sinistro stradale avvenuto il 29 agosto 2013 in località P. (U.).

Il Giudice fissava udienza di comparizione delle parti ed il ricorso, unitamente al decreto di fissazione udienza, veniva ritualmente notificato dalla ricorrente ad entrambi i resistenti.

Si costituiva in giudizio l’U., domandando la conversione del rito sommario in rito ordinario e concludendo per l’integrale rigetto delle pretese della ricorrente.

All’udienza del 5 luglio 2018, il Giudice disponeva la conversione del rito e concedeva quindi i termini ex art. 183, VI comma, c.p.c.

Alla successiva udienza, il Giudice, verificata la ritualità della notifica al convenuto Z., ne dichiarava la contumacia. Invitava altresì le parti e conciliare la lite e le autorizzava a depositare brevi note esplicative in merito alle voci di danno condivise o controverse.

Rimasto infruttuoso il tentativo di conciliazione, il Giudice disponeva CTU medico-legale sulla danneggiata del sinistro, sig.ra F.F., nominando come CTU il dott. Roberto Rossetti.

Quindi, all’udienza del 12 febbraio 2020, il Giudice formulava una proposta conciliativa alle parti, così come risulta dal verbale di causa.

All’udienza dell’8 ottobre 2020, atteso che la proposta del Giudice non era stata accettata dalle parti, le stesse precisavano le conclusioni come da fogli già depositati in via telematica.

Il Giudice concedeva i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, e tratteneva quindi la causa in decisione alla scadenza dell’ultimo termine.

  1. La compagnia attrice agisce in giudizio a titolo di rivalsa nei confronti di U. e del sig. Z., per vedersi rimborsate le somme corrisposte a vario titolo a seguito del sinistro occorso il 29 agosto 2013 in località P. (U.).

In quelle circostanze di tempo e di luogo, la sig.ra F.F. viaggiava come terza trasportata a bordo del veicolo Nissan (tg. (…)), di proprietà e condotto dal sig. M.F. ed assicurato con G. S.p.a. Detto veicolo veniva travolto dall’autoarticolato Volvo (Tg. (…)), di proprietà del sig. Z., condotto dal sig. S.K.G. ed assicurato presso una Compagnia polacca.

A seguito del sinistro, la sig.ra F. subiva gravi lesioni.

G., compagnia assicuratrice del veicolo su cui era trasportata la sig.ra F., la risarciva della somma di Euro 720.000,00 a titolo di danno non patrimoniale e spese mediche. La Compagnia liquidava altresì l’importo di Euro 10.000,00 a titolo di danno patrimoniale, nonché la somma di Euro 71.248,00 per i costi dell’assistenza stragiudiziale fornita dalla società G. S.r.l.

In questa sede, l’attrice agisce a titolo di rivalsa, ex art. 141, IV comma, C.d.A., nei confronti della compagnia di assicurazione del responsabile civile, ritenendo che il sinistro sia imputabile esclusivamente all’autoarticolato Volvo.

  1. Con riferimento all’an debeatur, si osserva quanto segue.

La dinamica dell’incidente è stata ricostruita sulla base delle dichiarazioni dei testimoni e dei rilievi effettuati sul luogo dell’incidente, circostanze che si apprendono dal Rapporto di incidente stradale prodotto dall’attrice sub doc. (…).

Il sinistro è avvenuto lungo l’autostrada Trieste-Venezia, quando il conducente dell’autoarticolato Volvo, che procedeva con direzione Trieste, perdeva il controllo del proprio mezzo, tanto da oltrepassare il guard-rail che separa le due direzioni di percorrenza e da invadere l’opposta corsia di marcia, travolgendo l’auto su cui era trasportata la sig.ra F., che viaggiava con direzione Venezia.

Il conducente del veicolo Volvo, sig. G., sentito a sommarie informazioni dalla Polizia Stradale di Palmanova, così dichiarava: “ad un certo punto scoppiava la ruota anteriore sx del trattore stradale ed il mezzo deviava a sx, ribaltandosi” (pag. 4 del Verbale di incidente).

La circostanza è stata confermata anche dal sig. G.D.S., che al momento del sinistro si trovava a bordo del proprio veicolo e si accingeva a sorpassare il mezzo Volvo: “sentivo un forte scoppio provenire da uno dei pneumatici di sinistra del predetto veicolo. Vedevo inoltre staccarsi il battistrada del pneumatico. Allora frenavo per evitare sia il battistrada che il camion. Questo deviava verso sinistra repentinamente si ribaltava sul fianco destro e abbatteva il guard-rail centrale” (pag. 22 del Verbale di incidente).

Del resto, risulta pacifico tra le parti che il sinistro sia avvenuto a causa dello scoppio dello pneumatico di cui si è detto. L’U., infatti, qualifica tale fattispecie come “caso fortuito”, ragione per cui eccepisce che l’autoarticolato Volvo venga considerato esente da responsabilità.

Questo Giudice ritiene che la tesi sostenuta da U. sia infondata.

La fattispecie di cui è causa rientra nell’ambito del IV comma dell’art. 2054 c.c., che prevede espressamente come non possano costituire esimenti di responsabilità eventuali vizi di costruzione o manutenzione del veicolo che abbia causato l’incidente. Ed infatti, viene configurata un’ipotesi di responsabilità oggettiva, escludendo precisamente che detti vizi, in astratto anche imputabili a terzi (si pensi al vizio di costruzione), possano escludere la responsabilità del veicolo viziato nei confronti del danneggiato.

A nulla, dunque, rilevano le considerazioni in merito alla manutenzione dello pneumatico che ha causato l’incidente, svolte in relazione all’accertamento tecnico effettuato in data 04/09/2013 dagli Ufficiali di Polizia Giudiziaria con l’ausilio del sig. Bidot Rinaldo, di professione gommista (pag. 7 della Relazione di incidente).

Per consolidata giurisprudenza, infatti, l’avaria che colpisca – anche incolpevolmente – il veicolo, e quindi causi danni a sé o a terzi, non può, per ciò solo, mandare esente da responsabilità il proprietario del veicolo. Perché abbia efficacia tale esimente si richiede un elemento ulteriore ed estraneo, che vada ad inserirsi e ad interrompere il nesso causale tra avaria e danno cagionato: “In virtù del disposto dell’art. 2054, ultimo comma, cod. civ., il proprietario o il conducente dell’auto è responsabile dei danni derivanti da vizi di manutenzione o di costruzione dell’autoveicolo, indipendentemente da un suo comportamento colpevole; tuttavia, pur avendo questa responsabilità natura oggettiva, il nesso causale tra il guasto e la responsabilità del danno può essere interrotto se interviene un fattore esterno che, con propria autonoma ed esclusiva efficienza causale, determina il verificarsi del danno, nel qual caso unico responsabile di esso sarà il soggetto cui va ascritta la responsabilità in ordine al fattore sopraggiunto. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la corte di merito abbia fatto corretta applicazione di tale principio, in caso in cui a carico di un veicolo si era verificata un’avaria, ed esso era stato tamponato non a causa dell’avaria, ma per il comportamento imprudente del conducente del veicolo che sopraggiungeva)” (Cass. civ., sez. III, sentenza n. 4754/2004).

È di tutta evidenza che possa applicarsi al caso di specie il principio di diritto enunciato: trattasi di vizio di costruzione e/o manutenzione dello pneumatico sinistro, e sussiste quindi la responsabilità oggettiva ex art. 2054, IV comma, c.c.

A diversa conclusione si sarebbe pervenuti nell’ipotesi di prova di un effettivo “caso fortuito”, e cioè di un fattore esterno che, con propria autonoma ed esclusiva efficienza causale, avesse cagionato l’evento (si pensi agli esempi di scuola del fulmine o della macchia d’olio sulla carreggiata).

Per queste ragioni, il Tribunale ritiene che la responsabilità dell’incidente di cui è causa sia da attribuire in via esclusiva al sig. G., conducente dell’autoarticolato Volvo.

Alla luce di quanto esposto, devono essere rigettate le istanze istruttorie reiterate dal convenuto U., perché relative a circostanze irrilevanti ai fini del decidere.

  1. Con riferimento al quantum debeatur, si osserva quanto segue.

    malasanita-ospedali-avvocato-esperto-Bologna-
    avvocato malasanita’ Bologna

L’attrice agisce in giudizio per ottenere il rimborso di quanto erogato in conseguenza del sinistro di cui è causa, e precisamente:

– Euro 720.000,00 in favore della sig.ra F., a titolo di danno non patrimoniale e spese mediche (docc. 10-11 fascicolo di parte attrice). Detto importo veniva versato in due tranche: Euro 530.000,00 in data 16/09/2015 ed Euro 190.000,00 in data 29/01/2016;

– Euro 10.000,00, in data 29/01/2016, in favore della società M. S.n.c., di cui la sig.ra F. è socia, a titolo di danno patrimoniale, per non aver potuto beneficiare dell’attività lavorativa di artigiana della sig.ra F., nel periodo di convalescenza (doc. 13);

– Euro 71.248,00, in data 01/02/2016, in favore della società G. S.r.l., che aveva assistito la sig.ra F. nella gestione del sinistro in via stragiudiziale (doc. 16).

La domanda dell’attrice, quindi, ammonta a complessivi Euro 801.248,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

4.1. In merito alla liquidazione del danno biologico si osserva quanto segue.

G., sulla base delle perizie di parte F. (docc. 25-26) e della propria perizia di parte (doc. 27), che così avevano previsto:

– I.P. al 63%;

– I.T.P. al 100% per 150 giorni (punto valore Euro 130,00 pro die);

– I.T.P. al 75% per 300 giorni (punto valore Euro 130,00 pro die);

– Personalizzazione al 25% sul danno biologico permanente,

applicando le Tabelle di Milano – ed. 2014 e considerando l’età della danneggiata al momento del sinistro (49 anni), aveva liquidato Euro 696.908,00 per danno biologico, oltre Euro 13.190,00 per spese mediche documentate, oltre interessi e rivalutazione (si veda pag. 4 della memoria autorizzata di parte attrice).

Parte convenuta contesta anzitutto la liquidazione del danno biologico.

Ed invero, la CTU disposta da questo Giudice ed effettuata dal dott. Roberto Rossetti, svolta nel contraddittorio delle parti, ha così individuato:

– I.P. al 55%;

– I.T.P. al 100% per 120 giorni;

– I.T.P. al 75% per 200 giorni,

oltre ad “una prestazione lavorativa in usura sia riguardo a quella svolta attualmente dalla paziente sia in altre ad essa confacenti, ed alla circostanza per cui “sono fortemente limitate le attività ludico-sportive svolte ante sinistro stradale (ballo latino americano a livello amatoriale, sport subacquei)”.

Questo giudice ritiene di condividere le risultanze della espletata CTU.

Ai fini del risarcimento, il danno biologico deve essere considerato in relazione all’integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita; non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva, e a ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana (così la Corte Cost. n. 356 del 1991; v. altresì Corte Cost. n. 184 del 1986).

Inoltre, la Cassazione a Sez. Unite (sentenza n. 26972-3-4-5/2008, c.d. “sentenze di San Martino”) ha ritenuto che, nell’ambito del danno non patrimoniale, il riferimento a determinati tipi di pregiudizi, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. È compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione. Il giudice anziché procedere alla separata liquidazione del danno morale in termini di una percentuale del danno biologico (procedimento che determina una duplicazione di danno), deve procedere ad un’adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.

Va ulteriormente precisato che, come recentemente statuito dalla Suprema Corte (cfr. Cass., ord. n. 7513/2018), il danno biologico consiste in una ordinaria compromissione delle attività quotidiane (gli aspetti dinamico relazionali).

Il danno alla salute, quindi, non comprende i pregiudizi dinamico relazionali ma è esattamente il danno dinamico relazionale.

Consegue che il danno alla vita di relazione è risarcibile oltre la misura liquidata in base ai punti percentuali accertati in sede medico legale, qualora si sia concretato non già in conseguenze comuni a tutti i soggetti che patiscano quel tipo di invalidità, ma in conseguenze peculiari del caso concreto che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto a casi consimili; qualora, quindi, consista in una conseguenza straordinaria, non avente base organica e quindi estranea alla determinazione medico legale.

Tuttavia, tale danno è risarcibile in quanto sia specificamente allegato e provato dall’attore.

Alla luce di tali principi, l’Osservatorio di Milano nel 2009 ha elaborato nuovi Criteri Orientativi (tuttora vigenti) che prevedono la liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente a “lesione permanente dell’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale”, sia nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali medi ovvero peculiare e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di “dolore”, “sofferenza soggettiva”, in via di presunzione in riferimento ad un dato tipo di lesione.

Accanto a una tabella di valori monetari “medi”, corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini “standardizzabili” in quanto frequentemente ricorrenti (sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva), viene individuata una percentuale di aumento di tali valori “medi” da utilizzarsi – onde consentire un’adeguata “personalizzazione” complessiva della liquidazione – laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato sia quanto agli

aspetti anatomo-funzionali e relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva, ferma restando, ovviamente, la possibilità che il giudice moduli la liquidazione oltre i valori minimi e massimi, in relazione a fattispecie eccezionali rispetto alla casistica comune degli illeciti.

Con riguardo al quantum, la Cassazione ha statuito che, nella liquidazione del danno biologico, quando, come nella fattispecie concreta, manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale – e al quale la S.C., in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono. L’applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell’applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in quanto la questione sia stata già posta nel giudizio di merito (Cass., sent. n. 12408/2011).

Ebbene, nella fattispecie concreta, la componente del danno non patrimoniale relativa alla sofferenza interiore appare congruamente compensata nei termini standard con i valori medi, riconosciuti in via presuntiva nella tabella milanese.

In definitiva, tenuto conto delle accertate invalidità, dell’età (anni 49), del sesso e delle condizioni di vita della danneggiata delle allegazioni di parte e delle risultanze probatorie, dei menzionati criteri tabellari adottati da questo Tribunale per la liquidazione del danno biologico e da sofferenza soggettiva, stimasi equo liquidare con le modalità che seguono il complessivo risarcimento del danno non patrimoniale da lesione permanente al diritto alla salute.

In particolare, in relazione alla liquidazione del danno biologico da inabilità temporanea, si ritiene equo attribuire il valore monetario medio di Euro 100,00 per ogni giorno di inabilità assoluta, non ravvisandosi nel caso di specie peculiarità che ne giustifichino un aumento personalizzato.

Altresì, si considera equo un aumento nella misura del 15% da applicarsi al danno da invalidità permanente, considerando l’usura lavorativa e le limitazioni alla vita di relazione ed alle attività ludico-sportive subiti dalla danneggiata e riconosciute dal C.T.U.

Appare quindi equo così liquidare il danno non patrimoniale complessivamente subito in conseguenza della malattia e dell’invalidità permanente della sig.ra F. (49 anni al momento del sinistro), in applicazione delle Tabelle di Milano – ed. 2018:

– Euro 422.533,00 per il danno da invalidità permanente al 55%;

– Euro 12.000,00 per il danno da invalidità temporanea assoluta (120 giorni);

– Euro 15.000,00 per il danno da invalidità temporanea al 75% (200 giorni);

– Euro 63.380,00 per la personalizzazione nella misura del 15%;

così per un totale di Euro 512.913,00.

4.2. Con riguardo alle spese mediche si osserva quanto segue.

  1. ha liquidato alla sig.ra F. Euro 13.190,00 per spese mediche, di cui Euro 9.350,00 oltre imposte, in relazione ad un intervento di chirurgia esteticavolto ad attenuare le deturpazioni conseguenti al sinistro e circa Euro 2.000,00 in relazione a spese varie.

Il convenuto ha contestato dette voci di danno, poiché rimaste senza riscontro.

Questo Giudice ritiene che le somme liquidate a titolo di spese mediche non siano state provate in giudizio.

In particolare, in relazione alla somma relativa all’intervento chirurgico, atteso che agli atti risulta unicamente un preventivo (doc. 5 attrice), il CTU ha confermato che detto intervento non è mai stato effettuato, che è comunque ancora effettuabile, e che la cifra indicata risulta in linea con i livelli medi delle prestazioni sanitarie attuali. Tuttavia, il dott. Rossetti ha precisato che “a fronte di un miglioramento dell’aspetto estetico derivante da tale intervento, si deve convenire che i postumi permanenti del 55% sicuramente si ridurrebbero di almeno del 5%” (risposta del CTU alle note del CTP di parte attrice).

Si ritiene, quindi, che non possa rimborsarsi una somma relativa ad un intervento possibile ma non indispensabile, e comunque mai effettuato nemmeno a distanza di anni dalla liquidazione, sulla base di un mero preventivo, della somma necessaria da parte di G.. Tanto più che riconoscere alla danneggiata detta somma significherebbe ridimensionare conseguentemente il danno biologico permanente subito: le due liquidazioni, infatti, per espressa valutazione del CTU, di fatto sarebbero incompatibili e determinerebbero un ingiusto arricchimento della sig.ra F..

In relazione alla somma di circa Euro 2.000,00 a titolo di varie spese mediche, sebbene ritenute dal CTU “plausibili e confacenti alla vicenda clinica della paziente”, è stato dallo stesso rilevato che non vi sia prova di ricevute fiscali o fatture sanitarie.

Si ritiene, pertanto, che nemmeno di detto esborso sia stata fornita prova da parte di G., e che quindi non vi sia titolo per il rimborso da parte di U..

4.3. Con riguardo al danno patrimoniale da lucro cessante si osserva quanto segue.

  1. riferisce di aver versato la cifra di Euro 10.000,00 in favore della società M. S.n.c., di cui la danneggiata è socia e presso cui era impiegata come lavoratrice autonoma artigiana. Questo a parziale ristoro del danno subito dalla società per aver dovuto privarsi per oltre due anni dell’attività lavorativa della sig.ra F.. Precisa, inoltre, che detta somma è stata sottratta a quanto dovuto alla danneggiata a titolo di danno biologico, e, per espresso volere di quest’ultima, è stata devoluta direttamente all’azienda (doc. 21 attrice; memoria autorizzata di parte attrice, pagg. 5-6).

A parere di questo Giudice, anche il rimborso di tale voce di danno/spesa non può essere riconosciuto a G.. Ciò, innanzitutto, perché, come eccepito da parte convenuta, non risulta agli atti alcuna indicazione dei criteri liquidativi utilizzati; inoltre, come specificato da parte attrice nella propria memoria autorizzata, detta somma venne di fatto espunta da quanto dovuto alla sig.ra F. a titolo di danno biologico e venne liquidata direttamente alla società M. S.n.c.

Ne consegue che, ad ogni modo, la somma di Euro 10.000,00 era stata calcolata da G., inizialmente, come parte del danno biologico subito dalla danneggiata, sulla cui liquidazione questo Giudice si è già espresso, e solo per ragioni transattive era stata destinata a soggetto diverso dalla sig.ra F..

Pertanto, non può riconoscersi il rimborso di tale somma, dovendosi ritenere la stessa già compresa della somma complessiva da liquidare a titolo di danno biologico, che, si ripete, ammonta ad Euro 512.913,00.

4.4. Con riguardo alle spese per l’attività stragiudiziale si osserva quanto segue.

  1. ha riconosciuto, infine, la somma di Euro 71.248,00 in favore della società G. S.r.l., con riguardo alle spese sostenute per la gestione del sinistro in fase stragiudiziale (doc. 14 attrice).
  2. contesta questa somma, ritenendola sproporzionata al valore della controversia.

Il Tribunale ritiene che la cifra liquidata a G. S.r.l. non sia congrua, in considerazione del valore della controversia ma soprattutto in considerazione dell’attività svolta dalla società, che è stata unicamente di tipo stragiudiziale. Ed invero, come osservato da U., se già inizialmente la causa fosse stata trattata in giudizio, il compenso spettante a titolo di onorari, in linea con i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, sarebbe stato sensibilmente inferiore, segnatamente tra i 20.000,00 e i 25.000,00 Euro, oltre oneri.

Pertanto, si ritiene equo riconoscere a G. la somma rivalutata ad oggi, di Euro 22.000,00, oltre IVA.

  1. In definitiva, dalle statuizioni che precedono, deriva il parziale accoglimento delle domande proposte dall’attrice nei confronti dei convenuti.

Il credito dell’attrice va liquidato nella complessiva somma rivalutata ad oggi di Euro 512.913,00 a titolo di danno non patrimoniale e di Euro 22.000,00, oltre IVA, a titolo di spese stragiudiziali, per un totale di Euro 534.913,00, oltre IVA sulla somma di Euro 22.000,00.

Gli interessi compensativi – secondo l’ormai consolidato indirizzo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (v. sentenza n. 1712/1995) – decorrono dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione; per questo periodo, gli interessi compensativi si possono calcolare applicando un tasso annuo medio ponderato, equitativamente determinato, sul danno rivalutato.

Da oggi, giorno della liquidazione, all’effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma rivalutata.

Pertanto, alla luce di tale criterio di calcolo, il convenuto U. deve essere condannato al pagamento, in favore dell’attrice, della complessiva somma di Euro 534.913,00, oltre IVA sulla somma di Euro 22.000,00, liquidata in moneta attuale, oltre:

– interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato dell’ 0,2%, sulla somma di Euro 512.913,00 dalla data del 16/09/2015 ad oggi;

– interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato dell’ 0,2%, sulla somma di Euro 22.000,00, oltre IVA dalla data del 01/02/2016 ad oggi;

– interessi, al tasso legale, sulle predette somme di Euro 512.913,00 e di Euro 22.000,00, oltre IVA, dalla data della presente sentenza al saldo effettivo.

  1. Consegue alla soccombenza la condanna del convenuto U. a rifondere all’attrice le spese processuali.

Le spese della consulenza tecnica d’ufficio vanno poste a carico del convenuto U.

La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege.

P.Q.M.

Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, così provvede:

– condanna il convenuto U. al pagamento, in favore dell’attrice, delle somme di Euro 512.913,00 e di Euro 22.000,00 oltre IVA, oltre interessi come specificato in motivazione;

– rigetta le altre domande ed istanze proposte dalle parti;

– pone le spese della consulenza tecnica d’ufficio a carico del convenuto U.;

– condanna il convenuto U. a rifondere all’attrice le spese processuali, che liquida in Euro 843,00 per esborsi ed anticipazioni, Euro 35.000,00 per onorario di avvocato, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre C.P.A. ed I.V.A.;

– dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva.

Conclusione

Così deciso in Milano, il 24 marzo 2021.

Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2021.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI ROMA

XIII SEZIONE

Il giudice d.ssa Paola Larosa ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 6613/2016 R.G.A.C., trattenuta in decisone in data 29.12.2020, con termini ex art. 190 c.p.c. e promossa

DA

S.D.D.,

elettivamente domiciliata in Roma Via Lorenzo Rocci n.67, presso lo studio dell’ Avv. Raffaella Di Tommaso, che, assieme all’avv. Vanessa Staffolani, la rappresenta e difende come da delega contenuta rispettivamente nella comparsa di costituzione di nuovo difensore depositata in data 27.10.2020 e a margine dell’atto di citazione;

ATTRICE

CONTRO

A.S. S.p.A.- A.S.,

in persona del legale rappresentante Avv. S.P., elettivamente domiciliata in Roma, viale G. Mazzini n.119, presso lo studio dell’Avv. Francesco Massimo Candreva, che la rappresenta e difende per delega a margine della comparsa di costituzione e risposta;

CONVENUTA

E

M.T., elettivamente domiciliato Roma, via Aurelia n.407, presso lo studio dell’Avv. Simona Martelli, che lo rappresenta e difende per delega in calce alla comparsa di costituzione e risposta;

CONVENUTO

Oggetto: risarcimento danni da responsabilità professionale;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato S.D.D. evocava in giudizio dinanzi a questo Tribunale il dott. G.T. e la società A.S. S.p.A., affinché fosse accertata la responsabilità dei convenuti per i danni derivati dall’intervento di revisione di rinoplastica e blefaroplastica cui era stata sottoposta, da parte del medico convenuto, presso la C.C. in data 22.12.2010, con accertamento dell’inadempimento contrattuale e conseguente condanna al risarcimento del danno, di carattere patrimoniale e non, in misura pari ad Euro 45.589,00 oltre alla restituzione della somma pari ad Euro 5.353,81 versata per l’intervento, interessi e rivalutazione monetaria, e con vittoria di spese di lite da distrarsi.

In particolare, a sostegno della domanda spiegata, l’attrice deduceva quanto segue:

– Avendo già eseguito, nel 1995, un intervento chirurgico di rinoplastica per ragioni estetiche, nel 2010 si era rivolta al dott. T. per correggere l’appesantimento della regione palpebrale;

– Il dott. T. le aveva consigliato di sottoporsi ad intervento di blefaroplastica oltre che di revisione della rinoplastica per ottenere un effetto di insieme più armonico;

– Pertanto, in data 22.12.2020, si era ricoverata presso la C.C. e, nella medesima data, era stata sottoposta dal T. all’intervento programmato;

– Era stata quindi dimessa in data 23.12.2020, ed aveva corrisposto al convenuto, il quale non aveva rilasciato fattura, la somma di Euro 9.000,00 e alla Casa di Cura la somma di Euro 5.353,81, come da fatture depositate;

– Nel periodo postoperatorio aveva accusato infezioni oculari, sanguinamento e gonfiore, per le quali si era recata più volte dal convenuto per le medicazioni; aveva inoltre riscontrato postumi a carico della respirazione, consistenti in percolamento del naso e limitazione della capacità di respirazione per la quale era costretta a fare uso di gocce per agevolare l’apporto di aria;

– Si era dunque rivolta ad altri specialisti, che avevano riscontrato una non corretta esecuzione dell’intervento eseguito dal convenuto, a seguito del quale erano residuati postumi consistenti in un’alterazione del flusso aereo nasale , continuo percolamento del naso e disagio per il danno estetico subito.

Pertanto, richiamando la responsabilità di natura contrattuale dei convenuti, ne chiedeva la condanna al risarcimento di tali danni, nella misura sopra indicata.

Si costituiva in giudizio la A.S. S.p.A., deducendo la propria estraneità rispetto ai fatti allegati – atteso che gli interventi erano stati direttamente concordati tra la paziente e il dott. T. e da quest’ultimo eseguiti in forza di un rapporto professionale diretto con la paziente, ed il T. non era legato alla Casa di Cura da alcun rapporto di dipendenza – e, nel merito, l’infondatezza della domanda attorea, in assenza qualsiasi imprudenza, negligenza o imperizia da parte del sanitario convenuto nell’esecuzione degli interventi oggetto di causa, ed in assenza di prova del nesso causale tra i predetti interventi e i danni allegati. Contestava inoltre nel “quantum” la domanda attorea, chiedendone il rigetto in quanto infondata. In via subordinata svolgeva azione di rivalsa, regresso o manleva nei confronti del convenuto T. per quanto fosse stata condannata a corrispondere alla attrice. Con vittoria di spese di lite.

La causa veniva istruita mediante acquisizione dei documenti prodotti e con l’espletamento di CTU medico-legale.

Con comparsa di costituzione depositata in data 19.11.2020 si costituiva in giudizio G.T., deducendo che l’attrice era stata correttamente informata sui rischi e sulle possibili conseguenze degli interventi, che gli interventi chirurgici del 22.12.2010- che implicavano la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà- erano stati correttamente e diligentemente eseguiti, e che dagli stessi non era derivato alcun danno a carico della paziente. Chiedeva quindi il rigetto della domanda attorea in quanto infondata, con vittoria di spese di lite.

La causa era trattenuta in decisione, all’udienza del 29.12.2020, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di scritti conclusionali.

All’esito dell’istruttoria, nel merito la domanda attorea appare parzialmente fondata e va accolta, nei limiti esposti a seguire.

Si premette che, al fine della configurabilità della responsabilità invocata da parte attrice a sostegno dell’avanzata pretesa risarcitoria è necessario dimostrare che il professionista ovvero la struttura sanitaria ove questi ha operato non abbiano rispettato il dovere di diligenza su loro incombente in relazione alla specifiche obbligazioni ex art. 1176 comma 2 c.c.. A prescindere, pertanto, dalla qualificazione dell’obbligazione medica come di mezzi o di risultato, e dalla natura della responsabilità della clinica come contrattuale -per contratto di spedalità o contatto sociale con il sanitario della struttura- ovvero extracontrattuale, occorre che ne venga provato l’inadempimento o l’inesatto adempimento.

La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito come debba essere ripartito l’onere probatorio tra le parti: ” Ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto o del contatto sociale e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ad allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante”. (Cass n.4764/2016).

Ora, nel caso in esame l’attrice ha dimostrato, attraverso la documentazione prodotta, il titolo da cui emerge l’obbligazione dei convenuti ed ha allegato la negligenza del sanitario convenuto nell’esecuzione degli interventi di chirurgia estetica, in ragione della quale sarebbero insorti postumi permanenti.

Dalla CTU espletata e depositata in atti, svolta a firma dei dott.ri Federico Eibenstein e Giancarlo Sabatini -che appare logica nel percorso argomentativo seguito e dunque integralmente condivisibile nelle conclusioni rassegnate- è emerso che ” La descrizione dell’atto operatorio riportata nella cartella clinica della C.C. appare esaustiva. Inoltre, occorre sottolineare che non si sono verificate complicanze infettive, né emorragiche e/o altro. Comunque, se si analizza nello specifico l’intervento chirurgico così come descritto in cartella, al di là dell’accesso open perfettamente indicato in caso di rinoplastica secondaria, non si può fare a meno di rilevare che praticamente è descritta una rinosettoplastica primaria in particolare ” …Cifectomia osteocartilaginea…Osteotomie” in altri termini il dorso nasale che era già stato ridotto nel precedente intervento del 1995, viene ulteriormente abbassato determinando l’insellamento descritto e documentato fotograficamente in allegato. Inoltre, il modellamento della punta del naso, verosimilmente, ha determinato un indebolimento della crus laterale con conseguente insufficienza della valvola nasale e difficoltà respiratoria nasale. Illustrato quanto sopra si può affermare che i trattamenti medico-chirurgici somministrati all’attrice presso la C.C. convenuta non sono stati eseguiti in conformità delle metodiche medico-chirurgiche stabilite dalla prassi o dalla scienza medica e le cause sono identificabili nell’eccessiva riduzione del dorso naso e nell’indebolimento iatrogeno della crus laterale”

I CTU hanno quindi accertato, in punto di nesso causale, che ” il risultato estetico conseguente all’intervento eseguito il 22.12.2010 presso la C.C. è insoddisfacente e residuano gli esiti, riscontrati nel corso delle operazioni peritali, dettagliatamente descritti nel presente elaborato peritale…risulta evidente l’innaturale insellamento del dorso naso con sproporzione delle strutture cartilaginee che conferiscono alla piramide nasale un aspetto “posticcio”.

I CTU hanno quindi riscontrato l’esistenza di postumi permanenti in misura pari al 4% , comprensivi del danno alla integrità fisiognomica.

Inoltre hanno rilevato la totale emendabilità del danno biologico attraverso un intervento di rinoplastica correttiva secondaria, finalizzato a correggere l’insellamento del dorso del naso, l’asimmetria delle narici e l’infossamento della parete laterale sinistra, preventivando una spesa compresa tra i 10.000,00 e i 12.000,00 Euro omnicomprensivi.

Apparendo condivisibile il ragionamento svolto dai CTU, risulta dimostrata la negligenza professionale del dott. T. ed il nesso causale tra gli interventi di chirurgia plastica dallo stesso posti in essere e i postumi lamentati dalla paziente. D’altra parte, si evidenzia che la parte convenuta T. non ha fornito la prova di aver adottato le cautele prescritte dalle leges artis nell’esecuzione dell’intervento. Pertanto, a fronte della prova della sussistenza del nesso causale tra l’intervento subito ed i postumi, secondo quanto accertato dal CTU, deve ritenersi che la parte convenuta non abbia fornito la prova liberatoria del fatto che l’evento dannoso si sia verificato nonostante l’adozione e l’osservanza di tutte le cautele previste dai protocolli medici, ossia che sia derivato da un evento inevitabile e quindi non prevenibile.

Per quanto riguarda la responsabilità della Casa di Cura , si osserva che, come affermato dalla Suprema Corte con orientamento consolidato, ” il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo, insorgono a carico della casa di cura, accanto a quelli di tipo “lato sensu” alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell’art. 1228 cod. civ., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale..”.(cfr. Cass. n.13953/07, Cass.n. 8826/07, Cass. n.1620/12). Ne consegue che la società gerente la Casa di Cura in cui è stato eseguito l’intervento è chiamata a rispondere sia dei pregiudizi eziologicamente ricollegabili alle proprie inadempienze specifiche che a quelle eventualmente imputabili all’operato del sanitario che al suo interno ha operato. Si osserva inoltre, sul punto, che, in assenza dell’opera professionale del personale medico, sia pure non legato alla Casa di Cura da un rapporto di lavoro di carattere subordinato, la Casa di Cura sarebbe impossibilitata a svolgere la propria attività di assistenza di carattere sanitario.

Per quanto concerne il lato interno dell’obbligazione di risarcimento-gravante in via solidale sui convenuti- la responsabilità per i postumi accertati deve attribuirsi in misura pari al 50% alla A.S. S.p.A. e per la restante quota del 50% al convenuto T..

Al fine della liquidazione del danno biologico, deve rilevarsi che i CTU hanno specificato come il danno biologico fosse emendabile del tutto attraverso un intervento riparativo, intervento che la parte attrice afferma, in comparsa conclusionale e nelle note di trattazione depositate, di avere già eseguito. Per tale ragione, costituendo una indebita duplicazione di risarcimento il riconoscimento, per un verso, della somma risarcitoria collegata al grado di invalidità riconosciuto, e, per altro, della somma necessaria per effettuare l’intervento riparatore del danno, appare equo riconoscere in favore dell’attrice, a titolo di risarcimento del danno, la somma stimata dai CTU come necessaria per emendare il danno, in misura pari ad Euro 12.000,00.

Per quanto riguarda la documentazione depositata dalla parte attrice con nota di deposito – non autorizzata- del 14.11.2020- ed il cui deposito è stato provvisoriamente ammesso all’udienza di precisazione delle conclusioni del 29.12.2020, si rileva che, pur essendo stata ammessa la produzione di detti documenti in quanto di formazione successiva alla scadenza dei termini di cui all’art.183 c.6 c.p.c., la stessa documentazione non può essere valutata al fine della quantificazione dell’obbligo risarcitorio gravante sui convenuti, in quanto non emerge, dalle fatture prodotte, alcun elemento che consenta di comprendere la tipologia di intervento per il quale sono state emesse – essendovi solo nella ricevuta n.29 rilasciata dal dott. E.N. l’indicazione, tra parentesi, di due parole non comprensibili-; né appariva possibile, come chiesto in subordine dalla parte attrice, rimettere la causa sul ruolo al fine di disporre un supplemento di CTU volto ad accertare la misura dell’emendazione dei postumi a seguito dell’intervento riparativo posto in essere secondo quanto dedotto dall’attrice, in considerazione dell’anno di iscrizione a ruolo del presente giudizio, e della conseguente inopportunità di retrocessione del giudizio, ormai giunto alla fase della precisazione delle conclusioni, alla precedente fase istruttoria.

Appare inoltre equo riconoscere in favore dell’attrice, a titolo di danno morale espressamente richiesto in atto di citazione, la somma di Euro 1.000,00 in considerazione del patimento morale consistente nella necessità di sottoporsi ad un ulteriore intervento per emendare i danni derivati dall’operato del medico convenuto.

Spetta poi all’attrice, a fronte dell’accertato inadempimento dei convenuti all’obbligo contrattuale, la restituzione della somma corrisposta per l’esecuzione degli interventi del 22.12.2010, pari secondo quanto emerge dalla documentazione in atti, ad Euro 5.353,81 (documentata in all.9), oltre che il rimborso della spesa per la perizia di parte pari ad Euro 866,00 (documentata in all.8 alla citazione), mentre, per le restanti fatture di spesa allegate all’atto di citazione, non emerge il collegamento rispetto ai fatti di causa, e pertanto alcun rimborso è dovuto.

Pertanto, la somma dovuta all’attrice dal convenuti, in solido, è pari ad Euro 19.219,81, oltre interessi legali dalla data della pubblicazione della presente sentenza al saldo.

Per quanto concerne la domanda della A.S. S.p.A. di accertamento del diritto di regresso nei confronti del T., atteso che, come sopra motivato, dell’inadempimento all’obbligo professionale medico-chirurgico devono rispondere solidalmente entrambi i convenuti, in misura pari al 50% ciascuno per quanto concerne il lato interno dell’obbligazione risarcitoria, si riconosce – per l’ipotesi in cui la società A.S. SpA abbia corrisposto a parte attrice l’intera somma stabilita dalla presente sentenza – il diritto di regresso della stessa, pro quota, nei confronti di T.G..

In base al criterio della soccombenza, i convenuti devono essere condannati, in solido, a rimborsare le spese di lite in favore di parte attrice, liquidate come da dispositivo, in applicazione dei criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014, oltre che a sostenere in via definitiva le spese della CTU medico-legale.

P.Q.M.

il Giudice, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da D.D.S. nei confronti di A.S. S.p.A.- A.S. e di T.G., così provvede:

1) condanna A.S. S.p.A.- A.S. e T.G., in solido, a pagare, in favore di D.D.S., la somma di Euro 19.219,81, oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo;

2) accerta la responsabilità dei convenuti soccombenti in misura pari al 50% ciascuno, relativamente al lato interno dell’obbligazione, con diritto di regresso pro quota di A.S. S.p.A. nei confronti di T.G. per l’ipotesi in cui abbia corrisposto a parte attrice l’intera somma stabilita dalla presente sentenza;

3) condanna A.S. S.p.A.- A.S. e T.G., in solido, al pagamento delle spese di lite sostenute da parte attrice, liquidate in Euro 5.000,00 per compenso, 526,00 per spese, oltre rimborso forfettario spese generali, iva e cpa, e che si distraggono in favore dei procuratori antistatari;

4) pone le spese della CTU medico-legale definitivamente a carico di A.S. S.p.A.- A.S. e T.G., in solido.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2021.

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2021.

Cass. civ., Sez. III, Sentenza, 06/06/2014, n. 12830 (rv. 631825)

Inizio modulo

Fine modulo

RESPONSABILITÀ CIVILE – Professionisti – Attività medico-chirurgica – Intervento di chirurgia estetica – Esisto peggiorativo per il paziente – Responsabilità del sanitario per mancanza di consenso informato del paziente – Sussistenza – Fondamento

Quando ad un intervento di chirurgia estetica segua un inestetismo più grave di quello che si mirava ad eliminare o attenuare, la responsabilità del medico per il danno derivatone è conseguente all’accertamento che il paziente non sia stato adeguatamente informato di tale possibile esito, ancorché l’intervento risulti correttamente eseguito. Infatti, con la chirurgia estetica, il paziente insegue un risultato non declinabile in termini di tutela della salute, ciò che fa presumere come il consenso all’intervento non sarebbe stato prestato se egli fosse stato compiutamente informato dei relativi rischi, senza che sia necessario accertare quali sarebbero state le sue concrete determinazioni in presenza della dovuta informazione. (Rigetta, App. Perugia, 31/08/2010)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA

SEZIONE DIRITTI DELLA PERSONA E IMMIGRAZIONE CIVILE

in persona del giudice monocratico dott.ssa Damiana Colla ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I grado iscritta al n. 49524 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2018, posta in decisione all’udienza svoltasi con modalità cartolare del giorno 7 aprile 2021 e vertente

TRA

B.G., elettivamente domiciliato in Rieti, Via Garibaldi, n. 264/E, presso lo studio degli avv.ti C. Mestichelli e C. Baiocchi, che lo rappresentano e difendono per procura allegata alla comparsa di costituzione di nuovo procuratore telematicamente depositata il 9.9.2019

ATTORE

E

C.M.P. S.R.L. e G.R., quest’ultimo in proprio e quale legale rappresentante, entrambi elettivamente domiciliati in Reggio Emilia, Largo M. Gerra, n. 3, presso lo studio dell’avv.to D. Martinelli, che li rappresenta e difende per procura allegata alle note di trattazione scritta con comparsa di costituzione di nuovo procuratore telematicamente depositate il 2.4.2021

CONVENUTI

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato G.B., medico specializzato in Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica con contratto di collaborazione professionale presso il centro medico convenuto negli 2016 e 2017, ha convenuto davanti a questo Tribunale il Centro Medico Lazzaro Spallanzani ed il suo legale rappresentante, quest’ultimo anche in proprio, al fine di sentirli condannare, previo accertamento del carattere diffamatorio e lesivo della propria reputazione professionale delle affermazioni effettuate sulla stampa e sui social network meglio descritte nell’atto introduttivo, relativamente al proprio operato presso il centro, nonché inibitoria di ulteriore diffusione delle dichiarazioni diffamatorie, al risarcimento del danno subito, anche non patrimoniale, quantificato nella misura di Euro 500.000,00, pari al doppio dei compensi corrisposti in proprio favore per gli anni 2016 e 2017, ovvero nella diversa misura ritenuta di giustizia, con ordine di pubblicazione della relativa sentenza sulle testate giornalistiche indicate in citazione.

A tal fine, ha esposto che in data 4.3.18 era andata in onda sul canale Italia Uno una puntata della trasmissione “Le Iene” contenente un servizio nel quale alcune donne che avevano eseguito interventi di mastoplastica additiva presso il centro medico convenuto avevano rilasciato interviste dichiarandosi insoddisfatte dei risultati e lamentando dolore o inestetismi ad essi conseguiti; che il 9.3.2018 il convenuto aveva rilasciato un’intervista alla “Gazzetta di Reggio”, pubblicata anche online, nella quale aveva affermato che “le ragazze sentite dalle Iene rappresentano il 20% delle donne in relazione alle quali l’attore avrebbe errato l’intervento di mastoplastica effettuato nella clinica”, attribuendogli quindi la responsabilità per i seni deformati e doloranti mostrati all’interno del servizio televisivo e che “in ragione del mancato mantenimento, da parte di quest’ultimo, degli standard di qualità del Centro sarebbe stato allontanato ad agosto 2017”; che l’8.4.2018 il convenuto aveva pubblicato su Facebook una dichiarazione del seguente tenore “i casi clinici analizzati durante il servizio Le Iene si riferivano agli interventi chirurgici eseguiti dal dott. G.B., collaboratore che ha prestato servizio dall’agosto 2016 al settembre 2017” e che “il CICE ha interrotto i rapporti con il dott. B. in ragione del mancato mantenimento, da parte di quest’ultimo, degli standard di qualità cui l’organizzazione tende sin dalla sua nascita”, con la chiara indicazione dell’attore quale autore degli interventi chirurgici menzionati dal servizio televisivo; che infine parte convenuta aveva consentito la pubblicazione su Facebook di un filmato dal titolo “Io sto con il CICE”, nel quale una paziente del centro, riferendosi espressamente all’attore, aveva affermato “dovrebbe essere radiato dall’ordine dei medici ed invece è ancora a piede libero”, filmato poi ripreso anche in successiva puntata de Le Iene, sebbene epurato della parte relativa a tali affermazioni diffamatorie, con l’affermazione del G. secondo la quale “Le Iene, diffondendo il filmato in maniera parziale, avrebbe omesso la verità”, fonte di ulteriore offesa alla reputazione professionale del B..

Ha evidenziato la falsità delle notizie riferite dal convenuto all’esito della messa in onda del menzionato programma televisivo, sostenendo in particolare che non tutti gli interventi di cui al servizio televisivo fossero da ricondurre al suo operato professionale, atteso che all’epoca presso il centro in questione lavoravano anche altri medici, nonché che le complicanze verificatesi per alcune pazienti rientravano nella casistica post-operatoria, erano ampiamente descritte nel modello di consenso informato dalle medesime sottoscritto ed erano comunque tutte suscettibili di revisione chirurgica da eseguirsi di prassi, con esclusione quindi di ogni responsabilità in capo a sé medesimo, atteso che non aveva posto in essere alcuna errata attività chirurgica, responsabilità piuttosto da ricondursi al CICE ed all’inefficienza dell’intero sistema organizzativo utilizzato.

Parte convenuta si è costituita in data 6.2.2019 contestando la fondatezza dell’avversa domanda e chiedendone il rigetto.

Ha sostenuto la conformità delle dichiarazioni del G. ai parametri giurisprudenzialmente elaborati della verità della notizia, dell’interesse pubblico e continenza della stessa, con la conseguente applicazione della scriminante dell’esercizio del diritto di libera manifestazione del pensiero costituzionalmente tutelato.

In particolare, ha rappresentato che le dichiarazioni in contestazione, peraltro parzialmente travisate nell’atto introduttivo ed infedelmente riportate, si erano rese necessarie, sulla stampa e su social network, all’esito della trasmissione Le Iene del 4.3.2018, la quale aveva gettato in maniera indiscriminata grave discredito sul centro medico convenuto, con la conseguente necessità di pubblicazione dei dati statistici di incidenza del rischio clinico nel decennio 2007/2017 e l’opportunità di effettuare alcune precisazioni al fine di ristabilire una corretta informazione circa l’attività del CICE, struttura sanitaria regolarmente autorizzata per l’erogazione delle prestazioni chirurgiche, peraltro sempre ritualmente verificate senza rilievi negativi dalle competenti autorità preposte al controllo.

Concessi i termini ex art. 183, sesto comma, c.p.c. e ritenuta all’esito la causa matura per la decisione senza necessità delle prove orali richieste da entrambe le parti, l’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni del 7.4.2021, derivante da differimento a causa dell’emergenza sanitaria, è stata oggetto di trattazione cartolare come da Provv. del 24 gennaio 2021, cui è seguita la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per scritti conclusivi, depositati da entrambe le parti.

La domanda non è fondata e deve pertanto essere respinta alla luce delle considerazioni che seguono.

In tema di offese all’altrui reputazione, di libertà di stampa, di diritto di cronaca e di critica vanno preliminarmente ribaditi i principi più volte affermati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e condivisi da questo giudice, applicabili in genere ad ogni dichiarazione indirizzata ad una pluralità di destinatari.

La diffamazione non può essere fonte di risarcimento dei danni quando il giornalista eserciti legittimamente i diritti di cronaca e di critica giornalistica, entrambi espressione della libertà di manifestazione del pensiero garantita dall’art. 21 della Costituzione. Presupposti per il legittimo esercizio del diritto di cronaca sono, come è noto, l’interesse del pubblico alla conoscenza delle notizie diffuse, la correttezza dell’esposizione dei fatti – in ciò propriamente si sostanzia la cd. continenza (formale) -, e infine la corrispondenza tra la narrazione ed i fatti realmente accaduti, nel senso che deve essere assicurata l’oggettiva verità del racconto. Va ribadito che quest’ultimo requisito tollera le inesattezze (anche di carattere tecnico) o le incompletezze che possono ritenersi irrilevanti se riferite a particolari di non decisivo rilievo e privi di valore informativo, a condizione che quindi venga rispettata la verità della notizia nel suo nucleo essenziale.

I medesimi canoni valgono inoltre quando, come nella fattispecie, alla cronaca si aggiungano valutazioni critiche dei fatti stessi eventualmente lesive della reputazione altrui, nel senso che il giudizio critico per rimanere nei limiti della liceità deve trarre spunto dalla realtà oggettiva e quindi da fatti realmente accaduti.

E’ pur vero che, nell’esercizio del diritto di critica è necessario il rispetto del nucleo essenziale di verità del fatto relativamente al quale la critica è svolta (ed in mancanza del quale la critica sarebbe pura congettura e possibile occasione di dileggio e di mistificazione), ma è innegabile altresì che in tal caso l’onere del rispetto della verità sia più attenuato rispetto all’ipotesi di mera cronaca giornalistica, atteso che “la critica esprime un giudizio di valore che, in quanto tale, non può pretendersi rigorosamente obiettivo” (Cass. Pen., n. 43403 del 18.6.2009).

La critica è infatti, per sé stessa, espressione di un’opinione, che come tale non può essere rigorosamente obiettiva e che comunque non ha nulla a che vedere col diritto di cronaca. La critica non può che essere soggettiva e quindi non può che corrispondere al punto di vista di chi la manifesta. Infatti, “Il diritto di critica non è soggetto a un giudizio di verità per l’opinabilità intrinseca ad ogni giudizio individuale, che esprime convincimenti, valori, credenze necessariamente differenti tra individui nei vari gruppi sociali” (Cass. pen., sez. V., 8 maggio 1998, n. 6584).

Ciò posto, considerate le contestazioni di parte convenuta circa la non corretta riproduzione nell’atto introduttivo delle dichiarazioni ritenute diffamatorie, occorre riportarle testualmente, per come risultanti dal fascicolo dell’attore, agli allegati nn. 3 e 4, con la precisazione che il post asseritamente pubblicato dal convenuto su Facebook l’8.4.2018 risulta estratto direttamente dal social network solo in allegato alla terza memoria ex art. 183 c.p.c., sebbene originariamente risulti riprodotto dallo stesso B. in una mail dal medesimo inviata il 10.4.2018 al difensore che ha introdotto il giudizio (testualmente a “studio Manfredi”), verosimilmente copiato dalla pagina Facebook (i due testi del post risultano comunque di identico contenuto).

In particolare, dalla menzionata mail allegata al n. 3 da parte attrice si evince che le dichiarazioni pubblicate su Facebook l’8.4.2018 alle 12.45 erano del seguente tenore: “Le Iene hanno preso un granchio. I pochi casi clinici analizzati durante il servizio de “Le Iene” si riferiscono quasi unicamente agli interventi chirurgici eseguiti dal Dr. G.B., collaboratore che ha prestato servizio dall’agosto 2016 al settembre 2017 e che ha operato circa 600 pazienti, di cui solo il 3% ha lamentato complicanze (19 casi a noi noti). Non sono quindi “decine e decine” di interventi andati male, come invece segnalato dalle Iene con toni allarmistici. Il CICE ha interrotto i rapporti con il Dr. B. in ragione del mancato mantenimento degli standard di qualità cui l’organizzazione tende sin dalla sua stessa nascita. I casi trattati dal Dr. B. che hanno richiesto un intervento chirurgico di revisione sono stati presi in carico e trattati in forma integralmente gratuita per i pazienti dal dott. V.C. responsabile del CICE, con la risoluzione della complicanza”.

L’allegato n. 4 del fascicolo introduttivo è invece relativo al brano a firma di L.G. pubblicato sulla versione online della Gazzetta di Reggio del 10.3.2018 dal titolo: “Reggio Emilia: seni “low cost”, partita la denuncia del Cice alle Iene” e dal sottotitolo: “Dopo il servizio delle Iene, il Cice presenta querela: allontanato ad agosto il chirurgo che ha operato le donne intervistate” (il medesimo articolo nella versione cartacea risulta depositato, pur se scarsamente leggibile, solo unitamente alla terza memoria ex art. 183 c.p.c.). Il contenuto del brano è del seguente tenore: “REGGIO EMILIA. Lo avevano annunciato, e alla fine hanno mantenuto la promessa. Il Centro italiano chirurgia estetica di Reggio Emilia (Cice) ha denunciato la trasmissione “Le Iene” dopo il servizio televisivo andato in onda domenica 4 marzo, intitolato “Ragazze rovinate dalla clinica low cost”. Dolori, inestetismi, visite effettuate via WhatsApp. Questa la sintesi di quanto mostrato su Italia Uno. Tutto “assolutamente falso e tendenzioso” per i dirigenti della struttura tanto che, per tutelare la loro immagine “fortemente danneggiata” dal servizio, hanno dato mandato ai propri legali – gli avvocati N.T. e F.L. – di denunciare quanto successo all’autorità giudiziaria “affinché la magistratura possa fare subito chiarezza”.

Il succo della critica rivolta alla giornalista di M. non è tanto l’aver mostrato eventi o fatti mai realmente accaduti quanto, piuttosto, l’aver fatto passare il messaggio che tutto il lavoro svolto all’interno del Cice sia approssimativo e mal svolto.

“Il nostro è un centro di eccellenza – ci spiega il direttore generale R.G. mentre ci fa visitare la struttura – che in dieci anni di attività ha eseguito 8.573 interventi di chirurgia estetica, con una incidenza di complicanze inferiore al 4%, tutte risolte con una ulteriore prestazione erogata in forma assolutamente gratuita per le pazienti”. Complicanze che, ammette apertamente G., ci possono essere “come in qualunque altro intervento. Ma le clienti sono informate con largo anticipo sui rischi che, tengo a ribadirlo visto il messaggio che è passato sulle Iene, da noi sono più contenuti rispetto ad altre realtà. Sempre in dieci anni abbiamo avuto 13 richieste di risarcimento, lo 0,1% del totale contro una media del 34,5% di incidenza nelle strutture italiane. E su tredici, cinque le abbiamo vinte in sede giudiziale, due con soccombenza parziale e le rimanenti sono ancora aperte”. Insomma, prezzi moderati non vogliono dire qualità moderata. Tanto che il chirurgo responsabile degli interventi mostrati dalle Iene era già stato allontanato molto tempo prima della messa in onda del servizio televisivo. “Si trattava di un medico – prosegue il direttore generale – che abbiamo assunto a settembre 2016 e che in un anno ha eseguito circa 600 interventi. Di queste donne, 17 sono dovute tornare una seconda volta per delle complicanze o perché non erano soddisfatte e l’80% ha risolto poi il problema. L’altro 20% sono le ragazze sentite dalle Iene. Questo chirurgo, visto che non rispettava gli standard qualitativi del nostro centro, è poi stato allontanato ad agosto 2017”. Infine, ci viene spiegato, le foto mandate via WhatsApp non sostituiscono le visite “che comunque avvengono il giorno prima o il giorno stesso dell’operazione. Se fossimo dei venditori di tabacco avremmo tutto l’interesse a operare sempre e invece capita spesso che, purtroppo, dobbiamo annullare tutto. Ad esempio questa settimana su 30 interventi ne abbiamo cancellati tre”.

Ciò posto, occorre premettere che nella presente sede non possono essere oggetto di esame né i contenuti del servizio de “Le Iene” (se non quale mero presupposto dell’odierno giudizio), non essendo contestato alcunchè della trasmissione nella presente sede (e nemmeno convenuta in giudizio l’emittente televisiva, il direttore responsabile e l’autrice del servizio), né il contenuto del brano giornalistico pubblicato sulla Gazzetta di Reggio, se non limitatamente all’intervista rilasciata dall’odierno convenuto, non essendo citati i soggetti legittimati secondo la legge sulla stampa, né invero essendo in contestazione il contenuto del brano, ma solo quello dell’intervista a R.G. in esso riportata.

Ciò posto, con riferimento all’intervista del 9.3.2018 deve altresì premettersi che nell’intero brano non sono in alcun modo menzionate espressamente le generalità dell’odierno attore, con ogni conseguenza sotto il profilo del difetto di legittimazione attiva in capo al B. per quanto concerne la diffamazione asseritamente derivante dall’intervista, atteso che il contenuto delle dichiarazioni asseritamente offensive non risulta indirizzato direttamente al B., né questo risulta destinatario facilmente individuabile delle stesse.

Anche a prescindere comunque da tale assorbente rilievo e considerando individuabile l’odierno attore attraverso l’intervista in questione (quantomeno in relazione alla cerchia di dipendenti e collaboratori del centro, nonché tra i pazienti del medesimo), deve osservarsi nel merito che il convenuto G. ha legittimamente espresso in entrambe le occasioni un giudizio in chiave critica circa l’operato professionale del B., quale conseguenza del servizio delle Iene (oggetto di contestazione in altra sede), esponendo in tal modo una sua valutazione soggettiva, da ricondurre a verità quanto al suo nucleo essenziale, espressa con toni pacati, in relazione a notizia di interesse pubblico, specie in considerazione del risalto assunto dal precedente servizio delle Iene.

Tutte le espressioni in contestazione sopra riportate del G. – tanto con riferimento all’intervista, quanto al post su Facebook – appaiono infatti, ad avviso del giudicante, estrinsecazione del diritto di critica, quale espressione del principio costituzionalmente garantito della libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.).

Posto che nulla è in contestazione circa l’interesse pubblico della notizia e la sua continenza espressiva, la verità della notizia contenuta nell’intervista in oggetto deve ritenersi sussistente, nei limiti sopra esposti in cui tale presupposto deve essere inteso con rifermento alla manifestazione di opinione critica.

Ebbene, le affermazioni contenute nel brano giornalistico che concernono l’odierno attore, pur senza nominarlo esplicitamente, sono le seguenti: “Tanto che il chirurgo responsabile degli interventi mostrati dalle Iene era già stato allontanato molto tempo prima della messa in onda del servizio televisivo. “Si trattava di un medico – prosegue il direttore generale – che abbiamo assunto a settembre 2016 e che in un anno ha eseguito circa 600 interventi. Di queste donne, 17 sono dovute tornare una seconda volta per delle complicanze o perché non erano soddisfatte e l’80% ha risolto poi il problema. L’altro 20% sono le ragazze sentite dalle Iene. Questo chirurgo, visto che non rispettava gli standard qualitativi del nostro centro, è poi stato allontanato ad agosto 2017”.

Invero, le menzionate affermazioni dell’intervistato appaiono in generale di natura critica rispetto al servizio andato in onda su Le Iene (circa il fatto che tutto il lavoro svolto presso il Cice fosse “approssimativo e mal svolto”) e, in particolare, risultano volte a fornire un chiarimento in termini statistici circa gli interventi menzionati nel servizio stesso ed attribuiti al B. (non esplicitamente); viene affermato al riguardo il fatto, non contestato, che il medico in questione aveva effettuato in un anno di servizio presso il centro medico compreso tra il 2016 ed il 2017 circa 600 interventi.

Su tale cifra complessiva di interventi da esso eseguiti il G. afferma che solo 17 pazienti di quelle da lui operate sono state sottoposte a nuovo trattamento chirurgico “per delle complicanze o perché non erano soddisfatte” e che conseguentemente ad esso l’80% di esse ha risolto il problema (ossia 13 di esse circa), mentre la restante parte (ossia 4 di esse) ha manifestato la sua insoddisfazione alle Iene.

La documentazione allegata conferma quanto sostenuto in termini di verità del nucleo essenziale della notizia, nel senso che una minima parte delle pazienti operate dall’attore in quel periodo ha mostrato complicanze (17 pazienti su 600 interventi), che la maggior parte di questi casi (80%) sono stati risolti con un secondo intervento presso il centro e che solo una parte residua (il 20% di 17) non ha risolto le

complicanze, denunciandole alle Iene ed intentando azioni giudiziali ovvero formulando richieste risarcitorie stragiudiziali; cinque dei sei casi oggetto del servizio, cui l’intervista giornalistica è riferita, risultano infatti essere relativi a pazienti originariamente operate dall’attore, con la conseguenza che il nucleo essenziale della notizia corrisponde a verità; del resto, anche la circostanza che la gran parte delle pazienti con complicanze dal medesimo operate sono state sottoposte ad un secondo intervento presso il centro risulta provata dalla copiosa documentazione prodotta.

Invece, la circostanza che le complicanze fossero errori chirurgici o rientrassero piuttosto nelle conseguenze post-operatorie menzionate nel modulo di consenso informato sottoscritto dalle pazienti non è oggetto di valutazione da parte di questo giudice (considerazione in base alla quale le istanze istruttorie orali sono state respinte, con ordinanza riservata del 16.10.2019, qui integralmente richiamata, atteso che gran parte di esse è riferita alla richiesta di pareri medico-legali sul corretto operato dell’attore negli specifici casi in contestazione, in inammissibile sostituzione di consulenza tecnica), bensì di quello al quale sono devolute le relative domande risarcitorie (dagli atti e dai documenti risulta altresì che per alcune pazienti è stato quantificato in sede giudiziale un danno biologico permanente compreso tra il 7 ed il 9%), né è menzionato alcunchè dal G. nel brano, in termini di colpa medica ed errori chirurgici (il medesimo si esprime infatti unicamente in termini di “complicanze” e nella parte precedente dell’intervista afferma che esse in generale per il centro medico si erano attestate intorno al 4% degli 8.573 interventi effettuati in dieci anni, con trattamento gratuito e reingresso in sala operatoria e solo 13 richieste risarcitorie).

Ed ancora, anche (e soprattutto) le frasi “Questo chirurgo, visto che non rispettava gli standard qualitativi del nostro centro, è poi stato allontanato ad agosto 2017” e “Tanto che il chirurgo responsabile degli interventi mostrati dalle Iene era già stato allontanato molto tempo prima della messa in onda del servizio televisivo” corrispondono al parametro della verità della notizia.

Infatti, analizzando la documentazione prodotta dalla parte convenuta (cfr., in particolare, estratto verbale dell’Unità Gestione Rischio del 20.12.17, in atti) si evince che, nonostante la bassa percentuale di complicanze post-operatorie rappresentata dallo stesso G. nell’intervista tanto con riferimento al centro nel complesso quanto agli interventi eseguiti dal B. in particolare, il contenzioso giudiziale e stragiudiziale che ne era scaturito fosse comunque aumentato a seguito dell’ingresso del medesimo nell’equipe medica del centro rispetto al decennio precedente, con maggiore incidenza del rischio (passato dal 4,11% al 17,88, con aumento del 13% circa), tanto da aver determinato la cessazione del rapporto di collaborazione tra centro medico e chirurgo.

In altri termini, quanto al contenzioso, emerge che mentre per il decennio 2007/2017 da 8753 interventi (946 solo nel 2017, ivi compresi quelli effettuati dall’attore) sono scaturiti 13 procedimenti giudiziali (di cui 7 ancora pendenti e 4 definiti, come da comparsa di costituzione e risposta), per il biennio 2016/2017 da 509 interventi effettuati dall’attore sono scaturiti 6 procedimenti in fase giudiziale e 15 in fase stragiudiziale (dati riferiti al momento della costituzione in giudizio di parte convenuta), risultandone inoltre già definiti 3 con transazione ed oneri economici a carico del centro a seguito di perizia medica di parte che aveva accertato l’esistenza di un danno permanente da ricondursi ad errore chirurgico.

A prescindere dunque dal numero di complicanze post-operatorie, ciò che ha determinato l’interruzione del rapporto di collaborazione professionale tra le parti (pacificamente da ricondurre all’agosto del 2017 e dunque ad epoca precedente di alcuni mesi al servizio de Le Iene, per come correttamente riferito nel brano dal G.) risulta essere stato l’innalzamento del livello di contenzioso giudiziale e stragiudiziale riscontrato per gli anni 2016 e 2017 in relazione agli interventi effettuati dal B. e di ciò parte convenuta ha dato atto nell’intervista in questione, per la parte da ultimo riportata (“non rispettava gli standard qualitativi del nostro centro”), atteso che negli standard qualitativi non può essere compresa solo l’evidenza delle complicanze post-operatorie, ma anche – evidentemente – l’entità del contenzioso scaturita dalle complicanze rimaste irrisolte.

Analogamente, con riferimento al post su Facebook dell’8.4.2018 oggetto di contestazione.

Questo risulta riferito esclusivamente ai casi esaminati nel servizio de Le Iene ed appare pubblicato a commento dello stesso, a seguito del clamore suscitato dalla messa in onda del programma in data 4.3.2018.

In particolare, si afferma il vero quando si dice che “I pochi casi clinici analizzati durante il servizio de “Le Iene” si riferiscono quasi unicamente agli interventi chirurgici eseguiti dal Dr. G.B., collaboratore che ha prestato servizio dall’agosto 2016 al settembre 2017 e che ha operato circa 600 pazienti”, considerato che le medesime risultano nominativamente individuate sin dal primo scritto difensivo di parte convenuta senza alcuna specifica contestazione da parte dell’attore circa il fatto che siano state sue pazienti (risultano denunciati nel servizio i casi di sei pazienti del centro, cinque delle quali operate dal B.; cfr., altresì prima memoria ex art. 183 c.p.c. di parte attrice), che la collaborazione professionale è durata un anno e che il numero dei pazienti dal medesimo operati è stato pari a 509 (con una sfasatura con quanto dichiarato che tuttavia consente di ritenere vera la notizia nel suo nucleo essenziale, considerato l’uso della parola “circa” accanto a “600 pazienti”), il tutto per come evincibile dalla documentazione allegata da parte convenuta e comunque non specificamente contestato.

Sebbene poi il numero delle complicanze sia ridotto in percentuale dal 4% al 3% rispetto al contenuto del brano sulla Gazzetta di Reggio, la discrepanza non appare tale da incidere sul generale contesto di verità nel quale la notizia è resa, la quale è comunque presentata come nota di merito per il centro nel senso che “solo il 3% ha lamentato complicanze (19 casi a noi noti)”, in modo da contrastare il dato asseritamente fuorviante fornito nel servizio televisivo (“Non sono quindi “decine e decine” di interventi andati male, come invece segnalato dalle Iene con toni allarmistici”), con la precisazione ulteriore (e la rassicurazione) che comunque “I casi trattati dal Dr. B. che hanno richiesto un intervento chirurgico di revisione sono stati presi in carico e trattati in forma integralmente gratuita per i pazienti dal dott. V.C. responsabile del CICE, con la risoluzione della complicanza”.

Nella riportata prospettiva, infine, per l’affermazione secondo la quale “Il CICE ha interrotto i rapporti con il Dr. B. in ragione del mancato mantenimento degli standard di qualità cui l’organizzazione tende sin dalla sua stessa nascita” valgono le medesime considerazioni sopra esposte.

Invero, il parametro del mancato mantenimento degli standard della prestazione professionale erogata dall’attore risulta, per come documentato, quello del contenzioso conseguente a complicanze post-operatorie da essa scaturito, laddove sul punto la documentazione allegata conferma la maggiore incidenza di esso rispetto al periodo precedente, circostanza legittimamente posta dal centro a fondamento della cessazione del rapporto di collaborazione professionale menzionata dal G. (risultano prodotti nel fascicolo di parte convenuta e non specificamente contestati dalla controparte non solo elenchi e frontespizi delle cartelle cliniche delle pazienti sottoposte a revisione chirurgica a seguito di interventi eseguiti dall’attore, ma anche tutti gli atti giudiziali e stragiudiziali, transazioni, diffide ed esiti di visite medico-legali riferite al predetto contenzioso, con accertamento di danno biologico permanente in capo ad alcune pazienti diverse da quelle menzionate nel servizio, invece tutte ancora con accertamenti in corso all’epoca della costituzione di parte convenuta).

Alla luce delle considerazioni esposte sotto il profilo della verità della notizia, pertanto, il legittimo esercizio del diritto di critica, quale espressione del più generale principio costituzionale di libertà di manifestazione del pensiero, appare nella specie scriminare il contenuto asseritamente diffamatorio delle dichiarazioni della parte convenuta.

A ciò si aggiunga, da ultimo, che non risultano affatto utilizzate (né invero sono oggetto di doglianza nell’atto introduttivo) espressioni esorbitanti dal concetto di continenza formale, tenuto conto del contesto indubbiamente critico del quale l’inchiesta in esame risulta espressione. Per quanto riguarda il requisito della continenza, infatti, va ricordato che “Il diritto di critica giornalistica può essere esercitato anche in modo “graffiante”, ma con il parametro della proporzione tra l’importanza del fatto e la necessità della sua esposizione anche in chiave critica ed i contenuti espressivi con i quali la critica è esercitata. Pertanto, la critica non deve trascendere in attacchi e aggressioni personali diretti a colpire, sul piano individuale, la figura morale del soggetto criticato” (tra le tante, v. Cass. civ., Sez. 3, 20 ottobre 2006, n. 22527); ebbene, nella specie, deve essere rilevata la totale assenza di qualsivoglia espressione che esuli dai concetti di moderazione, misura e proporzione nelle modalità espressive. Le espressioni utilizzate esprimono un giudizio indubbiamente critico rispetto, sebbene nel complesso appaiono assolutamente pacate e non trasmodano affatto in attacchi personali o denigrazione della persona dei destinatari, risultando piuttosto espressione di una esposizione dei fatti in forma civile e comunque non eccedente rispetto allo scopo informativo/critico da conseguire, né tale da manifestare un deliberato intento denigratorio, tenuto conto altresì del fatto che anche il limite della continenza opera, analogamente a quello della verità, in maniera meno rigorosa nell’esercizio del diritto di critica proprio in considerazione della soggettività della narrazione e del giudizio che essa tende ad esprimere, proprio della polemica politica e sociale cui si riferisce (Cass., 29730/2010 e Cass., n. 43403/2009).

Da ultimo, non può essere oggetto di esame nel presente procedimento quanto dedotto nell’atto introduttivo circa l’esistenza di un asserito filmato dal titolo “Io sto con il Cice” diffuso sulla pagina Facebook del centro medico (e parzialmente riportato in una successiva puntata de Le Iene) in cui una paziente del centro avrebbe dichiarato, riferendosi espressamente all’attore: “Dovrebbe essere radiato dall’ordine dei medici ed invece è ancora a piede libero”; invero, a prescindere da ogni considerazione circa la responsabilità del centro medico per quanto dichiarato da una sua paziente, del filmato non vi è traccia agli atti di causa è non è dunque possibile prenderne visione ai fini della decisione (nemmeno delle dichiarazioni al riguardo attribuite al G., il quale secondo l’atto introduttivo contestualmente alla sua diffusione da parte delle Iene avrebbe dichiarato “Le Iene, diffondendo il filmato in maniera parziale, avrebbero omesso la verità”); né al mancato deposito della copia del filmato in contestazione avrebbe potuto supplire il non ammesso interrogatorio formale del G., considerata l’ineludibile necessità di prenderne visione nella sua interezza al fine di valutare il contesto nel quale le dichiarazioni sono state rese dal convenuto, l’autore delle stesse ed il loro esatto tenore, in quanto peraltro parzialmente rese da un terzo soggetto (che risulta tra i pazienti del centro, come da allegati frontespizi delle cartelle cliniche in atti); analogamente deve dirsi con riferimento alla richiesta di esibizione del video alla piattaforma Facebook di cui alla terza memoria ex art. 183 c.p.c., in quanto ormai rimosso e presente sulla medesima solo per il periodo compreso tra il marzo ed il giugno 2018, per espressa ammissione di parte attrice e peraltro da ritenersi prova diretta, tardivamente richiesta.

La domanda attrice deve, in conclusione, essere interamente respinta, rimanendo assorbita nella decisione ogni altra richiesta.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo (scaglione individuato in base alla somma domandata a titolo di risarcimento – complessità media per le fasi di studio ed introduttiva, minima per quella istruttoria, meramente documentale, e decisionale, svoltasi con modalità cartolare e senza elementi di novità rispetto a quelle precedenti).

P.Q.M.

Il tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, così provvede:

– rigetta la domanda;

– condanna l’attore alla rifusione delle spese di lite nei confronti di parte convenuta, complessivamente liquidate in Euro 15.478,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 6 settembre 2021.

Depositata in Cancelleria il 8 settembre 2021.

Shares