Cosa bisogna sapere prima di recarsi dagli avvocati divorzisti a Bologna

Avvocato per divorzio Bologna Ravenna Forli  ,assegno divorzile alla luce nuovo orientamento

 

Accordo tra le parti circa condizioni di separazione

Separazione ed immobile in comodato d’uso

Domanda di modifica assegno di mantenimento

Fissazione decorrenza data assegno divorzile

Domanda azione responsabilità genitoriale

Esclusione residua Solidarietà post matrimoniale

Matrimonio regolato dalle leggi nazionali

Patto accordo separazione omologato

SEPARAZIONE DIVORZIO BOLOGNA competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale   RAPPORTI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO TRA  UN CITTADINO ITALIANO E  UN CONIUGE APPARTENENTE A ALTRO PAESE  UEsenza recarsi al tribunale

Assegno di mantenimento nella separazione

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avvocati divorzisti Bologna

Al di là delle diverse opinioni che si possono avere sulla rilevanza ermeneutica dei lavori preparatori della L. n. 74 del 1987 (che inserì nell’art. 5 il fondamentale riferimento alla mancanza di “mezzi adeguati” e alla “impossibilità di procurarseli”) in senso innovativo (come sosteneva una parte della dottrina che imputava alla giurisprudenza precedente di avere favorito una concezione patrimonialistica della condizione coniugale) o sostanzialmente conservativo del precedente assetto (si legga in tal senso il brano della sentenza delle Sezioni Unite n. 11490/1990 che considerava non giustificato “l’abbandono di quella parte dei criteri interpretativi adottati in passato per il giudizio sull’esistenza del diritto all’assegno”), non v’è dubbio che chiara era la volontà del legislatore del 1987 di evitare che il giudizio sulla “adeguatezza dei mezzi” fosse riferito “alle condizioni del soggetto pagante” anzichè “alle necessità del soggetto creditore”: ciò costituiva “un profilo sul quale, al di là di quelle che possono essere le convinzioni personali del relatore, qui irrilevanti, si è realizzata la convergenza della Commissione” (cfr. intervento del relatore, sen. N. Lipari, in Assemblea del Senato, 17 febbraio 1987, 561a sed. pom., resoconto stenografico, pag. 23). Nel giudizio sull’an debeatur, infatti, non possono rientrare valutazioni di tipo comparativo tra le condizioni economiche degli ex coniugi, dovendosi avere riguardo esclusivamente alle condizioni del soggetto richiedente l’assegno successivamente al divorzio.

Cosa bisogna sapere prima di recarsi dagli avvocati divorzisti a Bologna

Caro signore o signora state per divorziare, o separarvi a Bologna chiamate un avvocato esperto :avvocato Sergio Armaroli

Il matrimonio dovrebbe durare per sempre, almeno in teoria e nei sogni degli sposi: la pratica e la realtà, però, suggeriscono che la situazione è diversa. Stando ai dati dell’Istat, sono nel 2014 nel nostro Paese ci sono state più di 89mila separazioni, mentre i divorzi hanno superato quota 52mila. Le statistiche rivelano che ci si separa, in media, dopo 16 anni di matrimonio, ma questo dato è destinato a cambiare nei prossimi anni: i matrimoni più recenti, infatti, durano sempre di meno. Grandi affari per gli avvocati divorzisti a Bologna e nelle altre città italiane, dunque, ma si tratta di un fenomeno che non è solo economico: è anche culturale, sociale e religioso. Se tra i matrimoni che sono stati celebrati nel 1985 si è assistito al 4.5% di separazioni dopo 10 anni, tra i matrimoni che sono stati celebrati nel 2005 la percentuale di separazioni dopo 10 anni è quasi il triplo, dal momento che raggiunge l’11%.

Cosa sapere prima di avventurarsi in un divorzio

Prima di avventurarsi in un divorzio, è consigliabile provare a percorrere tutte le strade possibili che consentano di salvare il rapporto, fermo restando che un matrimonio che non va più bene rischia di essere controindicato e controproducente non solo per i due sposi, ma anche e soprattutto per i figli, se ce ne sono. Come possono spiegare con chiarezza tutti gli avvocati divorzisti a Bologna, sono due le tipologie di divorzio tra cui si può scegliere: il divorzio giudiziale e il divorzio congiunto. Il primo caso si verifica nel momento in cui gli sposi non riescono a trovare da soli un accordo relativo alle condizioni, anche se il ricorso viene inoltrato solo da uno dei due coniugi; il secondo caso, invece, si concretizza quando i coniugi destinati a diventare ex trovano un accordo su tutte le condizioni da mettere in pratica.

Il divorzio e la separazione

Quando si parla di separazione e di divorzio si fa riferimento a due eventi ben diversi. Nel caso di una separazione legale, infatti, il matrimonio non si conclude in modo definitivo, ma semplicemente vengono sospesi i suoi effetti, fino a quando si arriverà a un provvedimento di divorzio o a una riconciliazione. Da qualche tempo, inoltre, è possibile esperire la strada del divorzio breve, il cui disegno di legge è stato approvato il 22 aprile del 2015 dalla Camera dei Deputati in via ufficiale. In virtù di questa soluzione, vengono diminuiti i tempi necessari per la separazione consensuale, che passano a 6 mesi dai 3 anni di prima, mentre le tempistiche per le separazioni giudiziali arrivano al massimo a 1 anno.

Il divorzio breve

Anche per il divorzio breve è possibile rivolgersi agli avvocati divorzisti a Bologna. I coniugi compaiono davanti all’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza per sottoscrivere un accordo di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento dello stesso, di separazione o di modifica delle condizioni di divorzio. Vale la pena di notare, tuttavia, che in questa eventualità non è obbligatoria l’assistenza dei difensori. I coniugi hanno l’opportunità di scegliere questa modalità semplificata unicamente nel caso in cui in famiglia non vi siano figli portatori di handicap grave, non vi siano figli minori e non vi siano figli non autosufficienti dal punto di vista economico, sempre a patto che nell’accordo non siano compresi degli atti con i quali viene ordinato il trasferimento di diritti patrimoniali.

Per fare sì che i coniugi possano riflettere in modo più approfondito sul passo che stanno intraprendere, è previsto un passaggio duplice di fronte al sindaco, a distanza di 1 mese l’uno dall’altro. Anche per la comunione dei beni sono state introdotte delle novità, nel senso che attualmente è possibile svincolarsene quando il giudice autorizza i coniugi a vivere separati o nel momento in cui la separazione consensuale viene sottoscritta.

Chiedendo informazioni allo Studio legale dell’Avvocato Sergio Armaroli, infine, è possibile conoscere tutti i dettagli a proposito dell’assegno divorzile. Quest’ultimo non è altro che l’assegno assistenziale che viene previsto in caso di divorzio: si tratta di un assegno di mantenimento che ha carattere compensativo e risarcitorio e che viene concesso al coniuge che viene ritenuto titolare del diritto di mantenere un tenore di vita simile a quello che poteva vantare durante il matrimonio. Questo assegno può essere liquidato in unica soluzione o erogato a rate mensili.

Avvocato per divorzio Bologna Ravenna Forli  ,assegno divorzile alla luce nuovo orientamento

 

  1. Accordo tra le parti circa condizioni di separazione
  2. Separazione ed immobile in comodato d’uso
  3. Domanda di modifica assegno di mantenimento
  4. Fissazione decorrenza data assegno divorzile
  5. Domanda azione responsabilità genitoriale
  6. Esclusione residua Solidarietà post matrimoniale
  7. Matrimonio regolato dalle leggi nazionali
  8. Patto accordo separazione omologato
  9. Separazione e divorzio senza recarsi al tribunale
  10. Assegno di mantenimento nella separazione

Nel divorzio, una delle maggiori problematiche rigua4da l’assegno divorzile su cui è intervenuta recentemente la Suprema Corte cambiando oreitamento che era vigente da 27 anni, cioè togliendo il criterio del tenore di vita

 

Ripercorriamo i passaggi recenti della cassazione sull’assegno divorzile

Per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno, che l’eventuale prova delle condotte allegate circa il mancato reperimento, da parte del coniuge, di una entrata economica frutto della propria individuale attività lavorativa, deve avere sulla decisione in discorso, alla stregua del consolidato principio secondo cui deve trovare adeguata considerazione, nella decisione del giudice del merito, l’attitudine a procurarsi un reddito da lavoro (insieme ad ogni altra situazione suscettibile di valutazione economica) da parte del coniuge che pretenda l’assegno di mantenimento a carico dell’altro, tenendo quindi conto della effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, pur senza che assumano rilievo mere situazioni astratte o ipotetiche (Cass., ord. 4 aprile 2016, n. 6427; Cass. 13 febbraio 2013, n. 3502; Cass. 25 agosto 2006, n. 18547, ed altre; nonchè, di recente, Cass. 10 maggio 2017, n. 11504), principio che tanto più rileva in sede non di prima separazione, ma di definitiva cessazione della relazione coniugale in seguito al divorzio, e, come nella specie, di figli ormai grandi (nati nel 1998 e nel 2000), i quali dunque non necessitino della costante presenza fisica di un adulto; e, dall’altro lato, la completa pretermissione di tale elemento, pur oggetto di discussione, nella motivazione della sentenza impugnata;

 

Una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso – sulla base dell’accertamento giudiziale, passato in giudicato, che “la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l’esistenza di una delle cause previste dall’art. 3” (cfr. artt. 1 e 2, mai modificati, nonchè la L. n. 898 del 1970, art. 4, commi 12 e 16) -, il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, i quali devono perciò considerarsi da allora in poi “persone singole”, sia dei loro rapporti economico-patrimoniali ( art. 191 c.c., comma 1) e, in particolare, del reciproco dovere di assistenza morale e materiale ( art. 143 c.c. , comma 2), fermo ovviamente, in presenza di figli, l’esercizio della responsabilità genitoriale, con i relativi doveri e diritti, da parte di entrambi gli ex coniugi (cfr. art. 317 c.c. , comma 2, e da artt. 337-bis a 337-octies c.c.).

Perfezionatasi tale fattispecie estintiva del rapporto matrimoniale, il diritto all’assegno di divorzio – previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, nel testo sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 10 – è condizionato dal previo riconoscimento di esso in base all’accertamento giudiziale della mancanza di “mezzi adeguati” dell’ex coniuge richiedente l’assegno o, comunque, dell’impossibilità dello stesso “di procurarseli per ragioni oggettive”.

La piana lettura di tale comma 6 dell’art. 5 – “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive” – mostra con evidenza che la sua stessa “struttura” prefigura un giudizio nitidamente e rigorosamente distinto in due fasi, il cui oggetto è costituito, rispettivamente, dall’eventuale riconoscimento del diritto (fase dell’an debeatur) e – solo all’esito positivo di tale prima fase – dalla determinazione quantitativa dell’assegno (fase del quantum debeatur).

La complessiva ratio della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, (diritto condizionato all’assegno di divorzio e – riconosciuto tale diritto determinazione e prestazione dell’assegno) ha fondamento costituzionale nel dovere inderogabile di “solidarietà economica” (art. 2, in relazione all’art. 23, Cost. ), il cui adempimento è richiesto ad entrambi gli ex coniugi, quali “persone singole”, a tutela della “persona” economicamente più debole (cosiddetta “solidarietà post-coniugale”): sta precisamente in questo duplice fondamento costituzionale sia la qualificazione della natura dell’assegno di divorzio come esclusivamente “assistenziale” in favore dell’ex coniuge economicamente più debole ( art. 2 Cost. ) – natura che in questa sede va ribadita -, sia la giustificazione della doverosità della sua “prestazione” ( art. 23 Cost.).

Sicchè, se il diritto all’assegno di divorzio è riconosciuto alla “persona” dell’ex coniuge nella fase dell’an debeatur, l’assegno è “determinato” esclusivamente nella successiva fase del quantum debeatur, non già “in ragione” del rapporto matrimoniale ormai definitivamente estinto, bensì “in considerazione” di esso nel corso di tale seconda fase (cfr. l’incipit del comma 6 dell’art. 5 cit.: “(….) il tribunale, tenuto conto (….)”), avendo lo stesso rapporto, ancorchè estinto pure nella sua dimensione economico-patrimoniale, caratterizzato, anche sul piano giuridico, un periodo più o meno lungo della vita in comune (“la comunione spirituale e materiale”) degli ex coniugi.

Deve, peraltro, sottolinearsi che il carattere condizionato del diritto all’assegno di divorzio – comportando ovviamente la sua negazione in presenza di “mezzi adeguati” dell’ex coniuge richiedente o delle effettive possibilità “di procurarseli”, vale a dire della “indipendenza o autosufficienza economica” dello stesso – comporta altresì che, in carenza di ragioni di “solidarietà economica”, l’eventuale riconoscimento del diritto si risolverebbe in una locupletazione illegittima, in quanto fondata esclusivamente sul fatto della “mera preesistenza” di un rapporto matrimoniale ormai estinto, ed inoltre di durata tendenzialmente sine die: il discrimine tra “solidarietà economica” ed illegittima locupletazione sta, perciò, proprio nel giudizio sull’esistenza, o no, delle condizioni del diritto all’assegno, nella fase dell’an debeatur.

 

A distanza di quasi ventisette anni, il Collegio ritiene tale orientamento, per le molteplici ragioni che seguono, non più attuale, e ciò lo esime dall’osservanza dell’art. 374 c.p.c. , comma 3.

Il parametro del “tenore di vita” – se applicato anche nella fase dell’an debeatur – collide radicalmente con la natura stessa dell’istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici: infatti, come già osservato (supra, sub n. 2.1), con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale – a differenza di quanto accade con la separazione personale, che lascia in vigore, seppure in forma attenuata, gli obblighi coniugali di cui all’art. 143 cod. civ. -, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo sia pure limitatamente alla dimensione economica del “tenore di vita matrimoniale” ivi condotto – in una indebita prospettiva, per così dire, di “ultrattività” del vincolo matrimoniale.

Sono oltremodo significativi al riguardo: 1) il brano della citata sentenza delle Sezioni Unite n. 11490 del 1990, secondo cui “(….) è utile sottolineare che tutto il sistema della legge riformata (….) privilegia le conseguenze di una perdurante (….) efficacia sul piano economico di un vincolo che sul piano personale è stato disciolto (….)” (pag. 38); 2) l’affermazione della “funzione di riequilibrio” delle condizioni economiche degli ex coniugi attribuita da tale sentenza all’assegno di divorzio: “(….) poichè il giudizio sull’an del diritto all’assegno è basato sulla determinazione di un quantum idoneo ad eliminare l’apprezzabile deterioramento delle condizioni economiche del coniuge che, in via di massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio (….), è necessaria una determinazione quantitativa (sempre in via di massima) delle somme sufficienti a superare l’inadeguatezza dei mezzi dell’avente diritto, che costituiscono il limite o tetto massimo della misura dell’assegno” (pagg. 24-25: si noti l’evidente commistione tra gli oggetti delle due fasi del giudizio).

  1. B) La scelta di detto parametro implica l’omessa considerazione che il diritto all’assegno di divorzio è eventualmente riconosciuto all’ex coniuge richiedente, nella fase dell’an debeatur, esclusivamente come “persona singola” e non già come (ancora) “parte” di un rapporto matrimoniale ormai estinto anche sul piano economico-patrimoniale, avendo il legislatore della riforma del 1987 informato la disciplina dell’assegno di divorzio, sia pure per implicito ma in modo inequivoco, al principio di “autoresponsabilità” economica degli ex coniugi dopo la pronuncia di divorzio.
  2. C) La “necessaria considerazione”, da parte del giudice del divorzio, del preesistente rapporto matrimoniale anche nella sua dimensione economico-patrimoniale (“(….) il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio (….)”) è normativamente ed esplicitamente prevista soltanto per l’eventuale fase del giudizio avente ad oggetto la determinazione dell’assegno (quantum debeatur), vale a dire – come già sottolineato – soltanto dopo l’esito positivo della fase precedente (an debeatur), conclusasi cioè con il riconoscimento del diritto all’assegno.

Il parametro del “tenore di vita” induce inevitabilmente ma inammissibilmente, come già rilevato (cfr., supra, sub n. 2.1), una indebita commistione tra le predette due “fasi” del giudizio e tra i relativi accertamenti.

E’ significativo, al riguardo, quanto affermato dalle Sezioni Unite, sempre nella sentenza n. 11490 del 1990: “(….) lo scopo di evitare rendite parassitarie ed ingiustificate proiezioni patrimoniali di un rapporto personale sciolto può essere raggiunto utilizzando in maniera prudente, in una visione ponderata e globale, tutti i criteri di quantificazione supra descritti, che sono idonei ad evitare siffatte rendite ingiustificate, nonchè a responsabilizzare il coniuge che pretende l’assegno, imponendogli di attivarsi per realizzare la propria personalità, nella nuova autonomia di vita, alla stregua di un criterio di dignità sociale (…)”.

Le menzionate sentenze delle Sezioni Unite del 1990 si fecero carico della necessità di contemperamento dell’esigenza di superare la concezione patrimonialistica del matrimonio “inteso come “sistemazione definitiva”, perchè il divorzio è stato assorbito dal costume sociale” (così la sentenza n. 11490 del 1990) con l’esigenza di non turbare un costume sociale ancora caratterizzato dalla “attuale esistenza di modelli di matrimonio più tradizionali, anche perchè sorti in epoca molto anteriore alla riforma”, con ciò spiegando la preferenza accordata ad un indirizzo interpretativo che “meno traumaticamente rompe(sse) con la passata tradizione” (così ancora la sentenza n. 11490 del 1990). Questa esigenza, tuttavia, si è molto attenuata nel corso degli anni, essendo ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile (matrimonio che – oggi – è possibile “sciogliere”, previo accordo, con una semplice dichiarazione delle parti all’ufficiale dello stato civile, a norma del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 12, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, art. 1, comma 1).

 

 

Ed è coerente con questo approdo sociale e legislativo l’orientamento di questa Corte, secondo cui la formazione di una famiglia di fatto da parte del coniuge beneficiario dell’assegno divorzile è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una eventuale cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale da parte dell’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo (cfr. le sentenze nn. 6855 del 2015 e 2466 del 2016). In proposito, un’interpretazione delle norme sull’assegno divorzile che producano l’effetto di procrastinare a tempo indeterminato il momento della recisione degli effetti economico-patrimoniali del vincolo coniugale, può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia successivamente alla disgregazione del primo gruppo familiare, in violazione di un diritto fondamentale dell’individuo (cfr. Cass. n. 6289/2014) che è ricompreso tra quelli riconosciuti dalla Cedu (art. 12) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 9). Si deve quindi ritenere che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale. L’interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno divorzile come detto – non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento della indipendenza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione – esclusivamente – assistenziale dell’assegno divorzile.

 

 

Al di là delle diverse opinioni che si possono avere sulla rilevanza ermeneutica dei lavori preparatori della L. n. 74 del 1987 (che inserì nell’art. 5 il fondamentale riferimento alla mancanza di “mezzi adeguati” e alla “impossibilità di procurarseli”) in senso innovativo (come sosteneva una parte della dottrina che imputava alla giurisprudenza precedente di avere favorito una concezione patrimonialistica della condizione coniugale) o sostanzialmente conservativo del precedente assetto (si legga in tal senso il brano della sentenza delle Sezioni Unite n. 11490/1990 che considerava non giustificato “l’abbandono di quella parte dei criteri interpretativi adottati in passato per il giudizio sull’esistenza del diritto all’assegno”), non v’è dubbio che chiara era la volontà del legislatore del 1987 di evitare che il giudizio sulla “adeguatezza dei mezzi” fosse riferito “alle condizioni del soggetto pagante” anzichè “alle necessità del soggetto creditore”: ciò costituiva “un profilo sul quale, al di là di quelle che possono essere le convinzioni personali del relatore, qui irrilevanti, si è realizzata la convergenza della Commissione” (cfr. intervento del relatore, sen. N. Lipari, in Assemblea del Senato, 17 febbraio 1987, 561a sed. pom., resoconto stenografico, pag. 23). Nel giudizio sull’an debeatur, infatti, non possono rientrare valutazioni di tipo comparativo tra le condizioni economiche degli ex coniugi, dovendosi avere riguardo esclusivamente alle condizioni del soggetto richiedente l’assegno successivamente al divorzio.

 

 

 

 

Il parametro del “tenore di vita” induce inevitabilmente ma inammissibilmente, come già rilevato (cfr., supra, sub n. 2.1), una indebita commistione tra le predette due “fasi” del giudizio e tra i relativi accertamenti.

E’ significativo, al riguardo, quanto affermato dalle Sezioni Unite, sempre nella sentenza n. 11490 del 1990: “(….) lo scopo di evitare rendite parassitarie ed ingiustificate proiezioni patrimoniali di un rapporto personale sciolto può essere raggiunto utilizzando in maniera prudente, in una visione ponderata e globale, tutti i criteri di quantificazione supra descritti, che sono idonei ad evitare siffatte rendite ingiustificate, nonchè a responsabilizzare il coniuge che pretende l’assegno, imponendogli di attivarsi per realizzare la propria personalità, nella nuova autonomia di vita, alla stregua di un criterio di dignità sociale (…)”.

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