CASA CONSEGNATA PRIMA DEL ROGITO COSA SUCCEDE?

 

CASA CONSEGNATA PRIMA DEL ROGITO COSA SUCCEDE?

AFFERMA LA CASSAZIONE: Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, la relazione che si instaura tra la cosa e il promissario acquirente è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso (Sez. 2, Sentenza n. 5211 del 16/03/2016, Rv. 639209; Sez. U, Sentenza n. 7930 del 27/03/2008, Rv. 602815).

Sul punto, va ricordato che questa Suprema Corte ha affermato che la sopravvenuta inefficacia di un contratto preliminare di compravendita, a seguito della prescrizione del diritto da esso derivante alla stipulazione del contratto definitivo, comporta, per il promissario acquirente che abbia ottenuto dal promittente venditore la consegna e la detenzione anticipate della cosa, l’obbligo di restituzione, a norma dell’art. 2033 c.c., della cosa stessa e degli eventuali frutti (condictio indebiti ob causam finitam), non un’obbligazione risarcitoria per il mancato godimento del bene nel periodo successivo al compimento della prescrizione (Sez. 2, Sentenza n. 16629 del 03/07/2013, Rv. 626935).

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Cassazione civile, sez. II, 14/03/2017, (ud. 01/12/2016, dep.14/03/2017),  n. 6575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10722-2012 proposto da:

D.G.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO EMILIO

34, presso lo studio dell’avvocato QUIRINO D’ANGELO, rappresentato e

difeso dall’avvocato CARLO MONTANINO;

– ricorrente –

R.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato LETIZIA TILLI, rappresentato e

difeso dall’avvocato SABATINO CIPRIETTI;

– ricorrente e controricorrente incidentale –

contro

D.G.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO EMILIO

34, presso lo studio dell’avvocato QUIRINO D’ANGELO, rappresentato e

difeso dall’avvocato CARLO MONTANINO;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 523/2005 del 16/5/2005 e avverso la sentenza

  1. 1138/2011 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il
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28/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito l’Avvocato SAGNA Alberto, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato CIPRIETTI Sabatino, difensore del resistente che si

riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione inammissibilità o in subordine, rigetto del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

  1. – Il Tribunale di Pescara, in accoglimento delle domande proposte da D.G.I. nei confronti di R.M., dichiarò risolto per colpa di quest’ultimo il contratto preliminare col quale lo stesso si era impegnato a vendere all’attore il secondo piano di un edificio per civile abitazione e condannò lo stesso R. a restituire al D.G. la caparra ricevuta, maggiorata degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, nonchè a corrispondergli il risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede.
  2. – Sul gravame proposto dal R., la Corte di Appello di L’Aquila prima con sentenza non definitiva, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarò che sull’importo della caparra da restituire al D.G. non era dovuta rivalutazione monetaria e condannò altresì lo stesso D.G. a rilasciare l’immobile promessogli in vendita del quale aveva ottenuto la detenzione; poi, con sentenza definitiva, in accoglimento della riconvenzionale proposta dal convenuto, condannò il D.G. al risarcimento del danno in favore del R. per l’occupazione dell’immobile.
  1. – Per la cassazione della sentenza di appello ricorre D.G.I. sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso R.M., che propone altresì ricorso incidentale condizionato affidato a un motivo.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. – Preliminarmente va ritenuta l’ammissibilità del ricorso proposto dal D.G. avverso la sentenza non definitiva di appello, avendo lo stesso precisato le circostanze nelle quali ha formulato riserva di impugnazione ai sensi dell’art. 361 c.p.c. (cfr. p. 5 del controricorso avverso il ricorso incidentale), non contestate peraltro dal resistente.
  2. – Come si è detto, il ricorso principale si articola in quattro motivi.

2.1. – Col primo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di Appello, con la sentenza definitiva, qualificato la somma liquidata a carico del D.G. e in favore del R. come dovuta a titolo di “risarcimento del danno per illegittima occupazione”, violando così il giudicato interno formatosi con la sentenza non definitiva, che aveva ritenuto impropria la qualificazione della domanda del R. come risarcitoria; si lamenta ancora che la Corte territoriale avrebbe pronunciato sulle domande di restituzione dell’immobile e di “risarcimento del danno per occupazione illegittima” nonostante che tali domande fossero state rigettate dal giudice di primo grado con statuizioni che non erano state oggetto di impugnazione.

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Entrambi i profili della censura sono infondati.

E’ infondato innanzitutto il primo profilo della censura. Non sussiste alcuna violazione del giudicato interno formatosi con la sentenza non definitiva: sia perchè l’espressione contenuta tra parentesi nella sentenza non definitiva, secondo cui la corresponsione dell’equivalente pecuniario del godimento dell’immobile promesso in vendita era stata chiesto “(sebbene sotto l’impropria qualificazione di un risarcimento del danno)”, costituisce un obiter della sentenza impegnata, non esistendo una pronuncia ex professo in proposito; sia perchè, in ogni caso, la sentenza non definitiva si è limitata a pronunciare l’accoglimento della domanda come formulata dalla parte (“accoglie il capo della domanda in ordine al risarcimento dei danni per illegittima occupazione”), senza affrontare il tema della qualificazione giuridica della domanda.

E’ infondato anche il secondo profilo della censura, secondo cui il rigetto delle domande di restituzione dell’immobile e di corresponsione dei frutti, pronunciato dal primo giudice, non sarebbe stato oggetto di impugnazione in appello. Invero, dalla sentenza non definitiva (tanto a p. 2 ove sono riportate le conclusioni dell’appellante, che a p. 20 ove il motivo di appello è preso in esame) risulta che l’impugnazione vi fu.

2.2. – Col secondo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1148, 2033 e 2037 c.c., per avere la Corte territoriale riconosciuto il diritto del R. alla corresponsione dei frutti per l’anticipato godimento dell’immobile nonostante che il promissario acquirente non potesse qualificarsi possessore del predio (essendo mero detentore) e non potesse pertanto applicarsi l’art. 1148 c.c..

Anche questo motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, la relazione che si instaura tra la cosa e il promissario acquirente è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso (Sez. 2, Sentenza n. 5211 del 16/03/2016, Rv. 639209; Sez. U, Sentenza n. 7930 del 27/03/2008, Rv. 602815).

La Corte di Appello, contrariamente a quello che assume il ricorrente, non ha violato tale principio, non avendo affatto ritenuto sussistente il possesso in capo al promissario acquirente, nè avendo applicato l’art. 1148 c.c. (relativo al possesso).

La Corte territoriale ha, invece, implicitamente fatto applicazione dell’art. 2033 c.c., che disciplina l’indebito oggettivo, a tenore del quale “Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”.

Sul punto, va ricordato che questa Suprema Corte ha affermato che la sopravvenuta inefficacia di un contratto preliminare di compravendita, a seguito della prescrizione del diritto da esso derivante alla stipulazione del contratto definitivo, comporta, per il promissario acquirente che abbia ottenuto dal promittente venditore la consegna e la detenzione anticipate della cosa, l’obbligo di restituzione, a norma dell’art. 2033 c.c., della cosa stessa e degli eventuali frutti (condictio indebiti ob causam finitam), non un’obbligazione risarcitoria per il mancato godimento del bene nel periodo successivo al compimento della prescrizione (Sez. 2, Sentenza n. 16629 del 03/07/2013, Rv. 626935).

Il principio vale certamente anche per il caso di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, dovendosi ritenere che la retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione stabilita dall’art. 1458 c.c., in ragione del venir meno della causa giustificatrice delle prestazioni già eseguite, comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi sulla ripetizione dell’indebito (richiamano la disciplina dell’indebito oggettivo, tra le altre, Sez. 1, Sentenza n. 17558 del 02/08/2006, Rv. 593493; Sez. 3, Sentenza n. 7083 del 28/03/2006, Rv. 588672).

Dovendosi inquadrare la fattispecie nella figura dell’indebito oggettivo, ne consegue l’insorgenza dell’obbligo di corrispondere i frutti per l’anticipato godimento dell’immobile promesso in vendita, a norma dell’art. 2033 c.c..

2.3. – Col terzo motivo, si deduce poi la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1148, 2033, 2037 e 1227 c.c., per avere la Corte di Appello riconosciuto al promittente venditore il diritto all’equivalente pecuniario del godimento dell’immobile, nonostante si trattasse di immobile privo di abitabilità, e per avere riconosciuto sulla somma liquidata, commisurata al valore locativo e già comprensiva di rivalutazione, l’ulteriore rivalutazione monetaria, nonostante che si trattasse di debito di valuta e non di valore.

Il primo profilo della censura non è fondato. La Corte territoriale ha spiegato come la mancanza di licenza di abitabilità dell’immobile fosse irrilevante nella specie, essendo l’appartamento di fatto abitabile ed essendo stato in concreto goduto dal promissario acquirente. Alla stregua di tale accertamento di fatto, non sussiste la dedotta violazione o falsa applicazione di norme di diritto.

E’ fondato, invece, il secondo profilo della censura.

Il corrispettivo del valore locativo dell’immobile di cui il promissario acquirente ha ottenuto la detenzione costituisce debito di valuta, come tale non soggetto a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno – da provarsi dal creditore – rispetto a quello soddisfatto dagli interessi legali, ai sensi dell’art. 1224 c.c. (Sez. 3, Sentenza n. 5639 del 12/03/2014, Rv. 630187; Sez. 3, Sentenza n. 255 del 11/01/2006, Rv. 586609; v. anche Sez. U, Sentenza n. 5743 del 23/03/2015, Rv. 634625Va infatti osservato che il diritto al compenso per il godimento dell’immobile è stato riconosciuto al R. con la sentenza non definitiva della Corte di Appello (vedasi p. 20 della detta sentenza); mentre il motivo si rivolge avverso la sentenza definitiva, senza attaccare la statuizione contenuta nella sentenza non definitiva.

Si è formato, pertanto, il giudicato interno sull’an dell’obbligazione, che preclude l’esame della questione sottoposta con la censura.

  1. – Quanto al ricorso incidentale condizionato, fondato sull’unico motivo col quale si lamenta l’omessa e insufficiente motivazione della sentenza impugnata relativamente al ritenuto inadempimento del promittente venditore, lo stesso è infondato e va rigettato.

La Corte territoriale ha ampiamente motivato in ordine al ritenuto inadempimento del R. (v. pp. 1-19 della sentenza non definitiva impugnata); la motivazione della sentenza impugnata sul punto è esente da vizi logici e giuridici e supera, pertanto, il vaglio di legittimità.

  1. – In definitiva, va accolto il terzo motivo del ricorso principale per quanto di ragione; vanno rigettati gli altri motivi del ricorso principale nonchè il ricorso incidentale; va cassata la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, va eliminata la rivalutazione monetaria sulla somma liquidata in favore del R..

Quanto alle spese processuali, quelle relative al presente giudizio di legittimità vanno compensate tra le parti in ragione della soccombenza reciproca; mentre vanno confermate le statuizioni dei giudici di merito in ordine alle spese relative ai precedenti gradi di giudizio.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

accoglie il terzo motivo del ricorso principale per quanto di ragione; rigetta gli altri motivi dello stesso ricorso nonchè il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo la causa nel merito, elimina la rivalutazione monetaria sulla somma liquidata in favore del R.; compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità, confermando le statuizioni sulle spese relative ai precedenti gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2017