BOLOGNA MALASANITA’ Responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente – Natura contrattuale – Presupposti – Contratto autonomo atipico a prestazioni corrispettive – Danni e riparto dell’onere probatorio-Responsabilita’ medica – Paziente – Danni – Domanda risarcitoria – Responsabilità del medico e della struttura sanitaria – Natura contrattualistica – Onere probatorio delle parti – Interventi di facile esecuzione e di alta specialità  

BOLOGNA MALASANITA’ Responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente – Natura contrattuale – Presupposti – Contratto autonomo atipico a prestazioni corrispettive – Danni e riparto dell’onere probatorio-Responsabilita’ medica – Paziente – Danni – Domanda risarcitoria – Responsabilità del medico e della struttura sanitaria – Natura contrattualistica – Onere probatorio delle parti – Interventi di facile esecuzione e di alta specialità

 

BOLOGNA MALASANITA’ Responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente - Natura contrattuale - Presupposti - Contratto autonomo atipico a prestazioni corrispettive - Danni e riparto dell'onere probatorio-Responsabilita' medica - Paziente - Danni - Domanda risarcitoria - Responsabilità del medico e della struttura sanitaria - Natura contrattualistica - Onere probatorio delle parti - Interventi di facile esecuzione e di alta specialità  
BOLOGNA MALASANITA’ Responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente – Natura contrattuale – Presupposti – Contratto autonomo atipico a prestazioni corrispettive – Danni e riparto dell’onere probatorio-Responsabilita’ medica – Paziente – Danni – Domanda risarcitoria – Responsabilità del medico e della struttura sanitaria – Natura contrattualistica – Onere probatorio delle parti – Interventi di facile esecuzione e di alta specialità

La Suprema Corte ha infatti ormai pacificamente inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria

BOLOGNA RISARCIMENTO MALASANITA

nella responsabilità contrattuale sul rilievo che l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto (Cass. civ. Sez. Un. sent n. 577/2008; Cass. civ. sent n. 1620/2012; sent n. 9085/2006; Sent. n. 10297/2004; sent n. 11316/2003). A sua volta anche l’obbligazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul “contatto sociale”, ha natura contrattuale (Cass. civ. Sez. Un. sent n. 577/2008; Cass. civ. sent n. 9085/2006; sent n. 19564/2004; sent. n. 11488/2004).

Il rapporto paziente-struttura

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 è stato dalla giurisprudenza riconsiderato in termini autonomi dal rapporto paziente-medico e riqualificato come un autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive (contratto di assistenza sanitaria). Si ha quindi l’apertura a forme di responsabilità contrattuali autonome dell’ente, che prescindono dall’accertamento di una condotta negligente dei singoli operatori e trovano invece la propria fonte nell’inadempimento delle obbligazioni direttamente riferibili all’ente (Cass. civ. Sez. Un. sent. 577/2008; Sez. Un. sent n. 9556/2012; Cass. civ. sent n. 1698/2006; sent. n. 571/2005).

Da ciò consegue l’applicabilità dell’art. 1218 cc.

con onere a carico della convenuta di fornire la prova di avere correttamente adempiuto alla propria prestazione. La Suprema Corte ha infatti ripetutamente affermato che “in tema di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarci a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo esso non è stato eziologicamente rilevante” (Cass. civ. Sez. Un. sent n. 577/2008; Sez. Un. sent n. 13533/2001; Cass. civ. sent. 17143/2012; sent n. 15993/2011; sent n. 2857/2010; sent n. 1236/2006; sent. 22894/20051).

In proposito la Sezione III civile del Tribunale di Bologna,

 non condividendo le differenti prese di posizione dei Tribunali di Varese 26.11.2012 e del Tribunale di Torino 14.02.2013, ritiene che la novella apportata dal decreto “Balduzzi” non abbia portato alcuna modifica, anche in esito ad una interpretazione complessiva della giurisprudenza intervenuta in materia, e che il riferimento all’art. 2043 c.c. non debba essere inteso come tassativo, bensì come meramente indicativo, consentendosi comunque l’applicabilità, nei casi di responsabilità medica, dell’art. 1218 c.c. e quindi di una responsabilità di tipo contrattuale (con tutto ciò che ne consegue, ad esempio, con riferimento all’onere probatorio o alla prescrizione). L’art. 3 co. 1, del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, come modificato dalla l. 8 novembre 2012 n. 189, nei prevedere che “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”, fermo restando, in tali casi, l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile”, non esprime alcuna opzione da parte del legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, ma intende solo escludere, in tale ambito, l’irrilevanza della colpa lieve (Cass. civ. ord. n. 8940/20; sent. n. 26358/2013; sent. n. 4792/2013; Corte d’Appello di Bologna sent. n. 728/2015; Trib. di Bologna sent. n. 2650/2015; Trib. di Milano sent. 15/07/2014; Trib. di Cremona sez. I Civile, sent. 19/09/2013; Trib. di Ferrara, sent. n. 629/2013).

Al contempo, appare corretto adottare una interpretazione estensiva dell’ambito di applicabilità della norma de qua, non potendo il riferimento al solo “esercente la professione sanitaria” escludere l’applicabilità della novella all’ente ospedaliero (il quale, in ogni caso, continuerebbe a rispondere ex art. 1228 c.c. per il comportamento dei propri dipendenti e/o collaboratori).

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E’ stato ormai raggiunto, nelle pronunce sul tema della responsabilità medica,

 un risultato univoco nel ritenere l’atto illecito del sanitario disciplinato dalle norme sulla responsabilità contrattuale ex art. 2229 c.c., secondo la tesi della ben nota responsabilità da “contatto”, in base alla quale si ravvisa il perfezionamento della fattispecie contrattuale, nel momento in cui la paziente entra in contatto con la struttura sanitaria o con il medico e richiede la prestazione. In particolare la Suprema Corte riconduce la responsabilità del sanitario ad una responsabilità contrattuale, senza che però sia ravvisabile, a monte, un obbligo di prestazione imposto da una precisa fonte, collegando tale responsabilità al rapporto contrattuale di fatto, o per meglio dire, creando una responsabilità nascente da “contatto sociale”.

COMUNIONE E DIVISIONE EREDITARIA RISOLVI ORA AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA

In tale fattispecie contrattuale, il c.d. “contratto di spedalità”, si è sottolineato il contenuto atipico, differente dallo schema del contratto d’opera professionale, in quanto caratterizzato da prestazioni di vario contenuto, in cui vengono in considerazione anche gli oneri di protezione; manca un obbligo primario alla prestazione derivante da contratto, ma si inserisce nel contenuto della prestazione un dovere di protezione in capo al sanitario dipendente della struttura ospedaliera, in quanto l’attività medica si atteggia come attività protetta; tra tali doveri di protezione assume certamente valore preminente, l’obbligo di completa e corretta informazione.

All’interno di tale quadro la giurisprudenza ha ormai riconosciuto la possibilità di affermare la responsabilità della struttura sanitaria, ospedaliera e non ospedaliera, per i danni, biologici, patrimoniali e morali, causati da prestazioni mediche dovute da atti compiuti da sanitari dipendenti.

Si segnala come tuttavia all’interno della responsabilità dell’ente ospedaliero la giurisprudenza ha comunque orami optato per la natura contrattuale della stessa, ravvisando ora un vero e proprio contratto professionale (tale è l’indirizzo più risalente sin da Cass. civ. 21 dicembre 1978 n. 6141; Cass. civ. 24 marzo 1979 n. 1716; Cass. I marzo 1988 n. 2144; Cass. 27 maggio 1993 n. 5939), ora, secondo l’indirizzo giurisprudenziale più recente, un contratto a contenuto atipico, ed “contratto di spedalità che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria nel momento in cui lo stesso entra in “contatto” con la struttura tramite un qualsiasi operatore della stessa (Cass. SS. UU. 1 luglio 2002 n. 9556). L’accertamento della responsabilità del sanitario va pertanto ricondotto alle regole contrattualistiche sopra evidenziate.

Stabilisce l’art. 2236 del codice civile che il prestatore d’opera,

 se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, non risponde dei danni, se non nel caso di dolo o colpa grave. Va rilevato, tuttavia, che la giurisprudenza suole limitare i casi nei quali sussistono “problemi tecnici di speciale difficoltà” alle sole operazioni di carattere eccezionale, per non essere stato ancora studiata o sperimentata la tecnica o per essere stato oggetto di dibattiti scientifici con sperimentazione di sistemi diagnostici e terapeutici diversi ed incompatibili. In ogni caso anche in tali ipotesi non vi è alcun discostamento dal normale criterio di valutazione della responsabilità. In sostanza l’art. 2236 del codice civile non stabilisce un criterio astratto meno severo di valutazione della colpa, ma impone di tener conto delle circostanze del caso concreto, così come del resto prevede l’art. 1.176, secondo comma, del codice civile. La nonna dettata dall’art. 2236 del codice civile contiene essenzialmente una direttiva per il giudice, affinché tenga conto delle particolari difficoltà tecniche del caso concreto al fine di stabilire quale comportamento sia esigibile in quella circostanza dal medico, non con riferimento al parametro astratto della diligenza ordinaria, ma con riferimento alle regole dell’arte, che si specificano di volta in volta in relazione alla professionalità dell’attività oggetto dell’obbligazione.

Il problema che l’art. 2236 del codice civile intende risolvere non è quello della graduazione della colpa, ma quello dell’esistenza della stessa in relazione alle peculiari caratteristiche dell’obbligazione inerente ad una prestazione professionale, rapportandola essenzialmente al criterio della diligenza previsto dall’art. 1176 del codice civile, al di là del risultato promesso o sperato, in pratica la giurisprudenza, per superare l’apparente contrasto tra art. 2236 c.c. e 1176 cc, assume che l’art. 2236 c.c. costituisca deroga al 1176 cc: la diligenza che, il professionista deve porre nello svolgimento della sua prestazione è quella media di cui all’art. 1176 c.c., da valutarsi in rapporto all’attività esercitata concretamente. Ove tale attività richieda la soluzione di particolari problemi tecnici, la responsabilità del professionista è attenuata ex. art. 2236 c.c., ovvero se l’impegno intellettuale richiesto sia superiore a quello professionale medio, in tal caso risponde solo per dolo o colpa grave (Cass. 6141/1978; Cass. 26 marzo 1990 n. 2428; Cass. 12 agosto 1995 n. 8845; Cass. 22 gennaio 1999 n. 589). Non mancano comunque pronunce, che questo giudicante intende seguire, che hanno introdotto limiti, reputando l’art. 2236 c.c. riferentesi solo alla misura di perizia richiesta e non anche alla diligenza e prudenza, ed assumendo, per contro, che, se la cattiva riuscita della prestazione dipende da negligenza/imprudenza, la i limitazione di responsabilità non opera e il medico risponderà per colpa lieve (su tutte si veda Cass. 4852/99; Cass. 10 maggio 2000 n. 5945; Cass. 18 novembre 1997 n. 11440; Cass. 28 marzo 1994 n. 3023; Cass. 11 agosto 1990 n. 8218). Per il riconoscimento di nesso di causalità tra la condotta del medico e il danno patito dal paziente la giurisprudenza suole applicare tradizionalmente la teoria condizionalistica della sussumibilità sotto leggi scientifiche e fondata sul concetto di probabilità statistica. In pratica si conduce un giudizio controfattuale di natura prognostica – ipotetica, che ipotizza come assente, contro la realtà storica, una determinata condizione, per poi verificare se nella situazione, così mutata, si sarebbe o meno verificato l’evento; tale giudizio è compiuto, come è noto, sotto la copertura di leggi scientifiche o dettate dalla generalizzata esperienza, leggi di carattere universale o statistico.

Responsabilità medica assicurazioniTali ricostruzioni altro non sono che la trasposizione in sede civilistica delle conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza penale in ordine al nesso eziologico di cui agli artt. 40 e41 c.p.

In tale contesto si sono inserite le Sezioni Unite della Suprema Corte, affermando il diverso principio della ed probabilità logica, ovvero un giudizio complessivo del quale la probabilità statistica è uno solo degli elementi, e che deve risolversi in un postulato di elevata credibilità razionale del risultato dell’operazione logica compiuta dal giudice. In tale contesto il giudice potrà e dovrà far riferimento anche a leggi di carattere universale, regole di esperienza, valutando in concreto tutti gli elementi probatori a disposizione. In pratica secondo tale indirizzo (proprio di alcune pronunce precedenti e successive Cass. pen. 10 giugno 2002 n. 22568; Cass. pen. 15 novembre 2002 n. 38334) il criterio meramente probabilistico non appare sufficiente, in quanto, da un alto alti coefficienti di probabilità non è detto che possano in concreto incidere sulla reale ricorrenza del nesso causale, mentre dall’altro anche coefficienti medio bassi di probabilità per tipi di evento possono condurre al riconoscimento giudiziale del nesso causale, quantomeno in termini di alto o elevata credibilità razionale; in specie quanto più è basso il coefficiente di probabilità tanto più si impone al giudice “il positivo riscontro probatorio, condotto secondo le cadenze tipiche della più aggiornata criteriodogia medica, circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in vai alternativa”.

In conclusione si può affermare che prendendo in considerazione tre arresti importanti della Suprema Corte 1) Cass. 22 gennaio 1999 n. 589 (responsabilità sicuramente contrattuale del sanitario e della struttura ospedaliera), Cass. SS. UU. 13553/01 (onere della prova sia nell’azione di inadempimento che di risoluzione è a carico del debitore) Cass. SS. UU. 10 luglio 2002 n. 30328, confermate da Cass. 577/2008 (criterio della probabilità logica nella ricostruzione del nesso causale) le conseguenze sulla ricostruzione civilistica della responsabilità sanitaria possono essere così ricostruite:

  1. a) sarà a carico del sanitario provare la correttezza del suo operato, secondo i criteri di diligenza negligenza e perizia sopra evidenziati, anche negli interventi di difficile esecuzione (con la conseguenza che ove residui incertezza sul suo operato l’inadempimento risulterà accertato in base alla regola dell’onere probatorio)
  2. b) sarà a carico del paziente l’onere della prova del nesso causale, (con i criteri della probabilità logica), prova generalmente fornita per presunzioni e mediante prova di fatti secondari: quindi negli interventi di facile esecuzione la prova del fatto secondario (es. peggioramento dello stato di salute, esito infausto dell’operazione) potrà essere sufficiente per ritenersi provato il nesso casuale, negli interventi di alta specialità invece la prova dei fatti secondari non sarà sufficiente e sarà onere del paziente provare che nel caso concreto si è verificata la regola astratta, che non vi sono cause alternative e così dicendo, secondo una ricostruzione del nesso causale non probabilistica, ma razionale e logica.

In sostanza nei giudizi di risarcimento del danno causato da attività medica, l’attore ha l’onere di allegare e di provare l’esistenza del rapporto di cura, il danno il ed il nesso causale, mentre ha l’onere di allegare (ma non di provare) la colpa del medico; quest’ultimo, invece, ha l’onere di provare che l’eventuale insuccesso dell’intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, è dipeso da causa a sé non imputabile (Cass. 17143/2012).

 

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