art 617-bis c.p. installazione di un software spia all’interno di uno smartphone, SPIA MOGLIE

art 617-bis c.p. installazione di un software spia all’interno di uno smartphone, SPIA MOGLIE

  1. Ve. An., per il tramite del difensore, ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 21 febbraio 2018, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio del 3 aprile 2017, emessa nei suoi confronti, in punto di declaratoria di responsabilità per il delitto di cui all’art. 617-bis cod.pen., commesso in pregiudizio della coniuge Me. Lu., con l’istallare all’interno del telefono cellulare a lei in uso uno spy-software idoneo ad intercettarne le comunicazioni telefoniche.

Ai fini della configurabilità del reato di installazione di apparecchiature atte ad intercettare (o parte di esse) deve aversi riguardo alla sola attività di installazione e non a quella successiva dell’intercettazione o impedimento delle altrui comunicazioni, che rileva solo come fine della condotta, con la conseguenza che il reato si consuma anche se gli apparecchi installati, fuori dall’ipotesi di una loro inidoneità assoluta, non abbiano funzionato o non siano stati attivati.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 26889 del 28/04/2016, Scurato, Rv. 266905, hanno spiegato che l’evoluzione tecnologica ha consentito di approntare strumenti informatici del tipo ‘software’, solitamente istallati in modo occulto su un telefono cellulare, un tablet o un PC, che consentono di captare tutto il traffico dei dati in arrivo o in partenza dal dispositivo e, quindi, anche le conversazioni telefoniche.

Ne viene che, al lume di tale autorevole interpretazione del diritto vivente, non è possibile dubitare dell’inclusione dei programmi informatici denominati ‘spy-software’ nella categoria degli “apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti” diretti all’intercettazione o all’impedimento di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone, di cui all’art. 617-bis, comma 1, cod.pen., venendo in rilievo una categoria aperta e dinamica, suscettibile di essere implementata per effetto delle innovazioni tecnologiche che, nel tempo, consentono di realizzare gli scopi vietati dalla legge. Da ciò deriva l’infondatezza del primo motivo.

  1. Parimenti infondato è il secondo motivo. Appartiene al patrimonio condiviso di questa Corte l’enunciazione direttiva secondo la quale il reato previsto dall’art. 617-bis cod. pen. anticipa la tutela della riservatezza e della libertà delle comunicazioni mediante l’incriminazione di fatti prodromici all’effettiva lesione del bene, punendo l’installazione di apparati o di strumenti, ovvero di semplici parti di essi, per intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni telefoniche; pertanto, ai fini della configurabilità del reato deve aversi riguardo alla sola attività di installazione e non a quella successiva dell’intercettazione o impedimento delle altrui comunicazioni, che rileva solo come fine della condotta, con la conseguenza che il reato si consuma anche se gli apparecchi installati, fuori dall’ipotesi di una loro inidoneità assoluta, non abbiano funzionato o non siano stati attivati(Sez. 2, n. 37710 del 24/09/2008, Pariota, Rv. 241456; nello stesso senso: Sez. 5, n. 37557 del 12/05/2015, Sinisi, Rv. 265789; Sez. 5, n. 3061 del 14/12/2010 – dep. 27/01/2011, Mazza, Rv. 249508).

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avvocato matrimonialista Sergio Armaroli

Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 18 marzo – 5 aprile 2019, n. 15071
Presidente Sabeone – Relatore Scordamaglia

Ritenuto in fatto

  1. Ve. An., per il tramite del difensore, ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 21 febbraio 2018, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio del 3 aprile 2017, emessa nei suoi confronti, in punto di declaratoria di responsabilità per il delitto di cui all’art. 617-bis cod.pen., commesso in pregiudizio della coniuge Me. Lu., con l’istallare all’interno del telefono cellulare a lei in uso uno spy-software idoneo ad intercettarne le comunicazioni telefoniche.

    2. L’atto di impugnativa è affidato a due motivi – enunciati nei limiti necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod.proc.pen. -, che denunciano:

    2.1. il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 617-ò/s cod.pen. e 14 Preleggi cod.civ., e il vizio di motivazione, sul rilievo dell’applicazione analogica della norma incriminatrice in ragione dell’assimilazione all’ ‘apparato o allo strumento’ da essa contemplato del programma informatico installato all’interno del telefono cellulare della persona offesa;

    2.2. il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 49, 50 e 617-bis cod.pen., e il vizio di motivazione, essendo il fatto di reato scriminato dal consenso dell’avente diritto, posto che la destinataria delle intrusioni era stata informata dal figlio dell’istallazione del software sul proprio cellulare, e, perciò, non aveva, in concreto, subito alcuna lesione della propria libertà di comunicazione.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

  1. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 26889 del 28/04/2016, Scurato, Rv. 266905, hanno spiegato che l’evoluzione tecnologica ha consentito di approntare strumenti informatici del tipo ‘software’, solitamente istallati in modo occulto su un telefono cellulare, un tablet o un PC, che consentono di captare tutto il traffico dei dati in arrivo o in partenza dal dispositivo e, quindi, anche le conversazioni telefoniche.

Ne viene che, al lume di tale autorevole interpretazione del diritto vivente, non è possibile dubitare dell’inclusione dei programmi informatici denominati ‘spy-software’ nella categoria degli “apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti” diretti all’intercettazione o all’impedimento di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone, di cui all’art. 617-bis, comma 1, cod.pen., venendo in rilievo una categoria aperta e dinamica, suscettibile di essere implementata per effetto delle innovazioni tecnologiche che, nel tempo, consentono di realizzare gli scopi vietati dalla legge. Da ciò deriva l’infondatezza del primo motivo.

  1. Parimenti infondato è il secondo motivo. Appartiene al patrimonio condiviso di questa Corte l’enunciazione direttiva secondo la quale il reato previsto dall’art. 617-bis cod. pen. anticipa la tutela della riservatezza e della libertà delle comunicazioni mediante l’incriminazione di fatti prodromici all’effettiva lesione del bene, punendo l’installazione di apparati o di strumenti, ovvero di semplici parti di essi, per intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni telefoniche; pertanto, ai fini della configurabilità del reato deve aversi riguardo alla sola attività di installazione e non a quella successiva dell’intercettazione o impedimento delle altrui comunicazioni, che rileva solo come fine della condotta, con la conseguenza che il reato si consuma anche se gli apparecchi installati, fuori dall’ipotesi di una loro inidoneità assoluta, non abbiano funzionato o non siano stati attivati(Sez. 2, n. 37710 del 24/09/2008, Pariota, Rv. 241456; nello stesso senso: Sez. 5, n. 37557 del 12/05/2015, Sinisi, Rv. 265789; Sez. 5, n. 3061 del 14/12/2010 – dep. 27/01/2011, Mazza, Rv. 249508).

Ne viene che le deduzioni difensive in ordine all’eventuale esistenza del consenso all’intrusione, desumibile dal comportamento inerte della detentrice del telefono cellulare interessato dal software, ed in ordine all’assenza di un’effettiva lesione della libertà delle comunicazioni della destinataria delle condotte intrusive sono prive di rilievo, perché si riferiscono ad una situazione – la captazione delle comunicazioni telefoniche – che rappresenta un post-factum rispetto al momento di consumazione del reato, coincidente con l’installazione del software.

  1. S’impone, dunque, il rigetto del ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese in favore della sola Me. Lu., che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori di legge.

  2. Con riguardo al profilo delle statuizioni civili, è d’uopo precisare che nulla è dovuto a Ve. Amedeo, che pure ha fatto richiesta di liquidazione delle spese del presente grado di giudizio, non figurandovi come parte resistente: egli, infatti, ha assunto la veste di parte offesa, costituita parte civile, in relazione al solo delitto di cui all’art. 617-quinquies cod.pen. (capo 2 della contestazione), rispetto al quale, tuttavia, la Corte territoriale, all’esito del giudizio di appello, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese in favore della sola Me. Lu., che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori di legge.

».

Cassazione penale, sez. V, 12/05/2015, n. 37557

Perché possa considerarsi integrato il reato ex art. 617 bis, occorre fare riferimento alla sola attività di installazione e non a quella successiva dell’intercettazione o impedimento delle altrui comunicazioni, che rileva solo come fine della condotta, con la conseguenza che il reato si intende consumato anche se gli apparecchi installati, salvo casi di loro assoluta inidoneità, non abbiano funzionato o non siano stati utilizzati.

Cassazione penale, sez. V, 14/12/2010, n. 3061

Integra il reato di installazione di apparecchiature atte a intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche (art. 617 bis e 623 bis c.p.), la condotta di colui che installi una telecamera – occultandola all’interno di una scatola di plastica, fissandola a un palo della luce e posizionandola ad alcuni metri dal suolo – con l’obiettivo rivolto all’ingresso di uno stabile, al fine di captare illecitamente immagini, ovvero comunicazioni e conversazioni di terzi. Né ha rilievo, ai fini della configurabilità del reato, l’effettiva intercettazione o registrazione di altrui comportamenti o comunicazioni, dovendosi avere riguardo alla sola attività di installazione e non a quella successiva dell’intercettazione o impedimento delle altrui comunicazioni, che rileva solo come fine della condotta, con la conseguenza che il reato si consuma anche se gli apparecchi installati, fuori dall’ipotesi di una loro inidoneità assoluta, non siano stati attivati o, addirittura, non abbiano funzionato.

Cassazione penale, sez. II, 24/09/2008, n. 37710

Il reato previsto dall’art. 617-bis c.p. anticipa la tutela della riservatezza e della libertà delle comunicazioni mediante l’incriminazione di fatti prodromici all’effettiva lesione del bene, punendo l’installazione di apparati o di strumenti, ovvero di semplici parti di essi, per intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni telefoniche; pertanto ai fini della configurabilità del reato deve aversi riguardo alla sola attività di installazione e non a quella successiva dell’intercettazione o impedimento delle altrui comunicazioni, che rileva solo come fine della condotta, con la conseguenza che il reato si consuma anche se gli apparecchi installati, fuori dall’ipotesi di una loro inidoneità assoluta, non abbiano funzionato o non siano stati attivati.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento sull’art. 617-bis c.p.:

Cassazione penale, sez. V, 02/02/2017, n. 12603

La condotta contestata all’imputato, consistita nell’avere preso cognizione del contenuto della corrispondenza telematica intercorsa tra due soggetti diversi dall’imputato stesso e conservata nell’archivio della casella di posta elettronica di uno di essi, integra il reato di cui all’ art. 616, commi 1 e 4,   c.p.   e non quello, come ritenuto dai giudici di merito, di cui all’ art. 617 c.p. , anche tenendo conto dell’integrazione di quest’ultima norma ad opera dell’ art. 623 bis   c.p.

Cassazione penale sez. VI, 16/05/2018, n.39279

Il reato di installazione di apparecchiature atte a intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni previsto dall’articolo 617-bis del codice penale si configura solo se l’installazione è finalizzata a intercettare o impedire comunicazioni tra persone diverse dall’agente, per cui il delitto non ricorre i nell’ipotesi in cui l’apparecchio “jammer telefonico”, vale a dire un disturbatore di frequenze utilizzato per impedire ai telefoni cellulari di ricevere o trasmettere onde radio, sia installato per impedire l’intercettazione di comunicazioni che riguardano anche il soggetto che predispone l’apparecchio. La norma incriminatrice, infatti, sanziona chi predispone apparecchiature finalizzate a intercettare o impedire conversazioni “altrui”. Inoltre, tale conclusione trova conferma nella collocazione della norma incriminatrice – che “anticipa” la soglia di punibilità propria dell’articolo 617 del codice penale – nel novero del “delitti contro l’inviolabilità dei segreti”, che sono ovviamente tali se non coinvolgono l’agente, direttamente o indirettamente.