TRIB BOLOGNA IMPORTANTE SENTENZA Versamenti intra familiari ed azione di ripetizione

azione di ripetizione

Qualificazione degli atti dispositivi come

obbligazioni naturali e come mutuo informale.

TRIB BOLOGNA IMPORTANTE SENTENZA Versamenti intra familiari ed azione di ripetizione

SEPARAZIONE DIVORZIO BOLOGNA competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale   RAPPORTI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO TRA  UN CITTADINO ITALIANO E  UN CONIUGE APPARTENENTE A ALTRO PAESE  UE
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SEPARAZIONE E SOLDI

Dunque è la stessa convenuta che ammette di dover restituire dei soldi al marito, con tale prova atipica. E’ dunque del tutto erronea la ricostruzione di parte attrice per cui, sulla base di tale prova atipica, si sarebbe raggiunta piena prova della pretesa dell’attore: la prova è infatti una prova atipica, innanzi tutto, che dunque non fa piena prova di alcunché; inoltre, il contenuto semantico di quanto dichiara la convenuta è che deve restituire “qualcosa”, non “tutto”. 

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In relazione a questo specifico versamento, munito di causale, si deve ritenere, allora, che esso rientri nel “qualcosa”, rispetto al quale la convenuta si sottomette come debitrice. 

Nel caso di specie, questa risultanza insieme alla causale del bonifico prima menzionata lasciano plausibilmente ritenere che gli euro 130.000,00 versati, siano stati in realtà mutuati alla moglie. 

TRIB BOLOGNA IMPORTANTE

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SENTENZA

Versamenti intra familiari ed azione di ripetizione

Qualificazione degli atti dispositivi come 

obbligazioni naturali e come mutuo informale.

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Ebbene, la prima cosa che emerge dal materiale probatorio presentato è che solo l’ultimo bonifico effettuato dal Da Silva, quello pari ad euro 130.000,00 del 26.06.2014 verso il conto corrente intestato soltanto alla moglie, reca la causale “prestito”. 

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Siffatta dicitura, unitamente al rilievo che il contratto di mutuo può stipularsi anche oralmente, è indizio particolarmente pregnante dell’esistenza di un negozio di tal guisa, non redatto per iscritto per via di quel rapporto di fiducia reciproco e di totale informalità che si crea in costanza di matrimonio. 

Pertanto, essa può dirsi un’idonea allegazione da parte del creditore del titolo per cui agisce contro il debitore. 

La circostanza che vi sia stata una utilizzazione della somma, cioè che la parte che la ha ricevuta non la abbia restituita, ha un chiaro significato di accettazione tacita (sulla possibilità del meccanismo del consenso tacito, sia pure in ipotesi risolutoria: Cass. Civ., Sez. III civile – sent. 2 marzo 2012, n.3245). Si intende dire che una parte, il mutuante (odierno attore) propone un contratto, che nomina (sia pure con il termine non tecnico di prestito), al contempo realizzando la fattispecie reale, che contraddistingue il mutuo. La condotta della controparte, la odierna Alberta Miranda Mello, che tale somma utilizza e fa propria, ha un chiaro significato di accettazione tacita della altrui proposta. 

Il contratto concluso è dunque un mutuo. 

Le difese della convenuta, peraltro, non riescono a provare che, più probabilmente che non, tale importante somma sia stata erogata per motivi diversi da quelli indicati dall’attore, o che non sia mai intercorso un contratto di mutuo tra i coniugi. 

Inoltre, il contenuto della telefonata registrata oggetto della consulenza Benedetti, nel presente giudizio, presenta anche delle dichiarazioni in parte confessorie da parte della A. Miranda Mello. 

A pag. 14, ad esempio, ella afferma: “…questo non vuol dire che io non ti restituisco tutti i soldi, voglio fare dei conti un pochino più .. più giusti.”; questi soldi “io non ce li ho, non ce li ho .. però ho intenzione di renderteli ma renderti un importo giusto. Perché secondo me non è giusto renderti l’intero…” . 

Inoltre, a pag. 20 della trascrizione, si legge che la stessa afferma: “quindi ti sto dicendo che i soldi non li ho, che ho intenzione di restituirteli, tutti quelli che .” 

Dunque è la stessa convenuta che ammette di dover restituire dei soldi al marito, con tale prova atipica. E’ dunque del tutto erronea la ricostruzione di parte attrice per cui, sulla base di tale prova atipica, si sarebbe raggiunta piena prova della pretesa dell’attore: la prova è infatti una prova atipica, innanzi tutto, che dunque non fa piena prova di alcunché; inoltre, il contenuto semantico di quanto dichiara la convenuta è che deve restituire “qualcosa”, non “tutto”. 

In relazione a questo specifico versamento, munito di causale, si deve ritenere, allora, che esso rientri nel “qualcosa”, rispetto al quale la convenuta si sottomette come debitrice. 

Nel caso di specie, questa risultanza insieme alla causale del bonifico prima menzionata lasciano plausibilmente ritenere che gli euro 130.000,00 versati, siano stati in realtà mutuati alla moglie. 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI BOLOGNA

SEZIONE II CIVILE

Il Tribunale, nella persona del giudice Marco D’Orazi ha pronunciato la seguente 

S E N T E N Z A

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 17418/2017 promossa da: 

MICHAEL DA SILVA (C.F. ***), con il patrocinio dell’avv. MAZZOLI PIERPAOLO, elettivamente domiciliato in VIA G. B. MORGAGNI N. 8 40100 BOLOGNA, presso il difensore avv. MAZZOLI PIERPAOLO 

ATTORE/I 

contro

ALBERTA MIRANDA MELLO (C.F. ***), con il patrocinio dell’avv. LORENZONI ELISABETTA e dell’avv. LERRO GIUSEPPE (***) VIA FARINI 2 BOLOGNA; elettivamente domiciliato in VIA SANT’ISAIA 23 40123 BOLOGNA, presso il difensore avv. LORENZONI ELISABETTA 

BEATRIZ MIRANDA MELLO (C.F. ***), con il patrocinio dell’avv. LORENZONI ELISABETTA e dell’avv. LERRO GIUSEPPE (***) VIA FARINI 2 BOLOGNA; , elettivamente domiciliato in VIA SANT’ISAIA 23 40123 BOLOGNA, presso il difensore avv. LORENZONI ELISABETTA 

CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso come alla udienza del giorno 26 settembre 2019. Tali conclusioni sono richiamate e sono da ritenersi parte integrante e sostanziale di questa sentenza. Ancorché non ritrascritte, tali conclusioni sono dunque parte di questa sentenza. 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione rituale, il sig. Michael Da Silva conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Bologna, la sig.ra Alberta Miranda Mello e la sig.ra Beatriz Miranda Mello, rispettivamente moglie e cognata dello stesso signor Da Silva. 

Parte attrice premetteva, in fatto, che in data 29/09/1996 aveva contratto matrimonio con la sig.ra Alberta Miranda Mello; che, rispetto alla data dell’introduzione del presente giudizio, i coniugi erano separati di fatto già da più di due anni; che la sig.ra A. Miranda Mello era un’imprenditrice avente partecipazioni e cariche nelle società meglio descritte in atti; che, nel corso degli ultimi anni, le imprese della sig.ra A. Miranda Mello e di sua sorella B. Miranda Mello si erano trovate ad affrontare una rilevante crisi economica e finanziaria; che le sorelle A. e B. Miranda Mello, al fine di riversare liquidità nelle loro aziende, chiedevano ed ottenevano da parte attrice ingenti prestiti di denaro, meglio descritti a pag. 2 della citazione, a titolo di mutuo; che il sig. Da Silva sottoscriveva direttamente in favore della Maximum Pubs (impresa facente capo alle convenute) delle garanzie (in particolare delle accettazioni bancarie), per le quali risultava allo stato creditore della somma di euro 100.00,00, essendo stato prelevato tale importo dal suo conto corrente in Banca di Imola per metterlo a disposizione della società della moglie e della cognata, a fronte del rilascio da parte della Maximum di una cambiale avallata dalla Banca di Imola che, tuttavia, benché girata per l’incasso dal sig. Da Silva, risultava inspiegabilmente essere stata incassata dalla stessa Maximum Pubs; che, per tale ultimo credito, estraneo alla presente causa, parte attrice si riprometteva di agire in separato giudizio; che, terminato il rapporto sentimentale tra il sig. Da Silva e la sig.ra A. Miranda Mello, parte attrice chiedeva sempre più insistentemente a quest’ultima ed ai suoi familiari la restituzione dei prestiti di cui sopra, ricevendo come risposta, però, solo promesse disattese; che, alla citazione, parte attrice aveva ricevuto in restituzione solo la somma di euro 40.000,00; che, dopo aver ricevuto dalla moglie una bozza del ricorso per separazione consensuale, inoltrava, tramite il proprio legale, mail al legale della sig.ra A. Miranda Mello, con allegata tutta la documentazione contabile comprovante i suddetti prestiti, invitandola ancora una volta a restituire le somme ricevute; che le risposte della sig.ra A. Miranda Mello si rivelavano nuovamente dilatorie; che, parte attrice minacciava di intraprendere un’azione legale, ove non fosse pervenuto un formale impegno delle parti convenute e della Maximum Pubs alla restituzione delle somme loro prestate; che, a seguito di un infruttuoso incontro avvenuto tra le parti, si dichiarava conclusa ogni possibile trattativa; che si inoltrava sia alla Maximum Pubs sia alla Banca di Imola una mail pec di formale richiesta di pagamento della cambiale da euro 100.00,00, illecitamente incassata dalla Maximum Pubs tramite la Banca di Imola, nonostante fosse intestata al sig. Da Silva e fosse stata dal medesimo girata; che non veniva fornito alcun riscontro a tale mail dalla Banca di Imola e dalla Maximum Pubs. 

Parte attrice proseguiva affermando, in diritto, che le somme erano state versate a titolo di mutuo ex art. 1813 c.c., trattandosi di ingenti prestiti richiesti per supportare economicamente imprese nelle quali i beneficiari avevano rilevanti partecipazioni; che sui prestiti erogati erano dovuti ex art. 1815 c.c. gli interessi legali dal giorno dei versamenti; che dalla domanda giudiziale decorrevano gli interessi di mora di cui al decreto legislativo 231/2002, ai sensi dell’art. 1284, comma 4 c.c.; che parte attrice era, ai sensi dell’art. 1186 c.c., abilitato ad esigere immediatamente il pagamento, non essendo stato previsto alcun termine per l’adempimento ed essendo i debitori inadempienti; che, essendo tali prestiti stati erogati tra il giugno 2009 ed il giugno 2014, potevano dirsi ormai superati tutti limiti di normale tolleranza riconosciuti dalla giurisprudenza alla parte che deve adempiere; che, in ogni caso, non sussisteva alcuna giustificazione per cui le convenute potessero legittimamente trattenere gli importi ricevuti; che questi ultimi, nel caso fosse stato messo in discussione il loro titolo, potevano comunque essere inquadrati come indebiti arricchimenti, con conseguente obbligo restitutorio a titolo di indennizzo ex art. 2041 c.cc. o come ripetizione di indebito; che anche nel caso in cui tali importi fossero stati considerati alla stregua di donazioni, l’obbligo di restituzione rimaneva vivo, dal momento che queste ultime, in quanti prive di forma solenne, erano da ritenersi nulle ex 782 c.c. 

Tutto ciò premesso, parte attrice chiedeva al giudice che, in via principale, la sig.ra A. Miranda Mello fosse condannata a restituirle il prestito/mutuo ricevuto pari alla somma di euro 290.000,00, oltre interessi legali dal giorno del versamento e di mora ex d.lgs n. 231/2002 dalla domanda giudiziale; che la sig. A. Miranda Mello e la sig.ra B. Miranda Mello fossero condannate a restituire il prestito/mutuo, in solido tra loro, pari alla somma di euro 90.000,00, oltre interessi legali dal giorno del versamento e di mora ex d.lgs n. 231/2002 dalla domanda giudiziale; che, in via subordinata, nel caso in cui il giudice ritenesse che le somme de quibus fossero state versate a titolo di mutuo, la Sig.ra A. Miranda Mello fosse condannata a pagarle la somma di euro 290.000,00 e la somma di euro 90.000,00, quest’ultima in solido con sua sorella B. Miranda Mello, a titolo di indennizzo ex art. 2041 c.c., oltre interessi legali dal giorno del versamento e di mora ex d. lgs n. 231/2002 dalla domanda giudiziale; che, in via ulteriormente subordinata, nel caso in cui il giudice qualificasse le somme de quibus come donazioni, che ne fosse accertata e dichiarata la nullità ex art. 782 c.c., per mancanza della forma solenne e che, conseguentemente, la sig.ra A. Miranda Mello fosse condannata a pagarle la somma di euro 290.000,00 e la somma di euro 90.000,00, quest’ultima in solido con sua sorella B. Miranda Mello, oltre interessi legali dal giorno del versamento e di mora ex d.lgs n. 231/2002 dalla domanda giudiziale; il tutto con vittoria di spese e competenze professionali; che, in via istruttoria, fosse ammessa prova per interrogatorio formale delle convenute e prova per testi. 

Tale, in sintesi, il contenuto della domanda introduttiva. 

Si costituivano le convenute. 

Veniva depositata comparsa di costituzione e risposta nell’interesse della convenuta Alberta Miranda Mello, moglie dell’attore. 

Vi si premetteva, in fatto, che lei ed il sig. Da Silva erano coniugi in regime di separazione dei beni; che la situazione economico patrimoniale dei medesimi era di buon livello, in considerazione dell’attività lavorativa svolta da ciascuno di loro; che entrambi i coniugi erano titolari di conti correnti personali presso istituti bancari di fiducia, mediante i quali effettuavano spese e trasferimenti in danaro in funzione dei bisogni della famiglia; che, nel periodo iniziale del rapporto coniugale era stata soprattutto la sig.ra A. Miranda Mello a sostenere il peso delle spese famigliari; che, solo dopo aver acquisito una posizione lavorativa maggiormente remunerativa, il sig. Da Silva iniziava ad apportare il suo significativo contributo con le somme di cui richiedeva, nel presente giudizio, la restituzione; che mai tra le parti A. Miranda Mello e Da Silva vi erano stati rapporti di mutuo, avendo ognuna di esse contribuito alle spese famigliari nei tempi e nei modi condivisi e ritenuti opportuni; che la richiesta di restituzione delle somme de quibus svolta da controparte in questa sede veniva formulata solo dieci anni dopo, rispetto al primo giroconto eseguito nei confronti della Sig.ra A. Miranda Mello e a tre anni dal suo allontanamento dalla casa coniugale; che l’odierna causa veniva instaurata da controparte solo dopo che la sig.ra A. Miranda Mello gli manifestava la sua volontà di separarsi. Parte convenuta proseguiva, in diritto, affermando che i versamenti delle somme di denaro, fatti dal sig. Da Silva, nel quinquennio 2009-2014, erano la mera espressione dei doveri di reciproca assistenza, contribuzione e di solidarietà, cui è tenuto il coniuge ex art. 143. c.c.; che non sussisteva alcuna prova di assunzione da parte delle convenute di un impegno ad adempiere ad un obbligo restitutorio delle somme de quibus; che l’onere della prova doveva essere pienamente adempiuto da controparte e valutato in maniera rigorosa tanto più quando, come nella fattispecie, la domanda restitutoria veniva azionata dopo tre anni dalla separazione di fatto dei coniugi; che, alla luce degli sviluppi della lite, ne emergeva in modo evidente il suo carattere strumentale e temerario, tale da giustificare una condanna di controparte ai sensi dell’art. 96 c.p.c.; che l’eccezione di insussistenza di un contratto di mutuo svolta dalla sig.ra A. Miranda Mello non aveva l’effetto di invertire l’onere della prova, il quale restava a carico di controparte; che, in ogni caso, tale ultima circostanza non incideva né sulla natura giuridica dei predetti contributi, né sull’onere della prova sul preteso obbligo restitutorio. 

Per tali ragioni, la sig.ra A. Miranda Mello chiedeva al giudice che fossero rigettate in toto le domande attoree, in quanto infondate in fatto ed in diritto; che l’attore fosse condannato ex art. 96 c.p.c., nella misura ritenuta di giustizia; il tutto con vittoria di spese e competenze professionali, oltre accessori di legge.

Veniva depositata comparsa di costituzione e risposta nell’interesse della sig.ra B. Miranda Mello, in cui venivano contestate in toto le domande di parte attrice perché infondate in fatto ed in diritto. La sig.ra B. Miranda Mello eccepiva, in via preliminare, che l’atto di citazione non le era stato notificato; che ella non aveva avuto i pieni termini per proporre e redigere le proprie difese, avendo appreso dalla sorella della presente controversia; che vi era la necessità che il giudice provvedesse ex art. 164 c.p.c.. 

Nel merito, parte convenuta proseguiva affermando che nessun mutuo era mai stato da lei richiesto al sig. Da Silva, con il quale non aveva mai intrattenuto alcun tipo di rapporto economico; che l’azione svolta da parte attrice nei suoi confronti apparendo del tutto temeraria, giustificava una sua condanna ex art. 96 c.p.c.; che le somme di denaro versate dal sig. Da Silva sul conto corrente cointestato alle due sorelle Miranda Mello non erano da considerarsi alla stregua di un mutuo in suo favore con conseguente obbligo restitutorio; che, in ogni caso, esse venivano gestite in maniera autonoma dalla sig.ra A. Miranda Mello. Per tali ragioni, la sig.ra B. Miranda Mello chiedeva al giudice che, in via preliminare, fosse ordinata la rinnovazione della notifica nel rispetto dei termini processuali di legge; che, nel merito, fossero respinte le domande svolte da parte attrice nei suoi confronti, perché infondate; che parte attrice fosse condannata ex art. 96 c.p.c., nella misura ritenuta di giustizia. Il tutto con vittoria di spese, competenze processuali ed oneri accessori. 

All’udienza del 15 febbraio 2018, si ribadiva che non era stato rispettato il termine a comparire per la Sig.ra B. Miranda Mello. 

La convenuta cui non era stato assicurato il termine a comparire chiedeva, dunque, rinvio anche breve, affinché fosse rispettato il suo diritto di difesa nel suo termine integrale. Parte attrice rinunciava al termine di venti giorni per poter dedurre su riconvenzionali ed eccezioni. Il giudice rinviava l’udienza al giorno 08/03/2018, salvi tutti i diritti di prima udienza; autorizzava parte convenuta a produrre una memoria integrativa nella quale proporre eccezioni in senso tecnico o riconvenzionali ed integrazioni dell’atto di costituzione; disponeva che in tale udienza si tenesse libero interrogatorio e tentativo di conciliazione. 

Veniva depositata memoria autorizzata nell’interesse della sig.ra B. Miranda Mello in cui veniva affermata la sua totale estraneità rispetto alla vicenda, perché chiaramente riferita alla gestione economica fra i coniugi A. Miranda Mello e Da Silva.

All’udienza dell’08 marzo 2018, il giudice teneva libero interrogatorio delle parti e tentava conciliazione, che falliva; rinviava al giorno 15/03/2018, salvi i diritti di prima udienza. 

All’udienza del 15 marzo 2018, la sig.ra A. Miranda Mello ribadiva il suo intento conciliativo, già mostrato alla precedente udienza. Parte attrice ne prendeva atto e si riservava di valutare la proposta, come formulata. Parte attrice produceva dischetto e chiavetta, contenente registrazione; parte convenuta non contestava la veridicità materiale della conversazione, ma chiariva che essa andava interpretata in modo diverso rispetto a quanto prospettato da controparte. Il giudice disponeva immediata consulenza, al fine della trascrizione integrale del documento prodotto; nominava come c.t.u. il prof. Gian Piero Benedetti, il quale accettava l’incarico e prestava il giuramento di rito; entrambe le parti riservavano la nomina di un c.t.p. entro l’inizio delle operazioni del c.t.u. Il giudice disponeva di proseguirsi la prima udienza; le parti chiedevano ed ottenevano la concessione dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. 

Il giudice rinviava l’udienza al giorno 27/09/2018, per decisione su prove. 

Veniva depositata prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., nell’interesse della sig.ra A. Miranda Mello in cui si evidenziava che la richiesta di controparte era pretestuosa in quanto svolta dopo quasi dieci anni dal primo versamento e in una situazione di consolidata crisi coniugale; che non era stata fornita dal sig. Da Silva alcuna prova attestante l’esistenza dei quattro asseriti contratti di mutuo, uno per ciascun bonifico; che i coniugi avevano optato per il regime di separazione dei beni per via del fatto che la sig.ra A. Miranda Mello, considerate le attività di impresa in cui era impegnata, era indubbiamente la parte più esposta ad eventuali problematiche di natura finanziaria; che, per tale motivo, all’inizio del rapporto coniugale gravavano principalmente su di lei le spese inerenti ai bisogni della famiglia; che il marito, attraverso gli introiti derivanti dal suo lavoro subordinato e dalla locazione di un prestigioso immobile di sua proprietà, avrebbe dovuto invece occuparsi di accumulare risparmi nell’interesse della famiglia, non dovendo quest’ultimo occuparsi di sostenere le ingenti spese quotidiane del ménage familiare; che, a seguito di un disastroso incendio nel capannone aziendale dell’impresa della famiglia Miranda Mello, iniziava per lei un periodo di difficoltà finanziaria; che, in tale contesto, il marito, mosso da uno slancio di collaborazione e solidarietà coniugale, riversava sul conto corrente della moglie alcune somme di denaro depositate su conti correnti a lui intestati; che nell’ambito del rapporto familiare e di fiducia reciproca sui quali si fondava il rapporto coniugale, entrambi i coniugi avevano, in forza di delega, facoltà ad utilizzare i rispettivi conti bancari; che solo dopo due anni e mezzo dalla separazione, il sig. Da Silva, avendo preso atto della definitiva rottura del rapporto coniugale, descriveva come mutuo quello che era stato condiviso ab origine come reciproco sostegno familiare; che il marito, grazie alle pressioni psicologiche esercitate sulla sig.ra A. Miranda Mello, riusciva a carpirle una promessa di pagamento parziale ed indefinita nel quantum, per la mancanza di obblighi assunti dalla moglie, di cui pretendere il rispetto e l’adempimento. 

Veniva depositata prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., nell’interesse di parte attrice in cui si contestava integralmente il contenuto delle due comparse avversarie, in quanto pretestuoso ed infondato. 

In particolare, parte attrice evidenziava che, al pari della moglie, aveva sempre contribuito, nell’arco del rapporto coniugale, alle spese e ai costi del ménage familiare; che la prospettazione di controparte era da ritenersi temeraria alla luce del contenuto della registrazione telefonica oggetto di c.t.u., nell’ambito della quale diverse volte si poteva udire la convenuta A. Miranda Mello ammettere di aver ricevuto somme dal marito in prestito, con promessa di restituirle non appena possibile; che era inveritiera la circostanza affermata da controparte secondo la quale il sig. Da Silva non aveva mai chiesto in passato la restituzione dei prestiti da lui effettuati, come si poteva intuire dal contenuto della suddetta registrazione; che, durante il libero interrogatorio, la sig.ra A. Miranda Mello aveva correlato i prestiti ricevuti alle difficoltà delle aziende di famiglia, così come evidenziato da parte attrice in atto di citazione; che le somme ricevute dalle sorelle Miranda Mello nel 2010 e successivamente dal marito della sig.ra B. Miranda Mello non erano semplici elargizioni, come le controparti sostenevano; piuttosto, parziali restituzioni dei versamenti da lui effettuati; che, come tali, integravano una promessa ricognitiva di pagamento, agli effetti dell’art. 1988 c.c., in quanto da considerarsi come forma di comportamento concludente di una ricognizione del debito; che, ai sensi dell’art. 1988 c.c., parte attrice era dispensata dal dovere di provare il rapporto fondamentale posto alla base del debito, ovvero il mutuo; che, secondo consolidata giurisprudenza, la ricognizione di debito comportava un’inversione dell’onere della prova; che, essendo uno dei suoi versamenti stato corrisposto su un conto cointestato alle due sorelle Miranda Mello, non si poteva ritenere estranea alla faccenda la sig.ra B. Miranda Mello; che controparte non aveva contestato uno dei documenti prodotti da parte attrice, in cui si faceva riferimento, come causale di uno dei bonifici, al prestito. 

Veniva depositata seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., nell’interesse della sig.ra A. Miranda Mello, in cui si evidenziava che la prova del mutuo doveva essere fornita da parte attrice ai sensi dell’art. 2697 c.c.; che, in mancanza di tale prova, le somme, secondo costante giurisprudenza, si presumeva che fossero conferite in adempimento degli obblighi derivanti dal rapporto coniugale; che, nel caso di specie, l’attore doveva fornire la prova dell’esistenza dell’obbligazione di restituzione, essendo questa elemento caratterizzante il contratto di mutuo; che dalla registrazione telefonica depositata al c.t.u., non si poteva desumere l’assunzione di alcun impegno da parte della sig.ra A. Miranda Mello a restituire i versamenti ricevuti dal marito, né di alcun richiamo da parte del sig. Da Silva al rispetto di un obbligo di pagamento assunto; che la conversazione risultante dalla registrazione non era attendibile quanto a obiettività, poiché era stata manipolata da parte attrice al fine di precostituirsi una prova da utilizzare in un successivo contenzioso giudiziario; che costituiva inammissibile domanda nuova l’introduzione del riconoscimento del diritto al pagamento in favore di controparte ex artt. 1998 c.c. (rectius, 1988 c.c. n.d.r.) e ss.; che l’aver destinato gli aiuti economici del marito al supporto delle attività aziendali di cui faceva parte non dava alcun fondamento alla tesi del mutuo, essendo queste ultime fonti di ricchezza per la famiglia; che il bonifico di euro 20.000,00, da lei eseguito nei confronti del Sig. Da Silva, nel 2010, era stato effettuato su richiesta di quest’ultimo, per via di una sua necessità di fondi; che quindi tale somma non era stata versata in adempimento di un obbligo restitutorio; che le somme versate, tramite due assegni, dal marito della sig.ra B. Miranda Mello al sig. Da Silva, servivano per consentire a quest’ultimo di pagare una parte della ristrutturazione di un proprio immobile; che quindi anche queste ultime non erano state versate in adempimento di un obbligo restitutorio. 

La sig.ra A. Miranda Mello, infine, chiedeva al giudice, in via istruttoria, che fosse ammessa prova testimoniale sui capi meglio descritti in atti. 

Veniva depositata seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., nell’interesse della sig.ra B. Miranda Mello, in cui, dopo aver ribadito la sua totale estraneità alle pretese dell’attore nei suoi confronti, chiedeva, in via istruttoria, di ammettersi prova per testi. 

Veniva depositata seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., nell’interesse dell’attore sig. Da Silva, in cui si evidenziava che la ricostruzione dei fatti operata dalla coniuge era inverosimile alla luce della conversazione che emergeva dalla registrazione telefonica, trascritta dal c.t.u., a tal fine nominato; che durante tale conversazione, considerata autentica e spontanea, veniva più volte confermato dalla sig.ra A. Miranda Mello l’obbligo restitutorio e l’intenzione di adempiervi non appena ne avesse avuto la possibilità; che, inoltre, sempre nell’audioregistrazione, la sig.ra A. Miranda Mello dichiarava che la dazione dei 500.000,00, da parte del marito, consisteva in un’operazione lucrosa sulla quale maturavano interessi; che tale ultima circostanza smentiva la tesi di controparte; che la sig.ra A. Miranda Mello aveva più volte in passato proposto al marito di intestargli quote di immobile, in restituzione del prestito in denaro ricevuto. Infine, parte attrice chiedeva al giudice, in via istruttoria, di ammettersi interrogatorio formale delle convenute e prova testimoniale sui capi meglio descritti in atti. 

Veniva depositata terza memoria ex art 183, comma 6, c.p.c., nell’interesse della sig.ra B. Miranda Mello, in cui si contestava tutto quanto affermato in seconda memoria dal sig. Da Silva; inoltre, ci si opponeva all’ammissione delle prove orali richieste da parte attrice e, in caso di loro ammissione, si chiedeva al giudice che fosse ammessa a prova diretta e contraria con i testi meglio indicati in atti.

Veniva depositata terza memoria ex art 183, comma 6, c.p.c., nell’interesse della sig.ra A. Miranda Mello, in cui ci si opponeva alle prove orali dedotte da parte attrice, risultando i capitoli generici ed irrilevanti; in caso di accoglimento di queste ultime, chiedeva al giudice di essere ammessa a prova contraria con i testi meglio indicati in atti. 

Veniva depositata terza memoria ex art 183, comma 6, c.p.c., nell’interesse di parte attrice, in cui si affermava che la seconda memoria della sig.ra A. Miranda Mello era irrituale, e che i documenti con essa prodotti erano del tutto inconferenti ed irrilevanti; che la conversazione telefonica prodotta agli atti ed oggetto di c.t.u., costituiva piena prova ex art. 2712 c.c.; che nessuna domanda nuova era stata proposta con riguardo all’art. 1988 c.c.; che si contestavano le istanze istruttorie delle convenute; che si chiedeva di essere ammessa a prova contraria, in caso di ammissione delle prove orali dedotte dalla sig.ra A. Miranda Mello. 

All’udienza del 27 settembre 2018, il giudice dava atto dell’impossibilità di raggiungere una soluzione conciliativa ed invitava le parti a discutere sulle prove. Parte attrice contestava i documenti prodotti nella terza memoria di controparte. Seguiva discussione, all’esito della quale il giudice si riservava.

A scioglimento della riserva, il giudice pronunciava ordinanza con cui stabiliva che le prove orali fossero parzialmente ammesse, come da verbale d’udienza; che fossero ammesse le prove contrarie, nei limiti in cui dedotte; che fosse fissata l’udienza del giorno 11/12/2018, per l’assunzione di tutte le prove orali ammesse; che fosse nominato, in qualità di c.t.u., la dott.ssa Valentina Pellicciari; che fosse fissata l’udienza del giorno 15/11/2018, per il conferimento dell’incarico, cui si rinviava la causa; che fosse posto, a carico di parte attrice, acconto al c.t.u. di euro 3.000,00, oltre IVA e Cassa; che si riservava sull’ammissibilità del documento prodotto con terza memoria dalla sig.ra A. Miranda Mello. 

All’udienza del 15 novembre 2018, il c.t.u. accettava l’incarico e prestava il giuramento di rito. 

Parte attrice chiedeva che fosse svolta un’analisi patrimoniale delle due parti, complessiva, alla qual richiesta parte convenuta non si opponeva, purché l’accertamento fosse stato svolto non solo sui redditi ma anche sui patrimoni. Entrambe le parti nominavano i propri c.t.p. Il giudice rinviava l’udienza al giorno 11/12/2018, per l’assunzione di tutte le prove orali. Inoltre, le parti, dando atto dell’esistenza di molteplici refusi nell’ordinanza emessa in precedenza dal giudice, chiedevano a quest’ultimo che provvedesse sul punto. 

Il giudice si riservava. 

A scioglimento della riserva, il giudice pronunciava ordinanza con cui si stabiliva che l’ordinanza emessa in precedenza fosse corretta, esclusivamente con riferimento all’ammissione delle prove orali; che i capitoli di prova richiesti dalle parti, fossero ammessi e non ammessi, come meglio descritto in ordinanza. 

All’udienza dell’11 dicembre 2018, si assumevano tutte le prove orali rinviava l’udienza al giorno 20/06/2019. 

All’udienza del 10 gennaio 2019, il giudice provvedeva, su accordo delle parti, a modificare del quesito rivolto al c.t.u. 

Veniva depositata istanza di proroga dei termini della c.t.u. 

Il giudice pronunciava ordinanza in data 20 marzo 2019, con cui accoglieva tale istanza, modificando l’ipotizzato calendario del processo. 

Veniva depositata istanza ex art. 92 disp. att. c.p.c. nell’interesse di parte attrice, in cui si premetteva che alcuni dei documenti inviati dal proprio c.t.p alla c.t.u. non erano stati da quest’ultima acquisiti. Per tale ragione, parte attrice chiedeva al giudice che, dopo aver sentito le parti alla presenza del c.t.u. e dei c.t.p., dichiarasse acquisibile ed acquisita agli atti tutta la documentazione trasmessa dal suo c.t.p. alla c.t.u. 

Il giudice, con decreto, fissava l’udienza del 23/05/2019; disponeva che la parte ricorrente notificasse istanza e decreto alle controparti e al c.t.u. 

All’udienza del 23 maggio 2019, il c.t.u. dichiarava di aver richiesto alcuni documenti alle parti. 

La sig.ra A. Miranda Mello dichiarava espressamente, in relazione ai documenti prodotti da controparte, che prestava il consenso alla produzione di tutti gli estratti conto, ad ogni fine e quindi per tutto il quesito posto al c.t.u; che, tuttavia, alcuni dei documenti prodotti da controparte non integravano gli estratti conto e quindi dovevano essere esclusi; che non era stato prodotto dal sig. Da Silva l’estratto conto della carta di credito. Il giudice dichiarava che erano ammessi ad ogni fine gli estratti conto; che non erano ammesse le valutazioni di parte, né la produzione relativa alla carta di credito; che rimaneva fermo il diritto per il c.t.p. del sig. Da Silva di svolgere ogni considerazione, anche di dati aggregati, fondata tuttavia solo sugli estratti conto e non sui documenti esclusi. Il c.t.p. di parte attrice chiedeva nuovo termine per prima relazione che veniva concesso.

Veniva depositata la relazione finale del c.t.u. in cui si rilevava, in risposta ai quesiti posti dal giudice, che parte attrice aveva versato alla controparte la complessiva somma di euro 420.000,00, suddivisa in quattro versamenti; che solo per uno dei quattro versamenti era indicata la causale “Prestito”; che, dall’analisi dei documenti, le convenute avevano effettuato due versamenti di euro 20.000,00 ciascuno, in favore di parte attrice; che gli stessi non riportavano alcun titolo specifico; che la sottrazione di tali somme dai versamenti eseguiti da parte attrice poteva considerarsi legittima nel caso in cui fosse stata ritenuta “imputazione di somme”, anche la mancanza di titolo specifico; che, durante il periodo di effettiva convivenza dei coniugi, sulla base dei documenti depositati dalle parti, le spese totali inerenti il ménage familiare erano state pari ad euro 684.564,14; che il totale apporto al ménage familiare di A. Miranda Mello era stato pari ad euro 663.416,72; che il totale apporto al ménage familiare del Sig. Da Silva era stati pari ad euro 21.147,42; che il patrimonio immobiliare di parte attrice, alla data del 31/12/2017 veniva quantificato in circa euro 615.550,00; che il debito residuo per mutuo fondiario di parte attrice era pari a euro 80.349,16; che il valore della quota detenuta da parte attrice nella società Tecno-One era pari ad euro 52.054,00; che il patrimonio mobiliare di parte attrice era pari ad euro 77.046,11; che, al 31/12/2017, il conto corrente di parte attrice acceso presso banca BPM presentava un saldo attivo pari ad euro 14.239,88; che, al 31/12/2017, il conto corrente di parte attrice acceso presso Banca di Imola, poi Cassa di risparmio di Ravenna, presentava un saldo attivo pari ad euro 394,80; che dagli estratti conto bancari prodotti si evincevano alcuni accrediti sul conto corrente del sig. Da Silva il cui conto di provenienza risultava cointestato allo stesso; che, pertanto, si poteva presumere che le somme provenienti dal conto cointestato fossero già, sia pur parzialmente, nella disponibilità del sig. Da Silva; che il reddito complessivo di parte attrice, come risultante dalle dichiarazioni dei redditi presentate dal matrimonio fino alla separazione legale, era pari ad euro 925.448,00; che il reddito disponibile di parte attrice, al netto degli oneri e delle imposte, nel medesimo periodo, era pari ad euro 671.263,00; che il reddito mensile medio disponibile di parte attrice , nel detto arco temporale, era pari ad euro 2.664,00. 

Veniva presentata istanza di liquidazione del compenso da parte del c.t.u.

Il giudice, con decreto, liquidava al c.t.u. la somma di euro 14.986,00, a titolo di onorario, oltre Cassa ed IVA; poneva tale pagamento a carico di parte attrice, salva migliore attribuzione in sentenza. 

Veniva depositato foglio di precisazione delle conclusioni nell’interesse di parte attrice; in cui, oltre a riportarsi a quanto chiesto in precedenza, si chiedeva al giudice che ponesse definitivamente a carico delle convenute, in solido tra loro, i costi delle due c.t.u. espletate e che, quindi, le condannasse a rimborsarle quanto pagato ai c.t.u. e al proprio c.t.p., previa esibizione delle relative fatture. 

All’udienza del 19 settembre 2019, la sig.ra A. Miranda Mello sosteneva che la relazione della c.t.u. era da integrarsi, a causa della mancata collaborazione di controparte; inoltre, chiedeva di depositare foglio di deduzioni, relativo alla c.t.u. Parte attrice riteneva, invece, che la consulenza era da considerarsi completa. Il giudice, non autorizzando il deposito di detto foglio di deduzioni, rinviava l’udienza al giorno 26/09/2019, per precisare le conclusioni. 

Veniva depositato foglio di precisazione delle conclusione nell’interesse delle Sig.re A. Miranda Mello e B. Miranda Mello, in cui si segnalava che l’attore non aveva fornito al c.t.u. parte della documentazione indispensabile per risolvere alcuni dei quesiti posti dal giudice; che era necessaria un’integrazione della c.t.u. Parti convenute proseguivano riportandosi alle proprie precedenti conclusioni e chiedendo che, nel caso in cui il giudice avesse riconosciuto un diritto di credito in favore di parte attrice, il quantum di tale credito fosse ridotto alla luce delle risultanze della c.t.u.; che l’attore fosse condannato ex art. 96 c.p.c., nella misura ritenuta di giustizia, nonché all’integrale rifusione delle spese e compensi del procedimento, oltre agli accessori di legge. 

All’udienza del 26 settembre 2019, parte attrice rilevava l’irritualità del foglio di precisazione delle conclusioni depositato dalle convenute. Parte convenuta insisteva nel proprio foglio di precisazione delle conclusioni. Il giudice tratteneva la causa in decisione; autorizzava le parti a presentare nota spese, con i relativi giustificativi, con la memoria conclusionale; disponeva che i termini ex art. 190 c.p.c. decorressero dal giorno 06/11/2019. 

Veniva depositata comparsa conclusionale nell’interesse della Sig.ra A. Miranda Mello, in cui si evidenziava che dalla c.t.u. contabile emergeva che il patrimonio di controparte non si era affatto esaurito in seguito ai versamenti di denaro fatti in favore della moglie; che controparte aveva nascosto alla c.t.u. un ulteriore conto cointestato in cui essa movimentava ingenti somme di denaro; che controparte non aveva fornito alla c.t.u. gli estratti conto dal 1996 al 2008. 

Veniva depositata comparsa conclusionale nell’interesse della sig.ra B. Miranda Mello, in cui si riportava alle proprie precedenti difese. 

Veniva depositata comparsa conclusionale nell’interesse del sig. Da Silva, in cui si insisteva per l’accoglimento delle proprie conclusioni alla luce delle produzioni documentali, delle risultanze delle prove orali e delle due c.t.u. 

Seguivano le repliche. 

La circostanza che lo svolgimento del processo non costituisce più elemento indefettibile del provvedimento di sentenza consente di limitare a quanto precede la narrazione dei fatti di causa. 

Per quanto qui non narrato, si richiamano atti e documenti di causa. 

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via generale: irrilevanza delle questioni

di diritto di famiglia

La presente controversia si inserisce in un contesto di conflittualità fra i coniugi. La intera causa ha visto difficoltà anche nella gestione del processo, proprio per tale situazione di conflittualità. 

In relazione ad essa, vanno svolte due precisazioni.

La prima è che proprio una causa di tale fatta avrebbe richiesto una soluzione consensuale, definitoria di tutte le posizioni delle parti; consentendo, fra l’altro, meccanismi eventuali di pagamento sostenibili. Tuttavia, tale fallimento della conciliazione implica che, a questo punto, la causa deve essere decisa secondo stretto diritto. 

Il secondo punto, sempre di metodo, è che la presente causa riguarda domande di diritto civile generale; non di diritto di famiglia. In alcuni momenti di contraddittorio sulla c.t.u., sembra che le parti abbiano inteso leggere la stessa consulenza come una consulenza ordinata in sede di separazione; quasi a determinare le reciproche consistenze patrimoniali, ai fini dell’assegno di mantenimento; addirittura, in alcuni passaggi delle difese, la direzione delle difese è sembrata portarsi sulla individuazione delle responsabilità, nella separazione; piuttosto che sull’oggetto della presente causa. In realtà, la presente controversia attiene esclusivamente ad un dato tecnico, cioè alla presenza di una obbligazione restitutoria delle convenute in favore dell’attore. 

Alla corta: la causa non ha visto una conciliazione (sul punto specifico o generale, inclusiva cioè dei rapporti patrimoniali nascenti dalla crisi del matrimonio); ha ad oggetto solo una questione tecnica e su di essa, e solo su di essa, occorre assumere decisione.

Il tema del decidere

La domanda attorea va accolta nei limiti che seguono. 

La soluzione al caso di specie riguarda l’esatta qualificazione giuridica dei quattro esborsi, il cui avvenimento non è contestato, da parte del Da Silva alla moglie ed alla cognata. 

Pertanto, va indagato se essi vadano considerati come oggetto di un mutuo, ovvero come una contribuzione economica da parte del marito ai bisogni della famiglia, ex art. 143 c.c.; ovvero una donazione; ovvero altro titolo. 

Anche il materiale probatorio è rilevante, solo in quanto serva appunto a ricostruire il tema della causa, come delineato. Del tutto irrilevante la produzione contestata alla udienza del 27 settembre 2018; assolutamente non decisiva ai fini della controversia. 

Sul contratto di mutuo e sul relativo onere della prova

Ai sensi degli artt. 1813 e ss. c.c., il contratto di mutuo ha natura reale, consistendo la traditio del denaro o delle cose fungibili pattuite in un elemento vero e proprio del negozio; esso ha forma libera, non essendo richiesta ex lege alcuna forma particolare per la sua conclusione (salvo il caso, diverso da quello in questione, in cui mutuante sia una banca).

Tale assunto comporta che è ben possibile perfezionare siffatti contratti anche oralmente, non essendo tale pratica vietata dall’ordinamento. 

A livello probatorio, tuttavia, la giurisprudenza della Suprema Corte è molto rigorosa nello statuire che “in caso di contestazione su un contratto di mutuo, l’onere della prova grava sul mutuante, il quale sarà tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda e, pertanto, non soltanto l’avvenuta consegna della somma, ma anche il titolo da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione. 

La domanda di restituzione di una somma assertivamente concessa a mutuo dovrà perciò richiedere l’assolvimento dell’onere della prova per i due seguenti aspetti: prova della consegna della somma e prova, natura e titolo da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione. Il contratto di mutuo (art. 1813 c.c.) può concludersi infatti anche oralmente con la consegna della somma, tuttavia il mutuatario deve provare il fatto storico del prestito del denaro” (Cass. Civ., sez. III, sent. del 24/04/2015, n. 8409). 

Nel caso di specie, l’attore ha allegato i quattro versamenti in favore della moglie e della cognata, documentandoli con le ricevute dei bonifici effettuati (docc. 4, 5, 6 e 7 citazione), con ciò dimostrando sicuramente la dazione delle somme (asseritamente mutuate).

Se le convenute (in particolare la sig.ra A. Miranda Mello) non contestano la ricezione delle somme oggetto di causa, è però, come già detto, acutamente dibattuto il titolo per cui è avvenuta questa dazione, essendo da esse radicalmente negata la stipula di qualsivoglia contratto di mutuo. 

Questo rilievo ha un importante effetto consequenziale. 

Com’è noto, nei casi in cui il creditore voglia far accertare la sussistenza di responsabilità ex art. 1218 c.c. in capo al debitore, dovrà provare il titolo costitutivo del rapporto e soltanto allegare la non adempienza del debitore, al quale è concesso eventualmente dimostrare che la prestazione è diventata impossibile per cause a lui non imputabili. 

Per quanto riguarda il mutuo, la giurisprudenza di legittimità, con orientamento ormai consolidato, evidenzia che, ove l’accipiens del denaro neghi radicalmente l’esistenza del mutuo stesso, ciò si risolve in una negazione del titolo posto alla base della richiesta creditoria. 

In tal caso, non si è in presenza di un’eccezione pura ex art. 2697 c. 2 c.c. (non essendo volta a dimostrare l’inefficacia, modifica, o estinzione del rapporto) e, dunque, resta fermo l’onere probatorio in capo all’attore (Cass. civ., Sez. III, sent. del 13/03/2013, n. 6295: “Qualora l’attore fondi la sua domanda su un contratto di mutuo, la circostanza che il convenuto ammetta di avere ricevuto una somma di denaro dall’attore, ma neghi che ciò sia avvenuto a titolo di mutuo, non costituisce una eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l’onere della prova, giacché negare l’esistenza di un contratto di mutuo non significa eccepirne l’inefficacia, la modificazione o l’estinzione, ma significa negare il titolo posto a base della domanda, ancorché il convenuto riconosca di aver ricevuto una somma di denaro ed indichi la ragione per la quale tale somma sarebbe stata versata, con la conseguenza, pertanto, che rimane fermo l’onere probatorio a carico dell’attore”). 

I versamenti effettuati dall’attore.

Alla luce di questi principi, si esamineranno ora i bonifici effettuati dal sig. Da Silva. 

Il primo di essi risale al 29.06.2009, ammonta ad euro 100.000,00 e tale importo è stato versato sul conto corrente n. 1614 della Banca di Imola, intestato alla sola Alberta Miranda Mello. 

Il secondo, di euro 130.000,00, invece, reca data 20.09.2010-22.09.2010 ed è andato a beneficio di un ulteriore conto corrente (n. 664) presso la Banca di Imola, intestato sia ad Alberta Miranda Mello, sia a Beatriz Miranda Mello.

Il terzo, del 13.03.2013 e di ammontare pari ad euro 60.000,00, ha interessato nuovamente il conto corrente n. 1614 di cui sopra, intestato alla sola Alberta Miranda Mello, così come il quarto bonifico, pari ad Euro 130.000,00, del 26.06.2014, che è anche l’unico che presenta una causale, con la dicitura “prestito”. 

Le convenute hanno sostenuto, per tutta la durata del processo, che queste somme non sono state erogate a titolo di mutuo, ma si risolvono in normali contribuzioni ai bisogni economici della famiglia, anche alla luce delle disponibilità economiche delle parti e delle cospicue spese a tal fine sostenute dalla signora Alberta Miranda Mello, così come risultano dalla c.t.u. contabile svolta in corso di causa. 

Ciò, a maggior ragione, viste le altalenanti fortune lavorative sia dell’attore, sia delle società della moglie. 

La c.t.u. contabile svolta dalla dott.ssa Valentina Pellicciari, tuttavia, a parere di questo giudice, non offre indizi che concretamente aiutino a sposare in toto la tesi attorea del mutuo, piuttosto che quella delle convenute; o viceversa. Essa verte infatti sulla ricostruzione della situazione patrimoniale sia della famiglia Da Silva – Miranda Mello, sia di quella del solo Da Silva, senza, però, dare precisi elementi sulla esatta qualificazione giuridica dei versamenti in parola. Né sarebbe stato compito della consulente individuare tale profilo specificamente giuridico. 

Infatti, la circostanza che per lungo tempo la signora A. Miranda Mello abbia speso più denaro del marito per il ménage familiare non esclude la possibilità che il marito possa averle prestato delle somme, così come non è dirimente per dimostrare la sussistenza di un mutuo il fatto che i versamenti siano stati fatti in poche, ma decisamente cospicue, tranches. 

Inoltre, la disciplina inerente ai doveri scaturenti dal matrimonio di cui agli artt. 143 e ss. c.c., e quella sul regime patrimoniale sulla separazione dei beni, non escludono che tra i coniugi possa aversi la stipula di contratti di mutuo a favore dell’uno o dell’altra, quindi non è detto che tutti gli spostamenti di capitale tra l’una e l’altra parte della coppia debba ricondursi sempre al dovere di contribuzione economica ai bisogni della famiglia. 

Pertanto, per addivenire alla soluzione della presente controversia, il problema che si pone è di tipo meramente probatorio. 

Risulta altresì utile – anche se, nemmeno essa, di rilievo dirimente – la c.t.u. svolta dal prof. Gian Piero Benedetti sulla registrazione (ad opera dell’attore all’insaputa della interlocutrice) della telefonata intercorsa tra il sig. Da Silva e la sig.ra A. Miranda Mello, prova atipica ritenuta ammissibile nel processo civile dalla giurisprudenza, rientrando nell’ambito applicativo dell’art. 2712 c.c. 

La registrazione di una conversazione può, infatti, costituire fonte di prova, a patto che colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti né che la conversazione sia realmente avvenuta, né che abbia avuto il tenore risultante dal nastro, e sempre che almeno uno dei soggetti, tra cui la conversazione si svolge, sia parte in causa (Cass. civ., Sez. III, ord. del 19/01/2018, n. 1250). 

Nel caso di specie, la registrazione della telefonata è certamente ammissibile, in quanto la convenuta A. Miranda Mello ha ammesso di aver partecipato alla telefonata, ed anche che essa ha avuto il tenore risultante dalla trascrizione; non condividendo però, l’interpretazione delle sue stesse parole data dall’attore. 

In ultimo, questo giudice ritiene doveroso premettere che, vista la relazione di coniugio tra l’attore ed una delle convenute, l’episodicità dei versamenti oggetto di causa (quattro in cinque anni), nonché il rilievo che questi erano effettuati in momenti che dimostrano una certa connessione a periodi di affaticamento della situazione patrimoniale delle società delle sorelle Miranda Mello, non è dimostrata la sussistenza di un unico contratto di mutuo, alimentato dai vari emolumenti, ma, se del caso, si tratterà di singoli negozi di prestito, uno per ciascun bonifico effettuato dall’attore. 

Il bonifico munito di causale

Ebbene, la prima cosa che emerge dal materiale probatorio presentato è che solo l’ultimo bonifico effettuato dal Da Silva, quello pari ad euro 130.000,00 del 26.06.2014 verso il conto corrente intestato soltanto alla moglie, reca la causale “prestito”. 

Siffatta dicitura, unitamente al rilievo che il contratto di mutuo può stipularsi anche oralmente, è indizio particolarmente pregnante dell’esistenza di un negozio di tal guisa, non redatto per iscritto per via di quel rapporto di fiducia reciproco e di totale informalità che si crea in costanza di matrimonio. 

Pertanto, essa può dirsi un’idonea allegazione da parte del creditore del titolo per cui agisce contro il debitore. 

La circostanza che vi sia stata una utilizzazione della somma, cioè che la parte che la ha ricevuta non la abbia restituita, ha un chiaro significato di accettazione tacita (sulla possibilità del meccanismo del consenso tacito, sia pure in ipotesi risolutoria: Cass. Civ., Sez. III civile – sent. 2 marzo 2012, n.3245). Si intende dire che una parte, il mutuante (odierno attore) propone un contratto, che nomina (sia pure con il termine non tecnico di prestito), al contempo realizzando la fattispecie reale, che contraddistingue il mutuo. La condotta della controparte, la odierna Alberta Miranda Mello, che tale somma utilizza e fa propria, ha un chiaro significato di accettazione tacita della altrui proposta. 

Il contratto concluso è dunque un mutuo. 

Le difese della convenuta, peraltro, non riescono a provare che, più probabilmente che non, tale importante somma sia stata erogata per motivi diversi da quelli indicati dall’attore, o che non sia mai intercorso un contratto di mutuo tra i coniugi. 

Inoltre, il contenuto della telefonata registrata oggetto della consulenza Benedetti, nel presente giudizio, presenta anche delle dichiarazioni in parte confessorie da parte della A. Miranda Mello. 

A pag. 14, ad esempio, ella afferma: “…questo non vuol dire che io non ti restituisco tutti i soldi, voglio fare dei conti un pochino più .. più giusti.”; questi soldi “io non ce li ho, non ce li ho .. però ho intenzione di renderteli ma renderti un importo giusto. Perché secondo me non è giusto renderti l’intero…” . 

Inoltre, a pag. 20 della trascrizione, si legge che la stessa afferma: “quindi ti sto dicendo che i soldi non li ho, che ho intenzione di restituirteli, tutti quelli che .” 

Dunque è la stessa convenuta che ammette di dover restituire dei soldi al marito, con tale prova atipica. E’ dunque del tutto erronea la ricostruzione di parte attrice per cui, sulla base di tale prova atipica, si sarebbe raggiunta piena prova della pretesa dell’attore: la prova è infatti una prova atipica, innanzi tutto, che dunque non fa piena prova di alcunché; inoltre, il contenuto semantico di quanto dichiara la convenuta è che deve restituire “qualcosa”, non “tutto”. 

In relazione a questo specifico versamento, munito di causale, si deve ritenere, allora, che esso rientri nel “qualcosa”, rispetto al quale la convenuta si sottomette come debitrice. 

Nel caso di specie, questa risultanza insieme alla causale del bonifico prima menzionata lasciano plausibilmente ritenere che gli euro 130.000,00 versati, siano stati in realtà mutuati alla moglie. 

Ella, del resto, non riesce mai a dimostrare il contrario, effettuando contestazioni per lo più generiche, senza concretamente addurre prove contrarie, e riferendosi principalmente al suo (asseritamente) preponderante sforzo economico nel ménage familiare, cosa che, però, non esclude il fatto che tra i coniugi possa essere intercorso un prestito, specialmente considerando che l’art. 143 c.c. non impone una contribuzione economica ai bisogni familiari di tipo paritario, ma proporzionale alle proprie sostanze. 

Se, dunque, è da ritenersi dimostrata l’esistenza di un contratto di mutuo, va ora considerata la domanda attorea relativa alla debenza degli interessi. 

Spettano. 

Dall’articolo 1815, c. 1, c.c. si ricava la presunzione di onerosità del mutuo; ossia che il prestito, salva diversa volontà delle parti, genera interessi al tasso legale, se non pattuito altrimenti. 

Essendo tale presunzione posta a favore del mutuante, cioè colui che riceverà i frutti civili della dazione del denaro, questi, per l’articolo 2728 c.c., è dispensato dalla relativa prova. 

Per i motivi fin qui evidenziati, questo giudice accerta la sussistenza di un mutuo tra il Da Silva e la A. Miranda Mello dell’importo di euro 130.000,00, e condanna quest’ultima alla restituzione all’attore di tale somma, maggiorata degli interessi legali maturati a partire dalla data del versamento, ossia il 26.06.2014. 

Sugli altri due bonifici senza causale

versati sul conto corrente intestato alla sola signora A. Miranda Mello.

Relativamente, invece, ai bonifici del 29.06.2009, di euro 100.000,00, e del 13.03.2013, di ammontare pari ad euro 60.000,00, si osserva quanto segue. 

Dagli atti di causa emerge come la “vita economica” della famiglia Da Silva – Miranda Mello in costanza di matrimonio abbia visto l’esborso di cospicue somme da parte della moglie, in maniera più o meno costante, per tutta la durata della relazione, mentre, da parte del marito, una contribuzione generalmente di minore entità (secondo le risultanze della c.t.u. contabile), vista la percezione di minori introiti per buona parte del rapporto coniugale. 

Inoltre, il tono della famiglia, quando ancora in armonia, era chiaramente un tono economico alto; con consumi affluenti. 

Vari elementi inducono a ritenere che tali somme, pur versate in modo unitario (c.d. una tantum) rientrassero nel dovere di contribuzione del marito, ai sensi dell’articolo 143, terzo comma, c.c. 

Vari gli elementi in tal senso. 

Del primo si è già detto. 

La famiglia viveva bene, da un punto di vista economico; con la conseguenza che il versamento di tali somme, unitariamente elevate, ben si inquadra, se tali somme vengono divise per i consumi mensili, in contributi al tenore di vita della famiglia Miranda Mello-Da Silva. 

In secondo luogo, è del tutto ragionevole ritenere che, in momenti di minore ristrettezza economica della moglie, l’attore abbia dato il suo apporto alle finanze della famiglia con versamenti, ingenti se valutati una tantum; del tutto in linea con i consumi della famiglia, nel complesso. 

Del resto, l’attore ha sempre rivendicato il suo ruolo nell’economia domestica. 

Ancora: i due versamenti non hanno nessuna causale, nessun giustificativo, né alcun aggancio con altra documentazione che possa far ritenere che tali somme siano state date a titolo di mutuo; sono state date ex art. 143 c.c. 

Infine, non è contestato ed in larga parte documentato dalla c.t.u. che la moglie abbia contribuito ai costi della famiglia in misura maggiore del marito (pagina 40 dell’elaborato peritale). Appare allora logico – in una coppia che allora viveva in condizioni di armonia – che il marito abbia versato somme, al fine di contribuire alla famiglia, per riequilibrare il notevole sforzo economico compiuto dalla moglie a mantenimento della famiglia (ancora: pagina 40 dell’elaborato peritale).

Non si intende dire (ciò si è già escluso) che marito e moglie debbano contribuire in parti eguali, ché non è quello che è scritto nell’articolo 143 c.c.. Il punto è di prova: la convenuta aveva contribuito in modo sostanziale alla famiglia; l’attore ha ritenuto di dare, esso stesso, il suo contributo con tali bonifici. 

Unico elemento contrario, rispetto ad un titolo 143 c.c., si ha in relazione ad uno di tali due bonifici. 

Tale elemento non è comunque decisivo. 

Va precisato, infatti, che, relativamente al bonifico di euro 100.000,00 di cui al doc. 4 dell’attore, nulla prova la lettera prodotta, diretta alla Banca di Imola, avente ad oggetto la dicitura “ordine di bonifico per finanziamento soci”, e ciò per due motivi. 

Il primo è che tale lettera è uno scritto proveniente dallo stesso attore, che reca un contenuto poi non riprodotto nella causale del bonifico. 

Il secondo, dirimente, è che non c’è prova dell’invio della stessa al destinatario, non potendo, quindi, questo giudice comprendere il contesto di redazione di tale lettera. 

Inoltre manca della sottoscrizione dell’ordinante, essendo riportato il suo nome e cognome solo in caratteri “word” (doc. 4 citazione), elemento che a maggior ragione non può dimostrare l’avvenuto invio di tale missiva, specialmente se raffrontata l’altra lettera di ordine di bonifico prodotta (doc. 5 citazione), della quale nemmeno vi è prova della spedizione, ma vi è almeno apposta la firma a penna del Da Silva. 

Non soccorrono in aiuto della tesi attorea nemmeno gli stralci della conversazione telefonica citati in precedenza, in quanto l’importo delle somme che la moglie dice di voler restituire è sempre e solo esplicitato dal marito (che parlava di cinquecentomila euro), mai dalla A. Miranda Mello, che, anzi, ritiene di dover ridurre l’importo dal primo prospettato: appunto, dice di dovere “qualcosa”, non “tutto”. 

Pertanto, non è provata la sussistenza dei contratti di mutuo in occasione dei due versamenti indicati in apertura di questo paragrafo; è provata, sulla base di un reticolo di elementi probatori, la destinazione delle somme ai bisogni della famiglia. Per l’effetto, si ritiene che la complessiva somma di euro 160.00,00 non vada restituita all’attore, in quanto confluita nelle spese di contribuzione ai bisogni economici della famiglia ex art. 143 c.c. (obbligazione civile; anche se la coppia fosse stata solo convivente, comunque obbligazione naturale, con irripetibilità di quanto dato). 

Sul bonifico effettuato sul conto corrente cointestato alle sorelle A. e B. Miranda Mello e sui versamenti ricevuti dall’attore.

Per quanto riguarda, infine, il bonifico del 20.09.2010-22.09.2010 di euro 130.000,00 a beneficio di un ulteriore conto corrente presso la Banca di Imola, intestato sia ad Alberta Miranda Mello, sia a Beatriz Miranda Mello, si osserva quanto segue. 

È in atti che le convenute avessero rapporti lavorativi tra di loro, facendo parte, a vario titolo, della società Salus S.r.l. [pag. 2 comparsa di A. Miranda Mello: “La Sig.ra Miranda Mello Alberta, lavora come impiegata presso la società Salus S.r.l. della quale ha la nuda proprietà di una parte minoritaria delle quote societarie insieme alla sorella Beatriz, nonché di recente ne è anche amministratrice. (cfr. visura Salus S.r.l. All. 2)”]. 

Non è contestato, poi, che l’andamento di tale attività abbia avuto momenti difficili, con conseguenti periodi di problemi economici, specialmente a seguito di un grosso incendio subito dalla Salus S.r.l. nel 2009 (come risulta dalle dichiarazioni rese dalla sig.ra A. Miranda Mello in sede di interrogatorio libero in data 08.03.2018). 

Il bonifico de quo, invece, risale al settembre 2010; pertanto, ipoteticamente, potrebbe essere correttamente ricondotto sia ad un prestito del marito per aiutare moglie e cognata a “risollevare” economicamente la loro attività, sia ad una contribuzione tra coniugi per i bisogni della famiglia, semplicemente effettuata su di un conto corrente diverso da quello della sola A. Miranda Mello. 

Al fine di decidere quale delle due ipotesi sia maggiormente verosimile, vanno analizzate le prove prodotte dall’attore a sostegno della tesi della sussistenza del contratto di mutuo. 

Documentalmente, non risulta nulla che lasci pensare che sia avvenuta la stipula di un siffatto negozio: il bonifico è senza causale, e l’ordine di bonifico impartito dall’attore alla banca non reca seco la prova dell’invio all’istituto di credito stesso, né alcuna forma di giustificativo (doc. 5 citazione). 

Tuttavia il sig. Da Silva, a dimostrazione del suo titolo, ha chiesto, ed ottenuto, l’interrogatorio formale delle controparti, e le dichiarazioni confessorie ivi rese dalla sig.ra B. Miranda Mello offrono la dimostrazione che anche tale somma sia stata erogata alle due convenute a titolo di mutuo. Si fa qui riferimento al vero e proprio interrogatorio, che comporta una mise en garde, interrogatorio che ha condotto a confessione; non dunque la prova atipica di una intercettazione privata, captata. In relazione a questo bonifico, deve dirsi essere presente una vera e propria confessione. 

Tra i capitoli ammessi dal giudice da formulare sia alle convenute in sede di interrogatorio formale, sia ai testimoni a cui è stato consentito deporre (tra cui spicca quanto affermato dal teste Laerte Miranda Mello, padre delle convenute, di cui poi si dirà), assume rilievo il numero 6 della memoria n. 2 ex art. 183 c.p.c. di parte attrice, che subito si riporta: “6) Vero che le sorelle Miranda Mello il 28.10.2010 provvedevano a restituire al Da Silva 20mila euro dei 130mila a loro prestati il 20.09.2010 “. 

In effetti, tale versamento, di euro 20.000,00, risulta al doc. 9 dell’atto di citazione; esso non è mai stato contestato dalle convenute, le quali, però, non lo riconducevano al(l’asserito) prestito dei 130.000,00 euro. 

Il capitolo n. 6 attoreo, invece, mette in relazione specifica il versamento da parte dell’attore alle convenute con quello da parte delle sorelle Miranda Mello al Da Silva, qualificando il secondo come un inizio di restituzione dei denari ricevuti dall’attore. 

Ebbene, a tale domanda l’interrogata B. Miranda Mello (a differenza della sorella) rispondeva semplicemente con “è vero”, con ciò di fatto effettuando una confessione giudiziale della sussistenza di tale prestito da parte dell’attore in favore suo e di A. Miranda Mello. 

È noto che l’interrogatorio formale è utilizzato per stimolare la confessione giudiziale (che ha, ex art. 2733 c.c., efficacia di prova legale, vincolando il giudice nel suo apprezzamento), la quale può solo nuocere e mai giovare alla persona interrogata.

Infatti, ex artt. 2730 e 2733 c.c. ed artt. 228 e 231 c.p.c., quando la confessione avviene in giudizio a seguito di esperimento della prova costituenda (confessione giudiziale), la prova della dichiarazione è già prova (piena e legale) del fatto. 

Non hanno la stessa pregnanza le dichiarazioni non confessorie, anzi negatorie degli addebiti mossi nei loro confronti, effettuate dalle parti in sede di interrogatorio formale, le quali possono, al più, essere valutate come dei meri argomenti di prova (Cass. civ., Sez. III, sent. del 14/10/2005, n. 19964: “Nel caso in cui la parte si presenti a rendere interrogatorio formale e neghi, non ammetta o smentisca le circostanze di fatto su cui è chiamato a rispondere, il risultato negativo dell’interrogatorio costituisce un elemento acquisito al processo che può essere utilizzato come indizio ai fini della valutazione della prova delle stesse circostanze di fatto indicate nei capitoli dell’interrogatorio, in concorso con altri elementi istruttori che devono essere specificamente indicati”). 

Per tali ragioni, questo giudice ritiene provata l’esistenza del contratto di mutuo tra le tre parti, alla luce della dichiarazione confessoria resa dalla signora B. Miranda Mello, non assumendo (la stessa) forza probatoria l’affermazione di segno contrario fatta, sempre in sede di interrogatorio formale, da A. Miranda Mello. 

Questa affermazione confessoria, peraltro, è corroborata altresì dalle dichiarazioni del teste Laerte Miranda Mello, il quale, allo stesso capitolo n. 6 di cui sopra, rispondeva anch’egli “è vero”, aggiungendo altresì “me lo hanno riferito le mie figlie” (grassetto aggiunto ad enfatizzare l’uso del plurale). 

È notorio che la testimonianza è un mezzo di prova che proviene da un terzo che, teoricamente, dovrebbe essere imparziale, di cui però va vagliata l’attendibilità da parte del giudicante. 

Per fare ciò, il legislatore non ha attribuito alle risultanze derivanti dall’uso di questo istituto il valore di prova legale (proprio della confessione giudiziale), con lo stretto vincolo al suo apprezzamento da parte del giudice. 

Al contrario, quest’ultimo ha il più ampio margine di apprezzamento delle dichiarazioni rese durante l’escussione della prova testimoniale. 

Per tale motivo, nel caso di specie, si ritiene non attendibile la testimonianza del sig. Marco Da Silva, per la sua parentela con l’attore, e perché la sua conoscenza dei fatti di causa deriva o da cose dettegli dal fratello stesso, ovvero per via del ruolo (non meglio precisato) di contabile dell’attore svolto dalla moglie del teste, la sig.ra Eliana Da Silva.

Non si ritiene rilevante, poi, la testimonianza del sig. Algisi Nicoscia, marito della convenuta Beatriz Miranda Mello, le cui risposte sono state spesso generiche e tali da denotare che egli non fosse al corrente di molte delle circostanze utili alla soluzione della presente controversia. 

Inoltre, le due testimonianze che precedono, per così dire, si annullano reciprocamente. 

Dunque, solo il teste sig. Laerte Miranda Mello, una volta sentito a prova contraria, ha dimostrato di essere attendibile, se si pongono in relazione la risposta al capitolo 6 attoreo con la sua qualità di padre delle convenute, ed anche con il suo possibile interesse a che la causa si concluda in un modo favorevole per queste ultime. 

Questo assunto è in linea con la giurisprudenza della Suprema Corte in tema di valutazione di attendibilità dei testimoni, che qui si riporta. 

Ad esempio, per Cass. Civ., Sez. VI, ord. del 21.05.2014, n. 11204: (omissis) “la valutazione sull’attendibilità del teste, (omissis) afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità (Cass. 30 marzo 2010, n. 7763). Il che significa che la valutazione va fatta, caso per caso, in concreto”. 

Anche Cass. civ., Sez. L, sent. del 21/08/2004, n. 16529 sul medesimo tema, la quale ha statuito che: “la valutazione in ordine all’attendibilità di un teste deve avvenire soprattutto in relazione, al contenuto della dichiarazione e non aprioristicamente per categorie, in quanto in quest’ultima ipotesi il giudizio sull’attendibilità sfocerebbe impropriamente in quello sulla capacità a testimoniare in rapporto a categorie di soggetti che sarebbero, di per sè, inidonei a fornire una valida testimonianza, laddove la capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull’attendibilità del teste, operando su piani diversi, atteso che l’una, ai sensi dell’art. 246 cod. proc. civ., dipende dalla presenza in un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza delle dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite”. 

Alla luce di quanto fin qui esposto e delle prove raccolte, può dirsi dimostrata la sussistenza di un informale contratto di mutuo tra le parti Da Silva e B. Miranda Mello, per l’ammontare di euro 130.000,00, oltre interessi al saggio legale decorrenti dalla data del versamento (cioè il 20.09.2010-22.09.2010), non essendosi superata la presunzione di onerosità del mutuo stesso di cui all’art. 1815 c.c. 

Relativamente alla posizione della convenuta A. Miranda Mello, la quale non ha mai reso dichiarazioni confessorie, e nei cui confronti non sussistono indizi documentali tali da dimostrare la sua qualità di parte in tale contratto, vanno svolti tre rilievi. 

In primo luogo, massime di esperienza consentono di desumere dalla situazione descritta che la convenuta B. Miranda Mello non avrebbe richiesto un prestito al marito della sorella, senza una intercessione di quest’ultima. 

Pertanto si può ragionevolmente ritenere che anche la signora Alberta Miranda Mello sia stata parte mutuataria di questo prestito, insieme alla sorella. 

In secondo luogo, in ogni caso la sig.ra A. Miranda Mello deve ritenersi obbligata in solido con la sig.ra B. Miranda Mello a restituire il tantundem versato dal sig. Da Silva, maggiorato degli interessi al tasso legale, in virtù del disposto dell’art. 1854 c.c., per cui, quando il conto corrente è intestato a più persone, con facoltà delle medesime di compiere operazioni anche separatamente (come nel caso di specie, stando a quanto riferito dalla convenuta B. Miranda Mello a pag. 1 della sua memoria integrativa del 22/02/2018), gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto. 

Infine, non può non tenere conto della dichiarazione del teste Laerte Miranda Mello al suddetto quesito n. 6, con cui egli ammetteva che è vero che le figlie provvedevano a restituire al Da Silva 20.000, euro dei 130.000,00 a loro prestati il 20.09.2010, e che tale informazione gli era stata riferita dalle figlie, quindi sia da Beatriz che da Alberta. 

Pertanto può dirsi dimostrata la sussistenza di questo ulteriore mutuo, ammontante ad euro 130.000,00, a carico delle convenute, da cui però vanno scomputati sia il versamento di euro 20.000,00 di cui sopra, effettuato dalle sorelle Miranda Mello nel 2010, sia i due assegni da euro 10.000,00 cadauno, emessi dal sig. Algisi Nicoscia a favore dell’attore in data 24.02.2017, di cui al doc. 9 allegato all’atto di citazione. 

Se il primo versamento di euro 20.000,00 va imputato a parziale restituzione al mutuante della somma prestata alla mutuataria per i motivi e sulla base delle prove descritte fin qui, anche relativamente ai due assegni appena menzionati si deve ritenere che vadano imputati ad una ulteriore tranche di restituzione delle somme prestate. 

A tale conclusione si arriva rilevando che è stato il marito della signora Beatriz Miranda Mello ad emetterli (quindi il marito di una delle debitrici dell’attore) in favore del Da Silva, e non a beneficio della cognata, cosa che sarebbe logica se, come egli stesso ha affermato durante la sua escussione come teste, “Alberta era in difficoltà ed aveva bisogno di questa cifra; (omissis) mia moglie mi a suggerito di intestare gli assegni a mio cognato per motivi di sicurezza” (affermazione, quest’ultima, di cui si fatica a comprendere il significato). 

Inoltre, il fatto che l’odierno attore fosse destinatario di un mutuo con un istituto di credito per ristrutturare la propria abitazione, e che abbia richiesto dei soldi alla moglie ed alla cognata perché necessitava la disponibilità di liquidità, non esclude che egli intendeva riscuotere, almeno parzialmente, il capitale prestato alle controparti. 

Al contrario, si può ragionevolmente ritenere che la ristrutturazione dell’immobile sia stata un’occasione per il mutuante utile per cercare di riottenere indietro l’importo versato, non emergendo dagli atti alcuna pattuizione tra le parti di un termine per la restituzione.

Dunque, le convenute debbono essere condannate in solido tra loro a rifondere l’attore della somma di euro 90.000,00 (130.000 – 20.000 – 10.000 – 10.000), oltre agli interessi al tasso legale, decorrenti dalla data del versamento della somma, fatto il 20.09.2010-22.09.2010 (seconda data da estratto conto). 

Sulla fissazione giudiziale del termine per la restituzione ex art. 1817 c.c.

Ai sensi dell’art. 1817 c.c., se non è pattuito tra le parti un termine per restituire le somme date a mutuo, esso è stabilito dal giudice, avuto riguardo alle circostanze. 

È pacifico che, nel caso di specie, non è mai avvenuta una convenzione negoziale tra i contraenti con la previsione di un termine per restituire la somma prestata. 

Proprio per questo, nell’atto di citazione, l’attore chiedeva che, ex art. 1186 c.c., possa esigere immediatamente la prestazione da parte delle debitrici, visto il loro stato di insolvenza. 

Tuttavia tale richiesta non può avere seguito, in quanto poggia su di un’interpretazione della parola “insolvenza” diversa da quella corretta. 

Se è vero che, comunemente, per “insolvenza” si intende genericamente uno stato di inadempienza alle proprie obbligazioni, l’art. 1186 c.c. (che pure è astrattamente compatibile con la disciplina del mutuo e con l’art. 1817 c.c.), per trovare applicazione, richiede un quid pluris. 

Infatti, l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale su di esso ha ritenuto necessario il doversi intendere la parola “insolvenza” come evocativa di una situazione di dissesto economico, anche solo temporaneo, tale da far sembrare probabile che il debitore non adempia ai suoi obblighi, ingenerando nel creditore insicurezza sull’effettiva garanzia che il patrimonio del debitore potrebbe offrire per il soddisfacimento del suo credito. 

Nel caso di specie, è vero che le convenute non hanno ancora restituito il quantum ricevuto in prestito, ma va anche detto che non era fissata alcuna data per farlo, quindi non possono dirsi, propriamente, inadempienti. 

Inoltre, dagli atti prodotti nella presente causa, e basandosi sulla c.t.u. contabile svolta, emerge, per lo meno in capo alla sig.ra Alberta Miranda Mello, la disponibilità di un cospicuo patrimonio mobiliare (visto l’ammontare delle spese sostenute nel corso degli anni), ed immobiliare (pag. 17 relazione finale ctu: “La sig.ra Alberta Miranda Mello è proprietaria esclusiva di un immobile sito in Bologna, nel Palazzo Tanari (omissis)”), senza contare, per entrambe le convenute, gli introiti derivanti dalle loro società. 

Pertanto non può ravvisarsi uno stato di insolvenza in capo alle due convenute nel senso sopra specificato, non dovendosi quindi applicare la disciplina di cui all’art. 1186 c.c., bensì quella ex art. 1817 c.c., con fissazione del termine di restituzione ad opera di questo giudice. 

Considerando il fatto che nessuno dei due contratti di mutuo di cui alla presente causa prevede un termine per la restituzione, non essendo esso emerso né dalle dichiarazioni delle parti, né dalle prove introdotte nel processo, e tenendo conto che i due versamenti dell’attore sono assai risalenti nel tempo, essendo il primo del settembre 2010 ed il secondo del giugno 2014, spetta a questo giudice stabilire un congruo termine entro cui le somme devono essere restituite al mutuatario. 

Alla luce, altresì, delle non precarie condizioni economiche in cui versa l’attore, dell’importo ingente da rifondere e del contesto in cui le obbligazioni sono sorte, ossia all’interno di un rapporto sentimentale, o, comunque, in ambito latamente familiare (essendo una delle mutuatarie un’affine del mutuante), si ritiene congruo fissare il termine ex art. 1817 c.c. in QUATTRO mesi a partire dalla data della pubblicazione della presente sentenza.

Sintesi. Il dispositivo

In sintesi, ritiene il Tribunale che la parte attrice abbia provato la natura di dazione del contratto reale di mutuo, per due dei versamenti. Ne segue la obbligazione di restituzione, con tutte le conseguenze di legge (1815 c.c., nonché termine 1817 c.c.). Trattandosi di mutui distinti, la obbligazione restitutoria è diversa in capo alle sorelle, secondo quanto esse ebbero a ricevere. 

Per altri versamenti, la parte attrice non ha provato, nemmeno secondo la regola del “più probabile che non” il contratto di mutuo. La situazione di coniugio, l’assetto dei contributi alla famiglia fa ritenere provato, con certezza, che si sia in presenza di attribuzioni nell’ambito dei doveri di cui al 143 c.c.; tale titolo esclude anche ogni diritto ai sensi dell’articolo 2033 c.c., trattandosi appunto di adempimento di obbligazione civile. 

Sulle spese del presente giudizio

Per quanto riguarda le spese del presente giudizio, esse vanno liquidate sulla base dei parametri di cui allo scaglione che va da euro 52.001,00 ad euro 260.000,00, al cui interno si colloca l’importo riconosciuto di spettanza all’attore.

L’attribuzione delle spese di lite, seguendo il criterio della soccombenza, si debbono addossare alle convenute in solido tra loro, ma, vista la non integrale vittoria dell’attore, ex art. 92 c. 2 c.p.c., appare opportuno compensare per la metà le spese che verranno riconosciute in suo favore. La compensazione non può tuttavia essere integrale. Va infatti rilevato come, secondo i principi generali, la parte attrice abbia avuto bisogno di tutela giurisdizionale, di adire il giudice. Non vi è stata, in nessuna fase, effettiva disponibilità al pagamento da parte delle convenute, se non a parole. La necessità di una compensazione solo parziale si impone per tali ragioni. 

Nel liquidarle, si ritiene congruo seguire i parametri medi delle fasi di studio, introduttiva e decisionale, mentre, relativamente alla fase istruttoria, viste sia la decisività delle prove richieste ed, in particolare, dei capitoli di prova orale presentati e poi ammessi dal giudice, sia l’espletamento di ben due c.t.u., sia la pregevole difesa svolta nelle memorie depositate, si ritiene congruo liquidare in misura maggiore rispetto ai medi previsti dalla legge per tale fase. 

Le spese delle suddette due c.t.u. svolte nel corso del presente giudizio, data la non integrale vittoria dell’attore, si dovranno compensare, ponendo i relativi importi in capo per metà all’attore e per l’altra metà in capo alle due convenute in solido tra loro. Non vi è contraddizione con la compensazione solo parziale, in relazione alle spese legali (le spese di lite vere e proprie). 

Nei due segmenti istruttori sulle consulenze, la soccombenza è infatti paritaria; ben può dunque il giudice isolare tali incombenti, riconoscendo in essi pari soccombenza. In ordine alla registrazione, mai le convenute hanno negato espressamente il contenuto della stessa; inoltre, la registrazione, prescindendo dalla natura di prova a sorpresa ed invasiva (pur lecita), ha condotto ad un esito di prova non nel senso indicato dall’attore. Questo pretende che la registrazione dica una cosa, che in realtà non dice. 

Lo stesso dicasi per la consulenza; fu disposta sostanzialmente per verificare se fosse plausibile che le somme versate potessero, dato il loro ammontare, essere ricondotte al titolo di cui all’articolo 143 c.c.. La consulenza è stata poi mal interpretata e sospinta hinc inde, su temi non rilevanti; il che è però avvenuto da parte di entrambi i contendenti. L’esito è stato che il tenore di vita della famiglia era compatibile con le somme versate e, anche, che il Da Silva caso mai ha parzialmente riequilibrato il proprio contributo alla famiglia.

Si rileva, dalla lettura della memoria di replica attorea, che è stato proposto dal difensore del sig. Da Silva un ricorso ex artt. 170 d.p.r. 115/2002 e 15 d. lgs. 150/2011 in opposizione a decreto di liquidazione dei compensi al c.t.u., riferito all’appena ricordato decreto del 06.08.2019 che pronuncia sull’istanza di liquidazione del compenso depositata dalla dott.ssa Valentina Pellicciari. Tale iniziativa, tuttavia, non muta né la decisione sulla ripartizione dei costi di tale consulenza, né il dovere di corresponsione degli importi ad opera delle parti, ferma restando ogni eventuale diversa e successiva statuizione sul relativo quantum che interverrà nell’istaurando giudizio, vista la mancata integrale vittoria del presente giudizio da parte dell’attore. Poco o molto risulti liquidato ai consulenti, questo deve essere diviso per metà. 

Ciascuna delle parti, infine, provvederà a saldare per conto proprio ed in toto le spese per il proprio consulente tecnico di parte. 

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla causa che reca numero 17418/2017; 

ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 

1) CONDANNA la sola signora Alberta Miranda Mello a corrispondere al signor Michael Da Silva la somma di euro 130.000,00, oltre interessi al tasso legale e senza anatocismo, dalla data del 26 giugno 2014 fino alla data di proposizione della domanda introduttiva della presente causa; oltre ad interessi ex art. 1284 c. 4 c.c. decorrenti dalla data di proposizione della domanda introduttiva della presente causa fino al saldo. 

2) CONDANNA in solido tra loro le convenute signore Alberta Miranda Mello e Beatriz Miranda Mello a versare al signor Michael Da Silva la somma di euro 90.000,00, oltre interessi al tasso legale e senza anatocismo, dalla data del 22 settembre 2010 fino alla data di proposizione della domanda introduttiva della presente causa; oltre ad interessi ex art. 1284 c. 4 c.c. decorrenti dalla data di proposizione della domanda introduttiva della presente causa fino al saldo. 

3) FISSA per la restituzione da parte delle sig.re Alberta e Beatriz Miranda Mello, ciascuna per quanto di sua competenza, delle suddette somme ricevute a titolo di mutuo dal sig. Da Silva il termine ex art. 1817 c.c. di mesi QUATTRO a partire dalla data della pubblicazione della presente sentenza. 

4) RESPINGE per il resto le domande attoree. 

5) COMPENSA le spese per un mezzo. 

6) CONDANNA altresì le parti convenute, in solido tra loro, al pagamento di un mezzo delle spese di lite, che si liquidano nell’intero (dunque dovuto un mezzo di quanto in appresso) in: Euro 16.000,00 per compensi: spese generali pari al quindici per cento della somma che precede; spese specifiche pari ad Euro 1.428,00. Infine, IVA e Cassa sulla parte imponibile. 

7) DISPONE che le spese dei consulenti di ufficio sono poste a metà in capo a parte attrice ed a metà in capo alle due convenute. 

8) DISPONE che i costi di c.t.p. restino a carico di chi li ebbe a sostenere. 

Sì deciso in Bologna, nella residenza del Tribunale alla via Farini numero 1, il giorno 31 gennaio 2020. 

Il giudice 

dott. Marco D’Orazi[wpforms id=”21592″]

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