scioglimento della comunione legale esistente sull’immobile nella separazione coniugi imPORtanTe  Cass. civ., Sez. Un., 9 giugno 2022, n. 18641

scioglimento della comunione legale esistente sull’immobile nella separazione coniugi imPORtanTe  Cass. civ., Sez. Un., 9 giugno 2022, n. 18641; D’Ascola Primo Presidente f.f. – Carrato Relatore (Omissis) FATTI DI CAUSA 1. Con atto di citazione notificato il 28 ottobre 2008 il sig. P.F. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la sig.ra A.A., dalla quale era separato legalmente, per sentir disporre lo scioglimento della comunione legale esistente sull’immobile sito in (OMISSIS) (costituente casa coniugale), con annesso locale cantina posto al piano seminterrato (il tutto distinto nel N.C.E.U. al foglio (OMISSIS), p.lla (OMISSIS) l’appartamento, nonché (OMISSIS), la cantina).

Avvocato a Bologna
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IL TRIBUNALE

disponeva lo scioglimento della comunione legale fra le parti, attribuendo alla convenuta la proprietà esclusiva dell’anzidetto compendio immobiliare, determinando il conguaglio dovuto dalla stessa in favore dell’attore, con garanzia di ipoteca legale sul medesimo ai sensi dell’art. 2817 c.c., comma 2, nell’importo di Euro 522.500,00, dal quale andava detratta la somma relativa ad oneri di condominio e di mutuo gravanti in via esclusiva sul P. fino all’effettivo riscatto, nonché la somma di Euro 6.273,00, oltre interessi legali; – respingeva ogni altra domanda, compensando per intero tra le parti le spese giudiziali,

L’appello

la Corte di appello sottolineava come il provvedimento di assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi separati legittimasse quest’ultimo ad opporlo ai terzi, non avendo lo stesso alcun rilievo sull’aspetto e sull’assetto dei diritti reali spettanti ai coniugi legalmente separati (per intero o pro-quota), con la conseguenza che, in caso di cessazione della comunione legale o comunque in ipotesi di scioglimento della comunione relativamente al bene in comune (anche se oggetto di assegnazione in via esclusiva ad uno dei coniugi separati), si applicano le regoli ordinarie in materia di divisione di diritti reali. Pertanto, il giudice di secondo grado concludeva – in consonanza con quello di prime cure – per la convinta adesione al principio secondo cui l’assegnazione del godimento della casa familiare, ai sensi degli artt. 155 e art. 155-quater c.c. (previgenti), ovvero in forza della Legge sul Divorzio n. 898 del 1970 (con specifico riferimento al suo art. 6, comma 6), non può essere considerata in occasione della divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi al fine di determinare il valore di mercato del bene qualora lo stesso venga attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento quale casa coniugale, atteso che il provvedimento di assegnazione per quest’ultimo titolo viene adottato nell’esclusivo interesse dei figli e non del coniuge affidatario; diversamente, si realizzerebbe un’indebita locupletazione a suo favore, potendo egli, dopo la divisione, alienare il bene a terzi senza alcun vincolo e per il prezzo integrale, in relazione, cioè, al suo valore venale determinato dall’andamento del mercato immobiliare. 3. Avverso l’indicata sentenza di appello n. …/2018

dell’immobile in comproprietà tra i coniugi e ciò anche quando il bene venga attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento sullo stesso, atteso che un tale diritto è attribuito nell’esclusivo interesse dei figli e non del coniuge affidatario sicché, decurtandone il valore dalla stima del cespite, si realizzerebbe un’indebita locupletazione a favore del medesimo coniuge affidatario, potendo egli, dopo la divisione, alienare il bene a terzi senza alcun vincolo e per il prezzo integrale (cfr. Cass. Sez. I, n. 11630/2001, Cass., Sez. II, n. 27128/2014, Cass., Sez. II, n. 17843/2016 e, da ultimo, Cass., Sez. II, n. 33069/2018). In virtù, invece, di una contrapposta posizione, emersa anche diacronicamente nella giurisprudenza della Seconda Sezione civile (cfr. sentenze n. 20319/2004 e n. 8202/2016), è stato sostenuto che l’esistenza del vincolo derivante dall’assegnazione della casa coniugale e la sua opponibilità ai terzi determinerebbe una oggettiva contrazione del valore della proprietà, che si riflette sulla situazione dominicale del coniuge assegnatario e dei suoi aventi causa, fino a che detto provvedimento non sia modificato, con la conseguenza che nel giudizio di divisione si dovrebbe tener conto della portata di detto provvedimento in termini di incidenza sul valore del bene (anche, dunque, ai fini dei conguagli), e ciò indipendentemente dal fatto che il bene sia attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro coniuge ovvero venduto a terzi. 4. Il contesto normativo di riferimento. Giova premettere che la vigente disciplina in punto di assegnazione della casa familiare, in sede di separazione tra i coniugi, è mutata con la riforma di cui al D.Lgs. n. 154 del 2013, il quale ha riproposto (mediante il suo art. 55, comma 1), con alcune modifiche, il contenuto dell’art. 155-quater c.c., introducendo l’art. 337-sexies c.c., che detta, al comma 1, per la fase di separazione, i principi cardine dell’assegnazione della casa familiare, nel senso che: “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’art. 2643”. Per la fase divorzile, invece, della L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 11, sancisce che: “L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell’assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 c.c.”. Come è agevole desumere, l’assegnazione della casa familiare è, di regola, funzionale a tutelare l’interesse prioritario dei figli alla continuità della vita familiare (per garantire il mantenimento delle loro consuetudini di vita e delle relazioni sociali che in tale contesto si sono radicate), onde preservarne l’habitat dai possibili esiti negativi conseguenti alla crisi coniugale, giacché la casa rappresenta il luogo degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime la vita familiare e continua a svolgersi la prosecuzione delle relazioni domestiche. In sostanza, la casa familiare si identifica nel luogo in cui i figli minori o non ancora autosufficienti costruiscono le loro vite affettive attraverso il rapporto con i genitori nello scorrere relazionale della vita quotidiana, o, meglio, nel luogo protetto dove, in particolare, la prole minorenne potrà elaborare l’esperienza traumatica che può scaturire dalla crisi di coppia. In proposito, la Corte costituzionale con la sentenza n. 454 del 1989, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 155 c.c., comma 4 (oggi riassorbito nell’art. 337-sexies c.c.) nella parte in cui non prevede(va) la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione della abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole, ai fini dell’opponibilità ai terzi, ebbe a chiarire che il titolo ad abitare il cespite familiare è strumentale alla conservazione della comunità domestica nel solo interesse della prole (in tal senso v., anche, Cass. SU n. 13603/2004 e, tra le più recenti, Cass. Sez. VI1, n. 8580/2014 e Cass. Sez. V, n. 25889/2015). Ne deriva che il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare, prioritariamente destinato al coniuge affidatario dei figli o con essi residente, è destinato a creare un vincolo di destinazione sui generis, collegato all’interesse superiore dei figli, si atteggia – secondo l’opinione maggiormente seguita – a diritto personale di godimento del cespite e viene a caducarsi nel caso di allontanamento del coniuge assegnatario, ossia allo scemare delle ragioni di protezione della prole per raggiunta indipendenza dei figli, ovvero, infine, nel caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio

Come appena precisato, il diritto di godimento della casa familiare in capo al genitore affidatario è destinato a venire meno qualora egli cessi di abitare stabilmente nel cespite, ovvero conviva o contragga nuovo matrimonio, oltre, naturalmente, nei casi di raggiungimento dell’autonomia da parte dei figli affidati (Cass., Sez. VI-1, n. 3015/2018). Nelle ipotesi elencate dell’estinzione del diritto di godimento in capo al coniuge assegnatario è escluso che possa essere annoverata anche la morte di costui (Cass. n. 772/2018, cit.), stante il fondamento della norma che è funzionale esclusivamente alla protezione dei figli, dei loro affetti, interessi e consuetudini di vita, indispensabili ad una formazione armonica della loro personalità. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la possibile revoca dell’assegnazione nei casi previsti dall’art. 337-sexies c.c., sopra citato, ovvero per la raggiunta autonomia dei figli conviventi con l’assegnatario, non è azionabile dal terzo acquirente, il quale avrà a sua disposizione un’azione di accertamento preordinata alla liberazione del cespite (Cass., Sez. I, n. 15367/2015), cui potrebbe conseguire il pagamento dell’indennità per illegittima occupazione previa declaratoria di inefficacia del titolo, con decorrenza dalla data di deposito della sentenza di accertamento. A queste conclusioni è necessario pervenire perché ogni evento che incida sul regime di separazione, divorzio ed affidamento della prole non determina i suoi effetti in via automatica, ma impone l’intervento giudiziale di modificazione e revisione, con conseguente rivalutazione delle esigenze sottese al provvedimento originario. 6. Il quadro complessivo della portata del contrasto. Chiariti preliminarmente gli aspetti della natura e della funzione del provvedimento di assegnazione, possono essere così riassunti, alla stregua dell’ordinanza interlocutoria in esame, i due orientamenti della giurisprudenza di questa Corte formatisi sulla questione oggetto di contrasto: a) secondo un primo orientamento, seguito dall’impugnata sentenza della Corte di appello, il provvedimento di assegnazione della casa familiare non verrebbe ad incidere sul valore di mercato del cespite allorché l’immobile, in sede di divisione, venga attribuito in proprietà al coniuge affidatario della prole, atteso che la finalità perseguita con l’attribuzione di questo diritto atipico di godimento è esclusivamente la tutela dei figli minori o, comunque, non autosufficienti, rispetto alla conservazione del loro habitat familiare. Da quanto premesso non consegue, secondo questo orientamento, una locupletazione a favore del coniuge destinatario del conguaglio, a cui, invece, si richiama il ricorso de quo, atteso che l’assegnazione della casa familiare è strumentale, in via esclusiva, a preservare i figli dall’esito prevedibile della crisi coniugale costituito dai traumi da cambiamento di abitudini e radicamento ambientale che li interessano. Di contro, come osservato nell’impugnata sentenza, nel caso in cui l’intero immobile, all’esito della divisione, venisse attribuito per l’intero allo stesso coniuge affidatario, il diritto di godimento di quel cespite non potrebbe che venire meno per confusione, cosicché nessun deprezzamento verrebbe sofferto dall’assegnatario divenuto proprietario esclusivo in conseguenza dello scioglimento della comunione sull’immobile destinato a casa familiare. b) Secondo l’opposto orientamento, l’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l’immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo oggettivo determinante una decurtazione del valore della proprietà, sia totalitaria che parziaria, di cui è titolare l’altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane condizionato come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento di assegnazione non sia eventualmente modificato. Pertanto, nel giudizio di divisione occorrerebbe tener conto dell’incidenza dell’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro, ovvero venduto a terzi considerato che anche l’assegnatario subisce la diminuzione patrimoniale del valore del cespite. In tal modo, secondo il ragionamento di questa parte della giurisprudenza, il coniuge assegnatario si troverebbe dal punto di vista patrimoniale nella medesima situazione del coniuge non assegnatario o del terzo, finché il provvedimento di assegnazione non viene modificato e/o revocato. 7. Gli argomenti addotti a sostegno dei due contrapposti orientamenti. 7.1 – Nel senso sub a) del precedente paragrafo si è espressa Sez. I n. 11630 del 2001, la quale ha escluso che del provvedimento di assegnazione si debba tenere conto ai fini della valutazione dell’immobile in comproprietà considerato che esso è fonte di un diritto personale di godimento e non reale il quale e’, comunque, attribuito al coniuge affidatario nel solo interesse dei figli, ma che è destinato a venir meno allorché, sciolta la comunione legale, sia nel giudizio di separazione che in quello divorzile, il coniuge, cui la casa familiare sia stata assegnata, ne chieda l’assegnazione in proprietà, acquisendo, così, anche la quota dell’altro. In tal caso, l’originario diritto di godimento si consuma per effetto dell’acquisizione della proprietà esclusiva del cespite e non se ne deve tenere conto nella valutazione del cespite stesso, il che equivale a dire che il diritto in discorso non ha contenuto patrimoniale. In senso conforme a questo orientamento si è espressa anche Sez. II n. 27128 del 2014, con cui è stato precisato come, ove si operasse la decurtazione del valore in considerazione del diritto di godimento della casa coniugale, il coniuge non assegnatario verrebbe ingiustificatamente penalizzato con la corresponsione di una somma che non sarebbe rispondente alla metà dell’effettivo valore venale del bene (per il caso di comproprietà al 50%): il che è comprovato dalla considerazione che, qualora intendesse rivenderlo a terzi, l’assegnatario in proprietà esclusiva potrebbe ricavarne l’intero prezzo di mercato, pari al valore venale del bene, senza alcuna diminuzione. Negli stessi termini si è schierata anche Sez. II n. 17843 del 2016, che pure ha escluso l’incidenza dell’assegnazione sulla valutazione dell’immobile familiare in occasione della divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi, al fine di determinare il valore di mercato del bene qualora l’immobile venga attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento stesso, atteso che tale diritto è attribuito nell’esclusivo interesse dei figli e non del coniuge affidatario; pertanto, diversamente, si realizzerebbe un’indebita locupletazione a suo favore, potendo egli, dopo la divisione, alienare il bene a terzi senza alcun vincolo e per il prezzo integrale. Conformemente a detto principio si è pronunciata, da ultimo, anche Sez. II n. 33069 del 2018, con la quale è stato affermato che, nello stimare i beni per la formazione delle quote ai fini della divisione, non può non considerarsi, invero, che, in ipotesi di assegnazione in proprietà esclusiva della casa familiare, di cui i coniugi erano comproprietari, al coniuge affidatario dei figli, si riunisce nella stessa persona il diritto di abitare nella casa familiare – che perciò si estingue automaticamente – e il diritto dominicale sull’intero immobile, che rimane privo di vincoli, con la conseguenza che, in sede di valutazione economica del bene “casa familiare” nel giudizio di scioglimento della comunione, il diritto di abitazione conseguente al provvedimento di assegnazione non deve, pertanto, influire in alcun modo sulla determinazione del conguaglio dovuto all’altro coniuge. 7.2 – Nel senso sub b) del precedente paragrafo si è pronunciata Sez. II, n. 20319 del 2004, a tenore della quale il provvedimento di assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l’immobile non appartenga in via esclusiva, crea un vincolo idoneo a deprezzare il valore del diritto dominicale di cui è titolare l’altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento non venga eventualmente modificato ma che incide sul valore del cespite sia che il bene venga attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro coniuge, sia che venga venduto a terzi in caso di sua infrazionabilità in natura. Nello stesso senso si è espressa Sez. II, n. 9310 del 2009, con la quale si è sostenuto che l’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi in sede di separazione o divorzio è atto che, quando sia opponibile ai terzi, incide sul valore di mercato dell’immobile, con la conseguenza che, ove si proceda alla divisione giudiziale del medesimo, di proprietà di entrambi i coniugi, si dovrà tener conto, ai fini della determinazione del prezzo di vendita, dell’esistenza di tale provvedimento di assegnazione, che pregiudica il godimento e l’utilità economica del bene rispetto al terzo acquirente. In senso conforme si è schierata Sez. II, n. 8202 del 2016, secondo la quale il vincolo sulla casa familiare conseguente al provvedimento di assegnazione determinerebbe una decurtazione del valore della proprietà, sia totalitaria che parziale, di cui tenere conto in sede di divisione indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro coniuge ovvero venduto a terzi con la conseguenza che il diritto di abitazione in esito al giudizio di separazione determina una riduzione del valore del bene, analogamente a ciò che si verifica nel caso analogo di diritto vantato da terzi sull’immobile. E’ importante rimarcare che nessuna delle pronunce relative all’indirizzo giurisprudenziale sub b), appena riportate, affronta specificamente in motivazione il profilo dell’estinzione per confusione (o per fisiologico assorbimento) del diritto personale di godimento da parte del coniuge cui venga attribuito per intero il cespite in sede di divisione, né quello del parametro valutativo temporale in previsione dell’autonomia dei figli, diversamente dagli arresti difformi citati sub a). 8. Orientamenti della dottrina sull’incidenza o meno del provvedimento di assegnazione nel giudizio di scioglimento della comunione immobiliare. Anche la dottrina si è mostrata divisa nell’affrontare il tema dei rapporti tra provvedimento di assegnazione e valutazione del cespite costituente la casa familiare di cui l’assegnatario chieda, ed ottenga, l’attribuzione per intero in sede di divisione. Si è da parte dei prevalenti orientamenti teorici sostenuto – sul presupposto che il diritto di godimento sul cespite che l’assegnatario vanta in funzione della tutela della prole viene meno in quanto riassorbito in quello dominicale pieno e che la questione del valore economico del cespite in sede di liquidazione della quota spettante al comproprietario non assegnatario si compone nei rapporti tra i due coniugi e l’immobile – che, in tal caso, l’immobile va considerato come libero. Nell’ipotesi, invece, di vendita all’incanto del cespite, ai sensi dell’art. 720 c.c., nell’ipotesi in cui il bene non sia divisibile e nessuno dei coniugi ne chieda l’attribuzione, il terzo acquista dai coniugi in comunione, tutelati dalla trascrizione del provvedimento di assegnazione, un bene gravato da vincoli che egli è tenuto a rispettare secondo il regime di opponibilità. Da questo punto di vista il prezzo non potrà non tenere conto del pregiudizio della persistente destinazione dell’immobile a casa coniugale, che avrà, perciò, un valore economico quantificabile al ribasso rispetto a quello di mercato. In sintesi, l’eventuale assegnazione al coniuge del cespite in comproprietà incide sul valore venale dell’immobile solo allorché il bene sia venduto ad un terzo o attribuito al coniuge non assegnatario. Nel caso opposto di coincidenza tra attribuzione in sede di divisione e assegnazione il diritto dominicale riassorbe in sé quello atipico di godimento. Nel senso della non incidenza dell’assegnazione sulla valutazione del cespite si è, in particolare, sottolineato che mentre non è dubitabile che l’assegnazione possa influire sulla valutazione venale dell’immobile rispetto al coniuge non assegnatario, il quale vede compromesso il pieno esercizio delle facoltà dominicali come per il terzo che possa vantare sul cespite un diritto godimento, la situazione giuridica del coniuge assegnatario è ben diversa giacché costui non è il destinatario del vincolo, ma colui che ne beneficia e pertanto, allorché il bene gli sia attribuito per intero in sede divisionale, nulla impedisce che egli possa disporre del bene a valore pieno. Secondo un diverso indirizzo dogmatico il godimento abitativo accordato dall’assegnazione non sfumerebbe a seguito del conseguimento nel corso del giudizio di divisione dell’intera titolarità del bene assegnato, conservando, per contro, i suoi effetti fino a quando l’unità immobiliare resta asservita alla tutela dei figli e dell’habitat domestico

LA CASSAZIONE SEZ UNITE

Appurata in tale ipotesi l’insussistenza di un’incidenza sul valore venale del bene, non si può escludere – pur rimanendo tale aspetto attinente al solo profilo strettamente familiare – che il coniuge, divenuto titolare della proprietà esclusiva sull’intero bene all’esito delle operazioni divisionali, possa eventualmente chiedere l’adeguamento del contributo di mantenimento dei figli all’altro coniugegenitore, in quanto nella determinazione del relativo assegno, pur venendo meno la componente inerente l’assegnazione della casa familiare, il genitore, non residente con i figli o non affidatario, rimane obbligato a soddisfare pro quota il diritto dei figli (minori o ancora non autosufficienti) a poter usufruire di un’adeguata abitazione (v. Cass., Sez. I, n. 16739/2020). Infatti, tale obbligo di mantenimento dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti da parte del genitore non residente con essi deve continuare a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese anche al nuovo assetto abitativo (oltre a quelli, persistenti, di carattere scolastico, sportivo, sanitario e sociale), alla perdurante assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento correlato a quello economico e sociale della famiglia di modo che si possa conservare, il più possibile, il tenore di vita corrispondente a quello goduto in precedenza. Peraltro, non può nemmeno escludersi che, a seguito dell’estinzione del vincolo di destinazione a casa familiare (derivante dagli effetti della divisione), si possa convenire tra i coniugi separati (o divorziati), in sede di revisione dei provvedimenti afferenti agli assetti familiari, un affidamento dei figli al coniuge non attributario, all’esito della divisione, dell’immobile già avente detta destinazione, con una correlata nuova regolamentazione della contribuzione per i figli (fino al raggiungimento della loro autosufficienza), in ipotesi anche con esonero dall’assolvimento di tale obbligo per effetto dell’accordo tra gli stessi (ex) coniugi. Pertanto, riconoscere al coniuge attributario dell’immobile per intero una decurtazione del conguaglio dovuto all’altro coniuge già comproprietario, in virtù del diritto di godimento già riconosciutogli con l’assegnazione, costituirebbe un suo ingiustificato arricchimento, in quanto egli si troverebbe come più volte posto in risalto – ad essere titolare di un bene non gravato da alcun diritto altrui, in virtù della produzione del suddetto effetto estintivo. Di contro, nell’ipotesi in cui la comunione immobiliare venga sciolta a seguito della divisione giudiziale con l’attribuzione dell’immobile in proprietà esclusiva a favore del coniuge non assegnatario dello stesso quale casa coniugale (e non affidatario della prole), quest’ultimo si troverà in una situazione comparabile a quella del terzo acquirente dell’intero (a seguito di aggiudicazione in esito al procedimento divisionale, con le relative valutazioni del caso ad opera dell’ausiliario tecnico del giudice), ovvero diventerà titolare di un diritto di proprietà il cui valore dovrà essere decurtato dalla limitazione delle facoltà di godimento da correlare all’assegnazione dell’immobile al coniuge affidatario della prole, permanendo il relativo vincolo sullo stesso con i relativi effetti pregiudizievoli derivanti anche dalla sua trascrizione ed opponibilità ai terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c.. Da quanto appena posto in risalto deriva, quindi, una soluzione differenziata del valore dell’immobile, a seconda che il medesimo sia assegnato in proprietà esclusiva al coniuge che (per essere residente con i figli o affidatario degli stessi) aveva su di esso il diritto di cui al citato art. 337-sexies c.c., comma 1 (già art. 115-quater c.c.) ovvero, in alternativa, sia trasferito in proprietà per l’intero all’altro coniuge, o venduto ad un terzo, posto che, in questi due ultimi casi, il diritto di godimento in capo all’altro coniuge continua a sussistere. 10. Conclusione. In definitiva, alla stregua di tutte le argomentazioni complessivamente compiute e risultando il decisum al quale è pervenuta la Corte di appello di Roma nell’impugnata sentenza conforme alla soluzione scelta da queste Sezioni unite per dirimere il contrasto sulla questione, il ricorso dell’ A. deve essere respinto. In dipendenza, per l’appunto, del contrasto esistente nella giurisprudenza di questa Corte sulla questione trattata e della complessità dei relativi aspetti giuridici dalla stessa involti, sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del presente giudizio. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite, il 12 aprile 2022. Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2022.

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