remissione tacita querela – denuncia querela Bologna

 

AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA:"Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l'eventuale sua assenza sara' interpretata come fatto incompatibile con la volonta' di persistere nella querela
AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA:”Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sara’ interpretata come fatto incompatibile con la volonta’ di persistere nella querela

 

 

  • AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA: , “Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sara’ interpretata come fatto incompatibile con la volonta’ di persistere nella querela- remissione tacita querela
  • La questione rimessa alle Sezioni Unite puo’ essere cosi’ enunciata:
  • “Se nel procedimento davanti al giudice di pace, instaurato a seguito di citazione disposta dal pubblico ministero, configura remissione tacita di querela la mancata comparizione del querelante, previamente ed espressamente avvisato che l’eventuale sua assenza sarebbe stata interpretata come volontà di non insistere nell’istanza di punizione”.
  1. E’ opportuno preliminarmente ricordare che il procedimento davanti al giudice di pace ( D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 ) puo’ essere instaurato con citazione a giudizio emessa dal pubblico ministero (art. 20) ovvero, per i soli reati perseguibili a querela, con ricorso immediato al giudice della persona offesa (art. 21). Solo nel caso di ricorso immediato è previsto che la mancata comparizione della persona offesa ricorrente, non dipendente da caso fortuito o forza maggiore, determina la improcedibilita’ del ricorso (art. 30, comma 1); mentre, per la eventualita’ che vi siano altre persone offese oltre il ricorrente, è previsto che la mancata comparizione di esse equivale a rinuncia al diritto di querela o alla remissione della querela, se gia’ presentata (art. 29, comma 3).
  • Ai fini della risoluzione della questione oggetto della ordinanza di rimessione, conviene partire dalla osservazione “di chiusura”, espressa, in linea con la giurisprudenza maggioritaria, dalla sentenza Sez. U, n. 46088 del 30/10/2008, Viele, secondo cui la mancata comparizione in udienza del querelante, previamente avvisato che tale condotta sarebbe stata interpretata come volontà di rimettere la querela, configurerebbe una sorta di remissione tacita processuale, non contemplata dalla legge, posto che l’ art. 152 c.p., comma 2, prevede soltanto per la remissione extraprocessuale la forma tacita.
  • 3.1. Va al riguardo considerato che né il codice penale né quello processuale specificano gli atti o i comportamenti, indefinibili a priori, dai quali ricavare una volonta’ di remissione tacita, limitandosi l’ art. 152 c.p. , comma 2, terzo periodo, ad attribuire valore di remissione al compimento da parte del querelante di “fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela”.
  • Invece, le modalita’ della remissione di querela espressa sono definite dall’ art. 340 c.p.p. , che, nel distinguere (comma 1) il caso di dichiarazione ricevuta dall’autorita’ giudiziaria procedente da quello di dichiarazione ricevuta da un ufficiale di polizia giudiziaria, e nel rinviare (comma 2) alle forme piu’ dettagliatamente previste per la rinuncia espressa alla querela ( art. 339 c.p.p. ), implicitamente contempla, nell’ambito della remissione espressa, sia una forma di remissione processuale sia una forma di remissione extraprocessuale.
  • Ne discende che, in base alla disciplina codicistica, deve intendersi remissione processuale solo quella ricevuta dall’autorità giudiziaria procedente a norma dell’ art. 340 c.p.p. , comma 1, e che non sono ammesse modalità di espressione di una volonta’ di rimettere la querela in sede processuale se non quella esternata attraverso una formale dichiarazione ricevuta dall’autorita’ procedente.
  • Va d’altro canto considerato che la remissione della querela presuppone che un procedimento penale sia gia’ avviato, sicché le condotte indicative di una volonta’ di rimettere la querela devono necessariamente essere veicolate verso l’autorita’ giudiziaria, e da questa apprezzate, non importa in quale stato e grado del procedimento.
  • Manifestazioni formali di una volontà di rimettere la querela o fatti “incompatibili con la volonta’ di persistere nella querela” possono dunque pervenire nelle forme più varie all’autorita’ giudiziaria procedente che, al di fuori dei casi di remissione formalmente processuale, potra’ valutare se la condotta o l’atto ricollegabile al querelante possa valere come remissione extraprocessuale espressa o tacita.
  • Riassumendo, la remissione processuale va identificata in una formale espressione della volonta’ della parte querelante che interviene nel processo, direttamente o a mezzo di procuratore speciale, ricevuta dall’autorità giudiziaria che procede. In ogni altro caso la condotta significativa di una volonta’ di rimettere la querela va valutata come extraprocessuale, dovendosi distinguere il luogo della manifestazione della volonta’-comportamento dal luogo di apprezzamento della efficacia dello stesso, essendo quest’ultimo invariabilmente “processuale”.
  • Una tale conclusione è in linea con l’insegnamento di un sommo studioso del diritto penale dello scorso secolo, secondo cui la remissione è di natura extraprocessuale qualora avvenga “con atti compiuti fuori del processo o con fatti che non costituiscono atti processuali”, pur dovendo l’effetto estintivo del reato “essere riconosciuto e dichiarato nel processo”.
  • . Deve dunque ritenersi che la condotta considerata nel presente processo, costituita dal non essere il querelante comparso in udienza a seguito dell’avvertimento che ciò sarebbe stato considerato volonta’ implicita di rimessione della querela, può bene essere inquadrata nel concetto di fatto di natura extraprocessuale incompatibile con la volonta’ di persistere nella querela, a norma dell’ art. 152 c.p., comma 2, terzo periodo.
  • Occorre pero’ stabilire se legittimamente puo’ essere attribuito un simile valore di remissione tacita della querela alla mancata comparizione in dibattimento del querelante, previamente avvertito dal giudice (di pace) che tale condotta sarebbe stata considerata in tal senso. Un significato, dunque, non collegato alla mera mancata comparizione del querelante davanti al giudice ma alla combinazione di tale condotta omissiva con il previo formale avvertimento del significato che ad essa sarebbe stato attribuito.
  • Parte della giurisprudenza, e in primo luogo la citata Sez. U, Viele – a prescindere dalla notazione secondo cui si tratterebbe di una inammissibile remissione tacita processuale (argomento, per quello che si e’ detto, non condivisibile) -, osserva che la mancata comparizione del querelante potrebbe rilevare esclusivamente nel caso di ricorso immediato al giudice, D.Lgs. n. 274 del 2000 , ex art. 21, perche’ solo ad esso si riferisce la disposizione dell’art. 30, comma 1, Decr. cit., che ricollega alla mancata comparizione della persona offesa un effetto di improcedibilità del ricorso (e ciò senza necessita’ di alcun previo avviso circa tale conseguenza).
  • La sentenza Viele aggiunge che, comunque, un siffatto avvertimento del giudice dovrebbe considerarsi tamquam non esset, poiché, pur costituendo prerogativa e dovere del giudice di pace il tentativo di conciliazione, non sarebbe “dato al giudice, in mancanza di espressa previsione normativa, di fissare e predeterminare egli stesso una specifica condotta che debba poi essere ineluttabilmente (…) interpretata come sicura accettazione di quel tentativo, ne’ le conseguenze sanzionatorie che scaturirebbero dall’inottemperanza all’invito conciliativo”.
  • Anche questo rilievo non può essere condiviso.
  •  E’ ben vero che un simile avvertimento alla persona offesa querelante non è contemplato espressamente nel procedimento davanti al giudice di pace nei casi di citazione a giudizio emessa dal pubblico ministero (D. Lgs. n. 274 del 2000, art. 20); ma tale iniziativa non è dissonante rispetto alla generale fisionomia del procedimento, che prevede, all’art. 2, comma 2, l’impegno del giudice di pace di “favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti”, ed è in linea con la specifica previsione dell’art. 29, comma 4 (che vale per entrambi i riti di introduzione della udienza) secondo cui il giudice, proprio con riferimento al caso di reato perseguibile a querela, “promuove la conciliazione tra le parti”.
  • Nella finalita’ di promuovere la conciliazione tra le parti, nei casi di reati perseguibili a querela (che costituisce un preciso dovere del giudice di pace: cfr. Legge-Delega 24 novembre 1999, n. 468, art. 17, comma 1, lett. g), è attribuita al giudice un’ampia scelta di iniziative: tra l’altro, egli “può rinviare l’udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove occorra, può avvalersi anche dell’attivita’ di mediazione di centri e strutture pubbliche e private presenti sul territorio” (art. 29, comma 4, cit.).
  • In tali casi, l’attività di conciliazione, se fruttuosa, può sfociare (art. 29, comma 5) nella formale remissione della querela e nella formale “accettazione” di questa (più propriamente, ex art. 155 c.p. , “mancanza di ricusa” della remissione), per le quali, evidentemente, si richiede necessariamente la presenza del querelante e del querelato che non si siano già attivati in tal senso.
  • Ma, proprio in considerazione della previsione di un inderogabile dovere del giudice di pace di favorire la conciliazione tra le parti nei casi di reati perseguibili a querela, ben puo’ essere riconosciuta al giudice stesso la scelta delle modalità più opportune per perseguire tale obiettivo, se del caso rendendo avvertite le parti della valutazione che potrebbe essere attribuita a una loro condotta passiva: volontà tacita del querelante di rimessione e mancanza di volontà di ricusa del querelato.
  • Una analoga iniziativa giudiziale, proprio in una fattispecie di procedimento davanti al giudice di pace, è stata del resto riconosciuta dalle Sezioni Unite (sent. n. 27610 del 25/05/2011, Marano, Rv. 250201) come legittima e idonea a rendere avvertito il querelato che la sua mancata comparizione sarebbe stata interpretata come assenza di volonta’ di ricusa della remissione; e, al di là delle differenze sul piano psicologico e strutturale che caratterizzano la volonta’ di remissione della querela e la mancanza di ricusa della remissione, efficacemente evidenziate nella citata sentenza, non vi sono ragioni per non estendere una simile conclusione anche alla posizione del querelante.
  • Deve dunque ritenersi che non contrasta con il tenore formale della disciplina ed è anzi in linea con la sua complessiva ratio la conclusione secondo cui nell’ambito del procedimento davanti al giudice di pace per reati perseguibili a querela, anche nel caso di procedimento instaurato su citazione del p.m., stante il dovere del giudice di promuovere la conciliazione tra le parti, dalla mancata comparizione della persona offesa che sia stata previamente e specificamente avvertita delle relative conseguenze deriva l’effetto di una tacita volonta’ di remissione di querela.
  • Resta naturalmente fermo che, nel caso in cui il procedimento sia stato instaurato dal p.m. D. Lgs. n. 274 del 2000 , ex art. 20, la mancata comparizione della persona offesa alla udienza di comparizione, in difetto di un previo e specifico avvertimento del giudice, non può di per sé essere interpretata come tacita volontà di remissione della querela.
  • La mancata comparizione della persona offesa in caso di reati perseguibili a querela deve però ricevere una disciplina che va al di là dei procedimenti davanti al giudice di pace.
  • Già l’ art. 555 c.p.p. , comma 3, con riferimento ai reati a citazione diretta, prevede che nella udienza di comparizione il giudice, “quando il reato e’ perseguibile a querela, verifica se il querelante è disposto a rimettere la querela e il querelato ad accettare la remissione”.
  • Da ultimo, con l’introduzione dell’art. 90 bis c.p.p., ad opera del d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 (attuativo della direttiva 2012/29/UE in tema di norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato), il legislatore, nel quadro della valorizzazione delle esigenze informative della persona offesa, ha previsto al comma 1, lett. n), che ad essa, sin dal primo contatto con l’autorità procedente, sia data informazione in merito “alla possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela di cui all’ art. 152 c.p., ove possibile, o attraverso la mediazione”.
  • In tale contesto normativo, teso a rafforzare le esigenze informative delle vittime dei reati, alle quali vanno peraltro specularmente assegnati altrettanti oneri di partecipazione al processo, va certamente considerata come legittima ed anzi auspicabile – una prassi alla stregua della quale il giudice, nel disporre la citazione delle parti, abbia cura di inserire un avvertimento alla persona offesa e al querelato circa la valutazione in termini di remissione della querela della mancata comparizione del querelante e di mancanza di ricusa della remissione della mancata comparizione del querelato.
  • Una simile opportuna iniziativa appare anche in sintonia con il rispetto del principio della ragionevole durata del processo, di cui all’ art. 111, secondo comma, Cost. , favorendo definizioni del procedimento che passino attraverso la verifica dell’assenza di un perdurante interesse della persona offesa all’accertamento delle responsabilità penali e precludano sin dalle prime battute lo svolgimento di sterili attivita’ processuali destinate a concludersi comunque con un esito di improcedibilita’ dell’azione penale o di estinzione del reato.
  • Deve dunque essere enunciato il seguente principio di diritto:
  • “Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela”.
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BOLOGNA RAVENNA RIMINI CESENA FORLI VEDOVO VEDOVA ESTROMESSI DA EREDITA’ DIRITTI DEI VEDOVI

 

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, deducendo violazione di legge, in forza del principio affermato da Sez. U, n. 46088 del 30/10/2008, Viele, Rv. 241357, secondo cui nel procedimento davanti al giudice di pace instaurato a seguito di citazione disposta dal pubblico ministero, Decreto Legislativo n. 274 del 2000, ex articolo 20, la mancata comparizione del querelante – pur previamente avvisato che la sua assenza sarebbe stata ritenuta concludente nel senso della remissione tacita della querela – non costituisce fatto incompatibile con la volonta’ di persistere nella stessa si’ da integrare la remissione tacita, ai sensi dell’articolo 152 c.p., comma 2.

– nel procedimento davanti al giudice di pace, l’effetto di improcedibilita’ dell’azione penale, collegato dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 30, comma 1, alla mancata comparizione del querelante che abbia regolarmente ricevuto il decreto di convocazione in udienza, si produce, per chiara indicazione normativa, solo nel caso in cui si proceda a seguito di ricorso immediato della persona offesa ex articolo 21;

– nella ipotesi di processo instaurato con citazione a giudizio emessa dal p.m., ex articolo 20, nulla di simile e’ previsto dalla legge, e dalla mancata comparizione della persona offesa, pur se informata del significato che a tale assenza il giudice potrebbe conferire, non puo’ desumersi la tacita volonta’ del querelante di rimettere la querela, trattandosi di un comportamento compatibile con la determinazione di insistere nella originaria istanza punitiva;

 

 

 

Corte di Cassazione|Sezione U|Penale|Sentenza|21 luglio 2016| n. 31668

AZIONE PENALE – QUERELA 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Presidente

Dott. IPPOLITO Francesco – Consigliere

Dott. CONTI Giovanni – rel. Consigliere

Dott. PAOLONI Giacomo – Consigliere

Dott. BRUNO Paolo Antonio – Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Consigliere

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia – Consigliere

Dott. RAMACCI Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Lecce, sez. dist. di Taranto;

nel procedimento a carico di:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 07/03/2014 del Giudice di pace di Taranto;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal componente Giovanni Conti;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Dott. STABILE Carmine, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al reato di ingiuria perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato e l’annullamento con rinvio limitatamente al reato di minaccia.

RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza del 7 marzo 2014, il Giudice di pace di Taranto ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in ordine ai delitti di ingiuria e minaccia in danno di (OMISSIS) perche’ estinti per remissione di querela, sul presupposto in diritto che l’assenza in udienza, tanto della persona offesa (previamente avvertita dal giudice che la sua mancata comparizione sarebbe stata considerata come volonta’ di conciliare la lite e, quindi, di rimettere la querela) quanto dell’imputato (parimenti avvertito che la sua assenza sarebbe stata considerata come accettazione della remissione della querela), significasse tacita espressione, rispettivamente, di remissione della querela e di accettazione della medesima.
  2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, deducendo violazione di legge, in forza del principio affermato da Sez. U, n. 46088 del 30/10/2008, Viele, Rv. 241357, secondo cui nel procedimento davanti al giudice di pace instaurato a seguito di citazione disposta dal pubblico ministero, Decreto Legislativo n. 274 del 2000, ex articolo 20, la mancata comparizione del querelante – pur previamente avvisato che la sua assenza sarebbe stata ritenuta concludente nel senso della remissione tacita della querela – non costituisce fatto incompatibile con la volonta’ di persistere nella stessa si’ da integrare la remissione tacita, ai sensi dell’articolo 152 c.p., comma 2.
  3. Con ordinanza del 21 marzo – 6 maggio 2016, la Quinta Sezione penale ne ha disposto la rimessione alle Sezioni Unite, in ragione del riprodursi di un contrasto giurisprudenziale sulla questione esaminata dalla sentenza Viele.

3.1. L’ordinanza di rimessione cosi’ riassume gli argomenti su cui si era fondata la predetta sentenza:

– nel procedimento davanti al giudice di pace, l’effetto di improcedibilita’ dell’azione penale, collegato dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 30, comma 1, alla mancata comparizione del querelante che abbia regolarmente ricevuto il decreto di convocazione in udienza, si produce, per chiara indicazione normativa, solo nel caso in cui si proceda a seguito di ricorso immediato della persona offesa ex articolo 21;

– nella ipotesi di processo instaurato con citazione a giudizio emessa dal p.m., ex articolo 20, nulla di simile e’ previsto dalla legge, e dalla mancata comparizione della persona offesa, pur se informata del significato che a tale assenza il giudice potrebbe conferire, non puo’ desumersi la tacita volonta’ del querelante di rimettere la querela, trattandosi di un comportamento compatibile con la determinazione di insistere nella originaria istanza punitiva;

– in ogni caso, il comportamento omissivo del querelante configurerebbe una sorta di remissione tacita processuale, non contemplata dalla legge, posto che l’articolo 152 c.p., comma 2, prevede soltanto per la remissione extraprocessuale la forma tacita, da individuare in comportamenti del querelante incompatibili con la volonta’ di persistere nella querela.

3.2. Tale impostazione, si osserva, e’ stata seguita per lungo tempo dalla giurisprudenza di legittimita’; ma in epoca piu’ recente, anche traendosi spunto da Sez. U, n. 43264 del 16/07/2015, Steger, Rv. 264547, in tema di dichiarazione di particolare tenuita’ del fatto, ritenuta consentita in caso di mancata comparizione della persona offesa ritualmente citata, si e’ venuta a formare una linea interpretativa tesa a superare le conclusioni delle Sezioni Unite Viele.

3.3. Si ascrivono a tale nuovo indirizzo tre sentenze, tutte della Quinta Sezione: le coeve sentenze n. 8638 del 22/12/2015, dep. 2016, Pepkola, Rv. 265972, e n. 12186 del 22/12/2015, dep. 2016, D’Orazio, Rv. 266374; la sentenza n. 12417 del 01/02/2016, Onorato, non mass.

3.4. L’ordinanza di rimessione, a conferma di un contrasto non sopito, da’ peraltro conto di una ancor piu’ recente sentenza della Quinta Sezione (n. 12187 del 08/03/2016, Miranda, Rv. 266331), che si e’ rifatta ai principi enunciati dalle Sezioni Unite Viele e ha confutato la validita’ degli argomenti espressi nelle decisioni sopra indicate.

  1. Con decreto in data 9 maggio 2016 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza pubblica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. La questione rimessa alle Sezioni Unite puo’ essere cosi’ enunciata:

“Se nel procedimento davanti al giudice di pace, instaurato a seguito di citazione disposta dal pubblico ministero, configura remissione tacita di querela la mancata comparizione del querelante, previamente ed espressamente avvisato che l’eventuale sua assenza sarebbe stata interpretata come volonta’ di non insistere nell’istanza di punizione”.

  1. E’ opportuno preliminarmente ricordare che il procedimento davanti al giudice di pace (Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274) puo’ essere instaurato con citazione a giudizio emessa dal pubblico ministero (articolo 20) ovvero, per i soli reati perseguibili a querela, con ricorso immediato al giudice della persona offesa (articolo 21). Solo nel caso di ricorso immediato e’ previsto che la mancata comparizione della persona offesa ricorrente, non dipendente da caso fortuito o forza maggiore, determina la improcedibilita’ del ricorso (articolo 30, comma 1); mentre, per la eventualita’ che vi siano altre persone offese oltre il ricorrente, e’ previsto che la mancata comparizione di esse equivale a rinuncia al diritto di querela o alla remissione della querela, se gia’ presentata (articolo 29, comma 3).
  2. Ai fini della risoluzione della questione oggetto della ordinanza di rimessione, conviene partire dalla osservazione “di chiusura”, espressa, in linea con la giurisprudenza maggioritaria, dalla sentenza Sez. U, n. 46088 del 30/10/2008, Viele, secondo cui la mancata comparizione in udienza del querelante, previamente avvisato che tale condotta sarebbe stata interpretata come volonta’ di rimettere la querela, configurerebbe una sorta di remissione tacita processuale, non contemplata dalla legge, posto che l’articolo 152 c.p., comma 2, prevede soltanto per la remissione extraprocessuale la forma tacita.

3.1. Va al riguardo considerato che ne’ il codice penale ne’ quello processuale specificano gli atti o i comportamenti, indefinibili a priori, dai quali ricavare una volonta’ di remissione tacita, limitandosi l’articolo 152 c.p., comma 2, terzo periodo, ad attribuire valore di remissione al compimento da parte del querelante di “fatti incompatibili con la volonta’ di persistere nella querela”.

Invece, le modalita’ della remissione di querela espressa sono definite dall’articolo 340 c.p.p., che, nel distinguere (comma 1) il caso di dichiarazione ricevuta dall’autorita’ giudiziaria procedente da quello di dichiarazione ricevuta da un ufficiale di polizia giudiziaria, e nel rinviare (comma 2) alle forme piu’ dettagliatamente previste per la rinuncia espressa alla querela (articolo 339 c.p.p.), implicitamente contempla, nell’ambito della remissione espressa, sia una forma di remissione processuale sia una forma di remissione extraprocessuale.

Ne discende che, in base alla disciplina codicistica, deve intendersi remissione processuale solo quella ricevuta dall’autorita’ giudiziaria procedente a norma dell’articolo 340 c.p.p., comma 1, e che non sono ammesse modalita’ di espressione di una volonta’ di rimettere la querela in sede processuale se non quella esternata attraverso una formale dichiarazione ricevuta dall’autorita’ procedente.

3.2. Va d’altro canto considerato che la remissione della querela presuppone che un procedimento penale sia gia’ avviato, sicche’ le condotte indicative di una volonta’ di rimettere la querela devono necessariamente essere veicolate verso l’autorita’ giudiziaria, e da questa apprezzate, non importa in quale stato e grado del procedimento.

Manifestazioni formali di una volonta’ di rimettere la querela o fatti “incompatibili con la volonta’ di persistere nella querela” possono dunque pervenire nelle forme piu’ varie all’autorita’ giudiziaria procedente che, al di fuori dei casi di remissione formalmente processuale, potra’ valutare se la condotta o l’atto ricollegabile al querelante possa valere come remissione extraprocessuale espressa o tacita.

3.3. Riassumendo, la remissione processuale va identificata in una formale espressione della volonta’ della parte querelante che interviene nel processo, direttamente o a mezzo di procuratore speciale, ricevuta dall’autorita’ giudiziaria che procede. In ogni altro caso la condotta significativa di una volonta’ di rimettere la querela va valutata come extraprocessuale, dovendosi distinguere il luogo della manifestazione della volonta’-comportamento dal luogo di apprezzamento della efficacia dello stesso, essendo quest’ultimo invariabilmente “processuale”.

Una tale conclusione e’ in linea con l’insegnamento di un sommo studioso del diritto penale dello scorso secolo, secondo cui la remissione e’ di natura extraprocessuale qualora avvenga “con atti compiuti fuori del processo o con fatti che non costituiscono atti processuali”, pur dovendo l’effetto estintivo del reato “essere riconosciuto e dichiarato nel processo”.

3.4. Deve dunque ritenersi che la condotta considerata nel presente processo, costituita dal non essere il querelante comparso in udienza a seguito dell’avvertimento che cio’ sarebbe stato considerato volonta’ implicita di rimessione della querela, puo’ bene essere inquadrata nel concetto di fatto di natura extraprocessuale incompatibile con la volonta’ di persistere nella querela, a norma dell’articolo 152 c.p., comma 2, terzo periodo.

  1. Occorre pero’ stabilire se legittimamente puo’ essere attribuito un simile valore di remissione tacita della querela alla mancata comparizione in dibattimento del querelante, previamente avvertito dal giudice (di pace) che tale condotta sarebbe stata considerata in tal senso. Un significato, dunque, non collegato alla mera mancata comparizione del querelante davanti al giudice ma alla combinazione di tale condotta omissiva con il previo formale avvertimento del significato che ad essa sarebbe stato attribuito.

4.1. Parte della giurisprudenza, e in primo luogo la citata Sez. U, Viele – a prescindere dalla notazione secondo cui si tratterebbe di una inammissibile remissione tacita processuale (argomento, per quello che si e’ detto, non condivisibile) -, osserva che la mancata comparizione del querelante potrebbe rilevare esclusivamente nel caso di ricorso immediato al giudice, Decreto Legislativo n. 274 del 2000, ex articolo 21, perche’ solo ad esso si riferisce la disposizione dell’articolo 30, comma 1, Decr. cit., che ricollega alla mancata comparizione della persona offesa un effetto di improcedibilita’ del ricorso (e cio’ senza necessita’ di alcun previo avviso circa tale conseguenza).

La sentenza Viele aggiunge che, comunque, un siffatto avvertimento del giudice dovrebbe considerarsi tamquam non esset, poiche’, pur costituendo prerogativa e dovere del giudice di pace il tentativo di conciliazione, non sarebbe “dato al giudice, in mancanza di espressa previsione normativa, di fissare e predeterminare egli stesso una specifica condotta che debba poi essere ineluttabilmente (…) interpretata come sicura accettazione di quel tentativo, ne’ le conseguenze sanzionatorie che scaturirebbero dall’inottemperanza all’invito conciliativo”.

Anche questo rilievo non puo’ essere condiviso.

4.2. E’ ben vero che un simile avvertimento alla persona offesa querelante non e’ contemplato espressamente nel procedimento davanti al giudice di pace nei casi di citazione a giudizio emessa dal pubblico ministero (Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 20); ma tale iniziativa non e’ dissonante rispetto alla generale fisionomia del procedimento, che prevede, all’articolo 2, comma 2, l’impegno del giudice di pace di “favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti”, ed e’ in linea con la specifica previsione dell’articolo 29, comma 4 (che vale per entrambi i riti di introduzione della udienza) secondo cui il giudice, proprio con riferimento al caso di reato perseguibile a querela, “promuove la conciliazione tra le parti”.

Nella finalita’ di promuovere la conciliazione tra le parti, nei casi di reati perseguibili a querela (che costituisce un preciso dovere del giudice di pace: cfr. Legge-Delega 24 novembre 1999, n. 468, articolo 17, comma 1, lettera g), e’ attribuita al giudice un’ampia scelta di iniziative: tra l’altro, egli “puo’ rinviare l’udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove occorra, puo’ avvalersi anche dell’attivita’ di mediazione di centri e strutture pubbliche e private presenti sul territorio” (articolo 29, comma 4, cit.).

In tali casi, l’attivita’ di conciliazione, se fruttuosa, puo’ sfociare (articolo 29, comma 5) nella formale remissione della querela e nella formale “accettazione” di questa (piu’ propriamente, ex articolo 155 c.p., “mancanza di ricusa” della remissione), per le quali, evidentemente, si richiede necessariamente la presenza del querelante e del querelato che non si siano gia’ attivati in tal senso.

Ma, proprio in considerazione della previsione di un inderogabile dovere del giudice di pace di favorire la conciliazione tra le parti nei casi di reati perseguibili a querela, ben puo’ essere riconosciuta al giudice stesso la scelta delle modalita’ piu’ opportune per perseguire tale obiettivo, se del caso rendendo avvertite le parti della valutazione che potrebbe essere attribuita a una loro condotta passiva: volonta’ tacita del querelante di rimessione e mancanza di volonta’ di ricusa del querelato.

Una analoga iniziativa giudiziale, proprio in una fattispecie di procedimento davanti al giudice di pace, e’ stata del resto riconosciuta dalle Sezioni Unite (sent. n. 27610 del 25/05/2011, Marano, Rv. 250201) come legittima e idonea a rendere avvertito il querelato che la sua mancata comparizione sarebbe stata interpretata come assenza di volonta’ di ricusa della remissione; e, al di la’ delle differenze sul piano psicologico e strutturale che caratterizzano la volonta’ di remissione della querela e la mancanza di ricusa della remissione, efficacemente evidenziate nella citata sentenza, non vi sono ragioni per non estendere una simile conclusione anche alla posizione del querelante.

Deve dunque ritenersi che non contrasta con il tenore formale della disciplina ed e’ anzi in linea con la sua complessiva ratio la conclusione secondo cui nell’ambito del procedimento davanti al giudice di pace per reati perseguibili a querela, anche nel caso di procedimento instaurato su citazione del p.m., stante il dovere del giudice di promuovere la conciliazione tra le parti, dalla mancata comparizione della persona offesa che sia stata previamente e specificamente avvertita delle relative conseguenze deriva l’effetto di una tacita volonta’ di remissione di querela.

Resta naturalmente fermo che, nel caso in cui il procedimento sia stato instaurato dal p.m. Decreto Legislativo n. 274 del 2000, ex articolo 20, la mancata comparizione della persona offesa alla udienza di comparizione, in difetto di un previo e specifico avvertimento del giudice, non puo’ di per se’ essere interpretata come tacita volonta’ di remissione della querela.

  1. La mancata comparizione della persona offesa in caso di reati perseguibili a querela deve pero’ ricevere una disciplina che va al di la’ dei procedimenti davanti al giudice di pace.

Gia’ l’articolo 555 c.p.p., comma 3, con riferimento ai reati a citazione diretta, prevede che nella udienza di comparizione il giudice, “quando il reato e’ perseguibile a querela, verifica se il querelante e’ disposto a rimettere la querela e il querelato ad accettare la remissione”.

Da ultimo, con l’introduzione dell’articolo 90 bis c.p.p., ad opera del d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 (attuativo della direttiva 2012/29/UE in tema di norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato), il legislatore, nel quadro della valorizzazione delle esigenze informative della persona offesa, ha previsto al comma 1, lettera n), che ad essa, sin dal primo contatto con l’autorita’ procedente, sia data informazione in merito “alla possibilita’ che il procedimento sia definito con remissione di querela di cui all’articolo 152 c.p., ove possibile, o attraverso la mediazione”.

In tale contesto normativo, teso a rafforzare le esigenze informative delle vittime dei reati, alle quali vanno peraltro specularmente assegnati altrettanti oneri di partecipazione al processo, va certamente considerata come legittima ed anzi auspicabile – una prassi alla stregua della quale il giudice, nel disporre la citazione delle parti, abbia cura di inserire un avvertimento alla persona offesa e al querelato circa la valutazione in termini di remissione della querela della mancata comparizione del querelante e di mancanza di ricusa della remissione della mancata comparizione del querelato.

Una simile opportuna iniziativa appare anche in sintonia con il rispetto del principio della ragionevole durata del processo, di cui all’articolo 111, secondo comma, Cost., favorendo definizioni del procedimento che passino attraverso la verifica dell’assenza di un perdurante interesse della persona offesa all’accertamento delle responsabilita’ penali e precludano sin dalle prime battute lo svolgimento di sterili attivita’ processuali destinate a concludersi comunque con un esito di improcedibilita’ dell’azione penale o di estinzione del reato.

  1. Deve dunque essere enunciato il seguente principio di diritto:

“Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sara’ interpretata come fatto incompatibile con la volonta’ di persistere nella querela”.

  1. Nel caso in esame, come gia’ precisato, risulta dagli atti che nel corso del procedimento davanti al Giudice di pace di Taranto, relativo a reati perseguibili a querela, sia la persona offesa (OMISSIS) sia l’imputato (OMISSIS) non comparirono in udienza, dopo essere stati avvertiti dal Giudice che la loro mancata comparizione sarebbe stata interpretata rispettivamente come volonta’ di remissione della querela e di accettazione di essa.

Correttamente, dunque, e’ stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per intervenuta estinzione dei reati per remissione della querela.

Consegue il rigetto del ricorso proposto dal Pubblico ministero.

P.Q.M.

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