REATO PEDOPORNOGRAFIA CASSAZIONE 2024
AVVOCATO PENALISTA DIFENDE BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA RIMINI
le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione – con la citata sentenza n. 4616/2021 – hanno quindi affermato il principio di diritto secondo cui si ha “utilizzazione” del minore allorquando, all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale del fatto solo le condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico – fisica dello stesso.
REATO PEDOPORNOGRAFIA CASSAZIONE 2024
- Tanto premesso in termini generali, il Collegio rileva che la Corte di appello ha fatto corretta applicazione di questi principi, escludendo che la minore avesse prestato un valido consenso, nei termini appena richiamati, e cosi riconoscendo -con argomento non manifestamente illogico – l’utilizzazione” della stessa da parte del ricorrente. In particolare, la sentenza ha valorizzato che: a) l’invio delle fotografie a contenuto sessuale era cominciato quando la persona offesa aveva soltanto 13 anni, e dunque non era in grado di formulare validamente un consenso sessuale; b) la produzione dello stesso materiale, così come l’invio, era avvenuta, in una prima fase, in forza di un consenso evidentemente viziato, in quanto il ricorrente si era spacciato per un’altra persona (tale B.B., “notevole giocatore di pallacanestro”) ed aveva conversato via chat con la ragazzina sempre celando la propria identità; c) in un secondo momento, la persona offesa aveva inviato altre proprie immagini intime solo perché minacciata da “B.B.”, il quale le diceva che, diversamente, avrebbe diffuso quelle già ricevute. A quest’ultimo riguardo, il ricorso evidenzia che le parole della minore sarebbero del tutto sfornite di supporto probatorio, e che dagli atti non emergerebbe che le foto fossero state scattate in due o più tempi; tale censura, tuttavia, risulta inammissibile, in quanto genericamente posta su un piano di merito che questa Corte non è ammessa a verificare, oltre che in contrasto con il giudizio di piena attendibilità formulato sulla persona offesa sia in primo che in secondo grado, con argomento del tutto logico, fondato su valutazioni prive di vizi, oltre che confortato da prove testimoniali e dagli esiti della perquisizione presso il ricorrente.
REATO PEDOPORNOGRAFIA CASSAZIONE 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta da
Dott. ACETO Aldo – Presidente
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere
Dott. CORBO AntOnio – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Relatore
Dott. MACRÌ Ubalda – Consigliere
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da
A.A., nato a C l'(Omissis)
avverso la sentenza del 1/3/2023 della Corte di appello di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gianluigi Pratola, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
Svolgimento del processo
- Con sentenza del 1/3/2023, la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della pronuncia emessa il 6/7/2021 dal Tribunale di Treviso, dichiarava non doversi procedere nei confronti di A.A. quanto all’imputazione di cui al capo A), perché estinta per prescrizione, e rideterminava in quattro anni di reclusione e 16 mila euro di multa la pena per il delitto di cui al capo B), contestato ai sensi dell’art. 600-tercod. pen.
- Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo – con unico motivo – l’inosservanza o l’erronea applicazione della norma contestata. Si sottolinea innanzitutto che, secondo la giurisprudenza più recente, il requisito della “alterità” – non più richiesto per le fattispecie di cui ai commi da 2 a 5 dell’art. 600-ter in esame – sarebbe ancora necessario per la condotta di produzione di materiale pedopornografico di cui al comma 1, quella contestata al ricorrente; ebbene, l’istruttoria non avrebbe dato conto di tale “alterità”, né di atteggiamenti oppressivi, minacciosi o violenti da parte dell’imputato, ma soltanto di avance prive di ogni effetto sulla produzione medesima, eseguita dalla persona offesa in piena libertà e autonomia. Sotto altro profilo, il processo non avrebbe dimostrato l’esistenza di fotografie scattate in momenti diversi, cosicché non troverebbero riscontro le parole della ragazza secondo cui la stessa avrebbe inviato alcune fotografie perché minacciata dal ricorrente di diffonderne altre precedenti; l’inattendibilità della giovane, peraltro, sarebbe confermata dalla mancata costituzione di parte civile. Infine, il ricorso sottolinea che il processo proverrebbe da due richieste di archiviazione, sollecitate – alla luce della giurisprudenza di questa Corte – proprio dal fatto che foto e video sarebbero stati creati dalla stessa giovane ed inviati di sua iniziativa, senza potersi riscontrare, dunque, alcun rilievo penale.
Motivi della decisione
- Il ricorso risulta manifestamente infondato.
- Al riguardo, occorre innanzitutto richiamare la giurisprudenza di questa Corte nel massimo Consesso, che – con affermazioni chiare ed univoche – ha esattamente delineato gli ambiti interpretativi dell’art. 600-tercod. pen. in tema di produzione di materiale pedopornografico.
4.1. Le Sezioni Unite – da ultimo con la pronuncia n. 4616 del 28/10/2021 – hanno sostenuto che l’espressione “utilizzando minori di anni diciotto”, di cui al primo comma della norma, pur non richiamando necessariamente uno scopo di lucro, richiede pur sempre, “sul piano concettuale”, la verifica della condizione di asservimento del minore per vantaggio altrui; in presenza del’utilizzazione”, dunque, nessuna valenza – esimente o scriminante – può essere riconosciuta al consenso del minore stesso, ritenuto non libero e presuntivamente determinato proprio dall’abusività della condotta dell’adulto. Con l’effetto che, in linea con quanto già affermato da Sez. U n. 51318 del 31/5/2018, dalla sfera applicativa della previsione del primo comma della norma in esame fuoriesce soltanto la produzione del materiale pornografico realizzato senza la “utilizzazione” del minore e con il consenso espresso di colui che abbia raggiunto l’età per manifestarlo. Con la precisazione che, con riguardo al primo profilo, il termine utilizzazione sta ad indicare la condotta di chi manovra, adopera, strumentalizza, sfrutta il minore servendosi dello stesso e facendone uso nel proprio interesse, piegandolo ai propri fini come se fosse uno strumento. Quanto al secondo aspetto, è richiesto al giudice un attento e rigoroso accertamento del contesto in cui è stato espresso il consenso del minore ed una verifica specifica per escludere che lo stesso sia stato inficiato da condizionamenti; a questo riguardo, peraltro, già le Sez. U n. 51318/2018 avevano individuato, senza carattere di esaustività, una serie di elementi dai quali è possibile ricavare il presupposto dell’utilizzazione, riscontrati nella abusività della condotta connessa alla posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore stesso; nelle modalità con le quali il materiale pornografico è stato prodotto (ad esempio minaccia, violenza e inganno); nel fine commerciale; nell’età dei suoi minori coinvolti, se inferiore a quella prevista per la valida formulazione del consenso sessuale.
4.2. Alla luce di queste premesse, qui necessariamente sintetizzate, le Sezioni Unite – con la citata sentenza n. 4616/2021 – hanno quindi affermato il principio di diritto secondo cui si ha “utilizzazione” del minore allorquando, all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale del fatto solo le condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico – fisica dello stesso.
- Tanto premesso in termini generali, il Collegio rileva che la Corte di appello ha fatto corretta applicazione di questi principi, escludendo che la minore avesse prestato un valido consenso, nei termini appena richiamati, e cosi riconoscendo -con argomento non manifestamente illogico – l’utilizzazione” della stessa da parte del ricorrente. In particolare, la sentenza ha valorizzato che: a) l’invio delle fotografie a contenuto sessuale era cominciato quando la persona offesa aveva soltanto 13 anni, e dunque non era in grado di formulare validamente un consenso sessuale; b) la produzione dello stesso materiale, così come l’invio, era avvenuta, in una prima fase, in forza di un consenso evidentemente viziato, in quanto il ricorrente si era spacciato per un’altra persona (tale B.B., “notevole giocatore di pallacanestro”) ed aveva conversato via chat con la ragazzina sempre celando la propria identità; c) in un secondo momento, la persona offesa aveva inviato altre proprie immagini intime solo perché minacciata da “B.B.”, il quale le diceva che, diversamente, avrebbe diffuso quelle già ricevute. A quest’ultimo riguardo, il ricorso evidenzia che le parole della minore sarebbero del tutto sfornite di supporto probatorio, e che dagli atti non emergerebbe che le foto fossero state scattate in due o più tempi; tale censura, tuttavia, risulta inammissibile, in quanto genericamente posta su un piano di merito che questa Corte non è ammessa a verificare, oltre che in contrasto con il giudizio di piena attendibilità formulato sulla persona offesa sia in primo che in secondo grado, con argomento del tutto logico, fondato su valutazioni prive di vizi, oltre che confortato da prove testimoniali e dagli esiti della perquisizione presso il ricorrente.
5.1. Le sentenze di merito, pertanto, hanno congruamente riscontrato la condotta di pornografia minorile contestata al capo B).
- Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionalee rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2024.