PENALE ALIMENTARE BOLOGNA VENEZIA VICENZA TREVISO

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PENALE ALIMENTARE

Reati contro l’incolumità pubblica – Delitti – Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari – Natura del reato – Pericolo per la salute pubblica – Necessità. PENALE ALIMENTARE

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Per la configurabilità del reato di avvelenamento di acque o sostanze destinate all’alimentazione, avente natura di reato di pericolo presunto, è comunque necessario che un “avvelenamento”, di per sé produttivo, come tale, di pericolo per la salute pubblica, vi sia comunque stato; il che richiede che vi sia stata immissione di sostanze inquinanti di qualità ed in quantità tali da determinare il pericolo, scientificamente accertato, di effetti tossico-nocivi per la salute. (In motivazione la Corte ha precisato che non è sufficiente il mero superamento dei “limiti soglia” di carattere precauzionale, che costituiscono una prudenziale indicazione sulla quantità di sostanza, presente in alimenti, che l’uomo può assumere senza rischio, quotidianamente e sul lungo periodo).

accoglimento.

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La Corte di Appello ha rilevato che anche rispetto al reato di cui al capo C era decorso il termine massimo di prescrizione, individuano il dies a quo nel momento in cui vennero effettuate le analisi sugli ortaggi risultati contaminati. Non di meno, ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., stante la costituzione della parte civile, ha proceduto ad un esame approfondito della regiudicanda, pervenendo alla adozione di sentenza assolutoria di merito, nei confronti di entrambi gli imputati. E bene, questa Suprema Corte ha stabilito che il proscioglimento nel merito non prevale rispetto alla immediata dichiarazione di una causa di non punibilita’, salvo che in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili (Sez. U, sentenza n. 35490 del 28.5.2009, dep. 15.09.2009, Tettamanti, Rv. 244273; in termini, da ultimo, Sez. 2, sentenza n. 29499 del 23.05.2017, n.m., ove si e’ ribadito che l’appello proposto dall’imputato avverso la sentenza di condanna alla quale acceda anche la statuizione al risarcimento del danno, impone al giudice di secondo grado di procedere ad esaminare funditus i motivi di doglianza, senza limitarsi al criterio di economia processuale ex articolo 129 c.p.p., con la precisazione che ove le censure vengano ritenute fondate, la Corte territoriale, in riforma della sentenza di primo grado, deve anche revocare le statuizioni civili).

In conformita’ al richiamato insegnamento, la Corte di Appello di Torino ha scrutinato la materia dedotta dagli imputati non gia’ secondo il criterio di economicita’ processuale dettato dall’articolo 129 c.p.p., in caso di sussistenza di una causa estintiva, ma secondo un pieno giudizio di merito, come richiesto dal diritto vivente, qualora nel giudizio vi sia la presenza della parte civile.avvocato-per-recupero-crediti-bologna-6

Tanto chiarito, e’ poi appena il caso di rilevare che la valutazione espressa dalla Corte di Appello, sul momento di decorrenza della prescrizione, non ha alcun pregio, posto che il reato di avvelenamento e’ un reato istantaneo ad effetti permanenti che si realizza nel momento in cui le condotte inquinanti, per la qualita’ e la quantita’ della polluzione, divengono pericolose per la salute pubblica, cioe’ a dire potenzialmente idonee a produrre effetti tossico-nocivi per la salute, come subito si vedra’ analizzando la struttura della fattispecie. Deve rilevarsi che nei cosiddetti reati ad effetti permanenti non si ha il protrarsi dell’offesa dovuta alla persistente condotta del soggetto agente, ma cio’ che perdura nel tempo sono le sole conseguenze dannose del reato. Diversamente, nel reato istantaneo a condotta perdurante – come nel caso di protratto inquinamento, che occupa – si determina uno spostamento in avanti della consumazione rispetto al momento di iniziata realizzazione del reato, in quanto, e fino a quando, la condotta dell’agente “sostenga” concretamente la causazione dell’evento. Non di meno, la consumazione del reato, cioe’ a dire il momento in cui si chiude l’iter criminis, coincide con la cessazione della condotta, che puo’ dipendere dal sequestro del sito inquinante (nel caso di specie risalente al 29.06.2009) o da altre evenienze che escludono la reiterazione delle polluzioni. Pertanto, anche computando il periodo di prescrizione dalla data del sequestro, il termine risulta certamente spirato dopo la sentenza di primo grado e prima della sentenza oggi impugnata.

Detta circostanza conduce a rilevare la stessa carenza di un concreto interesse in capo alle parti civili, a censurare la valutazione della Corte territoriale rispetto alla individuazione della data di maturazione del termine di prescrizione, posto che il termine risulta comunque spirato nelle more del giudizio di appello e che legittimamente la Corte territoriale ha esaminato funditus i motivi affidati agli atti di appello degli imputati, in considerazione delle statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado e della presenza delle parti civili nel giudizio, come chiarito.

  1. Tanto premesso, si vengono ora ad esaminare i motivi di ricorso che attengono al ragionamento probatorio sviluppato dalla Corte territoriale, che risulta effettivamente carente e vulnerato dalle evidenziate aporie di ordine logico.

3.1. Il primo motivo e’ fondato.

Invero, la Corte di Appello, dopo aver rilevato che la difesa delle parti civili aveva depositato memoria, ha del tutto omesso di soffermarsi sui temi che erano stati diffusamente sviluppati nella predetta memoria. Sussiste, pertanto, le denunziata carenza motivazionale.

3.2. In tali termini si introduce l’esame del terzo motivo di ricorso, che e’ del pari fondato.

La Suprema Corte ha chiarito che le acque considerate dall’articolo 439 c.p. sono quelle destinate all’alimentazione umana, abbiano o non abbiano i caratteri biochimici della potabilita’ secondo la legge e la scienza. Con la conseguenza che e’ configurabile la fattispecie criminosa prevista dall’indicata norma anche se l’avvelenamento delle acque sia stato operato in acque batteriologicamente non pure dal punto di vista delle leggi sanitarie ma comunque idonee e potenzialmente destinabili all’uso alimentare. Il principio e’ stato affermato in riferimento allo sversamento nel terreno di sostanze inquinanti di origine industriale, penetranti in falde acquifere, con conseguente avvelenamento dell’acqua di vari pozzi della zona (Sez. 4, Sentenza n. 6651 del 08/03/1984, dep. 29/06/1985, Rv. 169989).

Cio’ posto, deve rilevarsi che la giurisprudenza di legittimita’ ha osservato che ai fini della configurabilita’ del delitto di avvelenamento di acque o di sostanze alimentari non e’ sufficiente – neppure ai limitati fini dell’apprezzamento del fumus del reato – l’esistenza di rilevamenti attestanti il superamento dei determinati livelli di contaminazione, trattandosi di indicazioni di carattere meramente precauzionale, il cui superamento non e’ sufficiente ad integrare nemmeno la fattispecie prevista dal Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, articolo 257, la quale sanziona condotte di “inquinamento”, ossia causative di un evento che costituisce evidentemente un “minus” rispetto all’ipotesi di “avvelenamento” (Sez. 1, n. 45001 del 19/09/2014 – dep. 29/10/2014, Capasso, Rv. 26113501). Cio’ in quanto, per la configurabilita’ del reato di avvelenamento di acque o sostanze destinate all’alimentazione, pur potendosi ritenere giustificato l’orientamento secondo cui che il reato e’ di pericolo presunto, e’ tuttavia necessario che un “avvelenamento”, vi sia comunque stato. Sul punto, nella sentenza citata si ribadisce che il termine “avvelenamento” ha pregnanza semantica tale da renderne deducibile in via normale il pericolo per la salute pubblica; e che deve essere riferito a condotte che, per la qualita’ e la quantita’ dell’inquinante, siano pericolose per la salute pubblica, vale a dire potenzialmente idonee a produrre effetti tossico-nocivi per la salute.

La norma incriminatrice di cui all’articolo 439 c.p., non richiede che dal fatto sia derivato un pericolo per la salute pubblica e la considerazione giustifica l’orientamento giurisprudenziale che considera il reato in esame come fattispecie di pericolo presunto.

Cio’ non di meno, il giudice di merito, come ripetuto dalla giurisprudenza di legittimita’, e’ tenuto ad accertare che si sia verificato l’avvelenamento (con pericolo per la salute pubblica) quale evento del reato. L’avvelenamento deve riferirsi a condotte che, per la qualita’ e la quantita’ dell’inquinante, siano pericolose per la salute pubblica (vale a dire potenzialmente idonee a produrre effetti tossico-nocivi per la salute), pericolosita’ che va scientificamente accertata. Pericolosa per il bene giuridico tutelato e’, in altre parole, quella dose di sostanza contaminante alla quale le indagini scientifiche hanno associato effetti avversi per la salute. E, a tale riguardo, si e’ precisato che non e’ corretto il riferimento a schemi presuntivi; ne’ il mero superamento di “limiti soglia”, di valenza precauzionale, che costituiscono una prudenziale indicazione sulla quantita’ di sostanza, presente in alimenti, che l’uomo puo’ assumere senza rischio, quotidianamente e sul lungo periodo. Detta pericolosita’ deve dunque potersi ritenere scientificamente accertata, nel senso che deve essere riferita a “dose di sostanza contaminante alla quale le indagini scientifiche hanno associato effetti avversi per la salute” (Sez. 4, sentenza n. 15216 del 13/02/2007, Della Torre, Rv. 236168).

A questo punto della trattazione, giova allora richiamare i principi che, secondo diritto vivente, governano l’apprezzamento giudiziale della prova scientifica da parte del giudice di merito e che presiedono al controllo che, su tale valutazione, puo’ essere svolto in sede di legittimita’, questione specificamente devoluta dal ricorrente, anche sotto il profilo del vizio motivazionale. Al riguardo, si e’ chiarito che alla Corte regolatrice e’ rimessa la verifica sulla ragionevolezza delle conclusioni alle quali e’ giunto il giudice di merito, che ha il governo degli apporti scientifici forniti dagli specialisti. La Suprema Corte ha evidenziato, sul piano metodologico, che qualsiasi lettura della rilevanza dei saperi di scienze diverse da quella giuridica, utilizzabili nel processo penale, non puo’ avere l’esito di accreditare l’esistenza, nella regolazione processuale vigente, di un sistema di prova legale, che limiti la libera formazione del convincimento del giudice; che il ricorso a competenze specialistiche con l’obiettivo di integrare i saperi del giudice, rispetto a fatti che impongono metodologie di individuazione, qualificazione e ricognizione eccedenti i saperi dell’uomo comune, si sviluppa mediante una procedimentalizzazione di atti (conferimento dell’incarico a periti e consulenti, formulazione dei relativi quesiti, escussione degli esperti in dibattimento) ad impulso del giudicante e a formazione progressiva; e che la valutazione di legittimita’, sulla soluzione degli interrogativi causali imposti dalla concretezza del caso giudicato, riguarda la correttezza e conformita’ alle regole della logica dimostrativa dell’opinione espressa dal giudice di merito, quale approdo della sintesi critica del giudizio (Sez. 4, sentenza n. 80 del 17.01.2012, dep. 25.05.2012, n.m.).

Chiarito che il sapere scientifico costituisce un indispensabile strumento, posto al servizio del giudice di merito, deve rilevarsi che, non di rado, la soluzione del caso posto all’attenzione del giudicante, nei processi ove assume rilievo l’impiego della prova scientifica, viene a dipendere dall’affidabilita’ delle informazioni che, attraverso l’indagine di periti e consulenti, penetrano nel processo. Si tratta di questione di centrale rilevanza nell’indagine fattuale, giacche’ costituisce parte integrante del giudizio critico che il giudice di merito e’ chiamato ad esprimere sulle valutazioni di ordine extragiuridico emerse nel processo. Il giudice deve, pertanto, dar conto del controllo esercitato sull’affidabilita’ delle basi scientifiche del proprio ragionamento, soppesando l’imparzialita’ e l’autorevolezza scientifica dell’esperto che trasferisce nel processo conoscenze tecniche e saperi esperienziali.

E, come sopra chiarito, il controllo che la Corte Suprema e’ chiamata ad esercitare, attiene alla razionalita’ delle valutazioni che a tale riguardo il giudice di merito ha espresso nella sentenza impugnata.

Del resto, la Corte regolatrice ha anche recentemente ribadito il principio in base al quale il giudice di legittimita’ non e’ giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate.

La Suprema Corte e’ cioe’ chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilita’ delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 43786 del 17/09/2010, dep. 13/12/2010, Cozzini, Rv. 248944; Sez. 4, sentenza n. 42128 del 30.09.2008, dep. 12.11.2008, n.m.). E si e’ pure chiarito che il giudice di merito puo’ fare legittimamente propria, allorche’ gli sia richiesto dalla natura della questione, l’una piuttosto che l’altra tesi scientifica, purche’ dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire. Entro questi limiti, e’ del pari certo, in sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, che non rappresenta vizio della motivazione, di per se’, l’omesso esame critico di ogni piu’ minuto passaggio della perizia (o della consulenza), poiche’ la valutazione delle emergenze processuali e’ affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all’onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma e’ sufficiente che enunci con adeguatezza e logicita’ gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento (vedi, da ultimo, Sez. 4, sentenza n. 492 del 14.11.2013, dep. 10.01.2014, n.m.).

Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari – Sopravvenuta estinzione del reato ascritto per prescrizione – Annullamento senza rinvio PENALE ALIMENTARE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente

Dott. MENICHETTI Carla – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea – rel. Consigliere

Dott. NARDIN Maura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI CARISIO – parte civile;

(OMISSIS), nato il (OMISSIS) – parte civile;

nel procedimento a carico di:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

inoltre:

(OMISSIS) SPA;

MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE;

PARTI CIVILI;

avverso la sentenza del 12/09/2017 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ANDREA MONTAGNI;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. FODARONI MARIA GIUSEPPINA che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, agli effetti civili.

E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di VERCELLI in difesa di COMUNE DI CARISIO, (OMISSIS) e delle PARTI CIVILI, che deposita conclusioni scritte unitamente alla nota spese alle quali si riporta chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

E’ presente l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO del foro di ROMA in difesa di MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE, che deposita conclusioni scritte e nota spese, alle quali si riporta associandosi alle conclusioni del procuratore generale e alle richieste dell’avvocato (OMISSIS) difensore dei ricorrenti.

E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di TORINO in difesa di (OMISSIS), che insiste per l’inammissibilita’ dei ricorsi.

E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di TORINO in difesa di (OMISSIS) e della (OMISSIS) SPA, che insiste per la conferma della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

  1. Il Tribunale di Vercelli, con sentenza in data 11.07.2016, dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) in riferimento ai reati di cui ai capi A (articolo 674 c.p.) e B (Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 4), in quanto estinti per intervenuta prescrizione. Il Tribunale affermava la penale responsabilita’ dei predetti imputati in riferimento al reato di cui al capo C (articoli 439 e 452 c.p.), con condanna alle pene di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili. A (OMISSIS), in qualita’ di amministratore delegato e a (OMISSIS) in qualita’ di delegato in materia di sicurezza ed ecologica della (OMISSIS) spa, che svolge attivita’ di fonderia di seconda fusione di rottami di alluminio – con riguardo al capo C dell’imputazione, per il quale il Tribunale ha pronunciato condanna – si contesta di avere avvelenato la falda idrica e le sostanze alimentari indicate in rubrica. Cio’ in quanto, nello svolgimento della predetta attivita’ produttiva, utilizzando trucioli di alluminio contaminati da diossina e violando l’autorizzazione ad effettuare operazioni di recupero dei trucioli, provocavano emissioni di polveri nell’ambiente interno dello stabilimento, dotato di un sistema di abbattimento non adeguato; e provocavano dispersione eolica di diossina e la trasmissione degli inquinanti su basi non impermeabilizzate della falda idrica e nel sottosuolo.
  2. La Corte di Appello di Torino, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di condanna resa dal Tribunale di Vercelli in data 11.07.2016, assolveva (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato loro ascritto al capo C perche’ il fatto non sussiste. Il Collegio si soffermava sulla nozione di avvelenamento, come individuata dal diritto vivente, osservando che la stessa e’ riferibile a condotte che, per la qualita’ e quantita’ dell’inquinante, siano pericolose per la salute pubblica, vale a dire potenzialmente idonee a produrre effetti tossico-nocivi per la salute. Rilevava che la predetta pericolosita’ deve essere riferita a specifici quantitativi (dosi) di sostanza contaminante, cui siano scientificamente associabili effetti avversi per la salute. La Corte territoriale osservava che le diossine e i policlorobifenili sono sostanze non genotossiche; che non vi e’ prova che una quantita’ contenuta delle predette sostanze abbia effetto cancerogeno; e che per tale ragione si tratta di sostanze non tassativamente vietate dalla legge, come avviene per l’amianto.
  3. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino, ai soli fini della responsabilita’ civile, hanno proposto ricorso per Cassazione le parti civili Comune di Carisio e (OMISSIS), a mezzo del difensore.

Con il primo motivo viene dedotta la violazione di legge: cio’ in quanto la Corte di Appello ha ignorato le argomentazioni affidate alla memoria depositata all’udienza del 12.09.2017 dalle parti civili, a confutazione delle censure dedotte dagli appellanti. Gli esponenti denunciano la nullita’ della decisione, per lesione dei diritti di intervento e assistenza.

Con il secondo motivo le parti civili deducono la violazione di legge. Osservano che la Corte di Appello ha osservato che il reato di cui al capo C risultava prescritto, facendo erroneamente decorrere il relativo termine dalla data di effettuazione delle analisi eseguite sugli ortaggi contaminati. Considerano che l’avvelenamento e’ un reato istantaneo la cui consumazione si verifica con la condotta idonea a determinare l’avvelenamento. Rilevano che la prescrizione maturata medio tempore consentirebbe al giudice di appello di confermare le statuizioni civili ex articolo 578 c.p.p..

Con il terzo motivo viene dedotto il vizio motivazionale ed il travisamento della prova. Le parti civili osservano che non e’ condivisibile il ragionamento sviluppato dalla Corte di Appello di Torino che ha condotto alla assoluzione degli imputati.

Le parti civili, dopo essersi soffermate sulle diverse valutazioni che erano state effettuate dal Tribunale di Vercelli, richiamano arresti della giurisprudenza di merito, in ordine alla struttura del reato di avvelenamento e, in particolare, sulla rilevanza della contaminazione di acque anche solo destinabili al consumo umano, se pure non concretamente destinate a tale consumo. Cio’ posto, le ricorrenti evidenziano che il tema di prova, esaminato dal Tribunale, involge apprezzamenti di natura scientifica sui profili tossicologici delle diossine e dei policlorobifenili – e sulla valutazione dei rischi per la salute umana derivanti dalla esposizione a determinati agenti – che dipendono anche dalla scelta dei diversi metodi di analisi che, in materia, si contengono il campo nella comunita’ scientifica. Al riguardo, nel ricorso si evidenzia che alcuni consulenti avevano adottato il metodo statunitense Slope Factor, basato sulla valutazione del rischio, mentre altri tecnici hanno utilizzato il metodo Europeo con soglia, in base al quale anche per le diossine, sussiste una dose di assunzione giornaliera tollerabile.

Le parti civili rilevano che il principio di precauzione deve ritenersi applicabile in materia di danno ambientale, anche da parte del giudice penale. Le deducenti sostengono che la Corte di Appello, con motivazione sbrigativa, ha liquidato come non condivisibili le valutazioni espresse dal Tribunale. Le parti civili osservano che la Corte distrettuale non ha spiegato per quale ragione ha disatteso il lavoro peritale fondato sulla analisi di rischio sanitario-ambientale sito-specifica che viene utilizzato per valutare l’efficacia di interventi di messa in sicurezza, nonche’ i rischi per l’uomo associati a situazioni di contaminazione diffusa, anche da parte del Ministero dell’Ambiente.

Le ricorrenti rilevano che il reato contestato risulta configurabile ove l’avvelenamento abbia la potenzialita’ di nuocere alla salute; sottolineano che il

Tribunale ha fatto buon governo del richiamato principio di precauzione; e ritengono non conferente l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, circa la natura non genotossica delle diossine.

Le esponenti contestano la valutazione espressa dalla Corte di Appello, rilevando che i giudici di secondo grado hanno omesso di verificare la stessa riconducibilita’ della contaminazione all’attivita’ della (OMISSIS) ed hanno considerato che la pratica del lavaggio-pelatura degli ortaggi e la loro stagionalita’ integravano un fattore di sicurezza. Le parti civili sottolineano che l’inquadramento, o meno, delle diossine come sostanze genotossiche e’ tema dibattuto dagli scienziati; e rilevano che la Corte di Appello, nel discostarsi dalla perizia, ha travisato i presupposti decisivi della questione, sulla base di meri luoghi comuni, avendo affermato che se fossero tossiche sarebbero vietate dalla legge. Nel ricorso si evidenzia che la Corte territoriale ha disatteso i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimita’, sul governo della prova scientifica.

CONISDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso impone i rilievi che seguono.
  2. Ci si sofferma primieramente sul secondo motivo di ricorso che non puo’ trovare accoglimento.

La Corte di Appello ha rilevato che anche rispetto al reato di cui al capo C era decorso il termine massimo di prescrizione, individuano il dies a quo nel momento in cui vennero effettuate le analisi sugli ortaggi risultati contaminati. Non di meno, ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., stante la costituzione della parte civile, ha proceduto ad un esame approfondito della regiudicanda, pervenendo alla adozione di sentenza assolutoria di merito, nei confronti di entrambi gli imputati. E bene, questa Suprema Corte ha stabilito che il proscioglimento nel merito non prevale rispetto alla immediata dichiarazione di una causa di non punibilita’, salvo che in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili (Sez. U, sentenza n. 35490 del 28.5.2009, dep. 15.09.2009, Tettamanti, Rv. 244273; in termini, da ultimo, Sez. 2, sentenza n. 29499 del 23.05.2017, n.m., ove si e’ ribadito che l’appello proposto dall’imputato avverso la sentenza di condanna alla quale acceda anche la statuizione al risarcimento del danno, impone al giudice di secondo grado di procedere ad esaminare funditus i motivi di doglianza, senza limitarsi al criterio di economia processuale ex articolo 129 c.p.p., con la precisazione che ove le censure vengano ritenute fondate, la Corte territoriale, in riforma della sentenza di primo grado, deve anche revocare le statuizioni civili).

In conformita’ al richiamato insegnamento, la Corte di Appello di Torino ha scrutinato la materia dedotta dagli imputati non gia’ secondo il criterio di economicita’ processuale dettato dall’articolo 129 c.p.p., in caso di sussistenza di una causa estintiva, ma secondo un pieno giudizio di merito, come richiesto dal diritto vivente, qualora nel giudizio vi sia la presenza della parte civile.

Tanto chiarito, e’ poi appena il caso di rilevare che la valutazione espressa dalla Corte di Appello, sul momento di decorrenza della prescrizione, non ha alcun pregio, posto che il reato di avvelenamento e’ un reato istantaneo ad effetti permanenti che si realizza nel momento in cui le condotte inquinanti, per la qualita’ e la quantita’ della polluzione, divengono pericolose per la salute pubblica, cioe’ a dire potenzialmente idonee a produrre effetti tossico-nocivi per la salute, come subito si vedra’ analizzando la struttura della fattispecie. Deve rilevarsi che nei cosiddetti reati ad effetti permanenti non si ha il protrarsi dell’offesa dovuta alla persistente condotta del soggetto agente, ma cio’ che perdura nel tempo sono le sole conseguenze dannose del reato. Diversamente, nel reato istantaneo a condotta perdurante – come nel caso di protratto inquinamento, che occupa – si determina uno spostamento in avanti della consumazione rispetto al momento di iniziata realizzazione del reato, in quanto, e fino a quando, la condotta dell’agente “sostenga” concretamente la causazione dell’evento. Non di meno, la consumazione del reato, cioe’ a dire il momento in cui si chiude l’iter criminis, coincide con la cessazione della condotta, che puo’ dipendere dal sequestro del sito inquinante (nel caso di specie risalente al 29.06.2009) o da altre evenienze che escludono la reiterazione delle polluzioni. Pertanto, anche computando il periodo di prescrizione dalla data del sequestro, il termine risulta certamente spirato dopo la sentenza di primo grado e prima della sentenza oggi impugnata.

Detta circostanza conduce a rilevare la stessa carenza di un concreto interesse in capo alle parti civili, a censurare la valutazione della Corte territoriale rispetto alla individuazione della data di maturazione del termine di prescrizione, posto che il termine risulta comunque spirato nelle more del giudizio di appello e che legittimamente la Corte territoriale ha esaminato funditus i motivi affidati agli atti di appello degli imputati, in considerazione delle statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado e della presenza delle parti civili nel giudizio, come chiarito.

  1. Tanto premesso, si vengono ora ad esaminare i motivi di ricorso che attengono al ragionamento probatorio sviluppato dalla Corte territoriale, che risulta effettivamente carente e vulnerato dalle evidenziate aporie di ordine logico.

3.1. Il primo motivo e’ fondato.

Invero, la Corte di Appello, dopo aver rilevato che la difesa delle parti civili aveva depositato memoria, ha del tutto omesso di soffermarsi sui temi che erano stati diffusamente sviluppati nella predetta memoria. Sussiste, pertanto, le denunziata carenza motivazionale.

3.2. In tali termini si introduce l’esame del terzo motivo di ricorso, che e’ del pari fondato.

La Suprema Corte ha chiarito che le acque considerate dall’articolo 439 c.p. sono quelle destinate all’alimentazione umana, abbiano o non abbiano i caratteri biochimici della potabilita’ secondo la legge e la scienza. Con la conseguenza che e’ configurabile la fattispecie criminosa prevista dall’indicata norma anche se l’avvelenamento delle acque sia stato operato in acque batteriologicamente non pure dal punto di vista delle leggi sanitarie ma comunque idonee e potenzialmente destinabili all’uso alimentare. Il principio e’ stato affermato in riferimento allo sversamento nel terreno di sostanze inquinanti di origine industriale, penetranti in falde acquifere, con conseguente avvelenamento dell’acqua di vari pozzi della zona (Sez. 4, Sentenza n. 6651 del 08/03/1984, dep. 29/06/1985, Rv. 169989).

Cio’ posto, deve rilevarsi che la giurisprudenza di legittimita’ ha osservato che ai fini della configurabilita’ del delitto di avvelenamento di acque o di sostanze alimentari non e’ sufficiente – neppure ai limitati fini dell’apprezzamento del fumus del reato – l’esistenza di rilevamenti attestanti il superamento dei determinati livelli di contaminazione, trattandosi di indicazioni di carattere meramente precauzionale, il cui superamento non e’ sufficiente ad integrare nemmeno la fattispecie prevista dal Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, articolo 257, la quale sanziona condotte di “inquinamento”, ossia causative di un evento che costituisce evidentemente un “minus” rispetto all’ipotesi di “avvelenamento” (Sez. 1, n. 45001 del 19/09/2014 – dep. 29/10/2014, Capasso, Rv. 26113501). Cio’ in quanto, per la configurabilita’ del reato di avvelenamento di acque o sostanze destinate all’alimentazione, pur potendosi ritenere giustificato l’orientamento secondo cui che il reato e’ di pericolo presunto, e’ tuttavia necessario che un “avvelenamento”, vi sia comunque stato. Sul punto, nella sentenza citata si ribadisce che il termine “avvelenamento” ha pregnanza semantica tale da renderne deducibile in via normale il pericolo per la salute pubblica; e che deve essere riferito a condotte che, per la qualita’ e la quantita’ dell’inquinante, siano pericolose per la salute pubblica, vale a dire potenzialmente idonee a produrre effetti tossico-nocivi per la salute.

La norma incriminatrice di cui all’articolo 439 c.p., non richiede che dal fatto sia derivato un pericolo per la salute pubblica e la considerazione giustifica l’orientamento giurisprudenziale che considera il reato in esame come fattispecie di pericolo presunto.

Cio’ non di meno, il giudice di merito, come ripetuto dalla giurisprudenza di legittimita’, e’ tenuto ad accertare che si sia verificato l’avvelenamento (con pericolo per la salute pubblica) quale evento del reato. L’avvelenamento deve riferirsi a condotte che, per la qualita’ e la quantita’ dell’inquinante, siano pericolose per la salute pubblica (vale a dire potenzialmente idonee a produrre effetti tossico-nocivi per la salute), pericolosita’ che va scientificamente accertata. Pericolosa per il bene giuridico tutelato e’, in altre parole, quella dose di sostanza contaminante alla quale le indagini scientifiche hanno associato effetti avversi per la salute. E, a tale riguardo, si e’ precisato che non e’ corretto il riferimento a schemi presuntivi; ne’ il mero superamento di “limiti soglia”, di valenza precauzionale, che costituiscono una prudenziale indicazione sulla quantita’ di sostanza, presente in alimenti, che l’uomo puo’ assumere senza rischio, quotidianamente e sul lungo periodo. Detta pericolosita’ deve dunque potersi ritenere scientificamente accertata, nel senso che deve essere riferita a “dose di sostanza contaminante alla quale le indagini scientifiche hanno associato effetti avversi per la salute” (Sez. 4, sentenza n. 15216 del 13/02/2007, Della Torre, Rv. 236168).

A questo punto della trattazione, giova allora richiamare i principi che, secondo diritto vivente, governano l’apprezzamento giudiziale della prova scientifica da parte del giudice di merito e che presiedono al controllo che, su tale valutazione, puo’ essere svolto in sede di legittimita’, questione specificamente devoluta dal ricorrente, anche sotto il profilo del vizio motivazionale. Al riguardo, si e’ chiarito che alla Corte regolatrice e’ rimessa la verifica sulla ragionevolezza delle conclusioni alle quali e’ giunto il giudice di merito, che ha il governo degli apporti scientifici forniti dagli specialisti. La Suprema Corte ha evidenziato, sul piano metodologico, che qualsiasi lettura della rilevanza dei saperi di scienze diverse da quella giuridica, utilizzabili nel processo penale, non puo’ avere l’esito di accreditare l’esistenza, nella regolazione processuale vigente, di un sistema di prova legale, che limiti la libera formazione del convincimento del giudice; che il ricorso a competenze specialistiche con l’obiettivo di integrare i saperi del giudice, rispetto a fatti che impongono metodologie di individuazione, qualificazione e ricognizione eccedenti i saperi dell’uomo comune, si sviluppa mediante una procedimentalizzazione di atti (conferimento dell’incarico a periti e consulenti, formulazione dei relativi quesiti, escussione degli esperti in dibattimento) ad impulso del giudicante e a formazione progressiva; e che la valutazione di legittimita’, sulla soluzione degli interrogativi causali imposti dalla concretezza del caso giudicato, riguarda la correttezza e conformita’ alle regole della logica dimostrativa dell’opinione espressa dal giudice di merito, quale approdo della sintesi critica del giudizio (Sez. 4, sentenza n. 80 del 17.01.2012, dep. 25.05.2012, n.m.).

Chiarito che il sapere scientifico costituisce un indispensabile strumento, posto al servizio del giudice di merito, deve rilevarsi che, non di rado, la soluzione del caso posto all’attenzione del giudicante, nei processi ove assume rilievo l’impiego della prova scientifica, viene a dipendere dall’affidabilita’ delle informazioni che, attraverso l’indagine di periti e consulenti, penetrano nel processo. Si tratta di questione di centrale rilevanza nell’indagine fattuale, giacche’ costituisce parte integrante del giudizio critico che il giudice di merito e’ chiamato ad esprimere sulle valutazioni di ordine extragiuridico emerse nel processo. Il giudice deve, pertanto, dar conto del controllo esercitato sull’affidabilita’ delle basi scientifiche del proprio ragionamento, soppesando l’imparzialita’ e l’autorevolezza scientifica dell’esperto che trasferisce nel processo conoscenze tecniche e saperi esperienziali.

E, come sopra chiarito, il controllo che la Corte Suprema e’ chiamata ad esercitare, attiene alla razionalita’ delle valutazioni che a tale riguardo il giudice di merito ha espresso nella sentenza impugnata.

Del resto, la Corte regolatrice ha anche recentemente ribadito il principio in base al quale il giudice di legittimita’ non e’ giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate.

La Suprema Corte e’ cioe’ chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilita’ delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 43786 del 17/09/2010, dep. 13/12/2010, Cozzini, Rv. 248944; Sez. 4, sentenza n. 42128 del 30.09.2008, dep. 12.11.2008, n.m.). E si e’ pure chiarito che il giudice di merito puo’ fare legittimamente propria, allorche’ gli sia richiesto dalla natura della questione, l’una piuttosto che l’altra tesi scientifica, purche’ dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire. Entro questi limiti, e’ del pari certo, in sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, che non rappresenta vizio della motivazione, di per se’, l’omesso esame critico di ogni piu’ minuto passaggio della perizia (o della consulenza), poiche’ la valutazione delle emergenze processuali e’ affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all’onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma e’ sufficiente che enunci con adeguatezza e logicita’ gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento (vedi, da ultimo, Sez. 4, sentenza n. 492 del 14.11.2013, dep. 10.01.2014, n.m.).

Il giudizio di merito risulta di particolare complessita’ qualora si registrino difformi opinioni, espresse dai diversi esperti intervenuti nel processo, di talche’ al giudice e’ chiesto di effettuare una valutazione ponderata che involge la stessa validita’ dei diversi metodi scientifici in campo. Suole affermarsi che al giudice e’ attribuito il ruolo di peritus peritorum. In realta’, detta locuzione, secondo le indicazioni di ordine metodologico espresse dalla giurisprudenza sopra richiamata, non autorizza affatto il giudicante ad intraprendere un percorso avulso dal sapere scientifico, ne’ a sostituirsi agli esperti ignorando ogni i contributi conoscitivi di matrice tecnico-scientifica. Il ruolo di peritus peritorum impone, di converso, al giudice a individuare, con l’aiuto dell’esperto, il sapere accreditato che puo’ orientare la decisione. Il giudice, cioe’, deve esaminare le basi fattuali sulle quali le argomentazioni del perito sono state condotte; l’ampiezza, la rigorosita’ e l’oggettivita’ della ricerca; l’attitudine esplicativa dell’elaborazione teorica nonche’ il grado di consenso che le tesi sostenute dall’esperto raccolgono nell’ambito della comunita’ scientifica (Sez. 4, n. 18678 del 14-3-2012, Rv. 252621).

E di tale indagine il giudice e’ chiamato a dar conto in motivazione.

In particolare, nei casi caratterizzati da contrapposte teorie scientifiche, con antagoniste ricadute sulla interpretazione dei dati fattuali disponibili, il giudice deve fornire una razionale giustificazione dell’apprezzamento compiuto e delle ragioni per le quali ha opinato per la maggiore affidabilita’ di una determinata scuola di pensiero, rispetto ad un’altra.

Applicando i richiamati principi al caso di specie, deve rilevarsi che la valutazione espressa dalla Corte territoriale non risulta conducente, giacche’ i giudici hanno privilegiato la teorica della dose giornaliera tollerabile, senza confrontarsi con il postulato scientifico che sta alla base della opposta teoria fondata sulla valutazione del rischio.

Il Tribunale di Vercelli, al par. 6.4 della sentenza, ha effettuato una analitica disamina della questione relativa alla riconducibilita’ della diossina agli agenti cancerogeni genotossici, valorizzando i pareri espressi da un gruppo di esperti nel corso dell’incidente probatorio. Rispetto ai rischi derivanti dalla ingestione di coste e carote, il Tribunale era giunto alla conclusione che anche assumendo un consumo settimanale di tali alimenti doveva ritenersi superata la soglia di rilevanza penale delle condotte in addebito. In particolare, il primo giudice aveva considerato che le tesi dei consulenti tecnici della difesa, basate sui fattori di sicurezza costituiti dalla stagionalita’ degli ortaggi e dalle attivita’ di pelatura e lavaggio che precedono il consumo umano, non potevano essere condivise, tenuto conto degli accertati superamenti delle soglie di rischio previste con riguardo ai consumatori assidui.

A fronte della evidenziata contrapposizione di due criteri scientifici, sull’esame degli inquinanti, la Corte di Appello ha apoditticamente privilegiato le teorie sostenute dai consulenti delle difese, senza sviluppare il ragionamento critico/comparativo, imposto dalla natura dei temi tecnici all’esame. In tali termini, sono state disattese le coordinate interpretative indicate dal diritto vivente, rispetto all’apprezzamento della prova scientifica, che implichi l’impiego di saperi extragiuridici, rilevanti al fine di delineare l’oggettivita’ giuridica del reato in contestazione.

Si impone, per quanto detto, l’annullamento della sentenza impugnata, vulnerata dalle evidenziate lacune argomentative, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Come sopra rilevato, infatti, in riferimento al reato per il quale si procede risulta inutilmente decorso il termine prescrizionale massimo prima della pronuncia della sentenza di secondo grado; e, in riferimento alla statuizioni civili della decisione che viene annullata, il giudice del rinvio deve essere individuato in quello civile competente per valore in grado di appello, ai sensi dell’articolo 622 c.p.p.. Al giudice del rinvio viene pure demandata la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello al quale demanda altresi’ la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimita’.