QUANDO E COME RISPONDE IL MEDICO? IN QUALI CIRCOSTANZE ? QUALE GRADI COLPA?
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Nel 2007 l’ordinamento non dettava alcuna particolare prescrizione in tema di responsabilità medica. Erano dunque applicabili i principi generali in materia di colpa, alla stregua dei quali il sanitario era penalmente responsabile, ex art. 43 c.p., quale che fosse il grado della colpa. Era cioè indifferente, ai fini della responsabilità, che il medico versasse in colpa lieve o in colpa grave. Nel 2012 entrò in vigore il D.L. 13 settembre 2012, n. 158, convertito in L. 8 novembre 2012, n. 189, (cosiddetta legge Balduzzi), il quale all’art. 3, comma 1, stabiliva che l’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, si attenesse alle linee-guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non dovesse rispondere penalmente per colpa lieve. E’ poi, di recente, entrata in vigore la L. 8 marzo 2017, n. 24, (c.d. legge Gelli-Bianco), la quale, all’art. 6, ha abrogato il predetto D.L. n. 158 del 2012, art. 3, e ha dettato l’art. 590 sexies c.p., attualmente vigente.
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Occorre dunque stabilire quale sia il regime applicabile al caso di specie. E’ in primo luogo da escludersi che quest’ultimo sia individuabile nell’assetto normativo vigente all’epoca del fatto. Abbiamo, infatti, appena rilevato come nel contesto del regime normativo originario la distinzione fra colpa lieve e colpa grave fosse del tutto irrilevante ai fini della responsabilità penale, potendo, al più, assumere rilievo nell’ottica del trattamento sanzionatorio, in quanto colpa lieve e colpa grave erano titoli del tutto equivalenti d’imputazione soggettiva dell’illecito. Sia il decreto Balduzzi che la legge Gelli-Bianco prevedono invece delle limitazioni alla responsabilità del medico che erano sconosciute al regime originario e costituiscono, dunque, entrambe, legge più favorevole, nell’ottica delineata dall‘art. 2 c.p.. Esclusa dunque l’applicabilità del regime vigente nel 2007, occorre stabilire quale delle due normative sopravvenute sia applicabile. Orbene,in questa prospettiva, va rilevato come il tenore testuale dell’art. 590 sexies, introdotto dalla L. n. 24 del 2017, nella parte in cui fa riferimento alle linee-guida, sia assolutamente inequivoco nel subordinare l’operatività della disposizione all’emanazione di linee-guida “come definite e pubblicate ai sensi di legge”.
La norma richiama dunque la L. n. 24 del 2017, art. 5, che detta, come è noto, un articolato iter di elaborazione e di emanazione delle linee – guida. Dunque, in mancanza di linee-guida approvate ed emanate mediante il procedimento di cui alla L. n 24 del 2017, art. 5, non può farsi riferimento all’art. 590 sexies c.p., se non nella parte in cui questa norma richiama le buone pratiche clinico – assistenziali, rimanendo, naturalmente, ferma la possibilità di trarre utili indicazioni di carattere ermeneutico dall’art. 590 sexies c.p., che, a regime, quando verranno emanate le linee-guida con il procedimento di cui all’art. 5, costituirà il fulcro dell’architettura normativa e concettuale in tema di responsabilità penale del medico. Ne deriva che la possibilità di riservare uno spazio applicativo nell’attuale panorama fenomenologico all’art. 590 sexies c.p., è ancorata all’opzione ermeneutica consistente nel ritenere che le linee-guida attualmente vigenti, non approvate secondo il procedimento di cui alla L. n. 24 del 2017, art. 5, possano venire in rilievo, nella prospettiva delineata dalla norma in esame, come buone pratiche clinico-assistenziali. Opzione ermeneutica non agevole ove si consideri che le linee guida differiscono notevolmente, sotto il profilo concettuale, prima ancora che tecnico – operativo, dalle buone pratiche clinico – assistenziali, sostanziandosi in raccomandazioni di comportamento clinico sviluppate attraverso un processo sistematico di elaborazione concettuale, volto a offrire indicazioni utili ai medici nel decidere quali sia il percorso diagnostico-terapeutico più appropriato in specifiche circostanze cliniche (Cass., Sez. 4, n. 18430 del 5-11-2013, Rv. 261293).
Esse consistono dunque nell’indicazione di standards diagnostico-terapeutici conformi alle regole dettate dalla migliore scienza medica, a garanzia della salute del paziente (Cass., n. 11493 del 24-12013; Cass., n. 7951 dell’8-10-2013, Rv. 259334) e costituiscono il condensato delle acquisizioni scientifiche, tecnologiche e metodologiche concernenti i singoli ambiti operativi (Sez. U., n. 29 del 21-12-2017): e quindi qualcosa di molto diverso da una semplice buona pratica clinico – asssitenziale. Laddove però volesse accedersi alla tesi, pur non esente da profili di problematicità, dell’equiparazione delle linee – guida attualmente vigenti – non approvate ed emanate attraverso il procedimento di cui alla L. n. 24 del 2017, art. 5 – alle buone pratiche clinico – assistenziali, previste dall’art. 590 sexies c.p., aprendo così la strada ad un’immediata operatività dei principi dettati da quest’ultima norma, la trama dei rapporti tra il D.L. n. 158 del 2012, art. 3, e l’art. 590 sexies c.p., è quella, del tutto condivisibile, delineata dalle Sezioni unite, con la sentenza Mariotti. Il D.L. n. 158 del 2012, art. 3, è più favorevole dell’art. 590 sexies c.p., in relazione alle contestazioni relative a comportamenti del sanitario, commessi prima dell’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, connotati da negligenza o imprudenza con configurazione di colpa lieve, che solo per il decreto Balduzzi – e non anche per la legge Gelli-Bianco – erano esenti da responsabilità, quando risultava provato il rispetto delle linee-guida o delle buone pratiche accreditate. Ciò perchè è incontrovertibile, sulla base del tenore testuale dell’art. 590 sexies c.p., comma 2, che quest’ultima norma sia applicabile esclusivamente ai casi di imperizia mentre, in relazione al D.L. n. 158 del 2012, art. 3, si era ritenuto,in giurisprudenza, che la limitazione della responsabilità in caso di colpa lieve, prevista da quest’ultima norma, pur trovando il proprio terreno d’elezione nell’ambito dell’imperizia, potesse venire in rilievo anche quando il parametro valutativo della condotta dell’agente sia quello della diligenza (Cass., Sez. 4, n. 45527 del 1-7-2015, Rv. 264987; Sez. 4, n. 23283 dell’11-5-2016, Rv. 266903). Ma, secondo le Sezioni unite, anche nell’ambito della colpa da imperizia è più favorevole il decreto Balduzzi, poichè l’errore determinato da colpa lieve che sia caduto sul momento selettivo delle linee – guida, e cioè su quello della valutazione dell’appropriatezza della linea guida, è coperto dall’esenzione di responsabilità ex art. 3 (Cass., Sez. 4, n. 47289 del 9-10-2014, Stefanetti) mentre non lo è più in base all’art. 590 sexies c.p.. Sempre nell’ambito della colpa da imperizia, per quanto attiene invece alla fase attuativa, l’errore determinato da colpa lieve, secondo il condivisibile orientamento del supremo Collegio, andava esente da responsabilità per il decreto Balduzzi ed è oggetto di causa di non punibilità in base all’art. 590 sexies c.p., essendo in tale prospettiva, ininfluente, in relazione alla decisione del giudice penale che si pronunci nella vigenza della nuova legge su fatti verificatisi antecedentemente alla sua entrata in vigore, la qualificazione giuridica dello strumento tecnico attraverso il quale giungere al verdetto liberatorio.
Dunque, per quanto riguarda la fase attuativa dei precetti delle linee-guida, legge Balduzzi e legge Gelli – Bianco si equivalgono, perchè entrambe scriminano l’errore determinato da colpa lieve.
Questa configurazione concettuale dei rapporti tra il decreto Balduzzi e la legge Gelli-Bianco deriva dalla impalcatura teorica elaborata dalle Sezioni unite, nell’interpretazione della legge Gelli-Bianco, secondo cui l’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio dell’attività medico-chirurgica: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da imperizia nell’individuazione nella scelta di linee guida o di buone pratiche clinico assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa grave da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico.La tematizzazione dei profili appena enucleati è del tutto estranea al tessuto motivazionale della sentenza impugnata, che, risalendo al 2016. è stata emanata antecedentemente all’entrata in vigore della legge Gelli – Bianco ma successivamente a quella del decreto Balduzzi, che, come abbiamo visto, additava senz’altro all’interprete la problematica relativa alla conformità dell’operato del medico alle leges artis e al grado della colpa come discrimine fra l’indifferente e il rilevante penale.
La regiudicanda in esame richiede dunque che si stabilisca: se l’atto medico sub iudice costituisse, all’epoca in cui è stata posta in essere la condotta, oggetto di linee-guida; cosa queste ultime prescrivessero, con particolare riguardo a pazienti dell’età e delle condizioni fisiche della vittima; in mancanza, se vi fossero, al riguardo, buone-pratiche clinico assistenziali; se l’imputata si sia determinata sulla base di linee – guida o di buone pratiche clinico-assistenziali adeguate al caso concreto; nell’affermativa, se la P. si sia attenuta ad esse o meno; se sia configurabile, nel suo operato una colpa;
se quest’ultima sia da considerare lieve o grave. E, sotto quest’ultimo profilo, non appare inutile richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui al fine di distinguere la colpa lieve dalla colpa grave possono essere utilizzati i seguenti parametri: a) la. misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi; b) la misura del rimprovero personale, sulla base delle specifiche condizioni dell’agente; c) la motivazione della condotta; d) la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa (Cass., n. 22405 dell’8-5-2015, Rv. 263736).
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