L’adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere nel processo penale

L’adeguatezza della misura cautelare della

custodia in carcere nel processo penale opera

anche nell’ipotesi di associazione a delinquere

finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti

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 La questione demandata al giudizio delle Sezioni Unite sentenza numero  consiste nello stabilire «se la presunzione di adeguatezza della sola misura cautelare della custodia carceraria, prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., operi nel processo penale, sussistendo i gravi indizi di colpevolezza ed esigenze di cautela, in riferimento all’imputazione per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti quando l’associazione sia costituita al fine di commettere fatti di lieve entità».  A questo punto è intervenuta la Cassazione a Sezioni Unite Penali ,affermando che su tale specifica questione non risultano precedenti decisioni, né in senso affermativo né in senso negativo, della Corte di cassazione; in relazione ad essa, peraltro, assumono significatività i termini del contrasto insorto in altri ambiti (ed al quale si é sopra accennato), concernenti soprattutto la valenza dei richiami operati da alcune norme al fine di escludere l’applicabilità di taluni istituti ad alcune fattispecie criminose.

         Infatti, ai fini della risoluzione della questione articolato sull’unico motivo rappresentato dalla pretesa inapplicabilità alla fattispecie delittuosa dell’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 della presunzione di pericolosità di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., deve necessariamente chiarirsi se il generico rinvio, sostanzialmente operato (sia pure per il tramite dell’art. 51, comma-3 bis, cod. proc. pen.) da tale ultima disposizione processuale ai «delitti previsti dall’art. 74 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309», debba essere ritenuto comprensivo o meno anche della fattispecie di lieve entità contemplata dal comma 6 del citato articolo, al proposito assumendo rilevanza l’orientamento che la Corte di legittimità ha assunto in relazione ad alcune fattispecie che, analogamente all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., operano, appunto, un rinvio, diretto od indiretto, all’art. 74 cit. nella sua genericità. Secondo un primo orientamento infatti -con riguardo al divieto di applicazione dei benefici penitenziari in genere e della sospensione dell’esecuzione della pena ex art. 1, comma 3, lett. a), legge n. 207 del 2003, ovvero della sospensione della esecuzione delle pene detentive ex art. 656, comma 9, cod. proc. pen. previsto per i reati indicati dall’articolo 4-bis legge 26 luglio 1975, n.354, nonché con riguardo al divieto del “patteggiamento allargato” previsto dal comma 1-bis dell’art. 444 cod. proc. pen. per i reati di cui all’art. 51, commi 3-bis e quater, cod. proc. pen.- si é ritenuto che il rinvio all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 non riguardasse anche l’ipotesi associativa di cui al comma 6 del detto articolo.

         E ciò: perché trattasi di una configurazione autonoma di reato nel processo penale rispetto alle ipotesi associative più gravi previste dai commi 1 e 2 del medesimo articolo, presentando essa un carattere specializzante autonomo ed originale rispetto a tali più gravi associazioni, non essendosi prevista una mera riduzione di pena, essendosi operato un generale richiamo all’art. 416 cod. pen. che, per le caratteristiche del rinvio, non può essere considerato solo quoad poenam; perché il legislatore, tenuto conto del minore allarme sociale suscitato dalla condotta incriminata e della minore pericolosità degli autori dei fatti previsti dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, ha voluto riqualificare l’associazione dedita allo spaccio per tali fatti di lieve entità come una semplice ipotesi di associazione per delinquere ex art. 416 cod. pen.; perché la esclusione dai benefici operata dall’art. 4-bis Ord. Pen. nonché la esclusione dall’applicazione del rito speciale di cui all’art. 444 cod. proc. pen. operata dall’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. riguardano tutte le ipotesi previste dall’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 ma non anche quella di cui al comma 6 del detto articolo che, per effetto del richiamo operato all’art. 416, comma primo e secondo, cod. pen., segue il regime giuridico previsto per tale tipo di reato in relazione al quale non sono contemplate analoghe esclusioni (cfr. Sez. 5, n. 1483 del 16/03/2000, De Santis, Rv. 216045; Sez. 1, n. 26310 del 06/072006, La Monica, Rv. 235018; Sez. 6, n. 42639 del 20/09/2007, Russi, Rv. 237966; Sez. 6, n. 11938 del 05/03/2009, Colasuonno, Rv. 243079).

         2.2.  Un secondo orientamento, con riguardo al divieto di sospensione di esecuzione della pena ex art. 656, comma 9, cod. proc. pen., si é di contro ritenuto, così pervenendo a conclusioni completamente difformi, che il rinvio di cui si discute (quale operato tramite il citato articolo 4-bis Ord. Pen., ma le considerazioni espresse valgono sostanzialmente anche con riguardo al rinvio operato tramite l’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.) imponga di estendere il divieto di sospensione della esecuzione della pena anche quando trattasi della associazione costituita al fine di commettere fatti di lieve entità contemplata dal comma 6 dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.

   Questo  perché la lettera dell’art. 4-bis Ord. Pen., nell’elencare i reati ostativi alla concessione dei benefici penitenziari in considerazione della peculiare pericolosità sociale del condannato, annovera anche i delitti di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 nella sua interezza, senza operare alcuna distinzione tra ipotesi aggravate o attenuate di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti; perché, in ragione della diversità dell’oggetto di tutela dei reati previsti dall’art. 416 cod. pen. e dall’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 (il primo tutelando l’ordine pubblico ed il secondo la salute individuale e collettiva contro l’aggressione della droga e la sua diffusione) e della natura specializzante dei reati-fine programmati dal secondo tipo di associazione, si é costantemente ritenuto configurabile il concorso formale delle autonome norme incriminatrici quando il programma criminoso della pur unica associazione comprenda, oltre ai fatti relativi al traffico della droga, altri delitti comuni; perché lo spettro delle figure soggettive di cui al primo comma dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 é più ampio di quelle delineate nel primo comma dell’art. 416 cod. pen.; perché, conseguentemente, la pretesa omologazione del regime giuridico comporterebbe l’irragionevole esclusione dalla specifica previsione attenuata di cui al comma 6 dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 delle condotte di direzione e di finanziamento non previste dal primo comma dell’art. 416 cod. pen.; perché, in conclusione, appare più coerente con la formulazione letterale delle disposizioni in esame e con la ratio legis delle disposte esclusioni ritenere che il radicale giudizio di pericolosità sociale nei confronti del condannato per taluno dei delitti associativi finalizzati all’illecito traffico di sostanze stupefacenti permanga pur quando la condotta criminosa sia diretta alla commissione di fatti di lieve entità (cfr. Sez. 1, n. 25213 del 03/06/2009, Russi, Rv. 243824; Sez. 1, n. 10050 del 19/02/2002, Morelli, Rv. 221497).

  1. Ebbene, pur tenute presenti tutte le ragioni sottese alle diverse decisioni, deve -in relazione alla specifica questione qui sottoposta- pervenirsi alla conclusione che il richiamo all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 operato per il tramite dell’art. 51, comma 3-bis, dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (laddove, in presenza di esigenze cautelari, si impone per talune fattispecie criminose l’applicazione della sola custodia cautelare in carcere) non sia comprensivo della fattispecie contemplata dal comma 6 del citato art. 74.

         Secondo un orientamento consolidato – e qui condiviso – detta fattispecie costituisce ipotesi autonoma di reato e non mera ipotesi attenuata (sia pure con determinazione autonoma della pena) del reato di cui al comma 1 dell’articolo 74 d.P.R. n. 309 del 1990. Il disposto rinvio ai commi primo e secondo dell’art. 416 cod. pen. – nei termini usati dal legislatore – riconduce infatti l’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di fatti di lieve entità in materia di droga all’associazione per delinquere comune di cui all’art. 416 cod. pen., ciò imponendolo la chiara dizione della norma («si applicano il primo ed il secondo comma dell’art. 416 del codice penale»), espressione di un rinvio quoad factum e non di un mero rinvio quoad poenam (atteso che in tale caso sarebbe stata utilizzata la diversa dizione «si applicano le pene previste da commi primo e secondo dell’art. 416 cod. pen.») ed indicativa della volontà del legislatore di riservare all’ipotesi criminosa in questione, in ragione del minor allarme sociale suscitato dai fatti e della minore pericolosità degli autori degli stessi, un regime diverso da quello previsto per l’ipotesi criminosa contemplata dal comma 1 dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990. Peraltro, come già sottolineato da talune pronunce delle sezioni semplici di questa Corte, ove si fosse inteso regolare, al comma 6 del citato art. 74, una ipotesi circostanziata attenuata, il legislatore avrebbe previsto una semplice riduzione di pena rispetto alle ipotesi associative più gravi previste dai commi precedenti, senza operare quel generale richiamo – nei termini di cui si é detto – all’art. 416 cod. pen.

L’applicazione all’ipotesi criminosa di cui al comma 6 dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 del regime giuridico previsto per il delitto di cui all’art. 416 cod. pen. nel processo penale impone dunque di ritenere il generico rinvio all’art. 74 cit. come non comprensivo della fattispecie criminosa di lieve entità, non contemplando le norme richiamate al fine di escludere l’applicazione di benefici ed istituti ovvero di regolare determinati istituti i delitti per i quali é riservato il regime giuridico previsto per il delitto di cui all’art. 416 cod. pen.     Né può sostenersi che, anche a voler convenire sulla natura autonoma del reato di cui al comma 6 dell’art. 74 cit. e sulla applicabilità allo stesso del regime giuridico proprio dell’associazione per delinquere comune, il richiamo senza limitazioni di sorta all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 non consentirebbe, comunque, di escludere dal rinvio la fattispecie criminosa in questione. Una tesi siffatta non tiene conto della irragionevolezza di una scelta legislativa – e quindi della poca persuasività di una tale interpretazione – che, dopo aver assimilato tale fattispecie criminosa all’associazione per delinquere di cui all’art. 416 cod. pen., riservi ad essa nelle materie qui considerate, nonostante il ritenuto minore disvalore della condotta criminosa contemplata al comma 6 dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (sia rispetto alle ipotesi di cui ai commi precedenti del detto articolo sia rispetto a molte delle condotte riconducibili nell’ambito dell’art. 416 cod. pen.) un trattamento differenziato e maggiormente afflittivo di quello previsto per l’associazione per delinquere comune. E poiché é obbligo dell’interprete, tra le possibili interpretazioni della norma nel processo penale privilegiare quella che non presenti profili di irragionevolezza e non confligga con i principi costituzionali, deve convenirsi sulla correttezza di quell’orientamento giurisprudenziale per primo illustrato nell’ordinanza di rimessione alle  Sezioni Unite e qui dalle stesse condiviso. La Suprema  Corte ha annullato l’ordinanza della misura cautelare  con sentenza numero 34475/2011 del 23/06/2011 depositata il 22/09/2011.

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