Il diritto penale in termini semplici – AVVOCATO PENALE BOLOGNA

Il diritto penale in termini semplici

  1. Perché questo vademecum?

  2. Cos’è un reato?

  3. Cosa sono le pene?

  4. Chi è l’indagato?

  5. Cosa si intende per responsabilità personale?

  6. Cosa si intende per elemento soggettivo e oggettivo?

  7. Perché si parla di querela e di denuncia?

  8. Quando si configura il dolo?

  9. Quando invece la colpa?

  10. Quando si può parlare di delitto o di contravvenzione?

  11. Da cosa scaturiscono le aggravanti di un reato?

  12. Quando si può limitare la libertà di una persona?

  13. Che cosa accade se cambiano le leggi?

  14. Qual è il limite territoriale in caso di reato?

  15. Che differenza c’è tra il codice penale e il codice di procedura penale?

  16. Chi sono il pubblico ministero e il giudice per le indagini preliminari?

  17. Cos’è un avviso di garanzia?

  18. Cosa si intende invece per avviso di conclusione delle indagini preliminari?

  19. Che cos’è la prescrizione di un reato?

  20. Quando l’indagato diventa imputato?

  21. Cosa succede durante il dibattimento?

  22. Che cosa sono i riti alternativi?

  23. Cosa sono la legittima difesa e lo stato di necessità?

  24. Quali sono gli scopi di una pena?

  25. In caso di pena, cosa sono la prevenzione generale e speciale?

  26. L’ergastolo corrisponde davvero al fine pena mai?

  27. Cosa si intende per esecuzione della pena?

  28. Che cos’è la particolare tenuità del fatto?

  29. Nel caso dei minorenni, cosa accade?

 

Perché questo vademecum?

È un settore complesso, quello del diritto penale, da intendere come quella branca del diritto che definisce che cosa sono i reati e le relative pene previste. Può capitare che un cittadino venga sottoposto a un procedimento penale, ma anche coloro che non vivranno mai questa esperienza hanno modo di venire a contatto tutti i giorni con concetti derivanti dal diritto penale, fosse solo per le cronache giornalistiche che quotidianamente fanno riferimento a indagini e istituti giuridici che è bene conoscere. Per questo motivo proponiamo un elenco di domande e risposte: è fondamentale riuscire a orientarsi in un ambito così vasto e articolato. Ed è fondamentale capire quando è il momento di chiedere l’aiuto di un professionista che possa supportare una persona con problemi di natura penale.

Cos’è un reato?

Il reato è un comportamento umano proibito dalla legge dello Stato: appropriarsi per esempio di qualcosa che appartiene a un’altra persona è vietato e questo comportamento, nel codice penale, viene chiamato furto. Il diritto penale costituisce il corpus delle norme attraverso cui lo Stato definisce i vari tipi di reato prevedendo, nel caso siano dimostrati al termine di un processo, sanzioni, cioè le pene che puniscono quel comportamento.

Cosa sono le pene?

Le pene possono essere di diverso tipo e agiscono limitando o privando l’individuo della propria libertà personale (dalla detenzione in carcere o ai domiciliari o ancora il divieto di ricoprire incarichi pubblici o di esercitare determinate professioni) o del godimento in tutto o in parte del proprio patrimonio (come avviene, per esempio, con il sequestro o la confisca di beni ai mafiosi).

Chi è l’indagato?

Con il termine indagato, invece, si intende una persona sottoposta a indagini perché si ritiene che abbia commesso un reato. Questi ha il diritto inviolabile in ogni grado di giudizio alla difesa di un avvocato, che può essere di vario tipo:

  • difesa d’ufficio, prevista per chi non ha un proprio avvocato;
  • difesa di fiducia, quando l’avvocato nominato dall’indagato;
  • alle persone non abbienti è riservato il cosiddetto gratuito patrocinio con cui l’indagato richiede la nomina di un avvocato la cui assistenza è a spese dello Stato. Per averne diritto, la persona che ne fa richiesta deve avere un reddito documentato dall’ultima dichiarazione non superiore a 11.528,41 euro, se vive solo. Se convive con altre persone (coniuge o altri familiari) il limite del reddito è aumentato di 1.032,91 euro per ciascun familiare convivente.

Se emerge un reato a carico di una persona morta, invece non si procede e se la persona muore nel corso del procedimento penale il reato è considerato estinto. Solo i vivi possono essere indagati e processati.

Cosa si intende per responsabilità personale?

L’autore di un reato è sempre una persona fisica e la responsabilità penale è sempre personale. Dunque non si può perseguire un’associazione, una società o un’organizzazione, ma si deve sempre identificare un individuo ritenuto responsabile del comportamento ritenuto reato. Inoltre, perché alcuni tipi di reato si possano configurare, è necessaria una qualifica particolare: questo ovviamente non accade nel caso del ladro, ma quando si ha a che fare con situazioni più complesso, come la corruzione, l’individuo deve essere un pubblico ufficiale.

Cosa si intende per elemento soggettivo e oggettivo?

Ci sono poi altri elementi da tenere in considerazione:

  • si parla di elemento soggettivo quando ci si riferisce all’atteggiamento psicologico di chi commette un reato, cioè alla volontà di delinquere;
  • l’elemento oggetto è invece costituito dall’azione o dall’omissione compiuta da chi commento in reato che determina il fatto potendo parlare dunque di rapporto (o nesso) di causalità tra condotta ed evento. Se il concetto di azione è facilmente comprensibile (nel furto si prende qualcosa di proprietà altrui), quando si parla di omissione si intende un comportamento che non ottempera a un obbligo (per esempio, la denuncia di un reato da parte di un pubblico ufficiale che ne ha avuto notizia).

Perché si parla di querela e di denuncia?

Querela e denuncia non sono sinonimi. La prima offre un diritto a chiunque si senta offeso da reati non perseguibili d’ufficio, da intendersi in questo secondo caso come quelli per cui l’azione penale è obbligatoria, deve essere avviata quando giunge notizia di un reato e prevede una denuncia. Nel caso di querela (caso tipico è quella per diffamazione presentata contro uno o più giornalisti), chi si sente offeso ha novanta giorni di tempo per esercitare il suo diritto e, differenza dei reati perseguibili d’ufficio, può essere rimessa portando all’estinzione del reato. Con la denuncia, questo non può avvenire e la denuncia può essere presentata da chiunque, non solo dalla parte offesa.

Quando si configura il dolo?

Il dolo rientra tra gli elementi soggettivi e si configura quando un fatto ritenuto un reato viene previsto e voluto da chi lo compie. In questo caso si parla di reato doloso. Succede, per esempio, quando si punta un’arma da fuoco con l’intenzione di uccidere una persona o si prova un incendio spargendo benzina all’interno dell’area che si vuole distruggere.

In sostanza l’autore del reato ha cognizione di ciò che sta facendo e il caso più grave è quello del dolo premeditato. Il dolo eventuale, invece, si concretizza quando l’autore di un’azione prevede che l’evento possa diventare realtà e accetta il rischio che ciò accada.

Quando invece la colpa?

Con colpa, invece, si intendono reati (detti appunto reati colposi) che sono determinati da negligenza (mancata attenzione), imperizia (mancata conoscenza di dettaglio) o imprudenza (comportamento avventato) oppure dal non rispetto di leggi, regolamenti ordini o discipline, ma in questo caso manca la volontà di arrivare a un fatto. Tipico esempio è quello dell’incidente stradale con conseguenze mortali: una disattenzione o una violazione stradale non vengono compiuti con il proposito di uccidere un ciclista, ma il fatto che il guidatore sia stato disattento o non abbia rispettato il codice della stradale ha portato alla morte di un malcapitato passante. Va aggiunto poi che al momento si parla di introdurre il reato di omicidio stradale e in proposito esiste un disegno di legge approvato dal Senato e in discussione alla Camera. Ma al momento non è ancora una legge dello Stato.

Quando si può parlare di delitto o di contravvenzione?

All’interno del concetto di reati, la legge prevede una differenza tra delitto e contravvenzione e la differenza sta nel tipo di pena prevista:

  • nel caso dei delitti, infatti, si prevede la reclusione (a un minimo di 15 giorni a un massimo di 24 anni) o la multa (da un minimo di 50 e un massimo di 50 mila euro);
  • in quello della contravvenzioni l’arresto (da un minimo di 5 giorni a un massimo di 3 anni) o l’ammenda (da un minimo di 20 a un massimo di 10 mila euro).

Il discrimine, in questo caso, è sottile ed è oggetto di un dibattito non ancora giunta a conclusione. In linea di massima, la differenza sta nella gravità dell’offesa alla comunità.

Da cosa scaturiscono le aggravanti di un reato?

I cosiddetti elementi sostanziali e quelli accidentali sono quelli che determinato la presenza o meno di aggravanti: l’azione di rubare è di per sé un elemento sostanziale. Invece commettere un reato in tre o più persone dà origine all’associazione a delinquere e alla conseguente aggravante, che poi ha ripercussioni sulla pena, che diventa più pesante.

Quando si può limitare la libertà di una persona?

Si parte dal presupposto che la libertà della persona è inviolabile. A questo principio, tuttavia, esistono delle deroghe che devono essere motivate dall’autorità giudiziaria: prima di arrivare a una pena detentiva, se prevista dal reato e sancita da una condanna in via definitiva (pronunciata dalla Corte di Cassazione o in un grado di giudizio inferiore – primo o secondo – e non appellata dalle parti), ci può essere la custodia cautelare (in carcere o ai domiciliari). Anche in questo caso il pubblico ministero ha la facoltà di richiederla e a concederla deve essere il Gip con un’apposita ordinanza. Esiste poi anche il fermo di polizia che entro 48 ore deve essere convalidato o meno dall’autorità giudiziaria. Se non avviene la persona sottoposta a fermo deve essere rilasciata.

Che cosa accade se cambiano le leggi?

Un comportamento ritenuto penalmente rilevante non può essere considerato tale se la norma che lo punisce è stata approvata dopo che il comportamento si è manifestato: dunque l’introduzione di una legge non può essere applicata a eventi retroattivi, cioè avvenuti prima dell’introduzione stessa. È differente invece il caso di una legge che abolisce un reato: se il reato viene ipotizzato dopo l’arrivo della legge, non può più essere perseguito perché la legge penale non lo definisce più come tale.

Qual è il limite territoriale in caso di reato?

Un reato non può essere perseguito al di fuori del territorio dello Stato in cui si è manifestato. Dunque la legge penale italiana può essere applicata ai cittadini italiani e ai cittadini stranieri che si trovano all’interno del confini nazionali. Esistono eccezioni, rare e di particolare gravità (come per esempio i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra o il genocidio), che sono di competenza della Corte penale internazionale che ha sede all’Aia, nei Paesi Bassi. Se invece un reato viene commesso da un italiano all’estero, per applicare la legge italiana è necessario che ci sia un atto formale del ministero della Giustizia.

Che differenza c’è tra il codice penale e il codice di procedura penale?

La differenza si applica in questi termini:

  • oltre a quanto già detto, si deve qui aggiungere che il codice penale che si applica in Italia è entrato in vigore il 1 luglio 1931 e prende il nome dal guardasigilli dei tempi, Alfredo Rocco;
  • il codice di procedura penale, invece, contiene le norme che regolano il processo nelle sue varie fasi e quello attuale è stato introdotto il 22 settembre 1988 con un decreto dell’allora presidente della Repubblica, Francesco Cossiga.

Altre fonti del diritto sono la Costituzione italiana entrata in vigore il 1 gennaio 1948 (all’articolo 3 stabilisce per esempio il principio cardine secondo cui “tutti i cittadini […] sono eguali davanti alla legge”, ma sono molti di più gli articoli che si occupano della questione penale) e le convenzioni internazionali ratificate dall’Italia.

Chi sono il pubblico ministero e il giudice per le indagini preliminari?

Le due figure sono radicalmente diverse ed è necessario conoscerne le differenze:

  • il pubblico ministero è un magistrato che ha una funzione inquirente e che rappresenta l’accusa. Ha l’obbligo, così come previsto fin dalla Costituzione, di esercitare l’azione penale nel momento in cui viene a conoscenza di una notizia di reato e per farlo dispone della polizia giudiziaria. In fase dibattimentale il pubblico ministero continuerà a rappresentare l’accusa fino al pronunciamento della sentenza, contro la quale ha facoltà di presentare ricorso. Al termine di un’indagine, se non ha rilevato reati, può chiedere l’archiviazione, che deve essere decretata da giudice;
  • si tratta del Gip (il giudice per le indagini preliminari e ha funzioni giurisdizionali di garanzia), il quale è chiamato a esprimersi anche quando il pubblico ministero chiede il rinvio a giudizio.

Cos’è un avviso di garanzia?

Se il presunto autore di un reato non è ignoto, una persona sottoposta a indagini può vedersi notificare dal pubblico ministero un avviso di garanzia. Con questo atto, viene data notizia all’indagato che è in corso un’indagine a suo carico e per farlo si deve comunicare quali articoli del codice penale si ritengono violati, in che data e in quale luogo. L’indagato in questa sede di nominare nomina un legale di fiducia o, se ciò non accade, gliene viene assegnato uno d’ufficio in modo da poter esercitare il diritto di difesa. Va aggiunto che una persona sottoposta a indagini non deve venire informata per forza: l’obbligo del pubblico ministero a farlo subentra solo quando deve compiere atti per i quali è previsto il coinvolgimento dell’avvocato a difesa dell’indagato. Se ciò non accade nel corso dell’indagine, all’indagato può essere notificato direttamente l’avviso di conclusione delle indagini preliminari.

Cosa si intende invece per avviso di conclusione delle indagini preliminari?

È un atto che il pubblico ministero compie quando decide di esercitare l’azione penale dando diritto all’indagato di procedere con la propria difesa e di avanzare eventuali richieste. Tra queste, la presentazione entro venti giorni di una memoria difensiva, indagini condotte dalla difesa, documenti correlati e la richiesta dell’indagato di essere interrogato, unico atto a cui il pubblico ministero è tenuto a ottemperare. A valle di ciò, il pubblico ministero ha può compiere due azioni:

  • la più probabile è la richiesta di rinvio a giudizio che verrà valutata dal giudice per l’udienza preliminare;
  • la richiesta di archiviazione, molto più improbabile ma non esclusa del tutto alla luce di eventuali nuovi acquisizioni.

Che cos’è la prescrizione di un reato?

È il tempo massimo nel quale si può esercitare l’azione penale e trascorso il quale il reato è considerato estinto. Questo termine, dal momento in cui il reato si manifesta, non è mai inferiore ai sei anni per i delitti e ai quattro per le contravvenzioni. Inoltre, via via che la gravità del reato è più marcata, si allunga anche il tempo della prescrizione che può essere interrotta da alcuni atti (per esempio, avviso di conclusione delle indagini preliminari, richiesta di rinvio a giudizio, sentenza o decreto di condanna, ordinanza di custodia cautelare o convalida di un arresto o di un fermo). L’interruzione, tuttavia, non dilata senza limite i tempi di prescrizione, che possono solo essere aumentati da un quarto al doppio a seconda delle situazioni. I reati punibili con la pena dell’ergastolo, invece, si dicono imprescrittibili e per perseguirli l’azione penale può essere sempre esercitata.

Quando l’indagato diventa imputato?

L’imputazione viene formulata con la richiesta di rinvio a giudizio che, introducendo il processo, dà origine a due fasi:

  • l’udienza preliminare al termine della quale il Gup (il giudice per l’udienza preliminare) chiamato a pronunciarsi può decidere di archiviare il procedimento anche in assenza di una richiesta in questo senso del pubblico ministero, se ritiene che le imputazioni siano prive di fondamento: in questo caso l’imputato viene prosciolto con una sentenza di non luogo a procedere;
  • se invece ciò non accade e il giudice ritiene di procedere, allora viene pronunciato il rinvio a giudizio con un apposito decreto e si apre la fase del dibattimento.

Cosa succede durante il dibattimento?

Durante il dibattimento, le parti e il giudice verificano che il reato si sia davvero consumato:

  • ciò avviene nella cosiddetta istruttoria dibattimentale, quando accusa e difesa presentano le prove che il giudice, formulando le proprie valutazioni, può accogliere o meno insieme alle informazioni per passare alla fase successiva;
  • questa fase è quella dell’acquisizione probatoria (esame e controesame di testimoni, imputato, periti, consulenti, espletamento delle perizie);
  • terminata anche questa fase, si passa alla deliberazione del giudice, che si pronuncia attraverso un giudizio raggiunto in base al suo libero convincimento: è a questo punto che si formula la sentenza di non doversi procedere (in questo caso l’azione penale non doveva iniziare o procedere), di assoluzione (l’imputato è riconosciuto innocente oppure l’accusa non è sufficientemente provata) o di condanna (se l’imputato è giudicato colpevole). La sentenza è composta da due parti: il dispositivo (la decisione del giudice) e le motivazioni (l’esposizione delle ragioni che hanno portato al pronunciamento).

Che cosa sono i riti alternativi?

Oltre al dibattimento, l’ordinamento italiano prevede i cosiddetti riti alternativi a cui si può ricorrere solo c’è accordo tra le parti (accusa e difesa). Sono riti che comportano vantaggi per entrambe: infatti, rinunciando al dibattimento, il processo ha uno svolgimento più rapido, è meno oneroso e prevede per l’imputato dello sconto fino a un terzo della pena, se riconosciuto colpevole (per questo si chiamano riti alternativi premiali). In questo contesto sono diversi i tipi di rito:

  • da un lato ci sono quello abbreviato: il giudice valuta in udienza preliminare sulla base degli atti acquisiti fino a quel momento. Vi si fa ricorso per esempio per fatti di sangue che potrebbero comportare l’ergastolo e che, in forza della riduzione della pena, prevedono pene meno severe; si aggiunge il patteggiamento: un accordo tra accusa e difesa sulla condanna e sulla pena da comminare per reati meno gravi rispetto a quelli contemplati dall’abbreviato;
  • dall’altro il giudizio immediato e quello direttissimo, per i quali si salta l’udienza preliminare e viene pronunciato il giudizio in base alle prove dei fatti contestati.

Nell’ordinamento poi si trova il procedimento per decreto penale, quello per il quale un giudice formula il giudizio in base alle risultanze prodotte dal pubblico ministero. In questo caso la persona a cui è stato contestato un reato non partecipa al procedimento e si vede scontare la pena della metà. Se ritiene la pena comunque eccessiva, può ricorrere entro quindici giorni per chiedere il dibattimento, all’applicazione della pena o al rito abbreviato.

Cosa sono la legittima difesa e lo stato di necessità?

Esistono dei casi in cui il fatto contestato esiste, ma non porta a una condanna per le cosiddette cause di non punibilità. Ne esistono di diversi tipi:

  • la legittima difesa, quando si reagisce, in stato di pericolo, a un’aggressione in un modo che deve essere indispensabile, proporzionale all’aggressione subita e per difendere un proprio diritto o un diritto di terzi;
  • lo stato di necessità, che si delinea quando ci si trova nella condizione di salvare sé stessi o altre persone da un pericolo che può portare a un grave danno, come la perdita della vita.

Quali sono gli scopi di una pena?

La pena, quando viene inflitta, può avere diversi scopi, che a volte si presentano in contemporanea a seconda della gravità del reato:

  • punire una condotta illecita;
  • limitare la libertà (fisica o d’azione) di una persona che ha compiuto un reato;
  • risarcire un danno collettivo o individuale prodotto dal reato.

Punta a evitare che il reato possa essere ripetuto (o che ne siano commessi altri) e rappresenta anche una sorta di monito sociale a non compiere azioni che sono socialmente dannose.

In caso di pena, cosa sono la prevenzione generale e speciale?

Si può dire che la pena ha una funzione di prevenzione generale mentre la prevenzione speciale è affidata alla misura di sicurezza (le più note sono il carcere e la detenzione domiciliare, ma ne esistono anche altre, come per esempio il divieto di soggiorno, l’obbligo di firma, la libertà vigilata o la sorveglianza speciale). Il tutto, rispetto all’intento originario del Codice Rocco, è stato poi integrato dall’articolo 27 della Costituzione italiana: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”.

L’ergastolo corrisponde davvero al fine pena mai?

L’ordinamento italiano prevede anche l’ergastolo, cioè il carcere a vita, e si infligge solo per reati particolarmente gravi. Per citarne alcuni, omicidio volontario, strage, alto tradimento, attentato contro il presidente della Repubblica o capi di Stato esteri. Tuttavia la cosiddetta legge Gozzini del 10 ottobre 1986 (dal nome del suo promotore, Mario Gozzini) prevede che in alcuni casi la pena possa estinguersi in una trentina d’anni (in questo caso si parla di ergastolo condizionale). Diverso è il caso dell’ergastolo ostativo, applicato per esempio a boss mafiosi e ai loro affiliati detenuti in regime di carcere duro (quello previsto dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario italiano). In questo caso è negato il diritto ad accedere a benefici di legge (permessi, semilibertà o libertà condizionale) e misure alternative al carcere (per esempio la detenzione domiciliare, l’affidamento in prova al servizio sociale o la liberazione anticipata.

In caso di ingiusta detenzione, cosa succede?

All’imputato definitivamente assolto (o a favore del quale è stata pronunciata una sentenza di non luogo a procedere o è stato disposto un provvedimento di archiviazione) ha diritto a una riparazione equa se ha trascorso un periodo di ingiusta detenzione perché sottoposto a un periodo di custodia cautelare. La domanda deve essere presentata entro due anni dall’imputato stessa e la valuta la Corte d’Appello.

Cosa si intende per esecuzione della pena?

L’esecuzione della pena definitiva o non più impugnabile è affidata al pubblico ministero dà ordine di esecuzione, nel caso di una pena detentiva. Se invece la pena è pecuniaria, la cancelleria del giudice dell’esecuzione (colui che ha pronunciato il giudizio irrevocabile) notifica un’ingiunzione di pagamento che comprende data entro il quale versare la somma e l’importo preciso. Se ciò non avviene, gli atti vengono trasmessi al pubblico ministero per l’applicazione di una pena sostitutiva.

Che cos’è la particolare tenuità del fatto?

È una disciplina entrata in vigore il 2 aprile 2015 ed è contenuta nel decreto legislativo del 16 marzo 2015, il numero 28, e prevede l’istituto giuridico della non punibilità per particolare tenuità dell’offesa per reati che comportano pene pecuniarie e/o detentive non superiori ai cinque anni. La norma è applicabile quando il comportamento ritenuto reato esclude la crudeltà, i motivi abietti o futili, condotte contro gli animali, sevizie su persone diversamente abili che non possono difendersi o reati di particolare rilevanza, come quelli che provocato la morte o lesioni gravissime. A pronunciare la non punibilità per tenuità del reato deve essere sempre un giudice che deve valutare, oltre alla portata del reato, anche la non abitualità del comportamento contestato.

Nel caso dei minorenni, cosa accade?

Se la persona accusata di aver commesso un reato è minorenne, l’iter giudiziario è disciplinato da norme ad hoc previste da un decreto del presidente della Repubblica, il numero 488 del 22 settembre 1988. Questo per offrire le adeguate tutele a persone che non hanno raggiunto i diciotto anni, considerate in via di formazione e da reinserire nella società il prima possibile. La differenza principale tra il processo ordinario, così come descritto nelle voci precedenti, e quello minorile, affidato a organi appositi (procura e procura generale, tribunale, corte d’appello, magistrato di sorveglianza per i minorenni), sta nella non pubblicità delle udienze, che sono a porte chiuse, e nel divieto di diffondere immagini e notizie che portino all’identificazione del minore. È attenuato anche il ricorso alla custodia cautelare in carcere, limitato a reati di estrema gravità, e l’udienza preliminare può terminare con una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto e conseguente proscioglimento.

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