Diritto alla protezione dei dati personali – Diritto all’autodeterminazione informativa – Distinzione rispetto al diritto alla riservatezza – Bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco

 

Diritto alla protezione dei dati personali – Diritto all’autodeterminazione informativa – Distinzione rispetto al diritto alla riservatezza – Bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco

Cassazione civile, sez. I, 27 Marzo 2020, n. 7559. Pres. Giancola. Est. Campese.

Fatto

 

.M.F., in proprio e quale figlio legittimo di A.A., deceduto il (*), propose ricorso al Garante per la protezione dei dati personali, D.Lgs. n. 196 del 2003, ex artt. 145 e ss. in relazione alla pubblicazione, nell’archivio storico del sito internet de “(*)”, di due articoli a firma di N.R., titolati “(*)” del (*) e “(*)” dell'(*).

1.1. Espose che quegli articoli, comparsi illo tempore sull’edizione cartacea de “(*)”, e successivamente confluiti nell’archivio storico del sito del quotidiano, avevano ad oggetto le vicende riguardanti il rinvio a giudizio e la successiva condanna in primo grado del defunto padre, Cav. A.A., insigne imprenditore per lunghi anni a capo del (*), importante realtà a livello Europeo nel campo tipografico. Le suddette pubblicazioni fornivano, a suo dire, una verità parziale, frammentata e fuorviante dei fatti di cronaca giudiziaria, dal momento che non riportavano l’evoluzione della vicenda, per essere stato il Cav. P. prosciolto, giusta sentenza della Corte di appello di Brescia del 15 ottobre 2001, n. 1948, passata in cosa giudicata. Rilevò che l’attualità della presenza nel sito del quotidiano di una notizia di cronaca giudiziaria, peraltro incompleta e non aggiornata, costituisse un inaccettabile vulnus alla memoria di A.A., costituendo un’informazione contraria alla realtà dei fatti, e, dunque, fortemente lesiva dell’onore, della reputazione, della dignità del de cuius ma anche della famiglia tutta che, da sempre, gestisce le società che fanno capo al Gruppo e che con essa si identificano. I due articoli risultavano, invero, facilmente reperibili sulla rete internet attraverso una ricerca con i comuni motori di ricerca ((*)), circostanza che aumentava il carattere di diffusività dell’informazione errata. Domandò, dunque, la rimozione di quegli scritti dal sito web del “(*)” e, in via subordinata, il loro aggiornamento, con richiesta di adozione di tutte le misure tecnicamente idonee ad evitarne la reperibilità attraverso la ricerca con i comuni motori di ricerca.

1.2. L’Autorità Garante, con provvedimento n. 196/2011, variamente motivando, ritenne infondate le richieste di cancellazione dei dati personali relativi al padre defunto dell’istante contenuti negli articoli oggetto di contestazione e di aggiornamento dei medesimi dati; dichiarò, poi, il non luogo a provvedere in ordine alla domanda volta ad escludere l’indicizzazione degli articoli da parte dei motori esterni al sito del quotidiano, avendo il titolare del trattamento fornito, sul punto, un riscontro sufficiente.

  1. P.M.F., in proprio e nella indicata qualità, impugnò il descritto provvedimento innanzi al Tribunale di Milano chiedendo, in via principale, la rimozione degli articoli in oggetto dal sito web del “(*)”; in via subordinata, che fossero resi anonimi i dati personali contenuti nei menzionati articoli; in via ulteriormente gradata, che venisse ordinato alla società resistente l’aggiornamento delle notizie allora pubblicate aggiungendo al testo “il riferimento al successivo proscioglimento del Cav. P. dichiarato con sentenza della Corte di appello di Brescia del 15/10/2001”.

2.1. Instauratosi il contraddittorio, si costituirono la società editrice RCS Quotidiani s.p.a., sostenendo la correttezza del proprio operato, nonchè l’Autorità Garante, rivendicando la legittimità del provvedimento opposto, stante l’assenza di illecito trattamento dei dati personali del ricorrente. Nel corso del relativo giudizio, peraltro, si diede atto che: i) l’articolo “(*)”, pubblicato il (*), risultava effettivamente non più indicizzato, non essendo più accessibile attraverso i motori di ricerca, nè direttamente fruibile dagli utenti esterni che accedevano al sito informatico del “(*)”, sicchè era cessata la materia del contendere in ordine a tutte le domande ad esso afferenti, persistendo la controversia esclusivamente con riguardo all’articolo “Eredità miliardaria.

PEDONE RiSaRCiMeNtO CoMe FarE Tempi, modalita’ avvocato esperto

rubricato “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 3 e art. 7 del Codice Privacy (D.Lgs. n. 196 del 2003) e difetto di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, censura la decisione impugnata, ritenendola “palesemente viziata, difettando pure di una congrua e logica motivazione”, laddove ha ritenuto sussistere la legittimazione del ricorrente al promovimento dell’azione esclusivamente nella sua qualità di erede del defunto padre, e non già in proprio, in quanto gli articoli di cui si discorre non trattano dati pertinenziali alla sua persona, non avendo comunque il Dott. P. dedotto in giudizio lesioni riferibili a propri dati personali illecitamente trattati, ovvero lesioni a sè derivanti da un illecito trattamento dei dati del proprio congiunto, da cui ricavare un autonomo vulnus ed un autonomo diritto di tutela. Neppure sarebbe stato dirimente, ad avviso del tribunale, l’argomento di agire a tutela dell’onore e della reputazione della famiglia che da sempre gestisce le società che fanno capo al (*), non avendo il ricorrente agito nella veste di procuratore speciale del gruppo familiare o delle società facenti capo al gruppo industriale predetto. Assume, invece, il ricorrente di non aver “dedotto in giudizio una lesione diretta o un illecito trattamento di dati riguardanti la propria persona”, ma di aver “correttamente azionato, avendone un interesse proprio sub specie di tutela del proprio nome, della propria reputazione ed immagine sociale, l’esercizio dei diritti di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 7 essendo a tanto legittimato sulla base dell’art. 9, comma 3 medesimo decreto, rispetto al trattamento dei dati del defunto padre, a garanzia di una corretta dimenticanza – anche a propria tutela – di quei fatti di cronaca giudiziaria”, e di aver “agito per ragioni familiari sulla scorta di interessi evidentemente meritevoli di tutela, ma non effettivamente nella veste di procuratore di alcuno”. La sentenza impugnata, dunque, doveva essere annullata, “in considerazione della violazione e falsa applicazione di legge ritualmente rilevati, sul presupposto che sussiste un interesse esercitabile in proprio da parte dell’odierno ricorrente ed una disposizione normativa che consente l’esercizio dei diritti per i quali è stata azionata la tutela” (cfr. pag. 11 del ricorso).

4.1. Il secondo motivo prospetta un “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Insufficiente e contraddittoria motivazione sulla scorta delle risultanze probatorie prodotte in atti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Si assume che l’articolo titolato “(*)”, oggetto di aggiornamento da parte di RCS Quotidiani, oltre che essere rimasto all’interno del sito del quotidiano e reperibile attraverso il motore di ricerca della pagina web dell’archivio storico, viene pescato come primo risultato attraverso una ricerca effettuata con i comuni motori (*) digitando le stringhe di ricerca ” P.-(*)”, con un rimando alla pagina dell’archivio storico del Corriere, tanto cha ancora oggi risulta così indicizzato. Il Tribunale di Milano, tuttavia, sulla domanda del ricorrente di deindicizzare l’articolo dai comuni motori di ricerca esterni al (*), aveva inaspettatamente concluso pronunciando la cessazione della materia del contendere (motivando nel senso che “il testo in esame non è più reperibile attraverso l’utilizzo dei generali motori di ricerca della rete; dalla documentazione allegata dalle parti… emerge che il testo risulta ad oggi reperibile esclusivamente dagli internauti che entrino nell’archivio informatico del (*)…”), decisione palesemente viziata, erronea e contraddittoria, motivata sulla scorta di evidenze probatorie versate in atti che smentiscono quanto asserito dal tribunale.

4.2. Il terzo motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 4, 7, 11, 23, 101, 102 Codice Privacy (D.Lgs. n. 196 del 2003), dell’art. 6 della Direttiva Comunitaria n. 95/46 e dell’art. 2 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Insufficienza e contraddittoria motivazione”. Si censura la decisione del tribunale milanese che, dopo un lungo excursus sul bilanciamento degli interessi contrapposti nell’era digitale – diritto al controllo del dato come espressione del principio generale di cui all’art. 11 Codice Privacy, di cui il diritto all’oblio costituisce specificazione; diritto dei cittadini ad essere informati e diritto dei mezzi di comunicazione ad informare “nel tempo”, ove il dato sia trattato correttamente e permanga l’interesse alla sua conoscenza -, era giunto a negare la tutela richiestagli sia sotto il profilo della deindicizzazione dell’articolo dal motore di ricerca interno all’archivio storico del (*), sia con riguardo alla richiesta di rimozione/cancellazione totale dal suddetto archivio. Si sostiene che i dati concernenti la vicenda P. riportati negli articoli di stampa non sono, come, invece, erroneamente ritenuto dal giudice a quo, dati economici o riguardanti l’attività economica esercitata, bensì dati giudiziari. Posto, allora, che “l’interesse sociale di “fare memoria” di quei fatti di cronaca giudiziaria, anche in relazione alla modalità del trattamento prescelta dal Titolare e della sua potenziale diffusività e lesività, ed in assenza di evidenti e particolari esigenze di carattere storico, didattico, culturale (per richiamare la pronuncia di questa Corte n. 5525/2012), deve cedere il passo ai diritti ed alle libertà enunciate dall’art. 2 Codice Privacy, tra cui il diritto alla riservatezza, trasmodando altrimenti i limiti del trattamento pertinente, non eccedente e dunque lecito”, si ascrive alla pronuncia impugnata di essere incorsa “in una palese violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 2,7 e 11 nel ritenere prevalente l’interesse della collettività, “e in particolare del mondo economico”, alla conoscenza della ormai “storica” notizia, pur in assenza di particolari esigenze che giustifichino la permanenza del dato in un archivio liberamente accessibile e creato in relazione alle (nuove) finalità storico-documentaristiche; di tal che il trattamento posto in essere dal Corriere oggi è eccedente e non pertinente rispetto alle sue finalità secondo quanto previsto dall’art. 11, dovendo prevalere il potere di controllo dell’interessato sui dati, in ragione del preminente diritto di riservatezza, protezione dei dati personali e dignità che nell’art. 2 del Codice trovano fondamento” (cfr. pag. 19 del ricorso).

  1. Precisandosi, fin da ora, che i riferimenti agli articoli di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003 devono intendersi effettuati ai rispettivi testi (applicabili ratione temporis) anteriori alle modifiche apportategli dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, ritiene il Collegio di dover anteporre l’esame del terzo motivo allo scrutinio dei primi due, apparendo del tutto evidente il carattere centrale di esso, rispetto agli altri, sintetizzabile nell’assunto secondo cui le finalità giornalistiche giustificative della pubblicazione, all’epoca delle vicende giudiziarie che avevano coinvolto Pietro P. (padre, medio tempore deceduto, dell’odierno ricorrente), dei dati inerenti la sua persona in articoli che narravano le vicende stesse, vere e note, si sarebbero del tutto attenuate in forza del lunghissimo tempo trascorso, rendendo, così, affatto lecita la domanda, oggi proposta da suo figlio, di tutela della riservatezza e del riconoscimento del conseguente diritto all’oblio. Si tratta, in altri termini, e come condivisibilmente rimarcato dal sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta (cfr. pag. 5), di “ragionare su quali siano i dati aventi una rilevanza storica o semplicemente storiografica, la conservazione dei quali è prevalente rispetto al diritto del singolo ad essere dimenticato dal contesto storico-sociale (right to be left alone) ed al diritto del singolo a mantenere il controllo dei dati relativi alla propria sfera personale fino al punto da poterne esigere la cancellazione quando siano venute meno le esigenze che ne hanno suggerito la raccolta e la diffusione”. Le argomentazioni che su tale motivo saranno svolte, e le conclusioni conseguentemente adottate, del resto, si riveleranno incidenti sull’esito degli altri.

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DECISIONE E MOTIVAZIONE
rubricato “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 3 e art. 7 del Codice Privacy (D.Lgs. n. 196 del 2003) e difetto di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, censura la decisione impugnata, ritenendola “palesemente viziata, difettando pure di una congrua e logica motivazione”, laddove ha ritenuto sussistere la legittimazione del ricorrente al promovimento dell’azione esclusivamente nella sua qualità di erede del defunto padre, e non già in proprio, in quanto gli articoli di cui si discorre non trattano dati pertinenziali alla sua persona, non avendo comunque il Dott. P. dedotto in giudizio lesioni riferibili a propri dati personali illecitamente trattati, ovvero lesioni a sè derivanti da un illecito trattamento dei dati del proprio congiunto, da cui ricavare un autonomo vulnus ed un autonomo diritto di tutela. Neppure sarebbe stato dirimente, ad avviso del tribunale, l’argomento di agire a tutela dell’onore e della reputazione della famiglia che da sempre gestisce le società che fanno capo al (*), non avendo il ricorrente agito nella veste di procuratore speciale del gruppo familiare o delle società facenti capo al gruppo industriale predetto. Assume, invece, il ricorrente di non aver “dedotto in giudizio una lesione diretta o un illecito trattamento di dati riguardanti la propria persona”, ma di aver “correttamente azionato, avendone un interesse proprio sub specie di tutela del proprio nome, della propria reputazione ed immagine sociale, l’esercizio dei diritti di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 7 essendo a tanto legittimato sulla base dell’art. 9, comma 3 medesimo decreto, rispetto al trattamento dei dati del defunto padre, a garanzia di una corretta dimenticanza – anche a propria tutela – di quei fatti di cronaca giudiziaria”, e di aver “agito per ragioni familiari sulla scorta di interessi evidentemente meritevoli di tutela, ma non effettivamente nella veste di procuratore di alcuno”. La sentenza impugnata, dunque, doveva essere annullata, “in considerazione della violazione e falsa applicazione di legge ritualmente rilevati, sul presupposto che sussiste un interesse esercitabile in proprio da parte dell’odierno ricorrente ed una disposizione normativa che consente l’esercizio dei diritti per i quali è stata azionata la tutela” (cfr. pag. 11 del ricorso).

4.1. Il secondo motivo prospetta un “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Insufficiente e contraddittoria motivazione sulla scorta delle risultanze probatorie prodotte in atti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Si assume che l’articolo titolato “(*)”, oggetto di aggiornamento da parte di RCS Quotidiani, oltre che essere rimasto all’interno del sito del quotidiano e reperibile attraverso il motore di ricerca della pagina web dell’archivio storico, viene pescato come primo risultato attraverso una ricerca effettuata con i comuni motori (*) digitando le stringhe di ricerca ” P.-(*)”, con un rimando alla pagina dell’archivio storico del Corriere, tanto cha ancora oggi risulta così indicizzato. Il Tribunale di Milano, tuttavia, sulla domanda del ricorrente di deindicizzare l’articolo dai comuni motori di ricerca esterni al (*), aveva inaspettatamente concluso pronunciando la cessazione della materia del contendere (motivando nel senso che “il testo in esame non è più reperibile attraverso l’utilizzo dei generali motori di ricerca della rete; dalla documentazione allegata dalle parti… emerge che il testo risulta ad oggi reperibile esclusivamente dagli internauti che entrino nell’archivio informatico del (*)…”), decisione palesemente viziata, erronea e contraddittoria, motivata sulla scorta di evidenze probatorie versate in atti che smentiscono quanto asserito dal tribunale.

4.2. Il terzo motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 4, 7, 11, 23, 101, 102 Codice Privacy (D.Lgs. n. 196 del 2003), dell’art. 6 della Direttiva Comunitaria n. 95/46 e dell’art. 2 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Insufficienza e contraddittoria motivazione”. Si censura la decisione del tribunale milanese che, dopo un lungo excursus sul bilanciamento degli interessi contrapposti nell’era digitale – diritto al controllo del dato come espressione del principio generale di cui all’art. 11 Codice Privacy, di cui il diritto all’oblio costituisce specificazione; diritto dei cittadini ad essere informati e diritto dei mezzi di comunicazione ad informare “nel tempo”, ove il dato sia trattato correttamente e permanga l’interesse alla sua conoscenza -, era giunto a negare la tutela richiestagli sia sotto il profilo della deindicizzazione dell’articolo dal motore di ricerca interno all’archivio storico del (*), sia con riguardo alla richiesta di rimozione/cancellazione totale dal suddetto archivio. Si sostiene che i dati concernenti la vicenda P. riportati negli articoli di stampa non sono, come, invece, erroneamente ritenuto dal giudice a quo, dati economici o riguardanti l’attività economica esercitata, bensì dati giudiziari. Posto, allora, che “l’interesse sociale di “fare memoria” di quei fatti di cronaca giudiziaria, anche in relazione alla modalità del trattamento prescelta dal Titolare e della sua potenziale diffusività e lesività, ed in assenza di evidenti e particolari esigenze di carattere storico, didattico, culturale (per richiamare la pronuncia di questa Corte n. 5525/2012), deve cedere il passo ai diritti ed alle libertà enunciate dall’art. 2 Codice Privacy, tra cui il diritto alla riservatezza, trasmodando altrimenti i limiti del trattamento pertinente, non eccedente e dunque lecito”, si ascrive alla pronuncia impugnata di essere incorsa “in una palese violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 2,7 e 11 nel ritenere prevalente l’interesse della collettività, “e in particolare del mondo economico”, alla conoscenza della ormai “storica” notizia, pur in assenza di particolari esigenze che giustifichino la permanenza del dato in un archivio liberamente accessibile e creato in relazione alle (nuove) finalità storico-documentaristiche; di tal che il trattamento posto in essere dal Corriere oggi è eccedente e non pertinente rispetto alle sue finalità secondo quanto previsto dall’art. 11, dovendo prevalere il potere di controllo dell’interessato sui dati, in ragione del preminente diritto di riservatezza, protezione dei dati personali e dignità che nell’art. 2 del Codice trovano fondamento” (cfr. pag. 19 del ricorso).

  1. Precisandosi, fin da ora, che i riferimenti agli articoli di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003 devono intendersi effettuati ai rispettivi testi (applicabili ratione temporis) anteriori alle modifiche apportategli dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, ritiene il Collegio di dover anteporre l’esame del terzo motivo allo scrutinio dei primi due, apparendo del tutto evidente il carattere centrale di esso, rispetto agli altri, sintetizzabile nell’assunto secondo cui le finalità giornalistiche giustificative della pubblicazione, all’epoca delle vicende giudiziarie che avevano coinvolto Pietro P. (padre, medio tempore deceduto, dell’odierno ricorrente), dei dati inerenti la sua persona in articoli che narravano le vicende stesse, vere e note, si sarebbero del tutto attenuate in forza del lunghissimo tempo trascorso, rendendo, così, affatto lecita la domanda, oggi proposta da suo figlio, di tutela della riservatezza e del riconoscimento del conseguente diritto all’oblio. Si tratta, in altri termini, e come condivisibilmente rimarcato dal sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta (cfr. pag. 5), di “ragionare su quali siano i dati aventi una rilevanza storica o semplicemente storiografica, la conservazione dei quali è prevalente rispetto al diritto del singolo ad essere dimenticato dal contesto storico-sociale (right to be left alone) ed al diritto del singolo a mantenere il controllo dei dati relativi alla propria sfera personale fino al punto da poterne esigere la cancellazione quando siano venute meno le esigenze che ne hanno suggerito la raccolta e la diffusione”. Le argomentazioni che su tale motivo saranno svolte, e le conclusioni conseguentemente adottate, del resto, si riveleranno incidenti sull’esito degli altri.

Ragioni di fatto e di diritto della decisione

  1. P.M.F., in proprio e quale figlio legittimo di A.A., deceduto il (*), propose ricorso al Garante per la protezione dei dati personali, D.Lgs. n. 196 del 2003, ex artt. 145 e ss. in relazione alla pubblicazione, nell’archivio storico del sito internet de “(*)”, di due articoli a firma di N.R., titolati “(*)” del (*) e “(*)” dell'(*).

1.1. Espose che quegli articoli, comparsi illo tempore sull’edizione cartacea de “(*)”, e successivamente confluiti nell’archivio storico del sito del quotidiano, avevano ad oggetto le vicende riguardanti il rinvio a giudizio e la successiva condanna in primo grado del defunto padre, Cav. A.A., insigne imprenditore per lunghi anni a capo del (*), importante realtà a livello Europeo nel campo tipografico. Le suddette pubblicazioni fornivano, a suo dire, una verità parziale, frammentata e fuorviante dei fatti di cronaca giudiziaria, dal momento che non riportavano l’evoluzione della vicenda, per essere stato il Cav. P. prosciolto, giusta sentenza della Corte di appello di Brescia del 15 ottobre 2001, n. 1948, passata in cosa giudicata. Rilevò che l’attualità della presenza nel sito del quotidiano di una notizia di cronaca giudiziaria, peraltro incompleta e non aggiornata, costituisse un inaccettabile vulnus alla memoria di A.A., costituendo un’informazione contraria alla realtà dei fatti, e, dunque, fortemente lesiva dell’onore, della reputazione, della dignità del de cuius ma anche della famiglia tutta che, da sempre, gestisce le società che fanno capo al Gruppo e che con essa si identificano. I due articoli risultavano, invero, facilmente reperibili sulla rete internet attraverso una ricerca con i comuni motori di ricerca ((*)), circostanza che aumentava il carattere di diffusività dell’informazione errata. Domandò, dunque, la rimozione di quegli scritti dal sito web del “(*)” e, in via subordinata, il loro aggiornamento, con richiesta di adozione di tutte le misure tecnicamente idonee ad evitarne la reperibilità attraverso la ricerca con i comuni motori di ricerca.

1.2. L’Autorità Garante, con provvedimento n. 196/2011, variamente motivando, ritenne infondate le richieste di cancellazione dei dati personali relativi al padre defunto dell’istante contenuti negli articoli oggetto di contestazione e di aggiornamento dei medesimi dati; dichiarò, poi, il non luogo a provvedere in ordine alla domanda volta ad escludere l’indicizzazione degli articoli da parte dei motori esterni al sito del quotidiano, avendo il titolare del trattamento fornito, sul punto, un riscontro sufficiente.

  1. P.M.F., in proprio e nella indicata qualità, impugnò il descritto provvedimento innanzi al Tribunale di Milano chiedendo, in via principale, la rimozione degli articoli in oggetto dal sito web del “(*)”; in via subordinata, che fossero resi anonimi i dati personali contenuti nei menzionati articoli; in via ulteriormente gradata, che venisse ordinato alla società resistente l’aggiornamento delle notizie allora pubblicate aggiungendo al testo “il riferimento al successivo proscioglimento del Cav. P. dichiarato con sentenza della Corte di appello di Brescia del 15/10/2001”.

2.1. Instauratosi il contraddittorio, si costituirono la società editrice RCS Quotidiani s.p.a., sostenendo la correttezza del proprio operato, nonchè l’Autorità Garante, rivendicando la legittimità del provvedimento opposto, stante l’assenza di illecito trattamento dei dati personali del ricorrente. Nel corso del relativo giudizio, peraltro, si diede atto che: i) l’articolo “(*)”, pubblicato il (*), risultava effettivamente non più indicizzato, non essendo più accessibile attraverso i motori di ricerca, nè direttamente fruibile dagli utenti esterni che accedevano al sito informatico del “(*)”, sicchè era cessata la materia del contendere in ordine a tutte le domande ad esso afferenti, persistendo la controversia esclusivamente con riguardo all’articolo “Eredità miliardaria. E’ guerra”; ii) il ricorrente aveva dichiarato di rinunciare alla domanda di rendere anonimi i dati del defunto P., con conseguente cessazione della materia del contendere anche in ordine a tale richiesta; iii) ad analoga determinazione doveva giungersi circa l’aggiornamento apportato dal “(*)” in calce all’articolo da ultimo indicato, dove veniva ex novo dato conto dell’esito del procedimento penale allora celebrato nei confronti del defunto.

2.1.1. P.M.F., tuttavia, insistè nella domanda di rimozione o, in subordine, di deindicizzazione anche di tale articolo, ma il tribunale, osservato che il testo in esame non era più reperibile attraverso l’utilizzo dei generali motori di ricerca della rete (dalla documentazione allegata dalle parti, invero, emergeva che il testo risultava attualmente raggiungibile esclusivamente dagli internauti che fossero entrati nell’archivio informatico del (*)), ritenne cessata la materia del contendere anche con riferimento alla richiesta deindicizzazione dai motori di ricerca di quel testo.

2.2. Il tribunale, infine, all’esito di un lungo excursus motivazionale, respinse ogni altra domanda spiegata dal ricorrente sia in proprio che nella suddetta qualità.

2.2.1. In particolare, circa quelle in proprio, rimarcò che (cfr., amplius, pag. 15 della sentenza oggi impugnata) “il sistema normativo di protezione del dato personale è univocamente riferibile all’interessato, ossia alla persona cui si riferiscono i dati personali, esclusivo titolare di ogni azione riconosciuta a tutela dei dati che lo riguardano, secondo quanto disposto agli artt. 1 e 4 codice (risultando estraneo al perimetro del presente procedimento il disposto di cui all’art. 9, comma 3 cit. codice, disciplinante il diverso diritto all’accesso ai dati del de cuius in presenza di un interesse personale del terzo, meritevole di tutela)”; che “gli articoli in esame non trattano dati pertinenziali alla persona del ricorrente; ne consegue che, sotto tale profilo, non pare configurabile la legittimazione attiva di P. al promovimento di un’azione ex art. 152 cit. in proprio, ma solo ed in quanto erede del de cuius”; che, a tutto concedere, dai fatti come prospettati dal ricorrente, ne derivava che lo stesso avrebbe agito “in proprio nel presente giudizio a tutela di un vulnus a sè derivante dall’essere (o dall’essere stato) legale rappresentante ed azionista delle società facenti capo al gruppo industriale P. e comunque parte del medesimo gruppo di famiglia”; che, tuttavia, “i componenti della famiglia ” P.” sono soggetti estranei alle parti del presente procedimento, così come il gruppo di società in oggetto”; che “l’odierno ricorrente non risulta del resto agire in qualità di procuratore speciale del gruppo familiare o delle società partecipate”.

2.2.2. Con riferimento, invece, alle domande formulate nella qualità di figlio del defunto Cav. P., concluse che “nel bilanciamento tra il diritto del soggetto titolare del dato personale al controllo e finanche al blocco del dato medesimo di derivazione giornalistica ed il contrapposto diritto ad essere informati e ad informare, deve essere tenuto in preminente considerazione l’immenso patrimonio informativo insito in un archivio giornalistico, subordinando il diritto costituzionale della collettività all’informazione ed alla conoscenza solo in presenza di una lesione, o del rischio di essa, da individuarsi in una non emendabile compromissione della propria vita di relazione per effetto del permanere del dato personale in archivio e della sua potenziale divulgazione. Non può, dunque, accedersi alla richiesta cancellazione nell’articolo di stampa in esame dall’archivio informatico del (*)” (cfr. pag. 16 della medesima sentenza).

2.3. Osservò, inoltre, che una siffatta conclusione doveva valere anche per le domande proposte in proprio dal ricorrente ove non si fosse ritenuto di accedere alla prima soluzione già per esse descritta, derivandone, dunque, anche in tal caso, il rigetto della domanda di rimozione e cancellazione dell’articolo in esame.

  1. Avverso la riportata sentenza, P.M.F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, resistiti, con distinti controricorsi, dal Garante per la protezione dei dati personali e da RCS Mediagroup s.p.a., medio tempore incorporante, per fusione, la RCS Quotidiani s.p.a.. Il ricorrente e la RCS Mediagroup s.p.a. hanno, altresì, depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

3.1. Con ordinanza interlocutoria del 15/29 novembre 2018, n. 30960, questa Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo, in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione di massima di particolare importanza ad esse rimessa dall’ordinanza interlocutoria n. 28084 del 5 novembre 2018. Sopravvenuta tale decisione, è stata nuovamente fissata l’adunanza camerale per trattazione della controversia, in vista della quale il P. e la RCS Mediagroup s.p.a. hanno depositato un’ulteriore memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

  1. Il primo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 3 e art. 7 del Codice Privacy (D.Lgs. n. 196 del 2003) e difetto di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, censura la decisione impugnata, ritenendola “palesemente viziata, difettando pure di una congrua e logica motivazione”, laddove ha ritenuto sussistere la legittimazione del ricorrente al promovimento dell’azione esclusivamente nella sua qualità di erede del defunto padre, e non già in proprio, in quanto gli articoli di cui si discorre non trattano dati pertinenziali alla sua persona, non avendo comunque il Dott. P. dedotto in giudizio lesioni riferibili a propri dati personali illecitamente trattati, ovvero lesioni a sè derivanti da un illecito trattamento dei dati del proprio congiunto, da cui ricavare un autonomo vulnus ed un autonomo diritto di tutela. Neppure sarebbe stato dirimente, ad avviso del tribunale, l’argomento di agire a tutela dell’onore e della reputazione della famiglia che da sempre gestisce le società che fanno capo al (*), non avendo il ricorrente agito nella veste di procuratore speciale del gruppo familiare o delle società facenti capo al gruppo industriale predetto. Assume, invece, il ricorrente di non aver “dedotto in giudizio una lesione diretta o un illecito trattamento di dati riguardanti la propria persona”, ma di aver “correttamente azionato, avendone un interesse proprio sub specie di tutela del proprio nome, della propria reputazione ed immagine sociale, l’esercizio dei diritti di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 7 essendo a tanto legittimato sulla base dell’art. 9, comma 3 medesimo decreto, rispetto al trattamento dei dati del defunto padre, a garanzia di una corretta dimenticanza – anche a propria tutela – di quei fatti di cronaca giudiziaria”, e di aver “agito per ragioni familiari sulla scorta di interessi evidentemente meritevoli di tutela, ma non effettivamente nella veste di procuratore di alcuno”. La sentenza impugnata, dunque, doveva essere annullata, “in considerazione della violazione e falsa applicazione di legge ritualmente rilevati, sul presupposto che sussiste un interesse esercitabile in proprio da parte dell’odierno ricorrente ed una disposizione normativa che consente l’esercizio dei diritti per i quali è stata azionata la tutela” (cfr. pag. 11 del ricorso).

4.1. Il secondo motivo prospetta un “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Insufficiente e contraddittoria motivazione sulla scorta delle risultanze probatorie prodotte in atti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Si assume che l’articolo titolato “(*)”, oggetto di aggiornamento da parte di RCS Quotidiani, oltre che essere rimasto all’interno del sito del quotidiano e reperibile attraverso il motore di ricerca della pagina web dell’archivio storico, viene pescato come primo risultato attraverso una ricerca effettuata con i comuni motori (*) digitando le stringhe di ricerca ” P.-(*)”, con un rimando alla pagina dell’archivio storico del Corriere, tanto cha ancora oggi risulta così indicizzato. Il Tribunale di Milano, tuttavia, sulla domanda del ricorrente di deindicizzare l’articolo dai comuni motori di ricerca esterni al (*), aveva inaspettatamente concluso pronunciando la cessazione della materia del contendere (motivando nel senso che “il testo in esame non è più reperibile attraverso l’utilizzo dei generali motori di ricerca della rete; dalla documentazione allegata dalle parti… emerge che il testo risulta ad oggi reperibile esclusivamente dagli internauti che entrino nell’archivio informatico del (*)…”), decisione palesemente viziata, erronea e contraddittoria, motivata sulla scorta di evidenze probatorie versate in atti che smentiscono quanto asserito dal tribunale.

4.2. Il terzo motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 4, 7, 11, 23, 101, 102 Codice Privacy (D.Lgs. n. 196 del 2003), dell’art. 6 della Direttiva Comunitaria n. 95/46 e dell’art. 2 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Insufficienza e contraddittoria motivazione”. Si censura la decisione del tribunale milanese che, dopo un lungo excursus sul bilanciamento degli interessi contrapposti nell’era digitale – diritto al controllo del dato come espressione del principio generale di cui all’art. 11 Codice Privacy, di cui il diritto all’oblio costituisce specificazione; diritto dei cittadini ad essere informati e diritto dei mezzi di comunicazione ad informare “nel tempo”, ove il dato sia trattato correttamente e permanga l’interesse alla sua conoscenza -, era giunto a negare la tutela richiestagli sia sotto il profilo della deindicizzazione dell’articolo dal motore di ricerca interno all’archivio storico del (*), sia con riguardo alla richiesta di rimozione/cancellazione totale dal suddetto archivio. Si sostiene che i dati concernenti la vicenda P. riportati negli articoli di stampa non sono, come, invece, erroneamente ritenuto dal giudice a quo, dati economici o riguardanti l’attività economica esercitata, bensì dati giudiziari. Posto, allora, che “l’interesse sociale di “fare memoria” di quei fatti di cronaca giudiziaria, anche in relazione alla modalità del trattamento prescelta dal Titolare e della sua potenziale diffusività e lesività, ed in assenza di evidenti e particolari esigenze di carattere storico, didattico, culturale (per richiamare la pronuncia di questa Corte n. 5525/2012), deve cedere il passo ai diritti ed alle libertà enunciate dall’art. 2 Codice Privacy, tra cui il diritto alla riservatezza, trasmodando altrimenti i limiti del trattamento pertinente, non eccedente e dunque lecito”, si ascrive alla pronuncia impugnata di essere incorsa “in una palese violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 2,7 e 11 nel ritenere prevalente l’interesse della collettività, “e in particolare del mondo economico”, alla conoscenza della ormai “storica” notizia, pur in assenza di particolari esigenze che giustifichino la permanenza del dato in un archivio liberamente accessibile e creato in relazione alle (nuove) finalità storico-documentaristiche; di tal che il trattamento posto in essere dal Corriere oggi è eccedente e non pertinente rispetto alle sue finalità secondo quanto previsto dall’art. 11, dovendo prevalere il potere di controllo dell’interessato sui dati, in ragione del preminente diritto di riservatezza, protezione dei dati personali e dignità che nell’art. 2 del Codice trovano fondamento” (cfr. pag. 19 del ricorso).

  1. Precisandosi, fin da ora, che i riferimenti agli articoli di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003 devono intendersi effettuati ai rispettivi testi (applicabili ratione temporis) anteriori alle modifiche apportategli dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, ritiene il Collegio di dover anteporre l’esame del terzo motivo allo scrutinio dei primi due, apparendo del tutto evidente il carattere centrale di esso, rispetto agli altri, sintetizzabile nell’assunto secondo cui le finalità giornalistiche giustificative della pubblicazione, all’epoca delle vicende giudiziarie che avevano coinvolto Pietro P. (padre, medio tempore deceduto, dell’odierno ricorrente), dei dati inerenti la sua persona in articoli che narravano le vicende stesse, vere e note, si sarebbero del tutto attenuate in forza del lunghissimo tempo trascorso, rendendo, così, affatto lecita la domanda, oggi proposta da suo figlio, di tutela della riservatezza e del riconoscimento del conseguente diritto all’oblio. Si tratta, in altri termini, e come condivisibilmente rimarcato dal sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta (cfr. pag. 5), di “ragionare su quali siano i dati aventi una rilevanza storica o semplicemente storiografica, la conservazione dei quali è prevalente rispetto al diritto del singolo ad essere dimenticato dal contesto storico-sociale (right to be left alone) ed al diritto del singolo a mantenere il controllo dei dati relativi alla propria sfera personale fino al punto da poterne esigere la cancellazione quando siano venute meno le esigenze che ne hanno suggerito la raccolta e la diffusione”. Le argomentazioni che su tale motivo saranno svolte, e le conclusioni conseguentemente adottate, del resto, si riveleranno incidenti sull’esito degli altri.

5.1. Va immediatamente sgomberato il campo dal profilo riguardante il vizio motivazionale pure prospettato con tale censura, essendo l’assunto del tribunale, in parte qua, puntuale e comprensibile, dunque non apparente, sicchè si sottrae al sindacato di legittimità ai sensi della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, (qui utilizzabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 17 febbraio 2014). Come ormai noto, tale normativa, circoscrivendo il vizio di motivazione deducibile mediante il ricorso per cassazione all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parli, costituisce espressione della volontà del legislatore di ridurre al minimo costituzionale l’ambito del sindacato spettante al Giudice di legittimità in ordine alla motivazione della sentenza, restringendo l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede ai soli casi in cui il vizio si converte in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, ossia alle ipotesi in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere d’individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza (cfr. Cass., SU, nn. 8053 e 8054 del 2014; Cass. n. 21257 del 2014). Fattispecie, qui, certamente non ravvisabili.

5.2. Quanto, invece, al prospettato vizio di violazione di legge, va preliminarmente osservato che il cd. diritto all’oblio ha ricevuto il suo, primo, esplicito riconoscimento in Cass. n. 3679 del 1998, nella cui motivazione si legge, tra l’altro, che esso deve intendersi “…come giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore ed alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata…”, a meno che – veniva ivi precisato – non vi fossero “fatti sopravvenuti” idonei a far tornare d’attualità la notizia: una precisazione volta a contemperare diritti della personalità e diritto di cronaca, che avrebbero, poi, trovato un tentativo di codificazione nel D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, comma 1, lett. e), laddove è sancito l’obbligo di conservare i dati in una forma che permetta di identificare l’interessato per un periodo non eccedente quello necessario al perseguimento degli scopi avuti di mira all’atto della raccolta o nel successivo sviluppo del trattamento. Norma che va letta in combinato disposto con il precedente art. 7, comma 3, lett. b), relativo al diritto dell’interessato di chiedere al titolare del trattamento la cancellazione o la trasformazione delle sue informazioni personali, e che sviluppa il cd. diritto di libertà informatica nella sua duplice forma e versione: come libertà negativa, consistente nel diritto ad essere dimenticato, e come libertà positiva, ovvero come potere di controllo sui propri dati personali.

5.3. Il diritto all’oblio, generato dalla giurisprudenza e consolidato dalla legislazione, ha, però, come appresso si vedrà, dovuto fare i conti con internet, la rete delle reti, dove tutto ciò che è stato inserito nel web rimane una memoria illimitata e senza tempo, ovvero un deposito di dati di dimensioni globali, sia pure, come è stato detto usando una metafora, trattandosi di “pagine isolate di libri custoditi in mille diverse biblioteche”. Infatti, nell’ambito del web la ripubblicazione non è più necessaria, dal momento che l’informazione, una volta inserita, in genere non è più cancellata, ma permane disponibile o quanto meno astrattamente disponibile. Se, allora, nella concezione originaria del diritto all’oblio, legata all’identità della persona ed alla sua riservatezza, si ha riguardo ad una riproposizione al pubblico di una notizia a distanza di tempo, con le nuove tecnologie, ed in presenza dei dati sul web, ciò che rileva non è solo, o necessariamente, la riproposizione dei fatti quanto, piuttosto, la loro permanente accessibilità. L’aspetto di maggior rilievo in questa seconda ipotesi è, quindi, dato dal tempo di permanenza dell’informazione, trattandosi non tanto e non solo di un evento che si ripropone all’attenzione del pubblico, bensì di un evento che potenzialmente mai è uscito dalla sua attenzione. Ciò che cambia, pertanto, è il ruolo del tempo e l’esigenza che si intende soddisfare. Nasce da qui la richiesta di poter ottenere la cancellazione dei propri dati dalla rete quando sia venuta meno la finalità per la quale se ne è consentito l’uso, e, soprattutto, quando non sussistano più i motivi che possono aver giustificato la loro diffusione. Il diritto all’oblio, in questa dimensione, assume il significato precipuo di diritto alla cancellazione dei dati e dei riferimenti che si ritiene che ledano la propria persona e la richiesta può riguardare un insieme ampio di destinatari, sia il soggetto che li ha inseriti originariamente, sia gli archivi che li contengono, sia i motori di ricerca che ne amplificano la risonanza, sia chiunque altro ne riproduca il contenuto, riportando direttamente la notizia o inserendovi un link, attraverso le pagine di un sito o di un social network.

5.4. Come ancora recentemente spiegato da questa Corte (cfr. Cass. n. 6919 del 2018), dunque, l’esistenza del diritto all’oblio è stata affermata, sia nella giurisprudenza Europea che in quella nazionale, con riferimento a fattispecie nelle quali si è sempre posta l’esigenza di un contemperamento tra due diversi diritti fondamentali: il diritto di cronaca, posto al servizio dell’interesse pubblico all’informazione, ed il diritto della persona a che certe vicende della propria vita, che non presentino più i caratteri dell’attualità, ovverosia che non siano più suscettibili di soddisfare un interesse apprezzabile della collettività a conoscerle, non trovino più diffusione da parte dei media. Correlato a tale diritto, ed in un certo senso ad esso strumentale, poichè finalizzato ad assicurarne il soddisfacimento, è, inoltre, il diritto ad ottenere la rimozione, da elenchi, o archivi, o registri, del proprio nominativo, in relazione a fatti e vicende che non presentino più il suddetto carattere dell’attualità.

5.4.1. Merita, peraltro, di essere rimarcato che, generalmente, si tratta di vicende sorte in periodi caratterizzati da una circolazione dei dati in qualche modo più lenta, dove il diritto alla riservatezza era inteso come tutela dell’esigenza di intimità della propria vita familiare contro ingerenze altrui, e, più in generale, contro la “curiosità pubblica”, e dove le minacce provenivano prevalentemente dalla ripubblicazione a mezzo stampa di vecchie vicende personali. Nelle sue diverse definizioni, quali diritto a non rievocare vicende dolorose o altrimenti lesive, ovvero ad essere dimenticati, il diritto all’oblio era, quindi, ricondotto sotto l’alveo del diritto alla riservatezza. Con l’avvento delle nuove tecnologie e della rete, però, l’intero scenario relativo all’esigenza di tutela della riservatezza della persona è – come si è già anticipato – profondamente mutato. E’ emersa, innanzitutto, l’esigenza per l’individuo di gestione, di controllo e di dominio dei propri dati legittimamente usciti dalla sfera di intimità, e con essa sono affiorati i limiti di tale ultimo diritto “in negativo”, inteso come diritto a preservare la propria sfera intima da intrusioni esterne mediante la divulgazione di fatti o notizie. E’ stato riconosciuto, pertanto, un nuovo diritto della personalità, il quale viene generalmente affiancato a quello della riservatezza: quello alla protezione dei dati personali. Dal diritto ad essere lasciati soli si è passati alla libertà di poter disporre dei propri dati: un passaggio da una concezione statica ad un concezione dinamica della tutela della privacy. In questo nuovo scenario dominato da un’inarrestabile circolazione dei dati è mutata, altresì, in parallelo, l’intera struttura del diritto all’oblio. In primis, va osservato come esso fosse un diritto prevalentemente elitario, poichè solitamente gli articoli di cronaca concernevano persone note (per vicende giudiziarie, politiche, etc.); oggi, invece, la necessità di essere tutelati è condivisa dalla generalità dei consociati: siamo tutti diventati potenziali protagonisti, esposti al pubblico dominio, con una identità personale da proteggere. Con riferimento, poi, in particolare, ai giornali ed al diritto di cronaca, la rete e la sua memoria infinita hanno rappresentato, da un lato, un’importantissima agevolazione, considerato che, prima, tutte le ricerche venivano effettuate attraverso la consultazione, a volte faticosa, di archivi cartacei; dall’altro, però, ha aumentato l’esigenza di gestione e controllo di queste notizie, sempre più numerose e spesso decontestualizzate. Tale ultima nuova esigenza ha portato ad una rimeditazione del diritto stesso. La giurisprudenza e la dottrina lo hanno, infatti, ricollegato non più al diritto alla riservatezza, ma alla tutela dell’identità personale del soggetto, alla corretta informazione (oltre che al diritto dei cittadini ad essere informati correttamente tramite l’aggiornamento di notizie parziali). Il cittadino ha, infatti, il diritto ad essere rappresentato, nella realtà esterna della vita di relazione, con la propria identità ed a non vedere quindi “travisato o alterato all’esterno il proprio patrimonio intellettuale, etico, ideologico, professionale”. Il diritto all’oblio viene, quindi, concepito come diritto al controllo della diffusione delle scelte fatte in passato. Il cambio di prospettiva non poteva essere più radicale: dall’oblio/cancellazione all’aggiunta/contestualizzazione, dalla riservatezza all’identità sociale del soggetto. La nuova accezione assunta dal diritto all’oblio con riferimento al mondo della rete, però, deve essere estesa anche alla realtà off line, da cui ha avuto origine. Altrimenti vi è il rischio che tale ultima realtà rimanga indietro rispetto a quella digitale, poichè ancorata alla vecchia definizione legata al diritto alla riservatezza e poco attenta alle dinamiche della nuova società dell’informazione. Impedire il distacco tra i due mondi, quello reale e quello digitale, con riferimento al cambio di prospettiva che ha interessato il diritto all’oblio, è necessario altresì al fine di evitare la permanenza all’interno dell’ordinamento di un diritto con due significati differenti. Altrimenti il soggetto potrà ottenere comunque la contestualizzazione dei dati, ma sulla base di iter motivazionali diversi a seconda della realtà di riferimento.

5.5. Posto, allora, che non vi può essere una vera e propria pretesa alla cancellazione del proprio passato, si comprende che il vero problema è rappresentato dalla distorsione dell’immagine del soggetto, costruita col tempo dopo la vicenda oramai dimenticata, provocata dalla riemersione della notizia. In quest’ottica, dunque, vanno esaminate le decisioni, che, in ambito Europeo e nazionale, hanno affrontato il tema oggi in esame.

5.5.1. In ambito Europeo, la Corte di Giustizia UE e la Corte EDU sono state più volte chiamate a pronunciarsi in materia, tracciando le linee direttrici del bilanciamento tra i due diritti fondamentali suindicati, successivamente seguite dalla giurisprudenza degli Stati membri e/o contraenti.

5.5.2. In una vicenda concernente il trattamento di dati personali da parte di un motore di ricerca ((*)), la Corte di Giustizia ha, invero, affermato che siffatta attività “può incidere significativamente sui diritti fondamentali al rispetto della vita privata ed alla protezione dei dati personali”, atteso che – muovendo dal nominativo di una persona – è possibile, per qualsiasi utente di internet, accedere ad una visione complessiva strutturata delle informazioni relative a quella persona presenti in rete. Il che impone la ricerca di un giusto equilibrio tra l’interesse degli utenti di internet all’informazione ed i diritti fondamentali della persona, previsti dall’art. 8 della CEDU, artt. 7 e 8 della Carta di Nizza, art. 12, lett. b) e art. 14, comma 1, lett. a), della Direttiva 95/46/CE, relativa alla tutela delle persone fisiche. E ciò con particolare riferimento ai casi nei quali sussiste un diritto dell’interessato all’oblio su determinati fatti o vicende che non rivestono più interesse alcuno per il pubblico. Orbene, la Corte ha affermato che l’art. 12, lett. b) e art. 14, comma 1, lett. a), della Direttiva 95/46/CE devono essere interpretati nel senso che, nel valutare i presupposti di applicazione di tali disposizioni, si deve verificare in particolare se l’interessato abbia diritto a che l’informazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, per il tempo decorso, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome. E ciò a prescindere dal fatto che l’inclusione dell’informazione in questione in tale elenco arrechi un pregiudizio a detto interessato. Per cui, considerato che quest’ultimo può, sulla scorta dei suoi diritti fondamentali derivanti dagli artt. 7 e 8 della Carta di Nizza, chiedere che l’informazione in questione divenuta ormai non più di interesse apprezzabile per la collettività – non venga più messa a disposizione del grande pubblico in virtù della sua inclusione in un siffatto elenco di risultati, i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. L’unica eccezione a tale affermata prevalenza dei diritti fondamentali della persona interessata, e segnatamente del diritto all’oblio, è stata ravvisata dalla Corte nella sola ipotesi in cui “risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi” (cfr. Corte Giustizia, 13/05/2014, C- 131/12, (*)).

5.5.2.1. Sul tema del trattamento dei dati personali ed il diritto alla loro cancellazione, la Corte di giustizia è ritornata con la sentenza 9 marzo 2017, C-398/15, Manni, con particolare riferimento ai dati soggetti a pubblicità nel registro delle imprese, su una questione pregiudiziale sollevata dalla Corte di cassazione. Secondo la ricostruzione della Corte di giustizia, spetta agli Stati membri determinare se le persone fisiche possano chiedere all’autorità incaricata della tenuta, rispettivamente, del registro centrale, del registro di commercio o del registro delle imprese di verificare, in base ad una valutazione da compiersi caso per caso, se sia eccezionalmente giustificato, per ragioni preminenti e legittime connesse alla loro situazione particolare, decorso un periodo di tempo sufficientemente lungo dopo lo scioglimento della società interessata, limitare l’accesso ai dati personali che le riguardano, iscritti in detto registro, ai terzi che dimostrino un interesse specifico alla loro consultazione.

5.5.2.2. Il tema potrebbe riservare degli ulteriori sviluppi. Nelle sue conclusioni presentate il 10 gennaio 2019 nella causa C-507/17 Google Inc. c. Commission nationale de l’informatique et des libertes (CNIL), su rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato francese, l’Avvocato generale ha proposto alla Corte di limitare all’ambito dell’Unione Europea la deindicizzazione alla quale devono procedere i gestori di motori di ricerca. Lo stesso giorno, l’Avvocato generale ha presentato le sue conclusioni anche nella causa C-136/17 G. C., A. F., B. H., E. D. c. Commission nationale de l’informatique et des libertes (CNIL) sollevato sempre dal Consiglio di Stato e che affronta tematiche in parte analoghe. In quest’ultimo caso, la proposta rivolta alla Corte è duplice: da un lato, affermare, di regola, che i collegamenti internet a dati sensibili dovrebbero, su richiesta, essere sistematicamente rimossi dall’operatore del motore di ricerca; dall’altro, riconoscere la necessità di rispettare la libertà di espressione. L’Avvocato generale ha così invitato la Corte ad interpretare la sua sentenza su (*) in modo da tenere in debito conto la libertà di espressione.

5.5.3. Dal canto suo, la Corte EDU – con riferimento ad una vicenda nella quale un cittadino tedesco, che rivestiva una posizione politica ed imprenditoriale di grande rilievo in Germania, aveva chiesto la cancellazione dal web dei dati informativi relativi ad un episodio di collusione con la criminalità russa risalente a diversi anni prima, ripubblicati alcuni anni dopo dalla stampa – ha ritenuto che l’interesse del pubblico all’informazione prevalesse su quello del singolo all’oblio, ma sulla base di specifici e tassativi criteri, la cui sussistenza deve essere sempre riscontrata, ai fini di riconoscere siffatta prevalenza. In primo luogo, deve per vero – sussistere il contributo dell’articolo ad un “dibattito di interesse pubblico”, in relazione al “grado di notorietà del soggetto”; requisito, questo, ritenuto dalla Corte sussistente nel caso concreto, in quanto – pur trattandosi di una notizia risalente nel tempo – erano emersi nuovi sospetti a carico del medesimo individuo, molto noto al pubblico trattandosi di un uomo di affari impegnato anche in politica. Occorre, poi, avere riguardo alle “modalità impiegate per ottenere l’informazione” ed al “contenuto della pubblicazione”, che devono, non soltanto, riferirsi a notizie vere, accertate come tali sulla base di “fonti affidabili e verosimili”, ma essere, altresì, non eccedenti rispetto allo scopo informativo; e tali sono state ritenute nel caso di specie, avendo la Corte accertato che dette modalità erano “prive di (…) insinuazioni o considerazioni personali”, e che il giornale aveva informato l’interessato dell’imminente pubblicazione dell’articolo, per consentirgli di esercitare il suo diritto di replica prima della divulgazione della notizia (cfr. Corte EDU, 19/10/2017, Fuschsmann c/o Germania).

5.5.3.1. Di rilievo appare anche l’ulteriore decisione del 28 giugno 2018, M.L. e W.W. c. Germania, ricorsi n. 60798/10 e n. 65599/10. Riguardo ai confini del diritto alla cancellazione dei propri dati, la Corte EDU ha affermato che, in sede di bilanciamento tra gli opposti interessi, il diritto di cronaca e la libertà di espressione (tutelati dall’art. 10 della Convenzione Europea) prevalgono sul diritto a essere dimenticati, qualora si sia in presenza di gravi fatti legati alla cronaca giudiziaria. La pronuncia ha riconosciuto che la protezione dei dati personali svolge un ruolo fondamentale nell’esercizio del diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dall’art. 8 della Convenzione che sancisce, in particolare, il diritto a una forma di “autodeterminazione informativa”; ciò autorizza le persone ad invocare il loro diritto alla vita privata in relazione ai dati che, ancorchè neutrali, sono raccolti, elaborati e divulgati alla comunità, secondo forme o modalità tali che i loro diritti ai sensi dell’art. 8 possano essere coinvolti. Tuttavia, ha precisato la Corte, affinchè l’art. 8 sia preso in considerazione, l’attacco alla reputazione personale deve raggiungere un certo livello di gravità ed essere stato realizzato in modo tale da pregiudicare il godimento personale del diritto al rispetto della vita privata. Allo stesso modo, questa disposizione non può essere invocata per lamentarsi di un pregiudizio alla reputazione che risulterebbe in modo prevedibile dalle sue stesse azioni, come ad esempio nel caso di un illecito penale.

5.5.3.2. Merita di essere ricordata, infine, la pronuncia del 4 dicembre 2018, Magyar Jeti Zrt c. Ungheria, ricorso n. 11257/16, in cui la Corte EDU, richiamando la sua giurisprudenza, ha posto l’attenzione sul ruolo svolto dai siti internet per l’esercizio della libertà di espressione, evidenziando che, alla luce della sua accessibilità e della sua capacità di memorizzare e comunicare vaste quantità di informazioni, internet gioca un ruolo importante nel potenziare l’accesso alle notizie, facilitando la diffusione delle informazioni in generale, pur ricordando, al tempo stesso, che il rischio di danno derivante dai contenuti e dalle comunicazioni su internet all’esercizio ed al godimento dei diritti umani e delle libertà, in particolare il diritto al rispetto della vita privata, è certamente superiore a quello che può derivare dalla stampa.

5.5.4. Anche la giurisprudenza nazionale si è espressa in senso sostanzialmente conforme a tali affermazioni delle Corti Europee.

5.5.4.1. Si è, infatti, osservato che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto del soggetto a pretendere che proprie, passate, vicende personali non siano pubblicamente rievocate (cd. diritto all’oblio) trova limite nel diritto di cronaca solo quando sussista un interesse effettivo ed attuale alla loro diffusione, nel senso che quanto recentemente accaduto trovi diretto collegamento con quelle vicende stesse e ne rinnovi l’attualità, diversamente risolvendosi il pubblico ed improprio collegamento tra le due informazioni in un’illecita lesione del diritto alla riservatezza (cfr. Cass. n. 16111 del 2013). Pertanto, l’editore di un quotidiano che memorizzi nel proprio archivio storico della rete internet le notizie di cronaca, mettendole così a disposizione di un numero potenzialmente illimitato di persone, è tenuto ad evitare che, attraverso la diffusione di fatti anche remoti, senza alcun interesse pubblico pregnante ed attuale, possa essere leso il diritto all’oblio delle persone che vi furono coinvolte (cfr. Cass. n. 5525 del 2012).

5.5.4.2. Più di recente, si è ribadito che la persistente pubblicazione e diffusione, su un giornale on line, di una risalente notizia di cronaca esorbita, per la sua oggettiva e prevalente componente divulgativa, dal mero ambito del lecito trattamento di archiviazione o memorizzazione on line di dati giornalistici per scopi storici o redazionali, configurandosi come violazione del diritto alla riservatezza quando, in considerazione del tempo trascorso, sia da considerarsi venuto meno l’interesse pubblico alla notizia stessa (cfr. Cass. n. 13161 del 2016).

5.5.4.3. E perfino con riferimento alla conservazione di dati contenuti in registri tenuti da soggetti pubblici (nella specie, una Camera di Commercio), istituzionalmente finalizzati a consentire l’accesso della collettività a fatti e vicende concernenti gli operatori economici, questa Corte ha, da ultimo, precisato – alla stregua di quanto chiarito, al riguardo dalla già menzionata decisione della Corte di Giustizia, 9/3/2017, C-398, Manni – che, in tema di trattamento dei dati personali, ai sensi dell’art. 8 CEDU nonchè degli artt. 7 e 8 cd. “Carta di Nizza”, l’interessato non ha diritto ad ottenere la cancellazione dei dati iscritti in un pubblico registro ed è legittima la loro conservazione. Ma ciò esclusivamente allorquando essa sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del Paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui (cfr. Cass. n. 19761 del 2017).

5.6. Da tale quadro normativo – desumibile da un reticolo di norme nazionali (art. 2 Cost., art. 10 c.c., L. n. 633 del 1941, art. 97) ed Europee (art. 8 CEDU e art. 10, comma 2 CEDU, artt. 7 e 8 Carta di Nizza) – e giurisprudenziale di riferimento, poi, Cass. n. 6919 del 2018 ha tratto la conclusione che “il diritto fondamentale all’oblio può subire una compressione, a favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca, solo in presenza di specifici e determinati presupposti: 1) il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico; 2) l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali), da reputarsi mancante in caso di prevalenza di un interesse divulgativo o, peggio, meramente economico o commerciale del soggetto che diffonde la notizia o l’immagine; 3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica e, segnatamente, nella realtà economica o politica del Paese; 4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera (poichè attinta da fonti affidabili, e con un diligente lavoro di ricerca), diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, così da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione; 5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al grande pubblico. In assenza di tali presupposti, la pubblicazione di una informazione concernente una persona determinata, a distanza di tempo da fatti ed avvenimenti che la riguardano, non può che integrare, pertanto, la violazione del fondamentale diritto all’oblio, come configurato dalle disposizioni normative e dai principi giurisprudenziali suesposti”.

5.7. Infine, occorre dare conto della recente Cass., SU, 22 luglio 2019, n. 19681, così ufficialmente massimata: “In tema di rapporti tra diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del cd. diritto all’oblio) e diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito – ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall’art. 21 Cost. – ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito. In caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva. (Fattispecie relativa ad un omicidio commesso ventisette anni prima, il cui responsabile aveva scontato la relativa pena detentiva e si era reinserito positivamente nel contesto sociale)”.

5.7.1. In tale occasione, le Sezioni Unite, all’esito della svolta panoramica della giurisprudenza nazionale ed Europea, hanno premesso (cfr. pag. 18-19 della motivazione) che, “quando si parla di diritto all’oblio, ci si riferisce, in realtà, ad almeno tre differenti situazioni: quella di chi desidera non vedere nuovamente pubblicate notizie relative a vicende, in passato legittimamente diffuse, quando è trascorso un certo tempo tra la prima e la seconda pubblicazione; quella, connessa all’uso di internet ed alla reperibilità delle notizie nella rete, consistente nell’esigenza di collocare la pubblicazione, avvenuta legittimamente molti anni prima, nel contesto attuale (è il caso della sentenza n. 5525 del 2012); e quella, infine, trattata nella citata sentenza (*) della Corte di giustizia dell’Unione Europea, nella quale l’interessato fa valere il diritto alla cancellazione dei dati”. Successivamente, però, hanno chiarito di voler contenere il proprio intervento nomofilattico al solo caso – corrispondente alla concreta vicenda sottoposta al suo esame – delle notizie di cronaca “stampata” vere, legittimamente diffuse, ma oggetto di una nuova pubblicazione quando sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo, così limitando il campo di indagine rispetto agli orizzonti, più ampi, posti dalla Sezione remittente con riferimento al generale utilizzo di internet, precisando (cfr. pag. 19 della medesima motivazione) che tale “scelta di delimitare il campo di indagine non è frutto di un arbitrio decisionale, ma della semplice constatazione per cui ogni pronuncia giudiziaria trova il proprio limite nel collegamento con una vicenda concreta”, posto che “alle Sezioni Unite non è affidata “l’enunciazione di principi generali e astratti o di verità dogmatiche sul diritto, ma la soluzione di questioni di principio di valenza nomofilattica pur sempre riferibili alla specificità del singolo caso della vita” (sentenze 22 maggio 2018, n. 12564, n. 12565, n. 12566 e n. 12567). In coerenza, quindi, con i limiti del petitum e con le funzioni istituzionali della Suprema Corte, la presente decisione si atterrà ai confini ora indicati”.

5.7.2. Così circoscritto il loro campo di indagine, le Sezioni Unite hanno mutato la prospettiva dell’analisi rispetto all’ordinanza di rimessione, ritenendo che, nel caso sottoposto al loro esame, non venisse in gioco il bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto di cronaca, quanto, piuttosto, il bilanciamento tra il diritto all’oblio ed il diritto alla “rievocazione storiografica” di eventi passati, ossia il diritto di diffondere nuovamente, nel momento presente, una notizia del passato, che nel momento passato era stato legittimo diffondere sulla base del diritto di cronaca. Ebbene, individuati in tal modo i due “parametri” da porre agli estremi del bilanciamento, le Sezioni Unite hanno affermato che nella rievocazione storica di vicende concernenti eventi del passato, è necessario valutare la sussistenza di un interesse pubblico, concreto ed attuale, alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione, secondo il Supremo Collegio, deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito: in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva.

5.7.3. Non appare opportuno, a questo punto, indugiare oltre sull’appena descritta sentenza delle Sezioni Unite, posto che la specifica delimitazione del campo di indagine come dalla stessa effettuato ha precluso l’esame di vicende come quella su cui, oggi, invece, questo Collegio è chiamato a pronunciarsi, la cui peculiarità va ricercata nella necessità di stabilire se gli archivi storici on line possiedano una sorta di primato, garantito dalla libertà di stampa e di informazione (art. 21 Cost.), alla conservazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato.

5.7.3.1. Invero, come giustamente osservato dal sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta (cfr. pag. 7-8) “l’archivio storico del quotidiano, (…), per non snaturare la sua funzione, deve contenere tutti gli articoli pubblicati su tutte le edizioni, nella loro originaria forma e contenuto, e non può subire “amputazioni” a pena di perdere il carattere di storicità e di completezza che lo caratterizza. Il trattamento dei dati archiviati on line non è caratterizzato da finalità giornalistiche (come accade, invece, al momento della sua pubblicazione o nel caso di una “nuova pubblicazione” nell’ambito di una “nuova iniziativa giornalistica”) ma avviene a fini documentaristici, nell’ambito di un archivio liberamente consultabile nella rete internet che si avvale dei meccanismi di recupero del dato tipici della rete. A differenza degli archivi cartacei, gli archivi on line sono accessibili con facilità, ma occorre ragionare se giuridicamente può essere ipotizzabile una tutela delle informazioni contenute nel solo archivio cartaceo a differenza dell’archivio on line che, per i mezzi di cui si avvale, presenta una maggiore lesività nel trattamento del dato. (…) Se è vero quanto evidenziato dalla difesa della parte contro ricorrente, cioè che, consultando l’archivio storico, l’utente può autonomamente comprenderne la eventuale inattualità della notizia, apprezzandone, invece, il valore di documento storico, con le sue potenzialità, ma anche i suoi limiti, in termini di informazione, è altrettanto vero che la rapidità di consultazione dell’archivio on line possa risultare molto più lesiva di una consultazione cartacea. A differenza degli archivi cartacei, gli archivi on line sono accessibili dalla rete e non garantiscono le medesime esigenze di riservatezza di un archivio cartaceo…”.

5.8. Tanto premesso, la giurisprudenza tutta fin qui riportata rappresenta un tentativo di fornire un quadro “unificante” di una materia magmatica ed innovativa, quale quella della tutela del diritto all’oblio, foriera, peraltro, di svariati interrogativi di carattere sostanziale ed applicativo.

5.8.1. Si è, invero, sottolineato, in dottrina, che il diritto all’oblio, sviluppatosi in seno al lungo percorso giurisprudenziale ed evolutivo dei diritti alla riservatezza ed all’identità personale, ed oggi espressione della moderna accezione dinamica del diritto alla protezione dei dati personali quale diritto all’autodeterminazione informativa, non si presta ad esercizi di sintesi o generalizzazioni. La tutela dei diritti fondamentali alla riservatezza ed alla protezione dei dati personali segue e si conforma, infatti, allo sviluppo tecnologico e, dunque, va raccordata alla fattispecie concreta, tenendo in debita considerazione le tecniche di veicolazione e circolazione dell’informazione utilizzate. In altre parole, è impossibile effettuare una reductio ad unum del diritto all’oblio, discutendo di un “fondamentale diritto” a che informazioni relative ad una determinata persona non vengano rievocate, ripubblicate o ridiffuse ove non vengano soddisfatte determinate condizioni. La prospettiva della protezione dei diritti fondamentali di cui agli artt. 7 e 8 Carta di Nizza è, infatti, sempre più proiettata verso una tutela di tipo rimediale e sensibile alla concreta conformazione della fattispecie. Se è vero che il concetto di oblio è strettamente collegato all’elemento del decorso del tempo in senso oggettivo (e quindi rispetto alla prima diffusione dell’informazione) e soggettivo (relativamente all’impatto sortito dall’attività di ridiffusione sulla corretta ed attuale proiezione sociale dell’interessato), una sua corretta declinazione non può prescindere dall’analisi dei diversi piani di proiezione degli interessi alla riservatezza ed alla protezione dei dati personali sulle contrapposte istanze pubbliche o private di accesso, circolazione e sfruttamento delle informazioni.

5.8.2. Affrontando la riflessione sul medium utilizzato per veicolare, a distanza di tempo, una determinata informazione, emerge come le pronunce giurisprudenziali in precedenza richiamate si riferiscano, in buona parte, alla declinazione on line del diritto all’oblio, concernendo, peraltro, ipotesi diverse di trattamento, con le sole eccezioni della rievocazione di fatti da parte di un quotidiano cartaceo nella seconda metà degli anni novanta dello scorso secolo (cfr. Cass. n. 16111 del 2013. Su fattispecie analoga è intervenuta anche la citata, recente, Cass., SU, n. 19681 del 2019) e dello speciale sistema di pubblicità attuato con l’istituzione del registro delle imprese (Corte giust. UE, 9.3.2017, causa C-398/15 e Cass. n. 19761 del 2017). Affatto peculiare, invece, è stata la fattispecie affrontata da Cass. n. 6919 del 2018 (concernente la ridiffusione di una “intervista mancata” avvenuta tramite il mezzo televisivo, non comparabile all’attività giornalistica svolta sulla carta stampata da un lato, nè all’immanenza ed infinita riproducibilità delle informazioni digitali in internet nonchè alla connessa, quasi perpetua, accessibilità garantita dai motori di ricerca, dall’altro). Di notevole interesse, inoltre, è il principio enunciato da Cass. n. 5525 del 2012, che contempera la liceità dell’archiviazione on line di articoli giornalistici per finalità storiche con l’esigenza di garantire che i fatti narrati siano contestualizzati rispetto ai successivi sviluppi delle corrispondenti vicende (nel caso di specie, concernenti un’inchiesta giudiziaria che aveva condotto all’arresto dell’interessato e che si era, poi, conclusa con il suo proscioglimento).

5.9. Proprio quest’ultima decisione, allora, in ragione della evidenti affinità tra la concreta fattispecie ivi esaminata e quella oggi all’esame del Collegio, può considerarsi come idoneo parametro decisionale utilizzabile in questa sede, avendo ampiamente indagato il tema, come si è detto di grande suggestione ed attualità, costituito dal rapporto tra nuovi media e diritti della personalità.

5.9.1. In quell’occasione, infatti, la Corte di cassazione si mosse alla ricerca di un difficile equilibrio tra il “mare magnum di informazioni” in cui si sostanzia oggi internet e quello che, da principio, è stato individuato come “diritto all’oblio” del singolo interessato, ma che, poi, nella stessa sentenza, ha assunto la diversa conformazione del diritto alla completa ed attuale informazione su di sè. La vicenda nasceva, invero, dalla richiesta del ricorrente, rivolta al Garante della privacy prima ed al Tribunale civile di Milano poi, di ottenere lo “spostamento di un articolo pubblicato molti anni prima in un’area di un sito web non indicizzabile dai motori di ricerca” ovvero l’integrazione dello stesso “con le notizie inerenti gli sviluppi successivi della vicenda narrata”. Nella fattispecie, in particolare, il ricorrente lamentava che l’articolo in questione riportasse la corretta notizia del suo arresto, ma non, altresì, l’informazione – distinta e successiva – che l’inchiesta giudiziaria “si fosse poi conclusa con il proscioglimento”: non si contestava, dunque, la veridicità del contenuto dello scritto, nè il fatto che esso potesse essere considerato ancora di pubblico interesse. A ben vedere, quindi, non emergeva, tecnicamente, l’esigenza di tutelare il “diritto all’oblio”, consistendo quest’ultimo nel diritto a non essere più ricordato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca ma che, attualmente, non sono più di interesse pubblico, bensì la differente esigenza dell’interessato a che la notizia in questione non fosse resa disponibile on-line in quanto, non essendo completa ed aggiornata, giacchè non faceva espresso riferimento al successivo proscioglimento, “gettava un intollerabile alone di discredito sulla persona del ricorrente, vittima di una vera e propria gogna mediatica”. Il vero thema decidendum era, pertanto, l’esistenza, o non, del diritto soggettivo del singolo individuo a che le informazioni che lo riguardano, presenti on-line, fossero sempre e comunque costantemente aggiornate in modo che l’identità personale dell’interessato risultasse fedelmente rappresentata nel suo dinamico divenire, e cioè anche in relazione agli accadimenti più recenti. La Suprema Corte, al contrario di quanto ritenuto nel caso in rassegna dal Garante e dal giudice di prime cure, riconobbe la sussistenza di tale diritto, salvo precisare che lo stesso non può essere inteso nel senso di imporre la cancellazione dal web delle notizie datate, in quanto, all’esito di un corretto bilanciamento degli interessi in rilievo, e dunque anche alla luce dell’interesse della collettività a mantenere memoria delle notizie passate, bisogna piuttosto imporre al responsabile dell’archivio contenente la notizia, o più in generale al responsabile del sito internet su cui la notizia risulta pubblicata, l’obbligo di predisporre “un sistema idoneo a segnalare (nel corpo o a margine) la sussistenza nel caso di un seguito e di uno sviluppo della notizia, e quale esso sia, consentendone il rapido ed agevole accesso ai fini del relativo adeguato approfondimento”. Più specificamente, la Corte evidenziò – previo richiamo ai criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza allo scopo, esattezza e coerenza del trattamento dei dati personali (di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003), nonchè alla possibilità dell’interessato di opporsi anche a trattamenti leciti quando ciò si renda necessario per un contemperamento degli interessi in gioco – la sussistenza di un obbligo di integrare o aggiornare la notizia non più attuale, divenuta “fatto storico” e quindi transitata nel relativo archivio, ma potenzialmente dannosa per la lesione della “proiezione sociale dell’identità personale” dell’interessato, che ha “diritto al rispetto della propria identità personale o morale”. E ciò perchè, sempre secondo i giudici, anche quando sussiste, come nella fattispecie, l’interesse pubblico alla persistente conoscenza di un fatto avvenuto in epoca passata, e dunque non può essere accolta l’istanza di tutela dell’oblio formulata dall’interessato, “emerge la necessità, a salvaguardia dell’attuale identità sociale del soggetto cui la stessa afferisce, di garantire al medesimo la contestualizzazione e l’aggiornamento della notizia già di cronaca che lo riguarda”. Tale aggiornamento deve essere garantito tramite “il collegamento della notizia ad altre informazioni successivamente pubblicate, concernenti l’evoluzione della vicenda, che possano completare o financo radicalmente mutare il quadro evincentesi dalla notizia originaria”, dal momento che “i dati devono risultare esatti ed aggiornati in relazione alla finalità del loro trattamento”. In caso contrario, infatti, “la notizia, originariamente completa e vera, diviene non aggiornata, risultando, quindi, parziale e non esatta, e, pertanto, sostanzialmente non vera”. Su come si potesse arrivare a questo risultato, la sentenza nulla disse. Ma essa non sembrò postulare un obbligo di aggiornamento operante solo – come sembrerebbe più logico, e coerente con i principi emersi in ordine alla (ir)responsabilità del provider sino all’attivazione di una procedura di notice and take-down a seguito della formale relativa richiesta dell’interessato; i giudici mirarono, piuttosto, ad affermare l’operatività di un tale obbligo a prescindere da qualsiasi iniziativa di chicchessia. In definitiva, come si evidenziò in dottrina, “…con questa pronuncia la Cassazione evolve il diritto all’oblio, ovvero il diritto ad essere dimenticato o cancellato, e lo riformula sulle nuove fondamenta giuridiche collegate alla dimensione di internet e della memoria che esso archivia. Una duplice declinazione del diritto all’oblio: laddove dovesse venire meno l’interesse pubblico originario che rende la notizia ancora attuale, allora il dato attraverso il quale è possibile identificare il soggetto può essere cancellato; invece, laddove l’interesse pubblico dovesse permanere, la notizia in rete potrà essere contestualizzata, ovvero aggiornata ad opera del titolare del sito on line, a tutela della proiezione dinamica dei dati personali e del rispetto dell’attuale dignità personale o morale del soggetto interessato”. Una decisione, pertanto, che dimostra, al di là della tecnicalità che occorre individuare per soddisfare le forme di contestualizzazione, la preoccupazione di salvaguardare il principio costituzionale che sta alla base della tutela dell’identità personale: la dignità dell’uomo.

5.9.2. Tali principi sembrano riemergere anche nella più recente Cass. n. 13161 del 2016, a tenore della quale la persistente pubblicazione e diffusione, su un giornale, di una risalente notizia di cronaca (riguardante, nella specie, una vicenda giudiziaria per un fatto accaduto circa due anni e mezzo prima della instaurazione del relativo procedimento D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152) esorbita, per la sua oggettiva e prevalente componente divulgativa, dal mero ambito del lecito trattamento di archiviazione o memorizzazione on line di dati giornalistici per scopi storici o redazionali, configurandosi come violazione del diritto alla riservatezza quando, in considerazione del tempo trascorso, sia da considerarsi venuto meno l’interesse pubblico alla notizia stessa. Detta pronuncia, infatti, investì un’ipotesi in cui l’illecito trattamento dei dati personali era stato ravvisato dal giudice di merito non già nel contenuto e nelle originarie modalità di pubblicazione e diffusione dell’articolo di cronaca sul fatto accertato nel (*), nè nella conservazione ed archiviazione informatica di esso, ma nel mantenimento del diretto ed agevole accesso a quel risalente servizio giornalistico del (*) e della sua diffusione sul web quanto meno a far tempo dal ricevimento della diffida, nel (*), per la rimozione di quella pubblicazione dalla rete. E’ evidente, dunque, che non si trattava di articolo accessibile esclusivamente dall’archivio del giornale on line che ne aveva, tempo addietro, curato la pubblicazione, bensì di articolo tuttora “recuperabile” direttamente attraverso il semplice utilizzo dei normali motori di ricerca.

5.10. Tutto ciò premesso, è affatto evidente che la decisione oggi impugnata risulta essere assolutamente in linea con la riportata giurisprudenza nazionale e sovranazionale circa la sussistenza dei parametri in presenza dei quali soltanto può legittimamente affermarsi la prevalenza del diritto di cronaca sul diritto all’oblio.

5.10.1. A tal riguardo, deve anzitutto rilevarsi che l’esclusione della dedotta violazione del menzionato diritto è stata operata, dal tribunale territoriale, procedendo al bilanciamento tra i diritti del singolo e quelli della collettività, e ritenendo (cfr. amplius, pag. 12-15 della decisione impugnata) che: i) una soluzione di ragionevole compromesso può essere, allo stato, quella adottata con i provvedimenti che impongono la deindicizzazione degli articoli sui motori di ricerca generali, la cui conseguenza immediata è che l’articolo e la notizia controversa sono resi disponibili solo dall’attivazione dello specifico motore di ricerca all’interno di un quotidiano. Tale semplice limitazione consente all’interessato di vedere estromesso dal dato che lo riguarda azioni di ricerca mosse da ragioni casuali o, peggio, futili; ii) tanto trova applicazione nell’ipotesi in cui il dato personale di cui si discute mantenga un apprezzabile interesse pubblico alla sua conoscenza, da valutarsi e da ritenersi sussistente in funzione non solo della perdurante attualità del dato di cronaca, ma anche in presenza del solo assolvimento del valore documentaristico conservativo proprio dell’archivio, sia pure integrato dagli aggiornamenti prescritti dalle Autorità intervenute in tema; iii) nel bilanciamento degli interessi contrapposti diritto al controllo del dato, diritto all’oblio del titolare dei dati personali e diritto dei cittadini ad essere informati – prevale, ex art. 21 Cost., il diritto della collettività ad essere informata con il conseguente diritto dei mezzi di comunicazione di informare in tutti i casi in cui il dato sia trattato correttamente e permanga nel tempo l’interesse alla sua conoscenza secondo i profili indicati; iv) non parrebbe corretto individuare il sorgere del diritto all’oblio quale conseguenza automatica del trapasso del soggetto interessato; v) analogamente, il venir meno dell’interesse collettivo alla conoscenza di determinati dati personali non coincide, in via automatica, con il passaggio a miglior vita del titolare. Allo stesso modo, il mero trascorrere del tempo non comporta, ex se, il venir meno dell’interesse alla conoscenza del dato di cronaca, criterio che, se opzionato, comporterebbe la non pertinenza di scopo di ogni archivio di stampa, cartaceo o informatico che sia. Deve, dunque, l’interprete valutare se la compressione del diritto alla reputazione dell’interessato (definita da Cass. n. 5525 del 2012 “immagine sociale”) derivante dal perdurare del trattamento dei dati giornalistici/d’archivio comporti, in una concreta fattispecie, un sacrificio non giustificato dal corrispondente interesse alla conoscenza del dato da parte della collettività. In altri termini, sussiste ex art. 21 Cost., un generale diritto alla conoscenza di tutto quanto in origine lecitamente veicolato al pubblico, con conseguente liceità del fine del trattamento dei dati personali contenuti in archivio; tale diritto incontra un limite, in applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11 nelle fattispecie in cui la permanenza del dato nell’archivio informatico, per la sua potenziale accessibilità, non paragonabile a quella di una emeroteca, comporti un tale vulnus alla riservatezza dell’interessato (con conseguente immediata ripercussione sulla propria reputazione) da minarne in misura apprezzabile l’esplicazione dei diritti fondamentali della persona in ambito relazionale.

5.10.2. Si tratta, ad avviso del Collegio, di giustificazione affatto condivisibile perchè, come si è già anticipato, ampiamente in linea con la riportata giurisprudenza nazionale e sovranazionale.

5.10.3. Alla stregua di questi principi, quindi, all’esito del bilanciamento di interessi compiuto, il tribunale milanese ha sottolineato che, nel caso in esame, emerge in tutta evidenza che il dato personale, derivante da attività di cronaca giudiziaria legittimamente esercitata, aveva ad oggetto l’attività imprenditoriale del defunto, azionista di riferimento di società industriali di rilievo nazionale – risultando il cd. (*), per stessa ammissione del ricorrente, il primo operatore italiano nel campo della grafica – e, in particolare, di condotte ritenute di potenziale rilievo penale, commesse al fine di mantenere/acquisire il controllo del gruppo societario. Ecco, quindi, che “nel bilanciamento dei contrapposti interessi sussiste e permane l’interesse della collettività, ed in particolare del mondo economico, di “fare memoria” di vicende rilevanti per un soggetto che si presenta come primario centro di imputazione di interessi economici rilevanti per la collettività”, dovendosi, inoltre, “ricordare che, tra tutti i dati personali, quelli interessanti l’attività economica esercitata offrono la maggior resilienza all’azione di compressione esercitabile a tutela della riservatezza dei soggetti cui i dati pertengono. Non può, quindi, seriamente contestarsi il potenziale interesse pubblico a conoscere la storia di un primario attore nell’ambito economico nazionale, ivi incluse le lotte scatenatesi per il controllo azionario del gruppo societario in questione” (cfr. pag. 14 della menzionata sentenza). Il tribunale, infine, ha aggiunto che “quanto al richiesto aggiornamento del dato di cronaca giudiziaria di interesse, si osserva che, nel caso in esame, l’editore non poteva accedere alla richiesta di annotazione del “proscioglimento” del congiunto, come invece domandato dal ricorrente, posto che il defunto cav. P. non solo non era stato prosciolto dal GUP in sede di udienza preliminare, condizione di esclusiva applicabilità del concetto di proscioglimento invocato, ma lo stesso nemmeno era stato assolto dal giudice del dibattimento, posto che la vicenda giudiziaria si era conclusa, per alcuni capi di imputazione, con una pronuncia in rito di non doversi procedere, rispettivamente per difetto di querela e per intervenuta prescrizione del reato, e, solo per due degli originari capi di imputazione, l’imputato era stato assolto nel merito” (cfr. pag. 14-15 della medesima sentenza).

5.10.4. In definitiva, quindi, l’avere la società editrice provveduto alla deindicizzazione ed allo spontaneo aggiornamento dell’articolo “(*)” dell'(*) – unico su cui ancora esisteva controversia – è stato ritenuto dal giudice a quo come soluzione idonea a bilanciare i contrapposti interessi in gioco, conservandosi il dato pubblicato, ma rendendolo accessibile non più tramite gli usuali motori di ricerca, bensì, esclusivamente, dall’archivio storico de (*), ed al contempo garantendo la totale sovrapponibilità, altrimenti irrimediabilmente compromessa, fra l’archivio cartaceo e quello informatico del medesimo quotidiano, nonchè il diritto della collettività a poter ricostruire le vicende che avevano riguardato il controllo dell’impresa P..

5.11. Trattasi, ad avviso di questo Collegio, di un argomentare puntuale ed aderente al dettato legislativo, oltre che agli orientamenti giurisprudenziali in precedenza riportati, posto che ha correlato la permanenza nell’archivio storico del giornale alle particolari esigenze di carattere storico/sociale insite nelle notizie oggetto di causa.

5.11.1. Va ricordato, peraltro, che la protezione normativa dell’archivio (storico) giornalistico sta cominciando a formare oggetto di attenta considerazione da parte del legislatore: basti pensare a quanto sancito nel Regolamento Europeo sulla Protezione dei Dati (Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), in cui sono state inserite norme (cfr. art. 9, par. 2, lett. j)) finalizzate alla tutela delle attività di archiviazione nel pubblico interesse di ricerca scientifica o storica o a fini statistici. Il diritto all’oblio subisce delle limitazioni (art. 17, par. 3, lett. d)) nelle ipotesi in cui il trattamento dei dati sia necessario “a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici conformemente all’art. 89, par. 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento”. L’art. 89, infine, al par. 1, prende in considerazione garanzie adeguate per i diritti e le libertà dell’interessato mediante l’adozione di misure tecniche ed organizzative che possano garantire il rispetto del principio della minimalizzazione dei dati. Una parte del Regolamento (il titolo VII) è poi dedicata appositamente al trattamento a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici con la finalità di garantire la conservazione di quei dati che siano decisivi per la “memoria” della società.

5.11.2. Orbene, come condivisibilmente puntualizzato dal sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta (cfr. pag. 6), “il richiamo di tali norme, anche se introdotte successivamente e non applicabili al caso in esame, rileva comunque a fini logico-interpretativi per testare la correttezza della decisione che, a suo tempo, ha utilizzato criteri giuridici compatibili con la esigenza di preservare la storicità delle notizie quando le notizie stesse siano di interesse per la collettività e per la storia economico-sociale di un Paese”.

5.11.3. Ecco, allora che, nella fattispecie oggi in esame, la necessità di trovare un punto di equilibrio tra gli interessi contrapposti (quelli del titolare del sito dell’archivio e quelli del titolare del dato, non più accessibile dai comuni motori di ricerca) è stata ritenuta adeguatamente soddisfatta dalla deindicizzazione, unita allo spontaneo aggiornamento dei dati da parte del titolare del sito, considerata dal tribunale milanese come misura di protezione del singolo ponderata ed efficace, mentre l’intervento di rimozione sull’archivio storico informatico si sarebbe rilevata eccessiva e penalizzante così da danneggiare il punto di equilibrio degli interessi predetti. Può, dunque, concludersi nel senso che, il giudice di merito, nel considerare la permanenza dell’interesse alla conservazione del dato in ragione della rilevanza storico-sociale delle notizie di stampa, non ha violato le norme di legge (D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 2,4,7,11,23,101 e 102; art. 6 della Direttiva Comunitaria n. 95/46; art. 2 Cost.) anche in ragione delle cautele concretamente adottate e volte alla deindicizzazione della notizia dai siti generalisti, dovendosi solo aggiungere che il generico rinvio al link (*), inserito nello spazio deindicizzato, non è tale da porsi in violazione delle norme di legge in materia, nè costituisce un argomento su cui censurare la decisione impugnata. Il bilanciamento degli interessi contrapposti, anche sotto questo ultimo aspetto, nel dare prevalenza alla storicità della notizia, ha consentito di inquadrare l’attività di mero richiamo dal sito deindicizzato, per il tramite di un link, nell’ambito di una attività lecita giuridicamente.

5.11.4. A fronte di tutto ciò, l’odierna doglianza del ricorrente si risolve, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass., SU, n. 34476 del 2019).

  1. Alla stregua di quanto fin qui detto, e del conseguente rigetto della corrispondente doglianza, va, poi, ritenuta l’inammissibilità del primo motivo di ricorso, che, come si ricorderà, censura la decisione impugnata, ritenendola “palesemente viziata, difettando pure di una congrua e logica motivazione”, laddove ha ritenuto sussistere la legittimazione del ricorrente al promovimento dell’azione esclusivamente nella sua qualità di erede del defunto padre, e non già in proprio.

6.1. Giova, invero, evidenziare che, sul punto, il tribunale motivò la propria decisione argomentando nei sensi già precedentemente riportati al precedente p. 2.2.1. di questo scritto (da intendersi, qui, per brevità, interamente riprodotto), ed inoltre, dopo aver lungamente disquisito sul perchè nemmeno potesse trovare accoglimento la (residua) domanda spiegata da P.M.F. in qualità di erede del defunto A.A. (cfr. il p. 2.2.2. di questo elaborato, anch’esso da considerarsi qui riprodotto), ebbe espressamente a rimarcare che la conclusione ivi esposta doveva valere anche per le domande proposte in proprio dal ricorrente ove non si fosse ritenuto di accedere alla prima soluzione già per esse descritta, derivandone, dunque, anche in tal caso, il rigetto della domanda di rimozione e cancellazione dell’articolo in esame (cfr. pag. 16 della sentenza impugnata).

6.2. Questa seconda ratio decidendi, evidentemente autonoma rispetto alla prima, non è stata specificamente confutata (sotto il peculiare profilo della possibilità di utilizzare i medesimi assunti per disattendere sia la domanda formulata dal ricorrente in proprio che quella da lui spiegata nella indicata qualità) nel motivo in esame, ed a tanto deve aggiungersi che, comunque, l’infondatezza, per quanto già ampiamente esposto, del terzo motivo di ricorso, consente, ormai, di ritenere non più contestabile la prima delle suddette rationes decidendi cui la seconda ha fatto esplicito rinvio per disattendere, in ogni caso, la domanda svolta da P.M.F. quale erede del defunto padre.

6.2.1. Deve, dunque, trovare applicazione il principio secondo cui, ove la corrispondente motivazione della sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata sul punto, l’omessa impugnazione di una di esse, ovvero l’inammissibilità o il rigetto del motivo di ricorso attinente quest’ultima, rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata o di cui sia stata respinta o dichiarata inammissibile la doglianza contro di essa formulata, non potrebbe produrre in alcun caso l’annullamento, in parte qua, della sentenza (cfr., ex multis, Cass. n. 15399 del 2018; Cass. n. 15075 del 2018, in motivazione; Cass. n. 18641 del 2017; Cass. n. 15350 del 2017).

  1. Immeritevole di accoglimento, infine, è anche il secondo motivo di ricorso, che, sull’assunto secondo cui l’articolo titolato “(*)”, oggetto di aggiornamento da parte di RCS Quotidiani, oltre che essere rimasto all’interno del sito del quotidiano e reperibile attraverso il motore di ricerca della pagina web dell’archivio storico, viene pescato come primo risultato attraverso una ricerca effettuata con i comuni motori (*) digitando le stringhe di ricerca ” P.-(*)”, con un rimando alla pagina dell’archivio storico del Corriere, tanto che ancora oggi risulta così indicizzato, ascrive al Tribunale di Milano di aver pronunciato la cessazione della materia del contendere sulla domanda del ricorrente di deindicizzare l’articolo dai comuni motori di ricerca esterni al (*) motivando nel senso che “il testo in esame non è più reperibile attraverso l’utilizzo dei generali motori di ricerca della rete; dalla documentazione allegata dalle parti… emerge che il testo risulta ad oggi reperibile esclusivamente dagli internauti che entrino nell’archivio informatico del (*); deve quindi ritenersi cessata la materia del contendere in ordine alla richiesta di deindicizzazione dai motori di ricerca anche del presente testo” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata): decisione ritenuta “palesemente viziata, erronea e contraddittoria, motivata sulla scorta di evidenze probatorie versate in atti che smentiscono quanto asserito dal tribunale” (cfr. pag. 12 del ricorso).

7.1. Ribadito, innanzitutto, quanto si è già detto al p. 5 di questo scritto circa l’attuale perimetro operativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo, utilizzabile ratione temporis, modificato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), è qui sufficiente evidenziare che il dato fattuale da cui ha preso le mosse il giudice a quo è conforme alle risultanze istruttorie: l’articolo non è più reperibile attraverso i generali motori di ricerca, come riconosce lo stesso ricorrente, secondo cui i due motori di ricerca da lui indicati effettivamente non consentono più, al pari degli altri, la descrizione dell’articolo, che offrivano in precedenza, visualizzandolo, ma solo un accesso all’archivio storico del (*) dove, però, come si è già detto, la pagina web contenente l’articolo è conservata, con il relativo aggiornamento, ed al quale l’utente può accedere esclusivamente entrando direttamente nell’archivio o usando, per farlo, quei motori (nel senso che essi rimandano non immediatamente all’articolo in questione, bensì all’archivio on line del (*) in cui esso, con il relativo aggiornamento, è conservato).

7.2. Il tribunale milanese, dunque, non ha affatto omesso di motivare su un fatto decisivo per il giudizio, avendo rilevato, al contrario, sulla scorta di quanto dedotto e prodotto, da un lato, che la RCS Quotidiani s.p.a. aveva spontaneamente aggiornato il dato, giusta quanto appreso dall’interessato ed accertato direttamente; dall’altro, che essa aveva fatto in modo che i principali motori di ricerca non visualizzassero più (in via diretta, consentendolo, invece, solo tramite invio al suddetto archivio del (*)) l’articolo in parola.

  1. In definitiva, il ricorso va respinto, potendosi procedere alla compensazione delle spese di questo giudizio di legittimità in ragione dell’assoluta peculiarità della vicenda e della non integrale pertinenza ad essa dei rinvenuti precedenti di questa Corte, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
  2. Va, disposta, infine, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52. 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dallaL. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2020.