D.L.n. 34 del 2020 CESSIONE DEI CREDITI BLOCCATA ANCHE AI TERZI Cassazione penale 40865, 40866, 40867, 40868 e 40869, emesse tutto il 28 ottobre 2022.

 D.L.n. 34 del 2020 CESSIONE DEI CREDITI BLOCCATA ANCHE AI TERZI Cassazione penale 40865, 40866, 40867, 40868 e 40869, emesse tutto il 28 ottobre 2022.

SECONDO LA SUPREMA CORTE POSSIBILE IL SEQUESTRO PREVENTIVO DEI CREDITI NEL CASSETTO FISCALE

 Con conseguente blocco del credito nel proprio cassetto fiscale.

Secondo la Cassazione:

il sequestro preventivo non finalizzato alla confisca implica l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all’illecito ed in buona fede, se la loro libera disponibilità sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., sopra richiamato (tra le altre, Sez. 3, n 57595 del 25/10/2018, Cervino, Rv. 274691; Sez. 3, n. 40480 del 27/10/2010, Orlando, Rv. 248741).

 

Chi è cessionario di un credito di imposta non riuscirebbe a vedere l’origine del proprio credito e, dunque non sarebbe in grado di effettuare alcun controllo, vedendosi riconosciuto nel proprio cassetto fiscale un importo pari al credito acquistato da portare in compensazione nei tempi stabiliti dalla legge rispetto a qualsiasi tipologia di debito erariale.

Come vien e precisato dalla Suprema Corte  la fruizione dei bonus fiscali per gli interventi edilizi è “indissolubilmente” vincolata all’esecuzione completa degli interventi stessi, secondo quando indicato nei relativi atti abilitativi e nei tempi previsti dagli stessi. Le agevolazioni sono connesse all’esecuzione degli interventi edilizi. Gli interventi devono essere, dunque, completati.

In applicazione del principio di cassa, è consentivo di portare in detrazione le spese sostenute per lavori non completati. Cass. pen., Sez. III, 13/10/2022, n. 42012

Costituisce ragionevole elemento di verifica del fumus del delitto di cui all’art. 8 del D.Lgs, n. 74 del 2000, la circostanza per cui a fronte di cessioni di ingenti crediti di imposta per i c.d. eco-bonus e sisma-bonus, il primo cedente non sia proprietario di immobili che, per caratteristiche intrinseche, consistenza e numero, giustifichino l’entità dei crediti ceduti rispetto ai presunti lavori di ristrutturazione edilizia che si assumono effettivamente realizzati e, di conseguenza, fatturati. In tale evenienza deve ritenersi legittimo il provvedimento con il quale viene disposto il sequestro preventivo dei crediti di imposta nell’attuale disponibilità del cessionario, nonché di quelli da esso a sua volta ceduti, anche presso i terzi cessionari.

LA DIFESA premesso che il provvedimento ritiene sussistente il fumus del reato fiscale in esame fondandolo sulla pretesa falsa fatturazione che integrerebbe il delitto de quo e costituirebbe l’artificio previsto dal reato di truffa, sostiene la difesa dei ricorrenti che già in sede di riesame era stata depositata una memoria difensiva che, avvalendosi di analitica produzione documentale, aveva provato l’inesistenza della falsa fatturazione oggetto di contestazione. Richiamato il contenuto della memoria, si sostiene che i giudici del riesame avrebbero omesso di confrontarsi con le deduzioni difensive, appiattendosi sull’argomentazione del primo giudice, riportando alcuni passaggi dell’ordinanza da cui emergerebbero evidenti errori (la circostanza che gli interventi eseguiti non fossero quelli previsti dal D.L.n. 34 del 2020 ma dal D.L. n. 63 del 2013, c.d. ecosismabonus; la circostanza che dagli atti risulta che nessuna compensazione è stata effettuata dai contribuenti indagati), e contestando il sillogismo operato dai giudici del riesame secondo i quali al cospetto di una incompleta e parziale esecuzione dei lavori, peraltro relativi a cantieri esistenti e dimostrati, non avrebbero potuto essere emesse le fatture in acconto oggetto di contestazione, con la conseguenza che le stesse dovrebbero considerarsi false e le operazioni inesistenti.

Richiamati a tal proposito i meccanismi di funzionamento dei regimi agevolativi in esame (sismabonus, ex D.L.n. 63 del 2013 art. 16, conv. in L. 90 del 2013; ecobonus, ex D.L.n. 63 del 2013 art. 14; ecosismabonus, ex D.L.n. 63 del 2013 art. 1 4 comma 2-quater, conv. in L. 90 del 2013), evidenzia la difesa dei ricorrenti come proprio quest’ultimo, quello utilizzato da MIB e SIV, prevede la possibilità di usufruire di una detrazione dell’85% con la riduzione di due o più classi di rischio sismico, con un limite di spesa complessivo pari a 136.000 Euro per ogni unità immobiliare che compone l’edificio condominiale, individuando come beneficiari del regime agevolativo i singoli proprietari delle unità immobiliari che sostengono la spesa in forza di delibera condominiale, sia i soggetti che a vario titolo anche attraverso contratti personali di godimento, detengono il possesso dell’immobile. Svolte, quindi, alcune considerazioni circa il funzionamento atteso di tale meccanismo agevolativo, la difesa precisa che tali regimi agevolativi sono confluiti nel più recente provvedimento di cui al D.L. n. 34/2020 che ha introdotto il c.d. superbonus, senza tuttavia sopprimere i preesistenti maccanismi, sottolineando come, tra le disposizioni della più recente normativa, sia applicabile, al c.d. ecosismabonus, l’art. 121 che ha introdotto in via generalizzata la possibilità di optare in via alternativa alla detrazione, per lo sconto in fattura o per la cessione del credito derivante dall’applicazione di tutti i bonus, quindi sia il nuovo superbonus che i precedenti, tra cui l’ecosismabonus, così liberalizzando il meccanismo della cessione del credito e la possibilità di una sua plurima cessione (almeno nella fase iniziale della normativa, n.d.r.). Ciò che distingue, tuttavia, la nuova normativa sul c.d. superbonus da quella sul c.d. ecosismabonus, è la circostanza che l’opzione dello sconto in fattura/cessione del credito può essere in quest’ultimo caso esercitata anche laddove nel contratto di appalto non sia prevista l’emissione di stati di avanzamento lavori (c.d. SAL), e senza dover tener conto del SAL, quindi anche prima dell’inizio dei lavori, differenza che risulta confermata da una serie di interventi sia del Ministero dell’Economia e delle Finanze che dell’A.d.E. (in ricorso si richiamano: risposta MEF ad interrogazione parlamentare 5-06307; risposta MEF 10.11.2021 ad interrogazione parlamentare 5-07055; risposta MEF 20.10.2021 ad interrogazione parlamentare 5-06751; circolare A.d.E. 24/E dell’8.08.2020; Circolare A.d.E. 30/E del 22.12.2020).

In particolare, il Collegio ritiene che i crediti sequestrati alla ricorrente debbano essere considerati cosa pertinente al reato, non potendosi accogliere la tesi difensiva secondo cui, esercitata l’opzione per la cessione del credito, e dunque rinunciato dal beneficiario l’originario diritto alla detrazione (nella misura del 110% delle spese documentate e rimaste a carico), il credito stesso sorgerebbe – in capo al cessionario – a titolo originario, quindi depurato da qualunque vizio, anche radicale, che avesse eventualmente colpito il diritto alla detrazione.

Nel caso di specie, era stato rilevato che delle due società indagate:

la prima era stata costituita nel 2019, con fatture ricevute datate 2020 e 2021, dell’importo complessivo di 607 milioni di euro;

la seconda società era l’unico fornitore della prima dalla quale aveva ricevuto fatture solo nel 2021 per il valore di 568 milioni di euro (614 milioni di euro con tutti i suoi fornitori).

Tali fatture, secondo la Cassazione, costituiscono la fonte dei considerevoli crediti d imposta di cui le stesse società risultano beneficiarie, crediti che hanno formato oggetto sia di reciproche compravendite, sia di ulteriori cessioni ad altri soggetti, tra cui altre due società indagate.

I giudici hanno, inoltre, riscontrato l’assenza dei titoli edilizi abilitativi dei lavori. In alcuni casi tali titolo sono stati inoltrati solo successivamente al provvedimento di sequestro emesso. Gli accertamenti hanno riscontrato che vi sarebbero 244 pratiche edilizie curate da soli 12 professionisti e, soprattutto, in relazione a 182 interventi oggetto delle predette relazioni tecniche, non risulterebbe ancora dichiarato né avviato alcun cantiere mentre per quanto riguarda i 58 cantieri già dichiarati avviati, dai sopralluoghi eseguiti, sarebbe emersa l’inesistenza di 3 cantieri.

Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 13/10/2022) 08/11/2022, n. 42012

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente –

Dott. ACETO Aldo – Consigliere –

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere –

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A., n. (Omissis);

B.B., n. (Omissis);

avverso l’ordinanza dell’8/02/2022 del Tribunale del riesame di Foggia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;

sentita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;

udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CIMMINO Alessandro, che, nel riportarsi alle conclusioni di cui alla requisitoria già depositata dal proprio Ufficio, ha chiesto il rigetto del ricorso;

udite, per i ricorrenti, le conclusioni dell’Avv. Andrea Gemma e dell’Avv. Fabio Lattanzi, i quali, in esito alla discussione orale, hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi.

Svolgimento del processo

  1. Con ordinanza 8.02.2022, il tribunale del riesame di Foggia rigettava l’istanza di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP/Tribunale di Foggia in data 17.01.2022 delle quote e delle aziende di alcune società (tra cui quelle riferibili agli attuali indagati), dei crediti di imposta attualmente nelle disponibilità delle società medesime nonchè quelli dalle stesse ceduti, anche presso i terzi cessionari, per un importo complessivo pari ad Euro 1.017.680.552,00 da eseguirsi mediante blocco sul portale A.d.E. e corrispondente riduzione dei plafond di crediti fiscali compensabili nei rispettivi cassetti fiscali, nominando apposito amministratore giudiziario, il tutto relativamente ai reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti e truffa aggravata ai danni dello Stato (D.Lgs. n. 74 del 2000art. 8; art. 640, cpv. n. 1, c.p.).
  2. Propongono sperati ricorsi per cassazione il B.B. e la A.A., a mezzo dei rispettivi difensori fiduciari, deducendo tre motivi di identico contenuto, di seguito illustrati.

2.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 8 e all’art. 125, comma 2, c.p.p. In sintesi, premesso che il provvedimento ritiene sussistente il fumus del reato fiscale in esame fondandolo sulla pretesa falsa fatturazione che integrerebbe il delitto de quo e costituirebbe l’artificio previsto dal reato di truffa, sostiene la difesa dei ricorrenti che già in sede di riesame era stata depositata una memoria difensiva che, avvalendosi di analitica produzione documentale, aveva provato l’inesistenza della falsa fatturazione oggetto di contestazione.

 

 

Richiamato il contenuto della memoria, si sostiene che i giudici del riesame avrebbero omesso di confrontarsi con le deduzioni difensive, appiattendosi sull’argomentazione del primo giudice,

 

riportando alcuni passaggi dell’ordinanza da cui emergerebbero evidenti errori (la circostanza che gli interventi eseguiti non fossero quelli previsti dal D.L.n. 34 del 2020 ma dal D.L. n. 63 del 2013, c.d. ecosismabonus; la circostanza che dagli atti risulta che nessuna compensazione è stata effettuata dai contribuenti indagati), e contestando il sillogismo operato dai giudici del riesame secondo i quali al cospetto di una incompleta e parziale esecuzione dei lavori, peraltro relativi a cantieri esistenti e dimostrati, non avrebbero potuto essere emesse le fatture in acconto oggetto di contestazione, con la conseguenza che le stesse dovrebbero considerarsi false e le operazioni inesistenti. I giudici, tuttavia, avrebbero omesso di considerare che si tratta di fatture emesse in acconto, ossia in anticipo rispetto alla materiale esecuzione dei lavori, come previsto dalla normativa in tema di ecosismabonus, e che fe stesse sono state utilizzate dalle società Mama International Business Srl , acronimo MIB, e dalla Sviluppo Immobiliare Valle Srl , acronimo SIV, in conformità alla normativa atteso che per ciascun cantiere: a) è presente la manifestazione della volontà delle parti di voler ristrutturare usando/cedendo il credito d’imposta spettante a chi realizzerà le opere, c.d. sconto in fattura (si tratterebbe delle delibere condominiali, contratti di appalto, etc.); b) è presente la comunicazione all’A.d.E. della volontà di cedere il credito d’imposta per ristrutturare l’immobile sulla Piattaforma Cessione Crediti al fine di rendere solo virtualmente visibile il relativo credito d’imposta; c) vi è la possibilità per l’appaltatrice di continuare a cedere tale credito d’imposta quinquennale o decennale a terzi proprio per renderlo liquido, monetizzarlo e consentire il pagamento di tutti i costi finalizzati alle opere di ristrutturazione.

 

Nel caso di specie, le operazioni descritte in fattura sarebbero tutte esistenti, essendovi stato il sostenimento della spesa, ossia il pagamento della fattura tramite il c.d. bonifico parlante, per ciascun anno d’imposta, dimostrato ed esistente grazie alla cessione dell’85% del credito del committente/contribuente verso l’appaltatore,

 

oltre al saldo del restante 15% e dell’IVA sul totale fattura/acconto.

 

 

Non sarebbe quindi possibile parlare nella specie di operazioni inesistenti solo perchè taluni o parte dei lavori non siano stati eseguiti alla data della fattura, in quanto la normativa sull’ecosismabonus “funziona” in anticipazione finanziaria, autorizzando espressamente la legge l’emissione anticipata della fattura, nè richiedendo che i lavori siano eseguiti perchè possa venire in esistenza il credito e lo stesso possa essere ceduto, possibilità di cessione consentita, peraltro, dietro la semplice emissione della fattura e del pagamento delle somme a carico del contribuente secondo il principio di cassa. Richiamati a tal proposito i meccanismi di funzionamento dei regimi agevolativi in esame (sismabonus, ex D.L.n. 63 del 2013 art. 16, conv. in L. 90 del 2013; ecobonus, ex D.L.n. 63 del 2013 art. 14; ecosismabonus, ex D.L.n. 63 del 2013 art. 1 4 comma 2-quater, conv. in L. 90 del 2013), evidenzia la difesa dei ricorrenti come proprio quest’ultimo, quello utilizzato da MIB e SIV, prevede la possibilità di usufruire di una detrazione dell’85% con la riduzione di due o più classi di rischio sismico, con un limite di spesa complessivo pari a 136.000 Euro per ogni unità immobiliare che compone l’edificio condominiale, individuando come beneficiari del regime agevolativo i singoli proprietari delle unità immobiliari che sostengono la spesa in forza di delibera condominiale, sia i soggetti che a vario titolo anche attraverso contratti personali di godimento, detengono il possesso dell’immobile. Svolte, quindi, alcune considerazioni circa il funzionamento atteso di tale meccanismo agevolativo, la difesa precisa che tali regimi agevolativi sono confluiti nel più recente provvedimento di cui al D.L. n. 34/2020 che ha introdotto il c.d. superbonus, senza tuttavia sopprimere i preesistenti maccanismi, sottolineando come, tra le disposizioni della più recente normativa, sia applicabile, al c.d. ecosismabonus, l’art. 121 che ha introdotto in via generalizzata la possibilità di optare in via alternativa alla detrazione, per lo sconto in fattura o per la cessione del credito derivante dall’applicazione di tutti i bonus, quindi sia il nuovo superbonus che i precedenti, tra cui l’ecosismabonus, così liberalizzando il meccanismo della cessione del credito e la possibilità di una sua plurima cessione (almeno nella fase iniziale della normativa, n.d.r.).

 

Ciò che distingue, tuttavia, la nuova normativa sul c.d. superbonus da quella sul c.d. ecosismabonus,

 

è la circostanza che l’opzione dello sconto in fattura/cessione del credito può essere in quest’ultimo caso esercitata anche laddove nel contratto di appalto non sia prevista l’emissione di stati di avanzamento lavori (c.d. SAL), e senza dover tener conto del SAL, quindi anche prima dell’inizio dei lavori, differenza che risulta confermata da una serie di interventi sia del Ministero dell’Economia e delle Finanze che dell’A.d.E. (in ricorso si richiamano: risposta MEF ad interrogazione parlamentare 5-06307; risposta MEF 10.11.2021 ad interrogazione parlamentare 5-07055; risposta MEF 20.10.2021 ad interrogazione parlamentare 5-06751; circolare A.d.E. 24/E dell’8.08.2020; Circolare A.d.E. 30/E del 22.12.2020).

Alla luce di quanto sopra, dunque, per la difesa è dimostrato che al momento dell’emissione della fattura per pretese operazioni inesistenti, non era necessario avere intrapreso, avviato od eseguito i lavori, con la conseguenza che verrebbe meno il “sillogismo” cui si è accennato in precedenza, secondo cui alla mancata esecuzione dei lavori prima dell’emissione della fattura corrisponderebbe un’operazione inesistente.

 

La normativa, certamente, richiede che i lavori siano eseguiti, ma il legislatore avrebbe approntato un sistema di controlli ex post che, ove negativamente conclusi, determinano la revoca dell’agevolazione ed il recupero delle somme anticipate, maggiorate di sanzioni ed interessi, senza tuttavia imporre un termine entro il quale detti lavori debbano essere ultimati al fine di poter usufruire dell’agevolazione, limitandosi a precisare che i lavori devono essere eseguiti in conformità con i titoli abilitativi (dunque, secondo la normativa edilizia, per prassi si ritiene che detto termine sia di 3 anni dalla data di inizio lavori, che in caso di p.d.c. devono essere iniziati entro 1 anno dal rilascio del titolo e, in caso di CILA, entro 30 gg. dalla presentazione del titolo), termini peraltro prorogabili su richiesta e privi di natura perentoria. Si aggiunge, peraltro, in ricorso che fiscalmente l’emissione delle fatture è perfettamente conforme alla disciplina vigente come confermato anche dalla giurisprudenza CGUE (il riferimento è in particolare, all’interpretazione operata con la sentenza “Bupa Hospital” 21.06.2006, in causa C-4019/02 e con la sentenza “Lebara” 3.05.2021, in causa C-520/10), con la conseguenza che, anche con riferimento ai crediti di imposta relativi alla disciplina in materia di ecosismabonus, il legislatore sarebbe in linea con la giurisprudenza Eurounitaria purchè si sia al cospetto di una sufficiente determinatezza degli elementi essenziali dell’operazione, circostanza provata nella specie, essendosi all’evidenza in presenza di operazioni sufficientemente determinate al momento dell’emissione delle fatture, essendo peraltro coerente l’anticipazione dell’esigibilità dell’imposta con la ratio del bonus fiscale che incentiva con il monte fiscale gli interventi edilizi in questione e li finanzia con il sistema dello sconto in fattura o della cessione del credito: l’emissione della fattura in acconto nella logica del sistema ecosismabonus necessariamente anticipa l’avvio dei lavori.

Sulla scorta di tale ricostruzione, pertanto, la difesa dei ricorrenti evidenzia come, in concreto, le società riferibili agli indagati avrebbero rispettato tutti i requisiti previsti dalla normativa per accedere al regime agevolativo, come dimostrato dal deposito dei documenti acquisiti agli atti del procedimento (v. pag. 14 ricorso), evidenziandosi come, in sede di riesame, il PM avrebbe prodotto una nota G.d.F. da cui risulta che tutti i cantieri sono stati rinvenuti, tutti hanno SAL e tre cantieri non sono stati visitati perchè fuori dalla regione Puglia, e non già perchè non sono stati trovati come si afferma erroneamente nell’ordinanza, aggiungendosi inoltre come tutti i titoli sono di recente emissione, sicchè i termini per l’esecuzione dei lavori evidentemente non sono scaduti per nessuno dei cantieri; da qui, dunque l’inesistenza del fumus del D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 8.

2.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 325, c.p.p., D.Lgs. n. 74 del 2000 artt. 8, 9 e 12-bis, e correlato vizio di motivazione apparente ex artt. 125, comma 3, e 321, comma 2, c.p.p. In sintesi, si sostiene che i giudici del riesame avrebbero acriticamente recepito l’ordinanza di convalida ed il contestuale decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP identificando il profitto del reato tributario di cui all’art. 8 citato nei crediti di imposta asseritamente generati dalle false fatture di cui si contesta l’emissione agli attuali indagati. Detta impostazione non sarebbe condivisibile, ad avviso della difesa, proprio in considerazione della peculiare natura giuridica del delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti, evidenziandosi come il PM avrebbe ipotizzato che gli attuali indagati avessero operato attraverso le condotte descritte nell’imputazione cautelare al precipuo fine di consentire a terzi rimasti ignoti un’indebita compensazione. Si osserva, però, che, essendo escluso il concorso tra emittente ed utilizzatore dal D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 9, dovrebbe escludersi che il profitto del reato conseguito dall’emittente le fatture false corrisponda al profitto conseguito dall’utilizzatore, potendo coincidere solo quest’ultimo con l’ammontare del credito ceduto e dovendosi per converso identificare il primo nel solo prezzo del reato, vale a dire nel corrispettivo solo eventualmente ottenuto per la falsa fatturazione. A sostegno dell’assunto, in particolare, la difesa dei ricorrenti richiama giurisprudenza di questa Sezione (il riferimento è a Cass. 37933/2021 nonchè a Cass. 6288/2010), concludendo quindi che il sequestro, disposto nella specie per il valore complessivo dei crediti d’imposta generati dalle false fatture emesse dalle indagate sarebbe stato operato al di fuori del perimetro applicativo del D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 12-bis.

Si aggiunge, peraltro, che nel provvedimento impugnato non è richiamato l’istituto della confisca ex art. 640-quater, c.p., e del sequestro ad essa funzionale, con la conseguenza che l’applicabilità di tale norma, riferibile in astratto al delitto di truffa aggravata pure ipotizzato nel caso in esame, andrebbe esclusa, rilevando ciò in punto di identificazione del profitto confiscabile (e, quindi, di pertinenzialità della res con la disposta misura del sequestro), posto che l’ordinanza impugnata attiene esclusivamente al sequestro preventivo operato ex D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 12-bis, riferibile solo al delitto di emissione di false fatture per operazioni inesistenti, il cui profitto coincide, pur sempre, con il corrispettivo eventualmente versato dall’accipiens, ossia dall’autore del reato di frode fiscale ex D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 2, dovendosi rilevare tuttavia che, nella specie, l’autore del reato non è stato identificato, che è rimasto ignoto l’ammontare del presunto vantaggio compensativo nè ipotizzato un corrispettivo per l’emissione delle fatture in tutto in parte inesistenti, donde non esisterebbe alcun vantaggio economico suscettibile di sequestro per gli attuali indagati.

2.3. Deducono, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 640-quater, c.p. e correlato vizio di carenza della motivazione in relazione agli artt. 125, comma 3 e 321, comma 2, c.p.p. nonchè violazione dell’art. 117, Cost., quale norma interposta in relazione al diritto di proprietà tutelato dall’art. 1, prot. 1 CEDU e violazione dell’art. 11 Cost., in relazione all’art. 52, p.1, CFDUE. In sintesi, ribadito che nell’ordinanza impugnata non vi sarebbe alcun riferimento alla confiscabilità dei beni ex art. 640-quater, c.p., si insiste sul fatto che la misura ablatoria non sarebbe stata disposta in funzione di confisca prevista da tale disposizione. Ad ogni modo, la difesa dei ricorrenti sostiene che la paventata truffa difetterebbe comunque dell’identificazione del profitto confiscabile, in quanto nè il GIP nè l’ordinanza del tribunale del riesame avrebbero argomentato in merito al quantum del profitto relativo alla ipotizzata truffa. Parimenti sarebbe mancante la motivazione quanto al periculum in mora, in relazione al sequestro disposto per tutti i reati ipotizzati, soprattutto alla luce del recente arresto delle Sezioni Unite El/ade n. 36959/2021, non essendo indicate le ragioni per cui si sarebbe resa necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo prima della definizione del giudizio, in particolare emergendo dal p. 6 dell’ordinanza solo l’indicazione delle ragioni del sequestro impeditivo, e la presunta illiceità del bene, derivante dal canale di conseguimento dello stesso, quindi dal reato, ancora sub iudice e da accertare. Nemmeno l’ordinanza conterrebbe argomenti circa le ragioni di anticipazione della cautela reale, ex art. 321, comma 2, c.p.p., soffermandosi solo sul sequestro impeditivo e sulla nozione di profitto confiscabile ex D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 12-bis. Nè potrebbe argomentarsi, infine, che la natura obbligatoria della confisca rende automaticamente obbligatorio il sequestro ad essa funzionale, posto che il comma 2 dell’art. 321, c.p.p. facoltizza e non impone il sequestro, sicchè ove si affermasse che anche il sequestro disposto a norma del comma 2 dell’art. 321, c.p.p., è legittimo in virtù della confiscabilità del bene e della conseguente insita pericolosità oggettiva, si finirebbe per trascurare la natura autonoma e diversa da quello impeditivo, svilendo la diversità tra i diversi tipi di confisca ed i sequestri ad essa funzionali. Quanto sopra troverebbe conforto anche nella giurisprudenza CEDU e CGUE richiamata in ricorso (v. pag. 21). L’assenza assoluta di motivazione sul punto, quindi, determinerebbe la nullità del provvedimento ex art. 125, comma 3, c.p.p. 3. Con requisitoria scritta del 31.08.2022, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.

In particolare, quanto al primo motivo, il Tribunale ha valutato la tesi difensiva secondo cui, in estrema sintesi, sarebbero state emesse fatture “in acconto” rispetto alla materiale esecuzione dei lavori. Sul punto, è stato rilevato che “in relazione a n. 182 interventi oggetto di relazioni tecniche da parte dei professionisti, non risulta ancora dichiarato, nè avviato alcun cantiere; per quanto riguarda, invece, i 58 cantieri già dichiarati come avviati, dai sopralluoghi eseguiti, è emersa l’inesistenza di n. 3 cantieri” (cfr. pag. 11 del provvedimento impugnato). Tali risultanze, unitamente alle altre evidenziate nel provvedimento, sono state ritenute sufficienti, con motivazione condivisibile, per ravvisare il fumus dei reati contestati, in particolare quello di emissione di fatture per operazioni inesistenti, perchè “rendono inconsistenti le censure avanzate dalla difesa in merito all’esistenza degli interventi edilizi e alla conseguente legittimità delle agevolazioni fiscali conseguite” (cfr. pag. 16).

In relazione al secondo motivo, in forza dell’indirizzo giurisprudenziale richiamato dai ricorrenti, in tema di emissione di fatture per operazioni inesistenti, non può essere disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, sui beni dell’emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture medesime, in quanto il regime derogatorio previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 9 – escludendo la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture ‘per operazioni inesistenti e chi se ne avvale – impedisce l’applicazione in questo caso del principio solidaristico, valido nei soli casi di illecito plurisoggettivo (cfr., Sez. 3, n. 43952 del 05/05/2016, Rv. 267925 – 01, in motivazione, la S.C. ha chiarito che il vincolo nei confronti dell’emittente può essere imposto in relazione al solo prezzo del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 8, da individuare – in sede di sequestro – con riferimento a qualsiasi utilità economica valutabile ed immediatamente o indirettamente derivante dalla commissione del reato). Nella specie, però, il sequestro non è stato compiuto nei confronti delle sole società emittenti le fatture per operazioni inesistenti, essendo emerso che le società raggiunte dal provvedimento si sono precostituite, “attraverso cessioni reciproche”, i requisiti per poter conseguire i crediti di imposta allo scopo di cederli in qualità di prime cedenti. Esse hanno “emesso fatture, reciprocamente l’una nei confronti dell’altra, per importi rilevanti e pari alla quasi totalità dei costi” (cfr. pag. 6 e 7). In un simile contesto, pertanto, il sequestro non ha colpito le società emittenti, ma quelle che si sono avvalse delle fatture, conseguendo il profitto per effetto della cessione. I crediti d’imposta generati dalle false fatture, come ha rilevato il Tribunale, costituiscono il profitto del reato e come tale possono essere oggetto del sequestro. Può essere utile anche aggiungere che “le società hanno due unità locali in comune” e che, prima del 2020 “dichiaravano un volume d’affari modesto ed irrisorio rispetto agli importi fatturati dall’entrata in vigore delle agevolazioni” (cfr. pag. 8).

In ordine al terzo motivo, il provvedimento impugnato ha affrontato con argomenti condivisibili il tema del periculum in mora, ritenendo sussistente, tra l’altro, il pericolo che gli indagati possano incamerare definitivamente i crediti d’imposta ancora circolanti, non impedito dal fatto che l’Agenzia delle entrate ha disposto una misura temporanea di blocco della cessione dei crediti.

  1. La difesa, con tempestiva richiesta depositata telematicamente, ha chiesto ed ottenuto la trattazione orale dei ricorsi.

Motivi della decisione

  1. I ricorsi, trattati oralmente ex D.L. n. 137 del 2020art. 23, comma 8,, e successive modifiche ed integrazioni, sono complessivamente infondati.
  2. Il primo motivo è infondato.

I giudici del riesame hanno, con motivazione del tutto adeguata e analitica, indicato le ragioni per le quali il fumus del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 8 può essere ritenuto configurabile nella vicenda esaminata.

Il provvedimento impugnato si caratterizza, infatti, per la attenta e puntuale ricostruzione del meccanismo fraudolento messo in opera dagli indagati, utilizzando società a loro riferibili, che, abusando del regime di detrazioni fiscali introdotto allo scopo di favorire la ripresa economia nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia, hanno tratto profitto illecito dalla creazione e successiva cessione a terzi di crediti di imposta inesistenti.

In particolare, a seguito dell’individuazione di anomale e rilevanti operazioni effettuate sulla Piattaforma Cessione crediti, l’Agenzia delle Entrate aveva individuato alcuni soggetti, società e persone fisiche, tra cui gli stessi indagati ricorrenti, che, nella ricostruzione della Pubblica Accusa, favorevolmente vagliata dal Gip prima e dal tribunale del riesame poi, attraverso un’articolata organizzazione, hanno ideato, realizzato e gestito un sistema fraudolento finalizzato alla creazione e monetizzazione di falsi crediti d’imposta per oltre un miliardo di Euro. In particolare, nella corretta ricostruzione operata dai giudici del merito, la simulazione della sussistenza dei presupposti costitutivi del beneficio fiscale – ovvero del diritto del contribuente alla detrazione dell’imposta lorda dell’intero importo delle spese sostenute per gli interventi di cui al D.L. 34 del 2020 (nonchè degli ulteriori interventi previsti dalla previgente disciplina, anche in tema di ecosismabonus, nella prospettiva degli indagati) – è risultata strumentale alla creazione di crediti di imposta inesistenti, suscettibili dell’opzione di cui al D.L. n. 34 del 2020 art. 121, in funzione della realizzazione di un duplice illecito obiettivo: da un lato, l’indebito conseguimento di ingenti liquidità monetarie di lecita provenienza, ottenute attraverso la cessione dei crediti a istituti di credito o intermediari finanziari, in talune ipotesi, attraverso la previa cessione intermedia a società ovvero a persone fisiche compiacenti; dall’altro, l’elusione fiscale attuata mediante indebita compensazione dei crediti di imposta, con conseguente locupletazione dei profitti derivanti dall’omesso versamento delle imposte dovute, il c.d. ri Spa rmio di spesa.

La descrizione del meccanismo fraudolento, nello specifico, viene dettagliatamente riportata nelle pagg. 6 e segg. del provvedimento impugnato, cui in questa sede si opera integrale rinvio per esigenze di economia motivazionale trattandosi di argomentazioni note agli indagati, nè essendo tenuta questa Corte a ripercorrere gli argomenti in fatto, ma soffermarsi unicamente su quelle questioni di diritto rilevanti, tenuto conto, del resto, dei ristretti limiti di impugnabilità previsti dall’art. 325, c.p.p., che esclude la consumabilità del vizio di motivazione, salvi i casi di motivazione apparente (per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 – dep. 13/02/2004, PC Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710 01), che evidentemente non è rilevabile nella presente vicenda attesa la completezza del compendio argomentativo sviluppato dai giudici del riesame.

2.1. In tale contesto, dunque, è utile soffermarsi solo sugli elementi utili a verificare la sussistenza del fumus del delitto di emissione di false fatture per operazioni inesistenti, la cui configurabilità è stata contestata dalla difesa degli indagati.

A tal proposito, è emerso che gli organi inquirenti, analizzando gli acquisti e le cessioni poste in essere dalle società riconducibili agli indagati (per brevità denominate MIB e SIV), hanno accertato che nel 2021 le stesse hanno emesso fatture “reciprocamente l’una nei confronti dell’altra” (pag. 7 ordinanza impugnata), per importi rilevanti e pari alla quasi totalità dei costi. Nello specifico la SIV, costituita solo nel 2019, riceve fatture solo nel 2020 e nel corso del 2021 per un importo complessivo superiore a 607m1n di Euro e la MIB costituisce il suo maggiore se non unico fornitore. Mentre nel 2020 SIVnon ha emesso alcuna fattura, nel 2021 emette fatture esclusivamente verso MIB per 568 mln di Euro. Nello stesso periodo, MIB riceve fatture per un importo superiore a 614m1n di Euro, rappresentando SIVil suo principale fornitore. Proprio tali fatture costituiscono la fonte dei considerevoli crediti di imposta di cui le stesse risultano beneficiarie, crediti che hanno formato oggetto sia di reciproche compravendite, sia di ulteriori cessioni ad altri soggetti tra cui, anzitutto, altre due società che compaiono nell’indagine la AD TRADING Srl e la SPEED RAIL WAYS Srl .

Risulta, nello specifico, che la SIVtra il novembre 2020 ed il novembre 2021 ha acquistato crediti di imposta per ecobonus e sismabonus del valore di oltre 365m1n di Euro, e ne ha ceduti 563m1n. Di questi, oltre 335m1n di Euro costituiscono prime cessioni, donde, come evidenziano i giudici del riesame, la società avrebbe dovuto aver maturato i requisiti per conseguire tali crediti di imposta, aver investito negli interventi oggetto di agevolazione e, quindi, risultare destinataria di fatture per importi pari almeno all’importo ceduto.

La singolarità del fatto – che destituisce di fondamento le argomentazioni difensive – sta nel fatto che le operazioni in cui la SIVcompare come primo cedente vedono come cessionaria la MIB e, nello stesso periodo, quest’ultima emette fatture verso la SIVper oltre 594 mln di Euro. La MIB tra novembre 2020 e novembre 2021 cede complessivamente crediti di imposta per 516 mln di Euro, di cui oltre 327 mln di Euro a SIV. Ne deriva, quindi, nella corretta ricostruzione dei giudici del riesame, che per cedere i crediti di imposta di rilevante entità, in qualità di primo cedente, sono stati maturati da MIB a seguito di presunti lavori di ristrutturazione edilizia realizzati e di conseguenza fatturati a suo favore da SIVe viceversa.

Allarmante è il quadro che emerge dall’ordinanza impugnata circa la capziosità del meccanismo fraudolento posto in essere dagli indagati attraverso le società a loro riconducibili, MIB e SIV, che non solo hanno due unità locali in comune, ma le cui compagini risultano esattamente sovrapponibili essendo il 50% del capitale pari a 100.000 Euro per entrambe le società, di proprietà dei due indagati al 50% delle quote ciascuno, risultando formalmente amministrate entrambe dal B.B..

Ulteriore dato che rende chiara la manovra fraudolenta complessivamente posta in essere è rappresentato dalla circostanza che la MIB è proprietaria di 1194 immobili e 10 terreni nel comune di Vieste e di 126 immobili e 7 terreni nel comune di (Omissis), ma risulta che 1152 immobili, pari all’87% del totale, sono di categoria C/6, ossia stalle, scuderie, rimesse e autorimesse, con rendita catastale media di 50 Euro:. è dunque evidente, come bene sottolineano i giudici del riesame, la sproporzione tra le caratteristiche intrinseche del bene e l’entità degli importi fatturati e, dunque, dei lavori edili da realizzare, posto che gli indagati hanno indistintamente richiesto, per tutti gli interventi, di poter usufruire della percentuale massima di detrazione, raggiungendo il tetto massimo di spesa previsto dalla legge.

Gli stessi giudici del riesame, peraltro – con ciò risultando priva di pregio la doglianza difensiva sul punto – danno conto nell’ordinanza impugnata della circostanza che le fatture emesse reciprocamente dalle due società sono tutte fatture di acconto, dunque relative a lavori tutti ancora da completare, con la conseguenza che i notevoli importi già fatturati e di per sè incongruenti, costituirebbero solo una parte del valore complessivo. A ciò va aggiunto che le fatture sono state emesse in poche giornate nell’arco di un ristretto periodo temporale, richiamandosi nel provvedimento, a titolo esemplificativo, la circostanza che l’11.11.2021 la SIVha emesso 52 fatture verso la cliente per complessivi 170 mln di Euro, mentre la MIB nella stessa data ha emesso 20 fatture per 119 mln di Euro. Ancora, emerge che la MIB ha stipulato nel 2021 50 contratti di locazione di immobili per un uso diverso dall’abitativo con canoni annui irrisori in molti casi pari a 300 Euro annui. Analogamente la SIV, che non possiede immobili, dalla fine del 2020, in qualità di conduttrice, ha concluso 85 contratti di locazione di negozi A/10 e di cantine C/2, situati tra (Omissis) e (Omissis), di proprietà di varie persone fisiche. Tali immobili sono stati fittiziamente presi in locazione dalle società, a canoni annuali esigui, dai 300 Euro ai 2400 Euro, al solo scopo di precostituirsi un requisito di accesso al bonus, come bene spiegato a pag. 9 dell’ordinanza impugnata.

Di conseguenza, sottolineano i giudici del riesame, le operazioni ritenute agevolabili dalla società e quindi da esse poste a fondamento dei crediti ceduti quali prime cedenti, sono state ricondotte a presunti lavori effettuati proprio sugli immobili detenuti quali conduttrici fittizie. Proprio in relazione a tale circostanza, i giudici del riesame, nell’assolvere al ruolo di garante della legittimità del vincolo cautelare apposto, sottolineano come, nella memoria depositata in data 8.02.2022, la difesa degli indagati avrebbe fornito una giustificazione dell’operazione che, anzichè smentire, sembrerebbe confermare allo stato l’ipotesi accusatoria. Ci si riferisce alla considerazione per la quale, ogni volta che la SIVo la MIB alternativamente rivestivano il ruolo di conduttore di un’unità immobiliare per potersi far carico degli altri condomini, degli oneri di anticipazione del corrispettivo dell’appalto, l’altra società assumeva il ruolo di appaltatore nella qualità di genera/ contractor, che applicava lo sconto in fattura previsto per la misura agevolativa dell’ecosismabonus. Stipulato il contratto di appalto, la società che assumeva il ruolo di GC, sia essa la MIB o la SIV, emetteva fattura nei confronti dell’altra società committente che aveva, dunque, l’obbligo di pagare il 15% della fattura, mentre il restante 85% dell’imponibile aveva titolo per richiedere il bonus fiscale sotto forma di credito di imposta, inviando richiesta all’A.d.E. tramite l’apposita piattaforma.

Orbene, come si legge nell’impugnata ordinanza, dalle indagini svolte, è tuttavia emerso che la SIVnel 2020 si è avvalsa della collaborazione di due lavoratori autonomi remunerati con importi irrisori (7500 e 150 Euro) e, nel 2021, ha versato finora ritenute su compensi di lavoro autonomo per complessivi 51.000 Euro, e per lavoro dipendente per complessivi 1.335 Euro. Analogamente MIB nel 2020 risulta avere avuto 3 dipendenti che hanno percepito redditi irrisori, e lo stesso vale per il 2021, come risulta dalle interrogazioni INPS, laddove nel 2021 la società ha versato ritenute per lavoro autonomo per complessivi 165.000 Euro.

Da qui l’ovvia e logica considerazione, svolta dai giudici del riesame, secondo cui l’entità della forza lavoro su cui le due società possono rispettivamente contare per eseguire i lavori in qualità di ditte appaltatrici non risulta coerente con il valore milionario dei lavori già reciprocamente fatturati, peraltro, solo a titolo di acconto.

A ciò va aggiunto come l’importo dei lavori – e ciò, si badi bene, a prescindere dal meccanismo della fatturazione in acconto su cui ruota il motivo di impugnazione, e che sconfesserebbe la tesi dell’insussistenza delle operazioni fatturate – appare sempre spropositata rispetto al presunto valore degli immobili locati, con riferimento, ad esempio a SIV, su lavori svolti per almeno 335 mln di Euro, ogni immobile avrebbe dovuto essere, in media, oggetto di interventi agevolabili per quasi 4 mln di Euro: ciò, come bene evidenziano i giudici del riesame, deriva dalla circostanza che, al fine di ottenere la maggior agevolazione possibile, per ogni intervento edilizio, le società hanno indicato prezzi esorbitanti per l’esecuzione dei lavori, non congrui rispetto alle caratteristiche degli immobili e agli interventi realizzabili in concreto, ed hanno usufruito esclusivamente della percentuale massima di detrazione, pari per il sisma bonus all’85% delle spese sostenute se vi è il passaggio a due classi di rischio sismico inferiore, calcolata sull’ammontare massimo delle spese previsto dalla legge, ossia 96.000 Euro per sisma bonus da moltiplicare per il numero delle unità immobiliari nel caso di condomini.

Tra gli elementi individuati dai giudici del riesame a sostegno della prospettazione accusatoria, vi è, ancora, la circostanza, corroborata dal PM con produzione documentale nel corso dell’ud. 8.02.2022, per cui a fronte di dichiarazioni di cessione di crediti già effettuate sulla relativa piattaforma web da parte delle società indagate in relazione ad interventi edilizi per importi rilevanti (da 1.618.400,00 Euro a 5.433.200,00 Euro) è stata riscontrata l’assenza dei relativi titoli amministrativi abilitativi all’esecuzione dei lavori. In alcuni casi, si legge nel provvedimento impugnato, l’istanza per ottenere -il titolo abilitativo risulta inoltrata dalle società indagate alle competenti autorità amministrative in data successiva all’emissione e all’esecuzione del provvedimento di sequestro oggetto di impugnazione. In particolare, gli accertamenti eseguiti sull’effettiva realizzazione degli interventi edilizi per cui le società indagate hanno dichiarato di aver in corso pratiche edilizie con sisma bonus, e di conseguenza hanno già effettuato dichiarazione di cessione di crediti sulla piattaforma web, hanno evidenziato che vi sono 244 pratiche edilizie curate da soli 12 professionisti e, soprattutto, in relazione a 182 interventi oggetto delle predette relazioni tecniche, non risulta ancora dichiarato nè avviato alcun cantiere, mentre per quanto riguarda i 58 cantieri già dichiarati come avviati, dai sopralluoghi eseguiti, sarebbe emersa l’inesistenza di 3 cantieri (non rilevando, su tale ultima circostanza, la contestazione difensiva fondata sul fatto che in realtà i cantieri si sarebbero trovati fuori dalla Puglia, contestazione che si fonderebbe su un presunto travisamento probatorio dell’informativa G.d.F., vizio tuttavia non deducibile in questa sede in considerazione dei ristretti limiti imposti dall’art. 325, c.p.p.).

Significativa, peraltro, al fine di escludere qualsiasi valenza alle considerazioni espresse dagli indagati nel motivo di ricorso – si ripete fondato su una presunta erronea applicazione della normativa in materia, non essendo condizionata all’esecuzione preventiva dei lavori l’emissione delle fatture in acconto – è peraltro la circostanza, pure evidenziata dall’ordinanza impugnata (pag. 11) in cui si sottolinea come, con riferimento alle relazioni tecniche redatte dai professionisti incaricati circa lo stato dei luoghi, prodotte dagli indagati in sede di riesame, proprio il PM, nel corso dell’ud. 8.02.2022, ha rappresentato l’emersione di alcune anomalie che conducono a dubitare della veridicità dei dati ivi contenuti.

Il riferimento, a titolo esemplificativo, è ad una perizia datata 1.03.2022 a firma di tale Arch. C.C. che, all’atto dell’accesso della G.d.F. in data 21.01.2022 avrebbe disconosciuto il contenuto del documento dichiarando di averlo effettivamente redatto, ma di non ricordare di aver inserito i dati, i numeri e gli importi quali risultanti nel documento. Le successive verifiche eseguite dallo stesso professionista, che ha inviato l’originale del documento alla G.d.F. il giorno successivo all’accesso, hanno consentito di appurare che il documento originale a suo tempo consegnato alla società incaricata dell’esecuzione die lavori, fosse del tutto difforme da quello prodotto in giudizio dagli indagati.

2.2. Orbene, senza qui soffermarsi su ulteriori elementi di solida gravità indiziaria (quali, ad esempio, quelli afferenti ai rapporti tra la MIB e la SIVcon le altre due società attenzionate e con altri soggetti persone fisiche, queste ultime nella maggior parte dei casi, soggetti privi di reddito o con redditi esigui tutti residenti nella zona di (Omissis), in molti casi essendo appartenenti ad interi gruppi familiari tra loro collegati, figurando peraltro tra i cedenti, e talvolta anche tra i cessionari delle due società MIB e SIV, anche gli attuali indagati, cfr. pag. 16 ordinanza impugnata), non possono esservi dubbi in ordine alla sussistenza del fumus del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 8, atteso che l’emissione delle false fatture commerciali ha avuto la funzione di simulare l’esistenza delle relative spese sostenute e creare così fittiziamente il presupposto costituivo del diritto alla detrazione.

I correlati crediti di imposta, di importo corrispondente alla detrazione fittiziamente creata sono, dunque, inesistenti nella realtà, ma esistenti sulla carta e idonei all’utilizzo fiscale. Quanto sopra rende astrattamente configurabile il delitto in esame con riferimento alle fatture (capo 1) ed ai documenti aventi valore analogo alle fatture (capo 2), emesse dagli indagati al fine di comprovare l’esecuzione dei lavori ed il pagamento delle relative spese.

Si ribadisce come nessuno spessore argomentativo abbia la prospettazione difensiva, valutata dal tribunale, secondo cui, in estrema sintesi, sarebbero state emesse fatture “in acconto” rispetto alla materiale esecuzione dei lavori. Sul punto, si ricorda è stato rilevato che “in relazione a n. 182 interventi oggetto di relazioni tecniche da parte dei professionisti, non risulta ancora dichiarato, nè avviato alcun cantiere; per quanto riguarda, invece, i 58 cantieri già dichiarati come avviati, dai sopralluoghi eseguiti, è emersa l’inesistenza di n. 3 cantieri” (cfr. pag. 11 del provvedimento impugnato). Tali risultanze, unitamente alle altre evidenziate nel provvedimento, sono state ritenute sufficienti, con motivazione condivisibile e sufficiente ai fini della valutazione della sussistenza dell’illecito, per ravvisare il fumus dei reati contestati, in particolare quello di emissione di fatture per operazioni inesistenti, perchè “rendono inconsistenti le censure avanzate dalla difesa in merito all’esistenza degli interventi edilizi e alla conseguente legittimità delle agevolazioni fiscali conseguite” (cfr. pag. 16), oltre che prive di rilievo le deduzioni difensive circa le ragioni del mancato avvio dei lavori, atteso che l’illecito sistema, per come ideato ed attuato, aggira del tutto le fasi dell’esecuzione dei lavori (attestati nell’iter ordinario, dai computi metrici e dai SAL, certificati dal direttore die lavori), e del pagamento delle relative spese, presupposti ai quali la legge ricollega l’insorgenza del diritto alla detrazione fiscale: il riconoscimento normativo del beneficio esige, infatti, quali presupposti fattuali costitutivi il pagamento delle spese sostenute per gli interventi indicati dalla legge (per le persone fisiche, compresi gli esercenti le arti o professioni e gli enti non commerciali, per i quali vige il criterio di cassa) o l’ultimazione dei lavori (per le imprese individuali, le società e gli enti commerciali, per le quali vige il criterio di competenza), presupposti di cui va fornita in entrambi casi prova documentale, nella specie costituita proprio dalle fatture indicate nel capo 1 e dai documenti aventi valore analogo alle fatture indicati nel capo 2.

2.3. Più nello specifico, al fine di meglio lumeggiare l’approdo cui è pervenuta questa Corte nel ritenere l’inesistenza delle operazioni fatturate “in acconto” (e, dunque, configurabile il delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 8), si osserva come la fruizione dei bonus fiscali per gli interventi edilizi è indissolubilmente vincolata all’esecuzione completa degli interventi stessi, secondo quanto indicato nei relativi atti abilitativi e nei tempi previsti dagli atti stessi. Le agevolazioni sono infatti concesse per l’esecuzione di interventi edilizi: per questo i suddetti interventi devono essere completati, e sempre per questo – ad esempio – per un intervento di riduzione del rischio sismico con Sismabonus non è sufficiente ultimare le opere strutturali e collaudarle, ma occorre comunque terminare l’intervento come dedotto nel titolo edilizio.

Il principio generale per discernere le spese agevolabili da quelle che non lo sono prevede che le spese, per poter essere detratte con i vari bonus, devono essere fatturate e pagate durante il periodo di vigenza dei bonus stessi, quindi entro la scadenza, come chiaramente indicato ad esempio per il Superbonus dalla Circolare 24/E/2020, punto 4 (“criterio di cassa” – vedi anche Circolare 25/06/2021, n. 7/E, pag. 293 per il Bonus ristrutturazioni, pag. 389 per l’Ecobonus;òpag. 423 per Eco-Sismabonus).

In applicazione del principio di cassa, per l’Ecobonus (cfr. risposte a FAQ Enea per l’Ecobonus, risposta n. 3.E) si consente – per i lavori non completati al termine del periodo d’imposta (anno solare) – di portare le spese in detrazione già nella dichiarazione dei redditi dell’anno successivo (es. spese 2021 già detraibili nella dichiarazione 2022 su redditi 2021). Questo, seppure si tratti di una detrazione sub iudice, legata come detto all’effettivo concretizzarsi dell’intervento nel suo complesso (tutte le opere indicate ed entro i tempi dettati dalle pratiche edilizie), quindi con il rischio che a eventuali controlli si riscontri la mancata fine dei lavori, caso in cui i benefici già fruiti verrebbero revocati (vedi in tal senso la risposta a interrogazione fornita dal Ministero economia e finanze il 17/11/2021 in Commissione VI (Finanze) alla Camera, risposta n. 5-07055). In assenza di chiarimenti, tale soluzione si ritiene applicabile anche al Sismabonus e più in generale agli altri bonus con requisiti. Nessun dubbio sorge invece per l’applicabilità di tale principio a quei bonus – Ristrutturazione 50% e Bonus facciate “non termico” – per i quali non è necessaria una attestazione concernente il rispetto di specifici requisiti tecnico-prestazionali.

Si può trarre da quanto sopra una prima conclusione: è possibile in linea generale, quando si deve semplicemente portare la spesa in detrazione in dichiarazione dei redditi, anticipare i pagamenti anche per lavori da eseguirsi, fermo restando che i benefici verrebbero revocati qualora i lavori non terminassero per intero come nei titoli edilizi. Anche qui si ricavano conferme dalla risposta a interrogazione fornita dal Ministero economia e finanze il 17/11/2021 in Commissione VI (Finanze) alla Camera, risposta n. 5-07055.

2.4. Il discorso muta però – ed in ciò si annida l’errore commesso dalla difesa – quando si intende sfruttare la possibilità di monetizzare fin da subito il credito, tramite la sua cessione o lo sconto in fattura, ai sensi dell’art. 121 del D.L. n. 34/2020. Detta opportunità è come noto consentita a fine lavori, oppure “a stato di avanzamento” (SAL), previa emissione del SAL stesso da parte di un tecnico, che attesti: a) l’avvenuta esecuzione di una determinata porzione dei lavori agevolabili (che per il Superbonus deve essere almeno il 30% mentre negli altri casi la percentuale è libera, potendosi emettere fino a un massimo di 9 SAL); b) la congruità delle relative spese sostenute.

Gli adempimenti di cui sopra, fino a poco tempo fa previsti solo per il Superbonus 110%, sono stati estesi ad opera del D.L. n. 157/2021 (c.d. “Decreto Antifrode” – Decreto Antifrode per il Superbonus e gli altri Bonus edilizi) a tutti i bonus edilizi, seppure solo in caso di cessione del credito (per la precisione ai fini dell’Ecobonus ordinario, l’attestazione di congruità delle spese era, e continua ad essere prevista anche in assenza di cessione del credito o sconto in fattura, vedi Ecobonus (110 e non), asseverazione e congruità dei costi: indicazioni pratiche e consigli).

A fini esegetici, illuminante è però la definizione di “Stato di avanzamento lavori” di cui al D.M. infrastrutture e trasporti n 49 del 7 marzo 2018, art. 14, comma 1, lett. d), (Approvazione delle linee guida sulle modalità di svolgimento delle funzioni del direttore dei lavori e del direttore dell’esecuzione), il quale definisce lo “Stato di avanzamento lavori” come il documento che riassume tutte le lavorazioni e tutte le somministrazioni eseguite dal principio dell’appalto sino ad allora.

Si può trarre, pertanto, da quanto sopra una seconda conclusione: dovendo il tecnico attestare “tutte le lavorazioni e tutte le somministrazioni eseguite dal principio dell’appalto sino ad allora”, non devono essere incluse nel SAL lavorazioni che – seppure fatturate e pagate – non siano tuttavia state eseguite.

Quanto sopra anche perchè attraverso il SAL si sta sostanzialmente anticipando la completa “maturazione” del beneficio fiscale, che come si è detto è indissolubilmente vincolato all’esecuzione degli interventi, che alla fine dei lavori dovrà essere completa, mentre al SAL è relativa solo alla percentuale dedotta nel documento. Sulla base della definizione normativa di SAL, al massimo, possono essere validamente contabilizzate le eventuali mere somministrazioni (forniture) di beni a piè d’opera.

Ne segue, infine, come terza conclusione, che alla luce dell’approccio esegetico indicato in precedenza, non deve essere rilasciato il visto di conformità relativamente a cessione crediti in presenza di lavorazioni o somministrazioni non ancora eseguite.

Da qui, dunque, la complessiva infondatezza della tesi difensiva secondo cui sarebbero state emesse fatture “in acconto” rispetto alla materiale esecuzione dei lavori in quanto ciò sarebbe stato consentito per legge, laddove, diversamente, i dati normativi dianzi indicati collidono con tale interpretazione.

  1. Il secondo motivo è invece manifestamente infondato.

Proprio alla luce del descritto meccanismo evidenziato nell’ordinanza impugnata, non può trovare applicazione l’indirizzo giurisprudenziale richiamato dai ricorrenti, secondo cui in tema di emissione di fatture per operazioni inesistenti, non può essere disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, sui beni dell’emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture medesime, in quanto il regime derogatorio previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 9 – escludendo la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi se ne avvale – impedisce l’applicazione in questo caso del principio solidaristico, valido nei soli casi di illecito plurisoggettivo (cfr., Sez. 3, n. 43952 del 05/05/2016, Rv. 267925 – 01, in motivazione, la S.C. ha chiarito che il vincolo nei confronti dell’emittente può essere imposto in relazione al solo prezzo del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 8, da individuare – in sede di sequestro – con riferimento a qualsiasi utilità economica valutabile ed immediatamente o indirettamente derivante dalla commissione del reato).

Come, infatti, ben evidenziato dal PG nella sua requisitoria scritta, nella specie, però, il sequestro non è stato compiuto nei confronti delle sole società emittenti le fatture per operazioni inesistenti, essendo emerso che le società raggiunte dal provvedimento si sono precostituite, “attraverso cessioni reciproche”, i requisiti per poter conseguire i crediti di imposta allo scopo di cederli in qualità di prime cedenti. Esse, come risulta dal provvedimento impugnato, hanno “emesso fatture, reciprocamente l’una nei confronti dell’altra, per importi rilevanti e pari alla quasi totalità dei costi” (cfr. pag. 6 e 7). In un simile contesto, pertanto, il sequestro non ha colpito (solo) le società emittenti (ossia la MIB e la SIV), ma (anche) quelle che si sono avvalse delle fatture (che sono, attesa la reciprocità dell’emissione, per come descritto dai giudici del riesame, ambedue le società), conseguendo il profitto per effetto della cessione.

I crediti d’imposta generati dalle false fatture, come ha rilevato il Tribunale, costituiscono il profitto del reato e come tale possono ben essere oggetto del sequestro ex D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 12-bis. E, in tale contesto, correttamente il PG ha ricordato quanto evidenziato nell’ordinanza impugnata, ossia che “le società hanno due unità locali in comune” e che, prima del 2020 “dichiaravano un volume d’affari modesto ed irrisorio rispetto agli importi fatturati dall’entrata in vigore delle agevolazioni” (cfr. pag. 8), a sostegno non solo della inesistenza delle operazioni fatturate ma anche della evidenza del complesso meccanismo fraudolento sotteso alle operazioni medesime.

Da ultimo, al fine di evidenziare l’indubbia legittimità del provvedimento di sequestro, si richiama quanto contenuto a pag. 22 del provvedimento impugnato, laddove viene chiarito che proprio l’informatizzazione delle procedure tributarie attribuisce immediata efficacia all’iscrizione nel sistema informatico della situazione debitoria del contribuente, sicchè l’alterazione di documenti informatici preordinata a simulare l’esistenza di un credito di imposta, come la comunicazione dell’opzione ex D.L. n. 34 del 2020 art. 121, – produce, con l’accettazione dell’Amministrazione finanziaria che rilascia la relativa ricevuta, l’immediato illecito arricchimento del contribuente e correlativo danno per l’Erario, conseguente, all’eliminazione, in tutto o in parte, del debito tributario.

  1. Anche il terzo ed ultimo motivo non ha pregio.

Ed invero, per quanto, effettivamente, il provvedimento impugnato si concentri, nella motivazione relativa al periculum in mora, sulla norma del D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 12 bis, riferibile evidentemente ai reati tributari di cui all’art. 8, D.Lgs. citato, contestati ai capi 1) e 2) dell’imputazione cautelare, è tuttavia altrettanto indubbio che, nel motivare il periculum, a pag. 22 i giudici del riesame specificano che l’evidente collegamento delle aziende oggetto di sequestro, apparato strumentale di cui gli indagati si sono avvalsi per realizzare il programma criminoso ideato, ai “reati” per i quali si procede è idoneo a giustificare la misura cautelare adottata ex art. 321 c.p.p., comma 1, per evitare il pericolo che la loro disponibilità possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati, in particolare specificando la attualità e la concretezza del pericolo “in considerazione della possibilità per gli indagati, in caso di annullamento del sequestro, di generare nuovi crediti di imposta fittizi e di incamerare i crediti d’imposta ancora circolanti” (valore di realizzo dei crediti ceduti costituente l’ingiusto profitto del reato in esame, con corrispondente danno per i cessionari pari ai corrispettivi pagati, secondo l’imputazione cautelare), pericolo non impedito dal fatto che l’Agenzia delle entrate ha disposto una misura temporanea di blocco della cessione dei crediti.

Non rileva, quindi, la circostanza che i giudici non abbiano, con riferimento all’adozione del sequestro, operato una motivazione espressa sulle finalità del sequestro funzionali alla confisca ex art. 640-quater, c.p., posto che, quand’anche si ritenesse fondata l’argomentazione difensiva, residuerebbe pur sempre la misura disposta quale sequestro impeditivo, come visto adeguatamente motivata con riferimento al periculum, non derivandone dall’eventuale accoglimento alcun effetto pratico utile ai ricorrenti, nè potendosi ritenere nel caso di specie applicabile il principio affermato dalle Sezioni Unite Giordano (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010 – dep. 19/01/2011, Rv. 248865 – 01), in merito alla configurabilità del rapporto di specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale (artt. 2 ed 8, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, comma 2, n. 1, c.p.), nel senso che qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, versandosi nel caso in esame nell’eccezione indicata dalla stessa Corte, derivando invero dalla condotta un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni (nella specie, il riconoscimento di un credito di imposta, frutto delle false fatturazioni, e destinato, attraverso il meccanismo delle cessioni, ad essere ulteriormente ceduto con conseguente danno non solo nei confronti dell’Erario, ma, soprattutto, nei confronti delle società ed enti cessionari dei crediti, con conseguimento di un ingiusto profitto pari al valore di realizzo dei crediti ceduti con corrispondente danno per i cessionari pari ai corrispettivi pagati).

Peraltro, e conclusivamente, il motivo di ricorso dovrebbe comunque essere dichiarato inammissibile, per difetto di specificità, limitandosi alla critica di una sola delle “rationes decidendi” poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti, come, nella specie, la compiuta e corretta motivazione sulla sussistenza delle ragioni di mantenimento del sequestro per finalità impeditive in relazione anche alla truffa aggravata, non attinta dal ricorso (Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011 – dep. 27/07/2011, Rv. 250972 – 01).

  1. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2022

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