STALKING  DIVIETO AVVICINAMENTO QUALE E’ IL LIMITE DEL DIVIETO DI AVVICINAMENTO ?

STALKING  DIVIETO AVVICINAMENTO

QUALE E’ IL LIMITE DEL DIVIETO DI AVVICJNAMENTO ?

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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

Sentenza 9 settembre 2019 – 27 gennaio 2020, n. 3240

 

LA CENTRALITA DELLA MOTIVAZIONE:

“concreta riguarda, invece, un rapporto fra soggetti non conviventi: ed è perciò evidente che il riferimento centrale del divieto di avvicinamento debba essere la persona fisica della vittima, in qualunque dimensione spaziale essa venga a compiere atti della propria vita quotidiana. Ed ecco perchè, coerentemente, la norma disegnata dall’art. 282 ter c.p.p., prevede la possibilità di imporre – quale contenuto minimo della restrizione – l’obbligo di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati (dunque già conosciuti e preventivabili) dal soggetto passivo, ovvero di mantenersi a una certa distanza da detti luoghi e/o dalla vittima medesima. In linea di principio, pertanto, il Gip procedente ben poteva ordinare al B. di non avvicinarsi al luogo ove era logico ritenere che il Be. trascorresse gran parte delle sue giornate (cioè, l’abitazione della persona offesa). “

 

Una serie di commenti a sentenze di avvocato a Bologna Sergio Armaroli per dare una prima idea degli orientamenti di giurisprudenza, si tratta di articoli sulle successioni, sulla separazione e divorzio, e sul danno alla persona da incidente  stradale a responsabilita' medica.
PENALE EDILIZIA AVVOCATO PENALISTA ESPERTO BOLOGNA serie di commenti a sentenze di avvocato a Bologna Sergio Armaroli per dare una prima idea degli orientamenti di giurisprudenza,si tratta di articoli sulle successioni, sulla separazione e divorzio, e sul danno alla persona da incidente  stradale a responsabilita’ medica.

Sul piano della contestata sussistenza di una adeguata piattaforma di gravità indiziaria, in vero, la difesa si limita a sviluppare rilievi di puro merito, sollecitando il giudice di legittimità ad una non consentita rivalutazione delle emergenze delle indagini preliminari: il giudizio di attendibilità del Be., espresso dal Gip e condiviso dal Tribunale, non può del resto essere disatteso sulla base del rilievo che la vittima è stata a sua volta ritenuta responsabile di intemperanze nei confronti del ricorrente, tanto più che il narrato della persona offesa risulta qui riscontrato da più soggetti (che, proprio perchè amici di un disabile limitato nella mobilità, ebbero ragionevolmente modo di andarlo a trovare dove abitava, e dei quali viene allegata la non credibilità solo in termini assertivi). Altrettanto apodittica è l’affermazione che nel caso in esame il Be. non si sarebbe trovato in una condizione di ansia e non avrebbe mutato abitudini, visto che – v. pag. 4 della motivazione dell’ordinanza impugnata furono le stesse persone che lo frequentavano a notare il verificarsi degli eventi anzidetti. I medesimi soggetti, peraltro, risultano avere concordemente descritto il B. come persona incline ad atteggiamenti di prevaricazione, anche al di là dello specifico rapporto di vicinato, dato che appare correttamente valutato in punto di ravvisabilità delle esigenze cautelari

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ULTERIORE APPROFONDIMENTO :

Manifestamente infondato è, da ultimo, il rilievo che l’opzione terminologica adottata dal codice di rito (ove si parla di “imputato”, per descrivere il soggetto potenzialmente destinatario di una misura de libertate) comporti l’impossibilità tout court di adottare provvedimenti restrittivi come quello in esame nei confronti di un soggetto che sia soltanto sottoposto a indagini preliminari: tale interpretazione, ove peraltro si consideri che tutte le norme descrittive delle varie misure cautelari adottano identica opzione, appare smentita sia dalla generica previsione di richiamo contenuta nell’art. 61 c.p.p., sia dalla individuazione del Gip come autorità competente per l’applicazione, la revoca o la sostituzione delle misure de quibus durante la fase delle indagini preliminari (art. 279 c.p.p.).

Deve invece convenirsi con le censure difensive in ordine alla scelta della misura applicata dal Gip, sia tenendo conto dei limiti della richiesta restrittiva presentata dal Pubblico Ministero sia quanto al doveroso contemperamento dei diritti della persona offesa e dell’indagato. Non vi è dubbio, infatti, che nelle situazioni in cui una condotta persecutoria non riguardi un contesto di rapporti familiari, appare fuorviante discutere dell’ontologica distinzione fra la misura cautelare prevista dall’art. 282 bis c.p.p., e quella contemplata dall’articolo successivo: solo in caso di coabitazione – potenzialmente criminogena – all’interno dello stesso domicilio, ha senso discernere le ipotesi in cui le modalità dello stalking si manifestino in un campo d’azione limitato a quel luogo determinato, da quelle connotate da una persistente ed invasiva ricerca di contatto con la persona offesa, ovunque si trovi (v. Cass., Sez. V, n. 30926 dell’08/03/2016, S.).

L’odierna fattispecie concreta riguarda, invece, un rapporto fra soggetti non conviventi: ed è perciò evidente che il riferimento centrale del divieto di avvicinamento debba essere la persona fisica della vittima, in qualunque dimensione spaziale essa venga a compiere atti della propria vita quotidiana. Ed ecco perchè, coerentemente, la norma disegnata dall’art. 282 ter c.p.p., prevede la possibilità di imporre – quale contenuto minimo della restrizione – l’obbligo di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati (dunque già conosciuti e preventivabili) dal soggetto passivo, ovvero di mantenersi a una certa distanza da detti luoghi e/o dalla vittima medesima. In linea di principio, pertanto, il Gip procedente ben poteva ordinare al B. di non avvicinarsi al luogo ove era logico ritenere che il Be. trascorresse gran parte delle sue giornate (cioè, l’abitazione della persona offesa).

LA MANCATA MOTIVAZIONE DELLA MSIURA CHE HA PORTATO ALLANNULLAMENTO DELLA STESSA

Non di meno, non risulta sufficientemente motivata – nè nel provvedimento restrittivo genetico, nè da parte del Tribunale del riesame – la prescrizione specifica di mantenere una distanza di almeno 50 metri dal Be.,

venendo questa a risolversi, nel caso di specie, in un sostanziale divieto di dimora applicato a carico del B. ma non richiesto dal Procuratore della Repubblica. I giudici del riesame, premesso che l’indagato pareva risultasse occupare l’appartamento sovrastante quello del Be., scrivono che le condotte delittuose ascritte al ricorrente sarebbero state agevolate proprio dalla contiguità delle abitazioni, ma se è pacifico – a fronte della descritta singolarità del caso che fosse necessario impartire prescrizioni idonee a scongiurare un aumentato rischio di recidiva specifica, non è stato considerato che ordinare al B. di rimanere a 50 metri dalla vittima significava fargli sostanziale divieto di continuare ad abitare nel citato appartamento, vale a dire di dimorare in un determinato luogo (contenuto tipico della diversa misura di cui all’art. 283, comma 1, del codice di rito). O meglio, tale conseguenza appare presa in considerazione (si legge a pag. 5 che “l’allontanamento del prevenuto dalla propria abitazione è l’inevitabile conseguenza della prescrizione del divieto di avvicinamento alla p.o. entro una distanza di 50 metri, che appare allo stato necessaria ed imprescindibile”), ma erroneamente valutata come non significativa in punto di violazione della domanda cautelare.

Non a caso, la citata sentenza n. 30926/2016 riguardava proprio una vicenda in cui la persona indagata e la vittima risiedevano nel medesimo stabile: e questa Corte segnalava la necessità di rendere conciliabile la prospettiva di tutelare la persona offesa “con un adeguato sacrificio della libertà della ricorrente, che non può trasmodare in una limitazione di un diritto fondamentale, quale quello collegato all’uso della propria abitazione, al di là dell’effettiva tutela delle esigenze cautelari”.

L’art. 277 c.p.p., del resto, impone che le modalità esecutive di una qualsiasi misura restrittiva salvaguardino i diritti della persona che vi sia sottoposta, il cui esercizio non risulti incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto; e soprattutto, più nello specifico, il successivo art. 282 ter, al comma 4, prevede che quando un luogo determinato sia precluso al soggetto gravato dalla misura de qua (perchè abitualmente frequentato dalla persona offesa), ma gli abbia comunque necessità di accedervi per ragioni abitative o di lavoro, al giudice è fatto carico di prescriverne le relative modalità, con possibili limitazioni. In altre parole, non è da un divieto di avvicinamento alla persona offesa che può derivare tout court il venir meno del diritto dell’indagato di dimorare lì dove abbia fissato la propria abitazione: per l’esercizio di quel diritto potranno stabilirsi prescrizioni determinate ed eventuali limiti (ed è su tale punto che va disposto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata), ma non se ne potrà sancire – se non per effetto dell’applicazione di diverse misure, per le quali il P.M. dovrà aver proposto rituale istanza – la completa elisione

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